l’Unità 17.3.12 Gaza risponde Luigi Cancrini
Ho letto un libro quest’inverno che mi ha colpito. Il titolo del libro è Ogni mattina a Jenin, l’autrice del libro è Susan Abulhawa nata e vissuta, appunto, a Jenin, uno dei primi campi allestiti per i palestinesi profughi dalle terre che Israele decise di far sue, nel 1948, dopo l’allontanamento delle truppe inglesi. Tenero e struggente, attento al cuore che batte negli uomini e nelle donne che il destino ha messo dall’una e dall’altra parte di questa guerra infinita, il racconto di Susan Abulhawa propone una riflessione su cui oggi si torna poco a proposito del modo in cui, freschi degli orrori dell’olocausto, si mossero gli israeliani nei confronti degli arabi che senza loro colpa erano nati e vissuti nella «terra promessa».
L’odio genera odio e l’odio si trascina attraverso le generazioni, da Auschwitz a Jenin fino a Sabra e Shatila e negli autobus dilaniati dalle bombe dei kamikaze e non si è ancora spento perché ancora non si ha la forza di fermarsi per ascoltare le ragioni dell’altro. Di ricordare insieme, liberandosi dalla paura, in questa storia triste in cui l’unica cosa certa è il dolore sparso a piene mani nella vita di tutti.