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PARIA. Gli ultimi della Terra ...

L’INDIA E IL SISTEMA DELLE CASTE. A Mumbai (la ex Bombay), una grande manifestazione dei Dalits (gli "Intoccabili") per rendere omaggio ad AMBEDKAR, uno dei principali artefici della Costituzione indiana.

L’’intoccabilità’ è quella pratica, inerente all’impianto castale, che considera altamente contaminanti per i membri delle caste superiori i rapporti con i soggetti segnati da un’impurità permanente.
mercoledì 6 dicembre 2006 di Federico La Sala
[...] Nonostante il passare degli anni, Ambedkar rimane per i dalits il simbolo più importante delle loro lotte di classe. Dalit lui stesso, grazie alle sue capacità, Ambedkar riuscì a studiare e a farsi ammettere al college ma subì comunque sempre umiliazioni e discriminazioni dovute alla sua origine. Dopo aver studiato a New York alla Columbia University tornò in India dove si unì al movimento indipendentista e fu nominato membro della commissione incaricata di redigere la costituzione (...)

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>India, vittoria delle donne, vittime del «triplo talaq». La Corte Suprema dichiara incostituzionale la pratica diffusa tra i musulmani.

giovedì 24 agosto 2017

India, la vittoria delle donne: fuori legge il divorzio istantaneo

La Corte Suprema dichiara incostituzionale la pratica diffusa tra i musulmani. Gli uomini non potranno lasciare la moglie pronunciando tre volte una parola

La sentenza della Corte Suprema è stata accolta con grande soddisfazione dalle attiviste indiane. Cinque donne, vittime del «triplo talaq», hanno firmato per prime la petizione depositata alla Corte Suprema

di Carlo Pizzati (La Stampa, 23/08/2017)

È una vittoria per tutte le donne indiane, ma in realtà per tutta l’India, e non solo per le mogli musulmane che hanno accolto ieri con grida di festa la decisione della Corte Suprema di rendere incostituzionale la pratica del «triplo talaq», il divorzio islamico istantaneo.

Al marito bastava pronunciare tre volte la parola «talaq» ovvero «ti divorzio» perché questo avesse valore legale e immediato. E in molti dei casi denunciati negli ultimi anni, i divorziandi non si prendevano nemmeno la briga di dirlo faccia a faccia, ma mandavano una mail, lasciavano una lettera sul tavolo con queste semplici tre parole, o spedivano un messaggio su WhatsApp.

Ciò che è sorprendente è che il voto dei giudici sia stato di 3 contro 2. Le donne ce l’hanno fatta, ma per un soffio. Ora il diritto di divorziare da ubriachi, fuori di sé, o per un capriccio è sospeso. E i giudici hanno dato 6 mesi al Parlamento per trasformare la loro decisione in legge.

Bisogna chiarire che si tratta di un genere di triplo talaq, quello istantaneo, o «talaq-e-bidat» che nella maggioranza dei Paesi islamici è già fuorilegge, ma che in India resisteva fino a ieri. Resta legale l’altro triplo talaq, il «talaq-ul sunnat», che funziona così: il marito dice il primo talaq, ma prima di pronunciare il secondo deve aspettare il successivo ciclo lunare. Se lo pronuncia, allora la moglie si deve preparare al periodo dell’«iddat» che copre tre cicli mestruali. La legge islamica dice proprio così. Se in questo trimestre il marito ci ripensa e si riconcilia con la moglie, bene. Altrimenti è finita.

Secondo la legge islamica, in vigore nelle comunità musulmane indiane, anche la moglie ha diritto a chiedere il divorzio, ma deve restituire per intero la dote pagata dal marito. Siamo ben lontani da una parvenza di parità.

Ieri comunque c’è stata festa tra molte donne indiane, soprattutto tra le cinque coraggiose che hanno firmato per prime la petizione anti-talaq presentata alla Corte Suprema e che ha portato a questo risultato storico. Esultava Shayara Bano, 36enne dall’Uttarkahnd scaricata dal marito con una lettera dopo che i suoceri l’avevano maltrattata per mesi e costretta ad abortire sei volte. Gioiva Ishrat Jahan che dal marito ricevette una telefonata da Dubai, tre talaq e clic. Ed era felice Gulshan Parveen che ha trovato la parola scritta tre volte in un pezzo di carta con un francobollo da 10 rupie, 13 centesimi, ed è stata cacciata di casa con un figlio di 2 anni.

Ma fanno festa anche i politici del partito di governo, il Bjp del fondamentalismo induista dalle forti antipatie anti-islamiche, con il primo ministro Narendra Modi che ha twittato (esagerando) «la decisione della Corte Suprema dà eguaglianza alle donne musulmane ed è uno strumento per dare più potere alle donne». Anche il portavoce dell’opposizione ha twittato accogliendo «la decisione storica, perché l’Islam rifiuta lo sfruttamento delle donne musulmane». E così via in uno sciame di congratulazioni e pacche sulle spalle, raramente giustificate.

Ci ha pensato la scrittrice dissidente Taslima Nasreen, in esilio dal Bangladesh dal ’94, a zittire tutti con dichiarazioni molto secche, che fanno da eco a Oriana Fallaci: «Perché abolire solo il triplo talaq? Tutta la legge islamica e la Sharia andrebbero abolite. Tutte le leggi religiose dovrebbero essere abolite per il bene dell’umanità. Abolire il triplo talaq non porta certo alla libertà delle donne. Le donne hanno bisogno di essere istruite e dovrebbero diventare indipendenti».

Ma è anche vero che in questo contesto, la decisione della Corte Suprema è almeno un passo nella direzione giusta. Anche perché quest’eguaglianza sventolata dal premier Modi è ben lontana dall’essere consolidata.

Ci ha pensato Asaduddin Owaisi, dell’All India Majlis-eIttehadul Muslimeen, una delle più importanti associazioni musulmane indiane a soffiare un po’ di realismo tra i festeggiamenti: «Dobbiamo rispettare questa decisione. Sarà una sfida degna di Ercole riuscire a farla applicare sul campo». Come a dire: fate pure le vostre leggi, noi continuiamo così.

Ma qualcosa s’è incrinato. Ora le donne musulmane sanno che la legge è dalla loro parte, e avranno meno paura di andare dalle autorità a far valere quello che da ieri è un loro diritto: non farsi scaricare dal marito senza un motivo, senza un soldo, con tre semplici e crudeli paroline.


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