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Islam e Cristianesimo

INCONTRI DI CIVILTA’. MOSCHEA BLU. La «meditazione», col Papa insieme al Gran Muftì di Istanbul Mustafa Cagrici, davanti al «mihrab», la nicchia che indica la Mecca. Primi segni di un altro mondo. Un commento di Umberto De Govannangeli

venerdì 1 dicembre 2006 di Federico La Sala
[...] il segno di una svolta. Un passaggio d’epoca. «Sono felicissimo di accoglierla. È stata una grandissima visita», è il commento, tutt’altro che scontato o rituale, del Gran Muftì di Istanbul. L’immagine del Papa in raccoglimento nella Moschea Blu «irrompe», tramite Al Jazira, nelle case dei musulmani di ogni latitudine, segnando in modo definitivo che lo «strappo» di Ratisbona è ormai sanato e che il dialogo è una volontà concreta non una mozione indefinita [...] (...)

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sabato 2 dicembre 2006

L’Occidente preoccupa Benedetto

Con il suo viaggio in Turchia il Papa sembra aver chiuso l’incidente di Ratisbona. Ma il comune avversario delle Chiese non è l’Islam, è la «secolarizzazione, il nichilismo, il relativismo» occidentali, come dice la dichiarazione congiunta dei due capi

di GIAN ENRICO RUSCONI *

Ce l’ha fatta Benedetto XVI. Con il suo viaggio in Turchia sembra aver accontentato tutti. Sono soddisfatti i cattolici interessati all’intensificazione dei rapporti con la Chiesa ortodossa; i religiosi e i laici preoccupati del dialogo politico e culturale con l’Islam nella versione turca, che è la più accettabile secondo i criteri europei. Sono contenti i politici di Ankara che volevano dimostrare all’Europa di saper controllare l’estremismo religioso del loro Paese. Hanno trasformato in successo politico quella che alla vigilia sembrava una operazione rischiosissima. Non da ultimo esce rafforzata la figura di papa Ratzinger con la sua specifica personalità. Certo, rimane il dubbio che questo viaggio abbia soltanto rimosso alcune difficoltà preliminari, abbia corretto errori commessi in precedenza. Abbia posto cioè semplicemente le premesse per un lavoro tutto da inventare. Bilancio positivo, comunque, se misurato ai timori della vigilia, e che ora ci consente di guardare con occhio più sereno a un complesso di problemi che rimangono molto seri.

Cominciamo dalla figura del Papa, finalmente emancipato dalla figura del suo predecessore e mentore. Non è certamente un caso che Ratzinger abbia ripetuto le parole semplici e forti di un altro suo predecessore (Giovanni XXIII): «Io amo i turchi». Queste parole, con altri gesti e immagini (prima fra tutte la fotografia del Papa sorridente accanto alla grande bandiera nazionale turca) hanno colpito l’opinione pubblica turca, che spesso coltiva il complesso di vittima della malevolenza occidentale. Dobbiamo riconoscere che il Pontefice è stato particolarmente attento ad accentuare i gesti simbolici, all’altezza della comunicazione mediatica. A cominciare dalla discesa dell’aereo quando non portava in evidenza il crocifisso sulla veste bianca. Diplomazia e coerenza ideologica. Questo atteggiamento è stato più importante che l’augurio (forzatamente interpretato) che la Turchia possa raggiungere il suo obiettivo di entrare nella Unione Europea. Il Papa infatti offre una garanzia autorevole che l’Islam, in versione turca, non è incompatibile con i valori europei. È un punto molto importante, quando si affronta il dibattito sulla specificità della Turchia nel mondo islamico.

Reciprocamente l’atteggiamento di Ratzinger rende più coerente ed efficace la sua insistenza sulla «libertà religiosa» che è un principio ineludibile per un autentico Stato laico. Se le autorità politiche di Ankara si decidessero a formalizzare e a dare attuazione in modo inequivocabile a questo principio, manderebbero un segnale decisivo ai molti che sono contrari all’entrata della Turchia nell’Unione europea perché è inadempiente su alcuni principi democratici fondamentali. Detto questo, avanzo l’ipotesi che sarà più facile ottenere il riconoscimento formale della libertà religiosa dallo Stato turco che non registrare significativi progressi nei rapporti tra la Chiesa cattolica e quella ortodossa. Anche qui si sono visti grandi simpatici segnali simbolici. Compresa la fotografia dei due capi della rispettive Chiese che alzano le braccia congiunte in un gesto di riconoscimento paritario reciproco, anche se in realtà ricorda le foto mondane degli sportivi o dei politici nei grandi compressi di partito. Ma anche qui siamo davanti alla logica mediatica.

Quello che invece ha colpito è la mancata partecipazione alla comunione eucaristica. Storici e teologi spiegano in tutti i dettagli perché il Papa non poteva farlo. Come laico potrei ingenuamente essere scandalizzato, dopo aver letto tante parole solenni. Ma so che qui tocchiamo una questione dogmatica essenziale quanto quella del riconoscimento dell’autorità papale, nel cui merito non entro. Ma l’impressione (non positiva) che se ne trae, allora, è che la riapertura del dialogo tra le Chiese avviene fondamentalmente su posizioni difensive verso il comune avversario che - si badi - non è affatto l’Islam ma «la secolarizzazione, il relativismo e il nichilismo in particolare nel mondo occidentale», come dice la dichiarazione congiunta dei due Capi delle Chiese. Siamo cosi tornati a un punto critico dell’intera strategia ratzingeriana. Era già evidente nell’importante lezione di Ratisbona, che ha provocato tanti equivoci a proposito dell’infelice citazione su Maometto. A questo proposito l’incidente comunicativo sembra chiuso, proprio anche grazie alla visita in Turchia. Ora è chiaro più che mai che il vero avversario rimane in Occidente.

* La Stampa, 02.12.2006


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