Inviare un messaggio

In risposta a:
PARIA. Gli ultimi della Terra ...

L’INDIA E IL SISTEMA DELLE CASTE. A Mumbai (la ex Bombay), una grande manifestazione dei Dalits (gli "Intoccabili") per rendere omaggio ad AMBEDKAR, uno dei principali artefici della Costituzione indiana.

L’’intoccabilità’ è quella pratica, inerente all’impianto castale, che considera altamente contaminanti per i membri delle caste superiori i rapporti con i soggetti segnati da un’impurità permanente.
mercoledì 6 dicembre 2006 di Federico La Sala
[...] Nonostante il passare degli anni, Ambedkar rimane per i dalits il simbolo più importante delle loro lotte di classe. Dalit lui stesso, grazie alle sue capacità, Ambedkar riuscì a studiare e a farsi ammettere al college ma subì comunque sempre umiliazioni e discriminazioni dovute alla sua origine. Dopo aver studiato a New York alla Columbia University tornò in India dove si unì al movimento indipendentista e fu nominato membro della commissione incaricata di redigere la costituzione (...)

In risposta a:

> L’INDIA E IL SISTEMA DELLE CASTE. --- Cambia l’India delle caste La scalata degli Intoccabili. La sfida di Mayawati, regina discussa e molto popolare

mercoledì 6 agosto 2008

Cambia l’India delle caste

Il partito Il Bsp ha messo insieme brahmini e dalit I paria Sono 200 milioni. Costretti ai lavori più umili

La scalata degli Intoccabili

La sfida di Mayawati, regina discussa e molto popolare

di Paolo Salom (Corriere della Sera, 06.08.2008)

È la regina degli intoccabili. Behenji, sorella, di 160 milioni di indiani - i dalit - costretti a guardare il mondo dal basso della loro infima condizione di fuori casta. Mayawati Kumari, per tutti soltanto Mayawati secondo l’uso dei paria, ha però deciso di spezzare le catene assegnate dal destino e conquistare un onore che mai nel passato una come lei aveva osato sognare: guidare l’India. A 52 anni, l’umile figlia di un impiegato, cresciuta in una baraccopoli di New Delhi, amata da molti ma detestata dai più, combatte una battaglia che potrebbe rivoluzionare il futuro del Subcontinente. La sua formazione, il Bahujan Samaj Party (Bsp), alle prossime elezioni generali - nel 2009 - potrebbe diventare l’avanguardia di un «terzo fronte» in grado di scardinare l’alternanza di potere tra il Partito del Congresso dei Gandhi e i nazionalisti indù del Bharatiya Janata Party (Bjp).

Un compito non facile. Mayawati come Nehru o come Indira? In realtà, questa parlamentare controversa, dalla personalità fortissima, sta costruendo la sua fortuna con un’abilità e una lucidità raramente mostrate sulla scena di un Paese che adora ancora affidarsi alle dinastie, possibilmente ai brahmini. Lei è unica, non assomiglia a nessuno, se non altro per il suo stile di governo: a un tempo visionario e spietato.

«L’emergere di Mayawati ha aperto un nuovo orizzonte a diversi gruppi politici- ha spiegato alla Bbc Shekhar Gupta, direttore del quotidiano Indian Express -. La sua immagine giganteggia. Il terzo fronte è nato e Mayawati ne è il fulcro». In realtà, il partito di Mayawati a livello nazionale è ancora debole (17 parlamentari su 802) ma a livello locale è forte nello Stato più importante della Federazione, il popoloso Uttar Pradesh, dove l’anno scorso ha conquistato la maggioranza assoluta (e lei è diventata chief minister, come dire governatore). Ma è la strategia adottata dalla regina dei dalit che ha fatto gridare al miracolo e ha trasformato i sondaggi in un’incoronazione annunciata. Mayawati, infatti, sta plasmando il suo potere su un’alleanza che trascende l’appartenenza di casta o di religione - il vero tabù in India. Ha convinto 52 brahmini (la casta che sta al vertice) a fare campagna elettorale a fianco degli intoccabili. Non solo: nello stesso partito convivono anche 29 esponenti di religione musulmana. Nel Paese - la più grande democrazia del mondo - che vede le baruffe tra indù e islamici sfociare in stragi ripetute, è forse il segno più evidente della capacità di questa donna eterodossa - una vera lady di ferro - di attirare il consenso, nonostante alcuni aspetti controversi che ne fanno un’icona per nulla immacolata.

Un esempio? Lei, nata povera e senza diritti, adora vivere nel lusso (le sono intestate diverse proprietà) e non si preoccupa di nascondere in pubblico gioielli da Mille e una notte. Quando è seduta alla sua scrivania di chief minister dell’Uttar Pradesh, inoltre, dipendenti e collaboratori bussano alla porta tremebondi e finiscono ginocchioni al suo cospetto: Mayawati licenzia con la facilità con cui respira. Ciononostante, in India la sua carriera è portata ad esempio. E la possibilità che diventi primo ministro - se può sgomentare molti - è vista come il segno dei tempi che cambiano, un passaggio di immenso valore simbolico.

«Significherebbe - spiega l’analista politico Mahesh Rangarajan - che può farcela anche una donna dalit nata in uno Stato povero e popoloso, una persona che si è guadagnata il rango attraverso lo studio e la fatica, non ereditandolo attraverso il matrimonio o il lignaggio». Del resto, come avrebbe potuto? Nata il 15 gennaio 1956, Mayawati, da ragazzina, si divideva tra la scuola (dove andava scalza) e l’aiuto domestico. Suo padre e sua madre potevano sacrificarsi per darle un’istruzione. Ma una cosa non avrebbero mai potuto assicurarle: una vita libera dal disprezzo che i dalit, gli «oppressi », attirano per il loro essere semplicemente quello che sono agli occhi di molti indiani: gli ultimi, i reietti, i destinatari di una vita miserabile perché così è stabilito «per sempre» dal ciclo della vita. Non per Mayawati, però. Che studia, si laurea in legge e diventa insegnante per conquistare il diritto, per sé e per quelli come lei, di bere il tè nelle stesse tazze dei brahmini, o di attingere l’acqua nei pozzi comuni. La condizione di casta tuttavia si imprime sulla sua coscienza, scatenando una rabbia che, una volta entrata in politica, non cercherà mai di dominare: «Lasceremo sulle caste alte l’impronta delle nostre scarpe», ebbe a dire un giorno uscendo da un comizio. Frase mai smentita che le era sgorgata dal profondo.

D’altro canto è proprio per questa sua «forza primordiale», per questa capacità di esaltare e trasformare le debolezze in vantaggi che Mayawati fu scelta e considerata sin dall’inizio «l’erede» da Kanshi Ram, fondatore nel 1984 del Bsj, il partito nato con lo scopo di dare voce ai dalit. Kanshi Ram, di fronte alla sua protetta, aveva subito preconizzato un futuro che allora appariva semplicemente inconcepibile. Lei, che aveva inutilmente cercato di superare gli esami per entrare nell’Amministrazione pubblica indiana, nelle sue parole «sarebbe diventata una regina destinata a decidere la sorte dei funzionari di rango, piuttosto che diventare una di loro». Verissimo: il popolo dalit la chiama «regina», oltre che «sorella ». E, come chief minister (con maggioranza assoluta nel Parlamento locale) dell’Uttar Pradesh, Mayawati ha potere - che usa come abbiamo visto senza alcuno scrupolo - su tutti coloro che da lei dipendono, siano brahmini o meno.

C’è da chiedersi come questa donna che ha imboccato con tanta decisione la strada del riscatto riesca ad affascinare ben oltre i confini di casta. Certo, ha promosso l’alleanza con brahmini e musulmani. Ma perché questi l’avrebbero accettata? Perché l’India dovrebbe volere un’intoccabile nell’ufficio più importante? Non è bella, non ha certo il fascino di una diva di Hollywood. E nemmeno il portamento di una Sonia Gandhi. Si veste con colori chiassosi e non ha stile. Non si vergogna di esibire le sue ricchezze né si preoccupa di giustificarne l’origine. Eppure piace. Non sa l’inglese, non conosce a fondo la Costituzione o le leggi del suo Paese. Eppure le sue posizioni in Parlamento suscitano ammirazione. Forse perché si oppone agli Stati Uniti e all’accordo nucleare che ha rischiato di far cadere il governo di Manmohan Singh («Non dobbiamo diventare i servi degli Usa», ha denunciato di recente). In più vorrebbe portare a compimento l’opera di B. R. Ambedkar (1881-1956), un paria di nascita, autore di numerosi scritti sui temi della sua condizione, riassunti nell’articolo 17 della Costituzione indiana, che vieta la «pratica dell’intoccabilità ».

In teoria: dei 200 milioni di poveri e sottonutriti del Subcontinente, la stragrande maggioranza sono tuttora dalit, disprezzati e legati per la vita ai lavori più umili. Mayawati queste cose le sa perché le ha provate sulla propria pelle. Ma è anche riuscita a spezzare le catene, invisibili ma ferree, della sua condizione. Diventando ricca e potente, soprattutto potente. Questo forse è l’aspetto che più affascina. Non era nessuno e ora è qualcosa di molto di più, per tutti: una promessa.


Questo forum è moderato a priori: il tuo contributo apparirà solo dopo essere stato approvato da un amministratore del sito.

Titolo:

Testo del messaggio:
(Per creare dei paragrafi separati, lascia semplicemente delle linee vuote)

Link ipertestuale (opzionale)
(Se il tuo messaggio si riferisce ad un articolo pubblicato sul Web o ad una pagina contenente maggiori informazioni, indica di seguito il titolo della pagina ed il suo indirizzo URL.)
Titolo:

URL:

Chi sei? (opzionale)
Nome (o pseudonimo):

Indirizzo email: