Ecco perché siamo ancora etruschi
di Giuseppe M. Della Fina (la Repubblica, 13.03.2016)
«Sotto il controllo degli Etruschi era stata quasi tutta l’Italia» prima dell’avvento di Roma nel giudizio di Catone, e proprio ad essi è dedicato il volume Gli Etruschi. Storia e civiltà di Giovannangelo Camporeale, giunto ora alla sua quarta edizione caratterizzata da un aggiornamento profondo.
Leggendolo si apprende come la civiltà etrusca abbia accompagnato un millennio di storia della penisola italiana, da appena dopo il 1000 a.C. sino a poco prima della nascita di Cristo quando, dopo avere perso già l’indipendenza politica, smarrì quella culturale col compimento dei processi di romanizzazione.
Si comprende come sia stata presente, oltre che nella cosiddetta Etruria propria (compresa tradizionalmente tra i fiumi Tevere, a sud, e Arno a nord, coi confini orientali e occidentali rappresentati rispettivamente dai primi contrafforti dell’Appennino e dal Mar Tirreno), nella pianura padana (Bologna è stata un’importante città-stato etrusca) e in alcune zone dell’odierna Campania.
Si capisce come - per alcuni secoli - le poleis etrusche abbiano esercitato un controllo stretto sui traffici commerciali presenti nel Mediterraneo occidentale. Si apprende come la loro influenza culturale si sia fatta sentire sugli Umbri, i Veneti, i Liguri e sulla stessa Roma nascente.
Infine si può entrare nella loro fortuna duratura, amplificata tra Cinquecento e Settecento, che è riuscita a giungere al Novecento: lo scrittore inglese David H. Lawrence in Etruscan Places, racconto di un suo viaggio in Etruria nella primavera del 1927, osservò come «in Italia l’elemento etrusco è come l’erba del campo, i germogli del grano: sarà sempre così». Nella paradossale affermazione c’è qualcosa di vero.