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Italia

AFGHANISTAN: APPELLO PER IL RITIRO DEI SOLDATI ITALIANI. GUERRA, SEMPRE ASSURDA!!!

venerdì 16 febbraio 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] Né la guerra al terrorismo, né la condizione dei diritti delle donne Afgane, né la lotta al narco-traffico, hanno prodotto dei risultati apprezzabili, anzi assistiamo oggi sotto il governo dell’Alleanza del Nord, sostenuto dagli Usa, ad un forte peggioramento sia della sicurezza del paese, in mano ormai ai terribili signori della guerra, sia delle condizioni delle donne Afgane, prive di libertà come al tempo del regime Talebano, sia all’ aumento dei traffici illeciti di droga. (...)

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> AFGHANISTAN: APPELLO PER IL RITIRO DEI SOLDATI ITALIANI.

venerdì 16 febbraio 2007

Generale Fabio Mini: «I nostri soldati non siano ostaggio di ambiguità politiche»

di Umberto De Giovannangeli *

«Esistono gli strumenti per far rispettare sia la volontà popolare sia i trattati internazionali. Bisogna solo utilizzare quelli giusti senza falsi scopi o obiettivi fuorvianti». È una sottolineatura che vale sia per l’ampliamento della base Usa di Vicenza che per quanto concerne la presenza italiana in Afghanistan: inizia da qui il nostro colloquio con il generale Fabio Mini, già Capo di Stato Maggiore del Comando Forze Alleate del Sud Europa.

Generale Mini, molto si discute sulla manifestazione di domani a Vicenza. Quale idea si è fatto su questo caso?

«Su Vicenza non dobbiamo confondere il piano locale con quello internazionale. Sul piano locale ci sono dei buoni motivi da parte della popolazione vicentina per non volere l’ampliamento della base. Ma queste ragioni locali non possono influire più di tanto sulla decisione nazionale che è di politica estera e chiama in causa i rapporti internazionali, politici e militari. Chi vuole accentuare il peso del dibattito a livello locale non può pretendere poi di estenderlo a livello internazionale. E viceversa. Chi dal livello internazionale vuol far discendere la questione a livello locale, significa che non ha la forza o il coraggio di trattare le questioni internazionali».

Entriamo nel merito della base ampliata. C’è chi sostiene che l’Italia stia sacrificando la propria sovranità nazionale.

«Sulla questione della sovranità nazionale noi possiamo soltanto assumerci le nostre responsabilità: non c’è nessuno oggi al mondo che possa imporre all’Italia qualcosa che non vuole. D’altro canto gli americani hanno già provato nel resto del mondo che quando non sono i benvenuti, o sono cacciati, se ne vanno, ovviamente non a cuor leggero ma senza ricorrere all’uso della forza. La Spagna ha rinunciato alle basi americane, come a suo tempo fecero le Filippine, e ricordo che ancora oggi la Nuova Zelanda, che fa parte di un’alleanza a tre (con Australia e Usa, la Anzus), impedisce l’approdo nei porti sul proprio territorio nazionale ai sommergibili a propulsione nucleari americani. È compito dell’Italia far valere le proprie regole e, soprattutto, far rispettare i trattati. Perché Vicenza come tutte le altre basi americane in Italia sono concesse soltanto per compiti Nato...».

Cosa significa in concreto questo, generale Mini?

«Significa che non è possibile dalle basi americane in Italia senza espressa autorizzazione del nostro Governo, far partire operazioni che non siano sotto il comando Nato. A rigore, dalle quelle basi non potrebbero partire operazioni o forze per l’Iraq; né forze per l’Afghanistan impegnate nelle operazioni americane di Enduring Freedom (missione di cui non facciamo più parte); né per la Somalia, per la Liberia, per la Sierra Leone, per il Sudan, per l’Etiopia e per tutti gli altri teatri nei quali gli americani sono impegnati al di fuori della Nato. Gli strumenti esistono per far rispettare sia la volontà popolare sia i trattati internazionali. Bisogna solo utilizzare quelli giusti senza falsi scopi o obiettivi fuorvianti».

L’altro fronte caldo è quello dell’Afghanistan. Nel ddl del Governo c’è lo sforzo di riequilibrare il rapporto tra presenza militare e impegno civile per la ricostruzione. Qual è in proposito la sua valutazione?

«Ritengo che il tentativo di riequilibrare i due aspetti sia giusto; bisogna soltanto chiedersi se questa cooperazione civile sarà in grado di sopravvivere alle sfide della propria sicurezza. Il che significa resistere non solo ai possibili attacchi e alle minacce dei Taliban, ma anche ai compromessi, ai ricatti, alle pressioni dei signori della guerra afghani; significa resistere ai tentativi di diversioni dei fondi, e così via. Ecco perché è importante che l’Italia impegnata in Afghanistan venga percepita come una forza unitaria, che dietro ad ogni civile si avverta il peso della propria presenza militare. Se l’Afghanistan l’Iraq o qualsiasi altro Paese dovessero percepire che una forza nazionale non rappresenta l’unità dello Stato ma manifesta la divisione interna allo Stato stesso, sarebbero autorizzati a negare il proprio sostegno. La seconda domanda da porsi per l’Afghanistan è: le forze militari che cosa fanno?...».

Qual è la sua risposta?

«La mia risposta è che se le forze militari non partecipano alle attività operative degli altri alleati, oppure non intervengono sugli alleati perché cambino strategia, allora significa che i nostri soldati rimarranno prigionieri dell’ambiguità e ostaggi di tutti i delinquenti, internazionali e locali».

Generale Mini, da Vicenza a Kabul, passando per la lettera dei sei ambasciatori: il dibattito interno è condotto a colpi di accuse di "filoamericanismo" o "antiamericanismo".

«È un dibattito veramente isterico. Oggi bisogna rendersi conto che gli americani non hanno bisogno di chi gli tiene bordone, ma hanno bisogno di chi fa presente le difficoltà e le opportunità. Noi dobbiamo smetterla di porre tutto sul piano del "filo" o dell’"anti" americanismo; dobbiamo invece essere leali con i nostri alleati fino a dirgli quando è il caso, come è accaduto sull’Iraq, che stanno sbagliando».

* l’Unità, Pubblicato il: 16.02.07, Modificato il: 16.02.07 alle ore 13.45


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