La falsa innocenza degli italiani durante il fascismo
di Nello Ajello (la Repubblica, 20.01.2013)
L’umanità dei nostri connazionali - benché fascisti - e la bruta violenza degli scherani di Hitler: assoluzione da un lato, demonizzazione dall’altro. È questo stereotipo, legato alla seconda guerra mondiale, che lo storico Filippo Focardi affronta nel libro che ha firmato per Laterza, Il cattivo tedesco e il bravo italiano.
Una simile generalizzazione - che pure contiene “un forte nucleo di verità” - è servita a rimuovere tante nostre colpe. Un elenco nel quale figurano i crimini dell’imperialismo fascista, la guerra di aggressione contro le “potenze democratiche”, la persecuzione antisemita (non sempre, si precisa, “imposta da Berlino”) e le violenze commesse ai danni di “nazioni inermi” sottomesse all’Asse. Al seguito del proprio assunto l’autore percorre ampi sentieri del Novecento, dagli anni Trenta e Quaranta, esaminando i commenti di osservatori ed esponenti politici non soltanto italiani. A partire dal giudizio emesso da Winston Churchill nel dicembre 1940: l’entrata in guerra dell’Italia fu l’errore di un “uomo solo”, Mussolini.
A questo autorevole precedente si collega, in gran parte, quella distinzione fra italiani e fascismo che ispirerà l’Intelligence e il giornalismo anglosassone: si ricordino, ad esempio, le trasmissioni-radio del “colonnello Stevens”, cui qui da noi arrise durante il conflitto un notevole, quanto clandestino, ascolto. Non meno recise erano le perorazioni propagandistiche che rivolgeva agli italiani, dalla stessa Radio Londra, l’antifascista esule Umberto Calosso.
La requisitoria di Focardi è severa. L’itinerario che egli compie, in cerca di testimonianze, fra discorsi, giornali e riviste, rende vivaci molte pagine del libro, salvandole dalle strettoie di una ricerca accademica. Spicca, tra i personaggi evocati, quel Benedetto Croce che richiamò l’attenzione dei vincitori sull’avversione dei suoi connazionali al regime littorio, e alla «guerra empia accanto alla Germania». Un’oratoria più colorita adoperava Carlo Sforza, nel riferirsi alla «vera Italia silente sotto la pazzesca imbavagliatura del fascismo».
A una visione della Resistenza come “lavacro” di ogni indegnità pregressa si è poi attenuta la sinistra nostrana. Esemplari, in campo azionista, furono Piero Calamandrei - che, nel giudicare impensabile, anche in futuro, la cessazione dell’ostilità mentale fra italiani e tedeschi - definì questi ultimi «Unni calati dai paesi della barbarie», mentre Francesco Flora li qualificava «biechi figlioli d’Arminio e del Barbarossa».
Assai più attento di quanti non fossero gli esponenti del partito d’Azione, al tema della “riconquista”, in un domani, dei fascisti pentiti, Palmiro Togliatti si era richiamato fin dal 1942, dai microfoni di Radio Mosca, alle tradizioni di libertà del Risorgimento - da Mazzini a Garibaldi - invitando il popolo italiano, a partire dagli “ufficiali del regio esercito” a «rivoltarsi contro Mussolini, a chiedere la pace, a porre fine alle angherie tedesche». L’evocazione del Risorgimento sarà poi assai invasiva nella propaganda del Pci, sulle ali di un patriottismo giudicato di sicuro impatto popolare.
Gli antifascisti di destra come Croce, dunque, e quelli di sinistra. A queste categorie, Focardi ne aggiunge una terza: quella degli anti-antifascisti, assai diffusa, nel nostro dopoguerra, fra i conservatori. A capo della consorteria, che farà numerosi proseliti fra gli adepti - illustri e meno illustri - del “revisionismo”, viene eletto Indro Montanelli. Fu lui a inventare l’espressione «il buonuomo Mussolini». (è questo il titolo di un suo saggio del ’47), nella quale si compendiava il senso di una dittatura «all’acqua di rose, roboante ma non crudele », a differenza di quella nazista. Un’invenzione che sarebbe stata adottata con fortuna da certi rotocalchi a forte tiratura.
Sono le varie facce dei quella nostra supposta innocenza storica, che Focardi giudica «un mito autogratificante e consolatorio ». E perciò da rimuovere. Ma forse, a differenza che in Germania, un’elaborazione meno illusoria del nostro passato non sembra, a molti, né opportuna né utile.