[...] Né la guerra al terrorismo, né la condizione dei diritti delle donne Afgane, né la lotta al narco-traffico, hanno prodotto dei risultati apprezzabili, anzi assistiamo oggi sotto il governo dell’Alleanza del Nord, sostenuto dagli Usa, ad un forte peggioramento sia della sicurezza del paese, in mano ormai ai terribili signori della guerra, sia delle condizioni delle donne Afgane, prive di libertà come al tempo del regime Talebano, sia all’ aumento dei traffici illeciti di droga.
L’Italia potrebbe realisticamente essere un soggetto attivo di politica internazionale connotato da una volontà incondizionata di pace, da un assoluto ripudio della guerra [...]
APPELLO PER IL RITIRO DEI SOLDATI ITALIANI DALL’AFGHANISTAN *
In Afghanistan è in corso dal settembre 2001 una guerra di aggressione, avviata con la legittimazione della vaghissima risoluzione ONU 1.368 e poi dall’ agosto del 2003 condotta dalla Nato .
Una guerra di fatto volta al controllo strategico e allo sfruttamento delle risorse economiche dell’ area e contraria dall’ inizio alla legalità internazionale, alla quale il Governo Italiano ha aderito violando l’articolo 11 della Costituzione Italiana. Una scelta che è stata decisa per mera subordinazione e viene sostenuta per "non essere esclusi dal governo del mondo".
Come si legge dal sito della difesa del Governo Italiano alla voce "Sviluppo dell’operazione" troviamo esplicitato il vero significato di questa guerra: "l’operazione militare è parte della guerra globale che impegna la grande coalizione nella lotta contro il terrorismo, denominata ’global War against Terrorism’. La guerra include, per definizione, la distruzione di vite umane e l’accettazione della soppressione dei propri simili come "mezzo di risoluzione delle controversie". Dalla fine del 2001 ad oggi, la guerra in Afghanistan ha causato più di 50.000 vittime.
Questa ci pare una semplice descrizione dello stato di cose: una constatazione, non un’interpretazione. La "guerra al terrorismo" è una realtà insensata poiché si traduce in aggressione armata ad un paese. L’idea d’ instaurare con le armi democrazia e diritti, ha esibito nei fatti il suo fallimento. Anche per chi non la "ripudia", anche per chi la sostiene, la guerra in Afghanistan non riesce a enunciare propri obiettivi condivisibili, realistici, raggiungibili. Né la guerra al terrorismo, né la condizione dei diritti delle donne Afgane, né la lotta al narco-traffico, hanno prodotto dei risultati apprezzabili, anzi assistiamo oggi sotto il governo dell’Alleanza del Nord, sostenuto dagli Usa, ad un forte peggioramento sia della sicurezza del paese, in mano ormai ai terribili signori della guerra, sia delle condizioni delle donne Afgane, prive di libertà come al tempo del regime Talebano, sia all’ aumento dei traffici illeciti di droga.
L’Italia potrebbe realisticamente essere un soggetto attivo di politica internazionale connotato da una volontà incondizionata di pace, da un assoluto ripudio della guerra.
Confermando la partecipazione alla guerra in Afghanistan, il governo Prodi rinuncia a costruire questa identità per sottomettersi e conformarsi a scelte già risultate devastanti. La disponibilità alla guerra non è "un" tema paragonabile ad altri, ma definisce in maniera essenziale e decisiva la natura culturale fondante dei soggetti politici che compongono il Governo attuale, il quale ha varato una finanziaria che stanzia 1 miliardo e 700 milioni di euro in sostegno alle spese militari.
Il movimento per la pace - e dunque contro la guerra - non ha "governi amici" a priori. Deve in ogni caso sottrarsi a "comprensioni" o "crediti di fiducia".
Il nostro più netto rifiuto degli orientamenti governativi sull’Afghanistan non esprime soltanto coerenza nelle convinzioni. Include una richiesta e una proposta: il ritiro delle nostre truppe dal fronte di guerra e l’assunzione da parte del nostro Paese di un ruolo internazionale di forte discontinuità con la precedente gestione di centrodestra, nel tentativo di porre rimedio agli immani disastri compiuti dalla missione militare.
*
I primi firmatari:
Marco Sodi, Tiziano Cardosi, Doretta Cocchi, Nella Ginatempo, Gigi Ontanetti, Letizia Santoni, Leonard Shaefer, Mirco Tomasi.
Ha aderito all’appello Padre Alex Zanotelli
Per ADESIONI:
Marco Sodi cell.328/0339384
mail: anatole2003@libero.it
IL DIALOGO:
Sottoscrivi l’appello ed esprimi la tua opinione
SUL TEMA, NEL SITO, SI CFR.:
I BAMBINI DI KABUL
L’esplosione che oggi, sabato 8 settembre 2012, ha provocato la morte di molti bambini a Kabul, questa ennesima abominevole strage, ci convoca ancora una volta ad assumerci la nostra responsabilita’ di esseri umani cittadini di un paese che a quella guerra assurdamente e criminalmente partecipa.
Occorre far cessare quella guerra mostruosa. Occorre far cessare quelle quotidiane stragi. Ed il primo passo che occorre fare per far cessare la guerra e’ cessare di prendervi parte. Solo se si cessa di partecipare alla guerra si puo’ chiedere ad altri di fare altrettanto. Solo se si cessa di partecipare alla guerra si comincia a costruire la pace. Solo la pace salva le vite.
L’Italia non avrebbe mai dovuto prender parte alla guerra afgana: glielo proibisce l’articolo 11 della Costituzione, assolutamente inequivocabile nel suo ripudio della guerra e specificamente di una guerra dalle caratteristiche di quella afgana. Dopo un decennio di complicita’ con l’orrore lo stato italiano receda finalmente dal crimine: cessi immediatamente di partecipare alla guerra afgana, e cessando di partecipare alla guerra si adoperi finalmente per la pace, il disarmo e la smilitarizzazione, per il rispetto della vita, della dignita’ e dei diritti umani di tutti gli esseri umani.
*
Al governo e al parlamento chiediamo di legiferare la cessazione immediata della partecipazione italiana alla guerra afgana. A tutte le persone di retto sentire e di volonta’ buona chiediamo di premere con la forza della verita’, della legalita’ e della democrazia, con la scelta della nonviolenza, affinche’ governo e parlamento deliberino la cessazione immediata della partecipazione italiana alla guerra afgana.
A tutti i movimenti democratici, a tutte le istituzioni democratiche, chiediamo di aderire alla campagna nonviolenta "Non un giorno di piu’" per la cessazione immediata della partecipazione italiana alla guerra afgana; per la pace, il disarmo e la smilitarizzazione; per il rispetto della vita, della dignita’ e dei diritti umani di tutti gli esseri umani. La guerra e’ nemica dell’umanita’.
Ogni vittima ha il volto di Abele.
Solo la pace salva le vite.
Peppe Sini
direttore del notiziario telematico quotidiano "La nonviolenza e’ in cammino"
Viterbo, 8 settembre 2012
Mittente: redazione de "La nonviolenza e’ in cammino", c/o "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" di Viterbo, strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, e-mail: nbawac@tin.it e centropacevt@gmail.com , web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
AL PRESIDENTE DEL SENATO DELLA REPUBBLICA
"NON UN GIORNO DI PIU’"
APPELLO PER LA CESSAZIONE IMMEDIATA DELLA PARTECIPAZIONE ITALIANA ALLA GUERRA AFGANA
Signor Presidente del Senato della Repubblica,
nei giorni scorsi abbiamo scritto al Presidente del Consiglio dei Ministri ed al Presidente della Repubblica per chiedere la cessazione immediata della partecipazione italiana alla guerra afgana, e conseguentemente un concreto, autentico impegno del nostro paese per la pace, il disarmo e la smilitarizzazione, per il rispetto della vita, della dignita’ e dei diritti umani di tutti gli esseri umani.
Anche a lei rivolgiamo il medesimo appello chiedendole di farsene interprete presso il Senato della Repubblica. Non e’ chi non veda che in Afghanistan e’ in corso una guerra, una guerra terrorista e stragista, una guerra che tutto devasta ed imbarbarisce, una guerra che del suo male non solo affligge un intero popolo martoriato e quanti altri vi sono coinvolti, ma contagia altresi’ l’intero pianeta, l’umanita’ tutta.
La Costituzione della Repubblica Italiana e’ nitida ed intransigente nel proibire la partecipazione del nostro paese a una guerra come quella.
Se forse in passato vi fu chi credette che non di guerra si trattasse ma di "operazione di polizia internazionale", di "missione di pace", o altre non meno ingenue o callide formulazioni, da lungo tempo nessuno puo’ piu’ ingannare se stesso: di guerra si tratta, che consiste di innumerevoli omicidi, di abominevoli stragi.
La guerra e’ sempre nemica dell’umanita’. La guerra e’ il contrario della civile convivenza. La guerra e’ la negazione del diritto, del fondamento stesso di ogni diritto: il diritto di ogni essere umano a non essere ucciso.
Il Parlamento italiano puo’ e deve tornare alla legalita’: legiferando la fine immediata della partecipazione italiana alla guerra afgana.
Le chiediamo, signor Presidente del Senato della Repubblica, di adoperarsi affinche’ il Senato compia questo atto di legalita’, di civilta’, di umanita’: deliberando la cessazione immediata della partecipazione italiana alla guerra afgana; e conseguentemente l’impegno del nostro paese per la pace, il disarmo e la smilitarizzazione, per il rispetto della vita, della dignita’ e dei diritti umani di tutti gli esseri umani.
Distinti saluti,
Il "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" di Viterbo
Viterbo, 7 settembre 2012
Mittente: "Centro di ricerca per la pace e i diritti umani" di Viterbo, strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, e-mail: nbawac@tin.it e centropacevt@gmail.com , web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/
EDITORIALE. PEPPE SINI: IL GOVERNO ITALIANO ASSASSINO DEI SOLDATI ITALIANI E DI COMBATTENTI E CIVILI AFGANI *
In Afghanistan e’ in corso una guerra. Che consiste di stragi, devastazioni ed orrori inauditi. A questa guerra da dieci anni partecipa anche l’Italia. Illegalmente, poiche’ la Costituzione della Repubblica Italiana lo proibisce esplicitamente, inequivocabilmente.
L’illegale, criminale partecipazione italiana alla guerra e’ responsabile della morte dei soldati italiani li’ assassinati, ed e’ responsabile della morte degli afgani assassinati dagli italiani.
E l’Italia e’ corresponsabile altresi’ di tutte le altre stragi, di tutti gli altri orrori, commessi dalle truppe d’occupazione della coalizione di cui fa parte.
I governanti italiani che continuano a mandare giovani italiani a morire e ad uccidere in Afghanistan sono dei criminali, sono degli assassini.
Sono direttamente responsabili di quelle uccisioni i governanti italiani di questi ultimi dieci anni e con essi i parlamentari che hanno votato a favore di questo crimine ed i presidenti della Repubblica che questo crimine hanno avallato tradendo il loro dovere di fedelta’ alla Costituzione che la partecipazione alla guerra vieta.
Sono colpevoli della morte degli italiani uccisi dagli afgani e sono colpevoli della morte degli afgani uccisi dagli italiani. Poiche’ se non avessero inviato i soldati italiani a partecipare alla guerra in Afghanistan gli uni e gli altri sarebbero ancora vivi.
Dieci anni di stragi. Dieci anni di criminale violazione della legge fondamentale del nostro ordinamento giuridico. Dieci anni di complicita’ col male piu’ abissale.
Cessi immediatamente la partecipazione italiana alla guerra terrorista e stragista.
Tornino immediatamente e definitivamente in Italia tutti i soldati italiani dispiegati in Afghanistan. Tornino vivi.
Cessi immediatamente la flagrante, insensata, scellerata violazione della Costituzione italiana e del diritto internazionale.
Cessi immediatamente questo abominevole crimine contro l’umanita’.
Si adoperi lo stato italiano per la pace, il disarmo e la smilitarizzazione dei conflitti.
Cessi lo stato italiano di far morire degli esseri umani e si impegni invece per salvare le vite, recare aiuti umanitari, promuovere i diritti di tutti gli esseri umani, con interventi di cooperazione internazionale e di umana solidarieta’ rigorosamente civili, non armati, nonviolenti.
Vi e’ una sola umanita’.
Solo la pace salva le vite.
La guerra - che sempre consiste di omicidi - sempre e’ nemica dell’umanita’.
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TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 872 del 26 marzo 2012
Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini.
Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
EDITORIALE.
CESSINO LE UCCISIONI. CESSI LA PARTECIPAZIONE ITALIANA ALLA GUERRA IN AFGHANISTAN
Ancora vite umane annientate. Ancora lutti. Ancora orrore.
L’illegale e insensata partecipazione italiana alla guerra afgana ha provocato altre vittime.
Torni finalmente il governo italiano al rispetto della Costituzione della Repubblica Italiana che proibisce la partecipazione del nostro paese a quella scellerata carneficina.
Si facciano tornare immediamente i soldati italiani in Italia, cessi immediatamente la partecipazione italiana alla guerra terrorista e stragista in Afghanistan.
Si adoperi l’Italia per la pace con mezzi di pace, per il disarmo e la smilitarizzazione dei conflitti, e si impegni per interventi rigorosamente umanitari (e quindi rigorosamente non armati e rigorosamente nonviolenti) che riconoscano e promuovano la vita, la dignita’ e i diritti di tutti gli esseri umani e favoriscano la civile convivenza, il dialogo e la cooperazione, la solidarieta’ e il rispetto di ogni persona, la comune responsabilita’ per il bene di tutti.
Ogni vita umana e’ un valore infinito.
Troppe persone sono gia’ morte.
Cessino le uccisioni.
La guerra e’ nemica dell’umanita’.
Solo la pace salva le vite.
TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 871 del 25 marzo 2012
Telegrammi della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo, tel. 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it
IL DOSSIER
Wikileaks, l’Italia nei documenti "Più soldati, ma in segreto"
Nel 2007 l’Italia promise rinforzi in Afghanistan. Le tensioni su Calipari, il grande gelo Bush-Prodi. Tutto nei rapporti riservati divulgati sul sito
di MARCO PASQUA *
Sì a rinforzi militari e all’invio di altri mezzi italiani in Afghanistan, ma a patto che l’argomento non venga trattato pubblicamente. E’ una delle condizioni poste dall’Italia all’invio di altre forze in questo terreno di guerra. E’ il maggio del 2007, e il particolare, fino a ieri segreto, viene svelato da Wikileaks, responsabile di quella che in molti hanno definito la più grande fuga di notizie della storia militare americana. Tra gli oltre 90mila rapporti riservati, la cui divulgazione, secondo il presidente Obama, mette a rischio la sicurezza nazionale americana, ce ne sono molti che riguardano anche l’Italia. Si tratta di centinaia di documenti, molti dei quali si riferiscono ad incidenti, scontri a fuoco, attentati, ritrovamenti di mine, operazioni di propaganda. In alcuni, vengono anche svelati alcuni nostri segreti militari, oltre che delicate situazioni di equilibri politici internazionali. Il caso più noto, ad oggi, è quello relativo al dossier su Daniele Mastrogiacomo, il giornalista de La Repubblica sequestrato nel marzo 2007.
Di rinforzi militari, in Afghanistan, si parla in un rapporto del 30 e 31 maggio 2007 classificato come "riservato", e contraddistinto dall’acronimo Noforn: non può essere comunicato a governi e persone non americane. La fonte delle informazioni è l’ambasciata americana a Roma, che preannuncia rinforzi alla International Security Assistance Force (ISAF), la missione di supporto al governo dell’Afghanistan che opera sulla base di una risoluzione dell’Onu e di cui fa anche parte il nostro Paese. Il titolo spiega la riservatezza del documento: "Afghanistan: L’Italia pianifica altri contributi all’Isaf. Bisogna lavorare con discrezione, ad un livello tecnico".
A preannunciare l’invio di altri mezzi, nel corso di due incontri, sono Gianni Bardini (dal 2005 è capo dell’ufficio responsabile per le problematiche di sicurezza e le questioni NATO della Direzione Generale Affari Politici Multilaterali e Diritti Umani) e un altro diplomatico italiano, Achille Amerio. I due fanno sapere che l’Italia sta già aumentando, in maniera discreta, "le capacità militari in Afghanistan" e preannunciano che pochi giorni dopo, durante un incontro di ministri della difesa presso la Nato, a Bruxelles, il nostro paese potrà annunciare ulteriori contributi. Viene anche specificato che "le leggi italiane rendono difficile la donazione di equipaggiamenti militari". Ma, nonostante ciò, "Bardini ha fatto sapere che l’Italia avrebbe cercato un modo". Infine, un particolare che testimonia l’attenzione del governo (il presidente del consiglio è Romano Prodi) sul tema rinforzi: "Vista la sensibilità politica dell’Italia sulla missione Isaf, sia Bardini che Amerio hanno sottolineato il fatto che la discussione di altri contributi italiani non dovrebbe essere resa pubblica, ma dovrebbe essere mantenuta a livello di canali tecnici".
Dell’allora presidente del Consiglio Prodi, si parla anche in un rapporto datato 9 aprile 2007, relativo ad una conversazione tra il vice segretario di Stato americano John Negroponte e l’ambasciatore italiano a Washington, Giovanni Castellaneta. "L’ambasciatore ha detto che la mancanza di un incontro tra Bush e Prodi - si legge - sta diventando un problema politico, a Roma, perché è passato un anno dall’elezione di Prodi". L’Italia, secondo il documento, si sarebbe detta disponibile a far svolgere l’incontro indifferentemente a Washington o a Roma. Massima flessibilità viene garantita sulla tempistica. Il rappresentante Usa, da parte sua, solleva alcune criticità in merito al caso di Mario Lozano, accusato di aver ucciso volontariamente, il 4 marzo 2005 a Baghdad, il funzionario del Sismi Nicola Calipari subito dopo la liberazione dell’inviata del ’Manifestò Giuliana Sgrena. Per l’America, il processo a Lozano è "molto problematico": bisognava far sì che il governo italiano risolvesse la questione, facendo capire al tribunale che "le azioni sul campo di guerra esulano dalle sue competenze". Gli americani premono per una soluzione rapida. Bisogna assolutamente evitare "l’ipotesi di un processo in contumacia", che "manderebbe un messaggio orribile". Castellaneta, da parte sua, replica evidenziando che "i crimini commessi all’estero rientrano nella giurisdizione del tribunale di Roma". Il diplomatico italiano, infine "esprime poche speranze sulla possibilità che il governo italiano possa rallentare o interrompere il processo", ma propone una visita del ministro dell’Interno, Giuliano Amato, a Washington. In ogni caso, promette di far arrivare il messaggio degli americani al ministro degli esteri, Massimo D’Alema.
In tempi più recenti, è il dicembre 2009, si trova notizia di un passaggio di un prigioniero, dalle mani degli americani a quelle italiane. Il rapporto parla di "trasferimento di un detenuto", avvenuto il 20 dicembre scorso nella base aerea americana di Bagram, in Afghanistan (qui si trova un centro di detenzione già al centro di polemiche per i trattamenti subiti dai detenuti). A essere trasferito è il prigioniero ISN 1455 (Isn sta per Internment Serial Number, codice univoco usato dal Dipartimento della difesa Usa). La persona, di origini pakistane, è stata caricata su un aereo C-130, per "essere trasferita al governo italiano". "Non ci sono stati problemi nel trasferire la custodia di questo detenuto", conclude il rapporto riservato. Sul perché di questo trasferimento, si cita un ordine contraddistinto da una sequenza alfanumerica.
Non mancano gli incidenti sul campo, come quello che ha visto per protagonisti i soldati italiani, il 7 luglio del 2008. Nel testo pubblicato on-line viene spiegato che "un ufficiale italiano ha sparato ad un ufficiale dei servizi segreti afghani NDS". Gli italiani si stavano muovendo su tre mezzi: mentre uno è riuscito a fuggire, gli altri due sono stati arrestati dagli stessi servizi locali. Alla fine, però, "tutti gli italiani sono stati rilasciati". Il bilancio è di un ferito afghano.
* la Repubblica, 28 luglio 2010
Attacco in Afghanistan: uccisi due italiani Altri due sono stati gravemente feriti, tra loro una donna. Sono stati portati a Herat *
KABUL - Due soldati italiani sono stati uccisi e altri due sono stati gravemente feriti in seguito ad un attacco subito nel nordest dell’Afghanistan. Secondo quanto si e’ appreso quattro mezzi italiani erano diretti verso la localita’ di Bala Murghab quando e’ esploso un ordigno rudimentale (ied) di quelli usati spesso per attacchi contro le forze internazionali in Afghanistan. Due soldati italiani sono morti ed altri due sono gravemente feriti. Secondo quanto si apprende, uno dei soldati feriti sarebbe una donna.
LA DINAMICA DELL’ATTACCO - E’ stato un ordigno fatto esplodere contro un blindato Lince a causare la morte di due soldati italiani e il ferimento di altri due oggi in Afghanistan. E’ quanto fa sapere il comando italiano di Herat. Il fatto e’ avvenuto alle 9,15 locali. I quattro si trovavano a bordo di un blindato Lince posizionato nel nucleo di testa di una colonna composta da decine di automezzi di diverse nazionalita’, partita da Herat e diretta a Bala Murghab, verso nord. Dalle prime ricostruzioni risulta che il veicolo colpito occupasse la quarta posizione lungo il convoglio che era in movimento e si trovava a 25 chilometri a sud di Bala Murghab. I feriti sono stati immediatamente evacuati presso l’ospedale da campo di Herat con elicotteri di Isaf.
* Ansa, 17 maggio 2010, 08:42
Retroscena di un funerale e «relativismo» della Cei
di Paolo Farinella, prete *
Oggi alle 11.40
Genova 21-09-2009. - Ricevo una comunicazione riservata da persona proveniente da «dentro» il sistema militare dei «corpi speciali» che mi ha fatto rabbrividire. A motivo del mio lavoro (terapia di sostegno), avevo intuito che molte cose non quadrassero, ma questa rivelazione mi ha sconcertato. Il berretto al bambino di due anni e la corsa dell’altro bambino alla bara del padre con la mano che si copre il volto (foto giornali perché non ho visto i funerali né ascoltato tg e rg) non sono frutto di spontaneità o gesti di mamme che cercano di proteggere i figli con «qualcosa» del padre (berretto e abbraccio).
Al contrario, sembra che tutto sia stato centellinato dall’équipe di sostegno psicologico che in questi giorni circondano i familiari con un cordone sanitario strettissimo. Mi dice il militare interlocutore che lo scopo di questo gruppo di sostegno non è aiutare le famiglie ad elaborare la morte e il lutto, ma impedire che facciano scenate o mettano in atto comportamento lesivi dell’onore dell’esercito. La mia fonte asserisce che buona parte di questo personale non è specializzata in psicologia, ma è un corpo speciale che un obiettivo preciso: la gestione dei giorni successivi alla morte e il contenimento o meglio l’annullamento della rabbia, della contestazione e della disperazione conseguenti che potrebbero portare a comportamenti di indignazione verso l’esercito e le istituzioni.
Le tecniche quindi mirano ad adeguare il pensiero delle famiglie allo «status di eroe» del congiunto perché appaia «coerente» con la «nobiltà della missione» del morto che diventa anche la «missione della famiglia». Sarebbe una tragedia per l’immagine militare se mogli, madri, figli e fidanzate si mettessero a gridare contro l’esercito e il governo che li ha mandati a farsi ammazzare.
In questa logica si capisce la retorica dell’«eroe», l’insulsaggine del servizio alla Patria, il sacrificio per la Pace nel mondo e anche la lotta al terrorismo. Tutti sanno tutto e giocano a fare i burattini. Se le informazioni che ho ricevuto sono vere, e non posso dubitare della serietà della fonte, i funerali dei sei militari uccisi e tutta l’opera dei pupi presente a San Paolo, è stata un’operazione terribile, ancora peggiore degli attacchi dei talebani. Tutto è gestito per deviare il Paese, le Coscienze e la Verità. E’ una strategia scientificamente codificata.
Il vescovo militare (generale di corpo di armata) non ha risparmiato parole grosse di encomio e di osanna al servizio che i militari fanno alla Pace e alla Democrazia. Una sviolinata che neppure La Russa è capace di fare. A lui si è unito il cardinale Angelo Bagnasco che ha detto:
«Non è esagerato parlare di strage, tanto più assurda se si pensa ai compiti assolti dalla forza internazionale che opera in quel Paese e allo stile da tutti apprezzato con cui si muove in particolare il contingente italiano. Non è un caso che questo lutto, com’era successo per la strage di Nassiriya, abbia toccato il cuore dei nostri connazionali, commossi dalla testimonianza di altruismo e di dedizione di questi giovani quasi tutti figli delle generose terre del nostro Sud. E per questo il nostro popolo si è stretto alle famiglie dei colpiti con una partecipazione corale al loro immane dolore. Anche noi ci uniamo ai sentimenti prontamente espressi dal Santo Padre» (21-09-2009).
Mi dispiace per il signor cardinale, ma non posso associarmi a questa mistificazione collettiva. Enrico Peyretti mi dice che durante l’Eucaristia, pane spezzato per la fame del mondo, è risuonato l’urlo di guerra dei parà: «Folgore!» quasi una schioppettata nel cuore del Sacramento. Credo che si possa dire che la Messa è stata la cornice vacua di una parata militare con i propri riti.
Oggi (21-09-2009), infine, il cardinale Bagnasco ha parlato anche della questione morale e della legge sugli immigrati senza mai nominare e né l’uno e né l’altra. Nessun cenno esplicito alla legge sul reato di clandestinità: si intravede tra le righe un leggero senso di disapprovazione. Figuriamoci se chiamava per nome il Papi Priapeo. Si è limitato a fare una predica generalizzata, valida per tutti e, quindi per nessuno, come giustamente interpreta «Il Giornale» di famiglia.. Tutto va bene, madama la marchesa? Ma, sì! Diamoci una botta e via! «Domani è un altro giorno« diceva Rossella O’Hara o Tarcisio Bertone? Non ricordo bene.
* Il Dialogo,, Martedì 22 Settembre,2009 Ore: 11:59
Colloquio con Gino Strada: «In Afghanistan è vera guerra. Dobbiamo ritirarci subito»
Il fondatore di Emergency: per il nostro contingente militare spendiamo ogni giorno 3 milioni di euro. Con quei soldi laggiù si potevano costruire 600 ospedali e 10mila scuole
La missione. «Basta ipocrisie, non si può usare la parola pace
Dobbiamo chiederci cosa ci stiamo a fare»
di Rachele Gonnelli (l’Unità, 18.09.2009)
Per Gino Strada il sangue non ha un colore diverso a seconda della bandiera e il dispiacere è lo stesso per i soldati italiani uccisi ieri e per tutte le altre vittime della guerra. Non riesce neppure a capire perchè la Fnsi abbia rinunciato alla manifestazione di sabato per la libertà di informazione. «Con decine di morti ogni giorno...donne, bambini...non so, dev’essere per il clima di guerra. Stiamo vivendo da anni in un clima di guerra senza dircelo, anche se solo ultimamente è passata l’ipocrisia di chiamarla “missione di pace”. Un clima che sta avvelenando la coscienza civile, creando intolleranza, criminalità verso il diverso, lo straniero, l’altro da sè. È anche questo, la guerra».
Il lascito di una casta, lo chiama. «I politici di 30 anni fa non lo avrebbero fatto in spregio della Costituzione». Il 7 novembre del 2001: «l’entrata in guerra dell’Italia decisa dal 92 percento del Parlamento italiano, il voto più bipartisan della storia della Repubblica», per puro «servilismo verso gli Stati Uniti». «Che cosa ci avevano fatto i talebani? Niente. E poi cosa avevano fatto anche agli americani?». Forse non è troppo semplice, recentemente anche negli Usa gli analisti cominciano a porsi la stessa domanda: perchè siamo lì, cosa ci stiamo a fare?. Non c’erano afghani nel commando dei terroristi delle Torri gemelle. Ma la rappresaglia di Bush scattò lì, con Enduring Freedom, il 7 ottobre. Per colpire le basi di Bin Laden, si disse. Otto anni dopo più del l’80 percento dell’Afghanistan è tornato sotto il controllo dei talebani, di Bin Laden non c’è traccia, sono morti 1.403 militari stranieri, spesi centinaia di milioni di euro e il Paese è più povero e più criminale, produce il 90 percento dell’oppio del mondo.
Dopo otto anni l’unico centro di rianimazione è quello di Emergency a Kabul, sei letti di terapia intensiva per 25 milioni di persone. Spendiamo 3 milioni di euro al giorno per la guerra. Sai cosa avremmo potuto con questi soldi in Italia per i poveri, gli emarginati, chi ha bisogno. In moneta afghana invece avremmo potuto aprire 600 ospedali e 10 mila scuole».
A Khost gli americani hanno costruito una strada, a Kajaki una diga, la Banca Mondiale lo scorso giugno ha stanziato altri 600 milioni di dollari di aiuti per la popolazione afghana...«Se si devono costruire dighe e ponti si mandino commando di ingegneri, non aerei telecomandati e bombe. Non tremila baionette, o fucili, per sostenere il dittatorello di turno». Quanto ai soldi della cooperazione internazionale, «noi non abbiamo ricevuto una lira quindi non so dice il fondatore di Emergency ma gli afghani che si lamentano, anche ora alle presidenziali, dicono che i soldi sono serviti soprattutto a ingrassare funzionari ministeriali e signorotti della guerra».
Lasciare il Paese, allora, andarsene unilateralmente o tutti insieme, e lasciare ai fanatici mujaeddin partita vinta? Non una bella prospettiva anche fosse realizzabile. «Finchè c’è l’occupazione militare ci sarà la guerra. Emergency lavora in Afghanistan da 10 anni, da tempi non sospetti. Abbiamo curato 2 milioni e 200 mila afghani, il 10 percento della popolazione. In pratica una famiglia su due, sono famiglie con centinaia di persone, ha ricevuto nostre cure. Per questo a Laskhargah non è mai stato torto un capello al nostro personale internazionale. Tutti dovrebbero porre fine a questa guerra e lasciare che gli afghani trovino la loro soluzione attraverso il dialogo, che per la verità non si è mai interrotto, tra le varie fazioni di talebani, mujaeddin e questo governo. Qual è l’obbiettivo di questa guerra?». Domanda che torna. «Le ultime due guerre internazionaliè la spiegazione di Strada sono legate ai giacimenti di gas e petrolio. In Iraq perchè ci sono, l’Afghanistan invece è sulla via di transito dal Kazakistan e dalle altre ex repubbliche sovietiche». Pipeline di sangue.
La nuova strategia McChrystal o la conferenza sull’Afghanistan, inutile parlarne con un chirurgo. Ad inquietarlo è che dei 35 feriti civili dell’attentato all’ospedale di Emergency a Kabul ne sono arrivati solo tre. Gli altri sono stati dirottati all’ospedale militare detto “dei 400 letti”, «struttura del tutto inadeguata, ma lì possono essere interrogati senza paroline dolci». ❖
ATTACCO CONTRO ITALIANI A KABUL, 6 MORTI E 4 FERITI
ROMA - Sei militari italiani sono stati uccisi e quattro feriti in un attentato avvenuto nel pieno centro di Kabul, sulla Massoud Circle, la strada che conduce all’aeroporto della capitale afghana. Sia i morti che i feriti (questi ultimi non sarebbero in pericolo di vita) sono tutti del 186.o Reggimento Paracadutisti Folgore. Nell’attentato sono morti anche due afghani e oltre 30 civili sarebbero rimasti feriti.
Fonti della Difesa hanno reso noto i nomi dei sei militari italiani morti, le cui famiglie sono state avvisate. Si tratta del tenente Antonio Fortunato, originario di Lagonegro (Potenza); del primo caporal maggiore Matteo Mureddu, di Oristano; del primo caporal maggiore Davide Ricchiuto, nativo di Glarus (Svizzera); del primo caporal maggiore Massimiliano Randino, di Pagani (Salerno); del sergente maggiore Roberto Valente, di Napoli, e del primo caporal maggiore Gian Domenico Pistonami, di Orvieto.
Decine di veicoli hanno preso fuoco. L’attacco è stato rivendicato dai talebani ed è stato fatto - hanno riferito fonti dei ribelli ad Al Jazira - "con lo scopo di dimostrare che nessuno può considerarsi al sicuro in Afghanistan". "Sui mezzi c’erano complessivamente 10 nostri soldati. Sei sono morti", ha confermato il ministro della Difesa Ignazio La Russa intervenendo al Senato. I morti italiani sono quattro caporal maggiore, un sergente maggiore e il tenente che comandava i due blindati Lince. Due delle vittime tornavano dalla licenza. Secondo una prima ricostruzione della Difesa italiana, a provocare l’esplosione sarebbe stata un’autobomba. Due i mezzi militari - due veicoli blindati Lince - rimasti coinvolti.
L’auto carica di esplosivo è scoppiata al passaggio del primo mezzo del convoglio, uccidendo tutti e cinque gli occupanti. Danni gravi anche al secondo Lince: uno dei militari a bordo è morto e altri tre sono rimasti feriti. L’attentato è avvenuto alle 12.10 locali, le 9.40 in Italia, nei pressi della rotonda Massud, dove il traffico è rallentato per i controlli sul traffico diretto verso l’ambasciata Usa, il comando Isaf e l’aeroporto. Sui due lati delle strade sono stati distrutti case e negozi. Secondo le prime ricostruzioni, un automezzo civile (una Toyota bianca secondo quanto ha riferito in Senato il ministro della Difesa Ignazio La Russa) con a bordo i due kamikaze e con un notevole carico di esplosivo sarebbe riuscito ad infilarsi tra i mezzi prima di esplodere. Negli ultimi mesi, nonostante la massiccia presenza di forze armate internazionali, a Kabul si sono moltiplicati gli attacchi suicidi dei talebani. L’ultimo è stato l’8 settembre scorso, quando un’autobomba ha ucciso tre civili esplodendo davanti all’entrata della base aerea della Nato.
La strana guerra
di Barbara Spinelli (La Stampa, 17/8/2009)
Sappiamo poco della campagna elettorale in Afghanistan, che giovedì si concluderà con la riconferma del presidente Hamid Karzai o con la sua sostituzione. Non conosciamo altro, del Paese dove siamo schierati da quasi otto anni, che gli spostamenti dei nostri soldati e il colore delle loro tute, le terribili minacce che «insorti e talebani» fanno pesare sui militari occidentali e l’aumento delle truppe americane deciso da Obama. A malapena sappiamo quanti sono stati colpiti negli ultimi attentati: se non ci sono italiani la notizia è data verso la fine dei telegiornali, sempre che sia data.
Una singolare pigrizia assale i reporter, abituati a enumerare insorti locali e scaramucce circoscritte senza chiedersi quel che si nasconde dietro più diffuse insurrezioni e prove di forza. Le campagne elettorali dei rivali di Karzai, la profondissima corruzione che quest’ultimo ha inoculato nello Stato al punto da renderlo fatiscente, le inquietudini che vanno dilatandosi nella vasta regione attorno all’Afghanistan (Pakistan e India, Iran, Russia e anche Arabia Saudita): per i giornalisti come per i governi occidentali tutto questo è terra ignota, frequentata solo da qualche incaponito studioso.
E’ come se le guerre mondiali in Europa fossero state raccontate da un unico cronista, distaccato magari sull’orlo della Marna e incapace di alzare lo sguardo oltre la propria trincea e vedere il continente intero in preda a caos e violenza. Per questo è importante fare il punto, oggi, sulla strana guerra che viene combattuta in buona parte dell’Asia centrale, con ramificazioni politiche e strategiche nel Sud asiatico, nelle nazioni limitrofe della Russia meridionale, nel Kashmir, nel Golfo Persico. Drôle de guerre venne chiamato il preludio mortifero che precedette, fra il 1939 e il ’40, la caduta in Europa della linea Maginot e l’occupazione nazista della Francia: strana perché era guerra dichiarata e tuttavia non-guerra, perché nessuno ci credette sino in fondo e vi si preparò con mezzi e animi adeguati. Tanta incuria non poteva che sfociare, scrisse lo storico Marc Bloch che narrò in diretta la sopraffazione della Francia, in una altrettanto Strana disfatta.
È la stessa disfatta che oggi incombe sull’Afghanistan: simile è lo sguardo incollato sul proprio posto di battaglia; simile la cecità al luogo, che è spazio più vasto e stratificato del posto e include storia, cultura, consuetudini che alternano le inimicizie agli scambi. Simile infine il vocabolario: le parole ripetute tali e quali a dispetto della loro insensatezza crescente, e evidente. Quasi otto anni sono passati così, fingendo un’universale guerra contro il terrorismo e poi perdendo per strada tutto: obiettivi bellici e calcolo preciso dei mezzi per raggiungerli, sguardo alto e interesse vero a questa zona del pianeta che è oggi invelenita non solo perché Bin Laden e i suoi luogotenenti vi hanno eletto dimora.
Fanno impressione soprattutto gli Stati europei, che partecipano dal 2001 allo sforzo ma che neppure una volta hanno messo in questione la strategia generale e le decisioni statunitensi nell’insieme dell’Asia centrale, e dunque non esclusivamente a Kabul ma anche in Pakistan, India, Iran, Arabia Saudita. Non hanno mai spinto l’alleato-guida a riesaminare a fondo gli errori commessi, a soffermarsi sulla natura di un’insurrezione che non scema, a valutare i rapporti sempre più tortuosi e meno solidali fra insorti e talebani, fra talebani afghani e pakistani, fra talebani, capi tribù e Al Qaeda. Hanno ignorato sistematicamente il caos che s’inaspriva lungo il confine col Pakistan: le paure antiche di Islamabad e quelle di Teheran, il peso dell’India e della Russia nel conflitto e la maniera in cui tutte queste paure s’incrociano in terra afghana, tenendola in uno stato di bollore che tanti, troppi, vogliono perpetuare anziché raffreddare.
Non ci sono stati neppure dibattiti parlamentari, nel vecchio continente: in Germania, il paese che più esita a parlare di guerra e ha distaccato 4.050 soldati praticamente disarmati, non se ne è discusso neppure una volta dal 2001, né in commissione esteri né in commissione difesa. L’Inghilterra comincia a pensarci adesso, perché molti soldati male equipaggiati cadono. Perfino la Francia, che vanitosamente dice di far di testa sua, tace e s’accoda. Il silenzio italiano fa tanto rumore quanto più è vacuo, come accade di frequente: quella che conducono i soldati italiani non si sa se sia guerra, né si conosce il codice che regna nel teatro delle operazioni, se il codice militare di pace o quello militare di guerra. Il ministro La Russa vorrebbe chiarimenti che nessuno gli dà e nessuno discute, in pubblico o in Parlamento. Problemi analoghi li conobbe anche Arturo Parisi, ministro della Difesa nel governo Prodi.
Come nella follia di Amleto, c’è del metodo anche nell’ignoranza cieca dell’Occidente, ed è con metodica ignoranza che gli europei aderiscono, da anni ormai, alle mutevoli scelte americane in Afghanistan. Hanno condiviso il rifiuto netto di trattare con insorti e talebani locali, senza mai studiare l’evoluzione degli uni o degli altri e senza accorgersi che gli insorti non coincidono sempre con i talebani e che i talebani hanno spesso rapporti tesi con Al Qaeda. Presto scopriranno che la trattativa è invece cosa buona, e forse tutto l’Occidente comincerà fervidamente a patteggiare con bande armate che hanno voluto non meno fervidamente, ma senza riuscirvi, sterminare.
Rischiano di farlo alla cieca anche in questo caso, ragionando con testa fredda ma misconoscendo, come in passato, gli ingarbugliati tormenti della regione. I tormenti dell’Iran, che teme paradossalmente ambedue le cose: l’insediamento statunitense in un paese contiguo - motivato dall’eternarsi della guerra ai talebani - e però anche un patteggiamento con i talebani, che restituirebbe legittimità a forze fondamentaliste sunnite, legate a Pakistan e Arabia Saudita, esecrate da Teheran sin dalla fine dell’occupazione sovietica. Anche russi e pakistani sono nel tormento: i primi temono l’influenza dei talebani sui musulmani del Caucaso, i secondi paventano la nascita di un nazionalismo afghano, nella comunità talebana pashtun, animato da smanie irredentiste verso l’etnia pashtun in Pakistan.
Gli europei sono restati passivi anche dopo l’uscita di scena di Bush, quando Obama ha cambiato rotta e ha scelto di estendere l’attenzione al Pakistan e all’estrema sua fragilità statale, non fissandosi su Kabul. Anche qui, i governanti europei hanno omesso di chiedere all’amministrazione Usa il perché della svolta e il come, vietando a se stessi di sapere se l’estensione dell’impegno Usa avverrà con le sole armi o con una più accorta politica che annodi fili tra Afghanistan, Iran, Pakistan, India, Russia. In alcuni momenti è parso addirittura che quel che importava al fronte euro-americano fosse una dimostrazione di forza e prestigio autoreferenziale, più che l’interesse autentico ai destini di una zona divenuta cruciale nel mondo: non son mancati politici che hanno cominciato a dire che l’obiettivo recondito ma più vero era la sopravvivenza dell’Alleanza atlantica, la sua tenuta o il suo naufragio dopo il venir meno dell’Urss nel 1989-90. In realtà la Nato ha perso ogni senso, da quando non ha più missioni politiche chiare e strutture adatte ai bisogni. È solo una tecnica per assemblare truppe, e quando la tecnica diventa scopo la follia è vicina.
Peccati di omissione, incongruenza dei vocabolari, incapacità di meditare gli errori e quindi di correggerli. A pochi giorni dal voto afghano, l’Occidente ha grandi compiti di fronte a sé, se vuol mobilitare le menti e non solo gli eserciti.
Una guerra fatta di errori
di BARBARA SPINELLI (La Stampa, 20/8/2009)
Vale in particolare per le guerre, e più che mai per le guerre che non riescono a finire e periclitano, la regola semplice secondo cui l’errore è maestro, e il lavorio della memoria un giudice severo. Così per il conflitto in Afghanistan, che il governo Usa ha iniziato dopo l’11 settembre, che ha visto un’ampia coalizione di Stati solidarizzare con Washington contro Al Qaeda, e che tuttavia sta andando in avaria. Così per l’Iraq, dove il conflitto continua a produrre morte e la sua fine è un inganno. Nate per portare democrazia e luce, le nuove guerre antiterrorismo hanno generato notte, nebbia, e quel mostro che promettevano di combattere: lo stato fallito, il failed state di cui il terrorismo si ciba.
Questo ci dicono gli autori dell’attentato di ieri a Baghdad: le vostre guerre sono morti che camminano. L’11 settembre è l’eterno vostro presente, nell’Iraq che avete abbandonato e anche in Afghanistan dove vi credete ancora forti perché domani si vota sotto la vostra protezione.
Nelle guerre accade che sia il nemico a dirci la stoffa di cui è fatto il principale nostro errore, e alla vigilia del voto afghano Baghdad ineluttabilmente diventa specchio di Kabul. Il conflitto ha dato agli afghani una costituzione che mette fine al predominio assoluto dei sunniti sugli sciiti, ha emancipato le donne e gli uomini dalla sfrenatezza ideologico-religiosa dei talebani, ma non ha creato uno Stato autorevole, imparziale, in grado di monopolizzare la violenza legale. Per sopravvivere, Karzai ha accettato il dilagare della corruzione e si è circondato di signori della guerra colpevoli di eccidi e malversazioni: piccoli capetti spesso appoggiati dalle truppe Usa che ne hanno bisogno. Tanti nel suo paese lo considerano una marionetta della Casa Bianca. I bei vestiti etnici che sfoggia sono confezionati da rinomati sarti occidentali. Le elezioni di oggi mostreranno se esiste un’alternativa all’esperimento Karzai, e a uno Stato corrotto che prolunga la guerra.
Tra i vizi che hanno guastato l’operazione afghana c’è innanzitutto l’incostanza americana: la fatua volubilità con cui Bush ha ballonzolato, ubriaco, da un teatro di guerra all’altro - in Afghanistan il 7 ottobre 2001, in Iraq il 20 marzo 2003 - senza stabilizzarne alla fine nessuno. Ma di questo spreco di forze e intelligenza sono stati protagonisti anche gli europei, che mai hanno messo in discussione obiettivi e strategie. Siamo ancora molto lontani da una politica comune del continente: da anni i singoli paesi dell’Unione seguono le mosse della Casa Bianca e sono in attesa che qualcosa cambi: non in Afghanistan, ma in America. Abbiamo visto in un precedente articolo quanto deleteria sia questa pigrizia della mente, quanto ipocrita l’impegno militare di Stati europei che si schierano con zelo ma si guardano dall’equipaggiare adeguatamente i propri soldati.
Tanto più scandaloso è il silenzio che copre gli errori commessi in quasi otto anni di battaglia: un silenzio indolente, di cui son responsabili i dirigenti Usa, che questa guerra l’hanno voluta e diretta, ma che rende del tutto vacua anche la presenza europea. Che contribuisce all’insabbiarsi dei combattimenti ma paralizza la politica nell’intera zona asiatica, divenuta cruciale per il mondo come cruciali furono i Balcani quando precipitarono gli imperi austro-ungarico e ottomano. Vediamo dunque di ripercorrere alcuni errori più vistosi, che gli esperti hanno più volte denunciato lungo gli anni, senza essere in genere ascoltati.
Il primo, madornale, è l’ossessivo parlare di guerra al fondamentalismo islamico, che inevitabilmente rimanda all’idea di una civiltà moderna cui tocca difendersi da un Islam retrivo e tradizionalista. In una lettera al Corriere della Sera, il ministro degli Esteri Frattini ripete questo luogo comune: «Il motivo per il quale siamo impegnati in quel Paese \ è fondamentalmente uno: difendere la nostra sicurezza nazionale e la sicurezza dell’Occidente di fronte alla minaccia del terrorismo globale. \ Una minaccia “esistenziale” \ L’Afghanistan è stato e resta il principale incubatore della rete terroristica che fa capo ad Al Qaeda».
La realtà raccontata da esperti e storici come Barnett Rubin o Ahmed Rashid è completamente diversa, e narra di una strana guerra in trompe-l’oeil, i cui veri bersagli non sono mai quelli visibili e ufficiali. Il santuario di Al Qaeda è oggi in Pakistan, e proprio questa consapevolezza ha spinto Obama a mutare rotta, a guardare ben oltre Kabul: se si resta in Afghanistan non è per esportare la democrazia o sgominare i talebani, ma per evitare che la talebanizzazione del paese acceleri il crollo del Pakistan: vera potenza chiave perché molto popolosa e armata dell’atomica.
Neppure al Pakistan quel che interessa è davvero l’Afghanistan. Se gli serve controllare Kabul, è a causa di un’unica grande ossessione, potente soprattutto tra i militari: l’ossessione dell’India, che da anni minaccia di divenire alleata stabile di Kabul e di stringere in una morsa Islamabad (da un lato tramite il Kashmir musulmano, dall’altro tramite l’Afghanistan). L’Afghanistan ancora non ha riconosciuto il confine col Pakistan (la linea Durant, fissata nel 1893 dai britannici), né è stato spinto a farlo dagli Stati Uniti. Ignorare le ansie del Pakistan significa accettare una sua non recondita tentazione: quella di impedire che lo stemperarsi della guerra occidentale al terrorismo metta fine all’importanza strategica che Islamabad ha per l’Occidente.
Non è l’unico errore americano. Non meno esiziale è stata la decisione di rinunciare all’assistenza che l’Iran presieduto da Khatami offrì dopo l’11 settembre 2001. Fu proprio nel periodo più tumultuoso del Presidente riformatore, quando l’ala dura del khomeinismo andava agguerrendosi, che Bush pronunciò il discorso sull’Asse del Male (era il 29 gennaio 2002), includendo Teheran fra i nemici esistenziali delle democrazie. Preoccupata dall’integralismo sunnita dei talebani, Teheran continuò tuttavia a cooperare, fino a quando Bush non tese un insano nuovo agguato: nel maggio 2005 proibì a Karzai di stringere con Teheran un patto di non aggressione, che vietava attacchi militari all’Iran a partire dall’Afghanistan. Poche settimane dopo, il 3 agosto, Ahmadinejad veniva eletto Presidente: l’aiuto di Bush, secondo lo storico Rubin, fu decisivo. Ancora una volta, un mortifero fondamentalismo nazionalista nacque come Golem fabbricato dall’Occidente.
Viene infine l’errore dei vocabolari: intrisi di propaganda e smemoratezza storica, ignari dei fatti reali. La propaganda dice che siamo in guerra contro un Islam retrogrado, integralista: tale è il nemico esistenziale, mondialmente ramificato, della civiltà democratica. Anche in questo caso si parla a vanvera, ignorando la durata lunga della storia afghana: che non è la storia di un paese fagocitato per tradizione dall’integralismo. Il fondamentalismo regressivo, contro cui pretendiamo combattere, è frutto della politica di potenza che è stata fatta sulla pelle dei questo paese, nell’800 e poi di nuovo nella seconda metà del ’900. Prima degli Anni ’70 la tradizione afghana era laica, e Kabul era una città musulmana culturalmente aperta, sveglissima. L’ascesa dei talebani, scrive il filosofo sloveno Slavoj Zizek, «non esprime una profonda deriva tradizionalista» ma è stata «la conseguenza del fatto che il paese venne risucchiato dal gorgo della politica internazionale» (Zizek, Benvenuti nel deserto del reale, Meltemi 2002).
Ultimo errore: l’equivoco della guerra in corso. Equivoco in ragione della sua natura anfibia, per metà bellica per metà umanitaria, per metà scontro armato per metà «missione di ricostruzione». In realtà, questo è un conflitto di tipo nuovo, su cui vale la pena meditare. È un conflitto che estromette ogni figura terza, tipo Croce Rossa, visto che gli occidentali fanno ambedue le cose: la guerra e l’umanitario. «La guerra è presentata quasi come un mezzo per garantire la consegna degli aiuti umanitari», scrive ancora Zizek. Una delle parti in conflitto si assume il ruolo della Croce Rossa, mescolando il soldato che uccide con il ricostruttore di scuole, ed esponendo alla stessa inimicizia insurrezionale militari e civili. È forse il lato più osceno delle guerre odierne. È il motivo per cui la nostra propaganda non è così distante dallo slogan che il partito totalitario affigge sui muri, nel romanzo 1984 di Orwell: «La guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza».
Diffondiamo a tutti i firmatari dell’Appello per il ritiro dei soldati italiani dall’Afghanistan che si può ancora firmare sul nostro sito all’indirizzo:
http://www.ildialogo.org/forum/forumRitiroAfga21122006.htm
il programma e le informazioni logistiche utili per la partecipazione all’assemblea dei firmatari che si terrà il giorno 18 febbraio a Vicenza.
All’indirizzo
http://www.ildialogo.org/noguerra/letteraifirmatari26012007.htm
è possibile la lettera di convocazione dell’assemblea.
Grazie per l’attenzione e saluti di pace La redazione del sito www.ildialogo.org
Riceviamo dai promotori dell’appello per il ritiro dei soldati dall’Afghanistan, pubblicato dal nostro sito, la seguente "Lettera ai firmatari dell’appello sull’Afghanistan". Si tratta di un invito a tutti i firmatari, che estendiamo a tutta la nostra Mailing Lista, per dare continuità a quell’appello.
Invitiamo i nostri lettori a diffondere ulteriormente questa lettera.
Saluti di pace.
La redazione del sito www.ildialogo.org
Lettera ai firmatari dell’appello sull’Afghanistan
PER IL RITIRO DEI SOLDATI ITALIANI DALL’AFGHANISTAN E NON SOLO...
dai Promotori dell’Appello
Un invito a Vicenza per il 18 febbraio
Carissime/i,
siamo gli estensori dell’"appello per il ritiro dei soldati italiani dall’Afghanistan" pubblicata sul sito "http://www.ildialogo.org/". La risposta che abbiamo ricevuto alla nostra iniziativa ci ha sorpresi molto positivamente, tante sono state le adesioni che abbiamo ricevuto.
Abbiamo pensato che non potevamo lasciare tante risposte solo come firme in coda ad un appello. Le vicende vicentine, che vedono di nuovo tante donne e uomini cambiare le loro vite nella ricerca di un mondo libero dalla guerra e dagli eserciti, ci spingono a rivolgervi l’invito di trovarci insieme e discutere sul punto in cui siamo e sulle prospettive e obiettivi che ci proponiamo per il futuro.
A partire dalla presenza di forze armate italiane in teatri di guerra, passando dalla costatazione che la guerra globale di Bush sta dilagando nel mondo, consci del concreto pericolo di una nuova guerra in Iran che vedrà probabilmente l’impiego di ordigni nucleari, sentiamo fortissima l’urgenza di trovarci insieme a quelli che con noi hanno condiviso il desiderio di vedere l’Italia ritirarsi da ogni scenario di guerra.
Per questo vi invitiamo tutti a Vicenza, il 18 FEBBRAIO, il giorno successivo alla manifestazione che ci vedrà nella città veneta, ad una giornata di confronto e di dibattito. Abbiamo pensato di organizzare la giornata così:
mattino: ASSEMBLEA DEI FIRMATARI E SOSTENITORI DELL’APPELLO PER IL RITIRO DEI SOLDATI ITALIANI DALL’AFGHANISTAN in cui elaborare idee e proposte per il futuro del movimento contro la guerra.
pomeriggio: ASSEMBLEA DEI FIRMATARI E SOSTENITORI DELL’APPELLO "FERMIAMO CHI SCHERZA COL FUOCO ATOMICO". Il tema del nucleare e dei rischi che questo rappresenta per l’umanità sono terribilmente presenti e non possiamo fare a meno di sentire l’esigenza di lanciare una campagna per il bando di tutte le armi atomiche dal nostro territorio nazionale, eventualmente iniziando una raccolta di firme per una proposta di legge popolare che vieti la detenzione e la sosta di armi di distruzione di massa sul territorio nazionale.
Questa sono una proposta e un invito nati dal basso, da donne e uomini di varie provenienze, che operano da anni con sensibilità diverse, ma con il desiderio comune di mettere al bando la guerra dalla storia e per costruire un mondo basato sulla pace e la nonviolenza. All’indomani di altri possibili scenari di guerra e di morte siamo convinti che non possiamo più aspettare, delegando solo alle forze politiche (che ci hanno deluso abbastanza) e ai cosiddetti rappresentanti dei movimenti, il futuro di tutti noi.
Alla maniera che più ci appartiene vi proponiamo quindi di incontrarci per scrivere assieme, DAL BASSO, un’agenda comune per il futuro, iniziando ad ascoltare tutte e tutti, perché un altro mondo sia davvero possibile.
Vi invieremo il programma definitivo e il luogo dell’incontro appena gli amici vicentini si saranno organizzati.
Si sta provvedendo anche a trovare luoghi idonei al pernottamento tra il 17 e il 18. Un saluto di pace e di speranza.
Marco Sodi, Patrizia Creati, Letizia Santoni, Enzo Mazzi, Leonard Schaefer, Pierluigi Ontanetti, Doretta Cocchi, Tiziano Cardosi...
info:
3280339384
3495211837
anatole2003@libero.it
Venerdì, 26 gennaio 2007
Missione in Afghanistan
Rinnovo sì, ma la strategia cambi. richieste dei parlamentari pacifisti
di Adista N.5 del 20-01-2007 *
33711. ROMA-ADISTA. Arriverà in Parlamento alla fine di gennaio il nuovo decreto legge che prolungherà di altri sei mesi la missione militare delle Forze armate italiane in Afghanistan, e lo voteranno anche i deputati e i senatori dell’area pacifista se il governo proporrà una strategia alternativa rispetto a quella attuale. In caso contrario, si aprirebbe un nuovo conflitto fra Prodi e la maggioranza che lo sostiene, e il governo sarebbe costretto a chiedere i voti anche al centro-destra o a porre di nuovo la fiducia.
Sembra essere questo lo scenario, prospettato anche da diversi parlamentari interpellati da Adista, che nelle prossime settimane si presenterà a Montecitorio e a Palazzo Madama. E il rischio di un altro scontro fra maggioranza e governo è dietro l’angolo anche se, dicono più o meno chiaramente deputati e senatori pacifisti, non si faranno le barricate per il ritiro delle truppe, ma si punterà a ottenere qualche elemento di discontinuità con la fase attuale e a disegnare una strategia alternativa a quella esclusivamente militare.
Fino a questo momento, però, nessun cambiamento si è visto: la strategia complessiva è rimasta la stessa (la missione - che si muove in ambigua sinergia con Enduring Freedom, l’operazione militare delle Forze armate Usa - è "autorizzata" dall’Onu ma guidata dalla Nato: di fatto un’occupazione del Paese) e le truppe italiane continuano a svolgere gli stessi compiti e ad occupare lo stesso territorio, con una spesa per mantenere soldati e mezzi pari a circa 300 milioni di euro l’anno. Anche le richieste di alcuni parlamentari della sinistra sono rimaste fino a ora lettera morta, o quasi. Lo scorso 28 luglio, infatti, al termine di un dibattito estenuante che provocò la prima ‘crisi’ nella maggioranza di centro-sinistra, il governo Prodi chiese ed ottenne la fiducia su un decreto che prorogava fino allo scorso 31 dicembre tutte le missioni militari all’estero (quella in Afghanistan è stata poi prolungata, con un emendamento alla Finanziaria, fino al prossimo 31 gennaio) e contestualmente stabiliva il ritorno entro l’autunno delle truppe che partecipavano alla missione Antica Babilonia in Iraq. Insieme alla fiducia venne anche approvata una mozione che, fra l’altro, prevedeva il "superamento" di Enduring Freedom e la costituzione di un Osservatorio parlamentare per il "monitoraggio permanente" delle missioni militari italiane all’estero, Afghanistan prima su tutte: l’Italia è formalmente uscita dall’operazione Enduring Freedom (lo scorso 17 dicembre sono rientrate a Taranto le ultime due unità navali) ma dell’Osservatorio parlamentare non c’è traccia. Ed è rimasta senza risposta anche un’interpellanza sulla situazione dell’Afghanistan presentata lo scorso 6 ottobre da 35 senatori della sinistra che, oltre a reclamare dal governo l’attuazione degli impegni contenuti nella mozione approvata 3 mesi prima, chiedevano di "rivedere" la partecipazione militare italiana "nella prospettiva di un ritiro delle truppe a vantaggio di forme efficaci di promozione della sicurezza umana e dei diritti fondamentali delle popolazioni afghane".
Nonostante questa serie di niet, i parlamentari pacifisti puntano a formulare "una proposta concreta e non ideologica, che possa superare il dilemma ‘sì alle truppe/no alle truppe’ e che convinca il Parlamento e il governo a trovare una strategia alternativa", spiega Francesco Martone, senatore di Rifondazione comunista (e primo firmatario dell’interpellanza del 6 ottobre). "Non ci possiamo bloccare esclusivamente sulla questione del ritiro dei militari, ma dobbiamo capire cosa succede se ce ne andiamo o cosa dobbiamo fare se restiamo, tentando di comprendere cosa vogliono realmente gli afghani nei confronti dei quali, dopo tutti i danni che abbiamo fatto, abbiamo più di qualche responsabilità. Certo è che se il governo resterà arroccato sulle sue posizioni non si andrà molto lontano e si aprirà un problema serio". (luca kocci)
* www.ildialogo.org, Martedì, 16 gennaio 2007
Afghanistan: L’area in cui i diritti umani hanno subito il massacro più cruento*
Cinque anni fa, l’America e i suoi alleati attaccarono l’Afghanistan con la pretesa di portare i "Diritti Umani", la "Democrazia" e la "Libertà" nel nostro paese, dilaniato dalla guerra. Il regime talebano cadde e il governo fantoccio di Hamid Karzai, compresi i già noti criminali dell’Alleanza del Nord o " le gang di banditi", come il ministro plenipotenziario dell’ONU Mahmoud Mestri li ha definiti, prese il controllo in nome di una democrazia fasulla. Ad oggi, tuttavia, le disoneste linee politiche del Sign. Karzai e dei suoi tutori occidentali hanno creato, in Afghanistan, una situazione particolarmente critica, una bomba ad orologeria pronta ad esplodere in qualsiasi momento nel disastro finale.
Negli ultimi cinque anni, parole come "democrazia" e "libertà" hanno nascosto inganni e tradimenti. E il risultato di tutti i sotterfugi del governo guidato dai signori della guerra, è la situazione disastrosa dei diritti umani in Afghanistan. I criminali dell’Alleanza del Nord, spalleggiati dagli Stati Uniti, hanno intanto costituito i propri governi, decentrati e barbari .
Il solo aumento del numero di donne che si tolgono la vita dandosi fuoco, dovrebbe bastare a dimostrare la condizione pessima dei diritti umani in Afghanistan. Secondo i dati dell’UNICEF, il 65% delle 50.000 vedove di Kabul, considerano il suicidio la loro unica via d’uscita. I criminali dell’Alleanza del Nord hanno violentato una bambina di 13 anni per poi barattarla con un cane. A Badakhshan, una gang composta da 13 jehadis ha violentato una giovane donna sotto gli occhi dei suoi bambini, poi uno di loro ha urinato nella loro bocca perché non la smettevano di piangere. A Paghman, un sobborgo di Kabul, il leader criminale Rasol Sayyaf, mentore e padrino di Khalid Sheikh Mohammad, la mente degli attacchi dell’11 settembre, depreda i territori della nostra gente e tortura i suoi avversari in prigioni private. Ma nessuno ascolta la voce disperata dello sfortunato popolo di Paghman, nonostante le numerose manifestazioni di protesta davanti al Palazzo del Parlamento. Anzi, le forze di polizia, capeggiate da alcuni dei signori della guerra più infami e criminali, come Zahir Aghbar e Amanullah Guzar, hanno attaccato i manifestanti uccidendone due.
Questi sono solo alcune delle migliaia di crimini che continuano ad essere commessi dai fondamentalisti dell’Alleanza del Nord. Questi uomini spregevoli rivestono cariche importanti all’interno del ramo esecutivo, legislativo e giudiziario del governo imposto dagli Stati Uniti e da alcuni intellettuali amorali che stanno al loro gioco. La costituzione di istituzioni statali come la Commissione Indipendente sui Diritti Umani e il Ministero sulla tratta delle donne, sono solo una messinscena, per gettare polvere negli occhi del resto del mondo e per occultare la situazione catastrofica dei diritti umani. Istituzioni simboliche queste che apparentemente destinano parecchio denaro alla risoluzione di problemi importanti, ma che non si sono mai realmente interessate delle questioni centrali relative ai diritti umani in Afghanistan, vale a dire le atrocità commesse dai criminali dell’Alleanza del Nord. Pensiamo al caso di Zofanoon Natiq, la presidente della sede del Ministero sulla tratta delle donne nella provincia di Badakhshan, che nel corso di un’intervista con l’agenzia di notizie afgana Pajhwok, ha assolutamente negato la violenza commessa dai jehadis affermando che " nessun incidente del genere si è verificato a Badakhshan". Nel frattempo il capo della polizia della stessa provincia la contraddiceva sostenendo che, a commettere il crimine, era stato uno dei signori appartenenti al gruppo fondamentalista Jamiat-e-Islami, di nome Mutjtaba.
Un’altra donna, Fatima Kakar, presidente della sede del Ministero sulla tratta delle donne di Kunduz, non volendo suscitare il disappunto dei signori della guerra, ha dichiarato: "non è decoroso decapitare una signora; secondo quelli che sono i miei principi e secondo quello che dice l’Islam, è male uccidere qualcuno", questo in riferimento al caso di una donna ritrovata morta, con le mani legate dietro la schiena e decapitata. Tutte le donne che rivestono cariche ufficiali vengono selezionate dal quel gruppetto di "donne modello" che scendono a compromessi con i fondamentalisti e tacciono davanti ai loro crimini.
La disdegnosa sconfitta e l’imbarazzante situazione della guerra in Iraq non hanno lasciato scelta agli Stati Uniti, se non quella di dipingere l’Afghanistan come un successo, senza riguardo per il dolore e le sofferenze inflitte al popolo afgano. Il disaccordo che dilaga tra alcuni membri della NATO per quelle che sono le misure adottate dagli Stati Uniti, ha reso la situazione ancora più difficile per la Casa Bianca. Di conseguenza, l’America tenta di mantenere una fragile e temporanea stabilità in Afghanistan per promuovere in tutto il mondo un finto senso di conseguimento, derivante dalla costituzione di un Afghanistan "democratico", "una democrazia al rombo dei B52", a discapito della maggioranza del popolo afgano. Al momento si stanno facendo carte false per far rientrare il potere del Partito Islamico di Gulbuiddin e dei talebani negli schemi delle assemblee tribali jirgas. Le jirbas tribali ingannano il nostro povero popolo proprio come la Loya Jirgas e il parlamento afgano.
All’inizio gli Stati Uniti distinguevano i criminali talebani in fazioni "moderate" e "integraliste". Al primo posto i leader criminali talebani come Mullah Rocketi, Arsela Rahmani, Mullah Khaskar, Wakil Ahmad Motawakil, Qalamaddin, ecc., dichiarati " talebani moderati" e ammessi in Parlamento. Ora, due leader delle gang criminali, Gulbuddin e Mullah Omer, sono stati invitati ad unirsi al governo. Al-Quaeda sarà invitata ad unirsi al governo corrotto dell’Afghanistan? Ci mancherebbe solo questo! Nonostante il partito di Gulbuddin e i talebani abbiano non pochi rappresentanti nei vari rami del governo e in Parlamento, il compromesso tra questi leader criminali e i leader sanguinari dimostra che l’America non ha mai lavorato per la stabilità e la pace del nostro paese.
Il governo statunitense ha sacrificato la nostra gente per i suoi interessi politici ed economici costituendo un governo pieno di traditori, criminali e trafficanti di droga. Non importa chi governa Kabul, gli Stati Uniti vogliono semplicemente un regime fantoccio. Il nostro popolo non trae beneficio dalla presenza militare americana in Afghanistan. Inoltre, migliaia di civili hanno perso la vita a causa delle cluster (bombe a grappolo), delle bombe radioattive e del "fuoco amico". Un’autentica disgrazia per coloro che difendono strenuamente la presenza militare americana in Afghanistan. E’ da quando i criminali dell’Alleanza del Nord sono saliti al potere, che RAIWA sostiene che è impossibile stabilire la pace con un gruppo di criminali al governo. Oggi, gli stessi media occidentali parlano dei signori della guerra jehadi come della causa principale della destabilizzazione dell’Afghanistan, il che conferma le analisi di RAWA.
Tuttavia, il governo fondamentalista di Karzai rintraccia nell’interferenza del Pakistan e nel sostegno ai talebani, il problema più grave dell’Afghanistan, ma solo per insabbiare la propria responsabilità, corruzione, debolezze, dichiarando il falso quando sostiene che se questa interferenza verrà bloccata, l’Afghanistan diverrà un paradiso sulla terra. Il governo di Karzai ha sollevato un polverone in seguito alla dichiarazione dei pachistani sul bisogno di un "governo di coalizione", ma tutti sanno che un governo di coalizione guidato da criminali come i talebani, i jehadis, Gullbudin ed altri è già in carica. Assassini del calibro di Sayyaf, Rabbani, Qanooni, Fahim, Mujadadi, Massoud, Dostom, Mahaqiq, Khalili, Ismail e altri, un tempo fedeli rappresentanti e servitori del Pakistan, stanno tentando di ingannare la nostra gente agendo come se fossero antipachistani. Inoltre, il Pakistan e l’Iraq dovrebbero scusarsi con il nostro popolo oppresso, per il ruolo avuto nel sostenere e rafforzare le bande criminali dei fondamentalisti afgani.
Nonostante sia evidente l’appoggio che i talebani ricevono dalle radici pachistane, così come l’Iran supporta le sue spie Khalili, Mohaqiq, Kazimi, Bahwi, Ismael Khan e gli altri, l’interferenza del Pakistan in Afghanistan non rappresenta il problema fondamentale. Il maggior fattore di destabilizzazione va rintracciato all’interno dello stesso Afghanistan. E finché non sarà eliminato, le questioni esterne conteranno poco. Uno dei più grandi punti di forza dei talebani è l’odio e il disgusto che il popolo afgano prova per la mafia jehadi nel sistema. Quando la gente vive nell’incertezza e si trova ogni giorno a fare i conti con la criminalità, con la malversazione di milioni di dollari di fondi stanziati dalle agenzie d’aiuto internazionale ad esempio, non c’è da stupirsi che si mostri indifferente all’ascesa al potere dei talebani. Haji Nek Mohammad, un uomo che ha perso tutta la sua famiglia durante un attacco aereo della NATO, ha dichiarato: "preferisco unirmi alle milizie talebane perché i talebani fino ad ora hanno ucciso soltanto due persone nel mio villaggio, mentre le forze di coalizione hanno ucciso 63 persone in un solo giorno".
La nostra gente sa che tra i signori della guerra, siano essi talebani o jehadi, non c’è differenza. Sono entrambi gruppi fondamentalisti medievali, creati dagli stranieri, che potrebbero unirsi ad altri gruppi, contro il nostro popolo, in qualsiasi momento. Il leader dell’ N.A. Rabbani lo ha confermato in una recente intervista in cui ha dichiarato che non combatterà mai i talebani. Esistono poi alcuni gruppi sia di destra sia di sinistra, al di fuori dell’Afghanistan, che considerano le milizie dei talebani "anti-imperialiste" e ne prendono la difesa. Comico, non trovate? Satireggiano sulla situazione afgana, il ché dimostra la loro ignoranza sulla reale natura dei talebani. Se solo si trovassero a vivere un solo giorno di umiliazione sotto il regime talebano, non si divertirebbero tanto nel deridere, in maniera tanto offensiva, la nostra gente.
L’Associazione Rivoluzionaria delle Donne dell’Afghanistan (RAWA) supporta il movimento pacifista sempre più in espansione nel mondo e si oppone vigorosamente alle linee politiche degli Stati Uniti e dei suoi alleati. Anche se siamo al primo posto sulla lista nera dei fondamentalisti, vorremmo rassicurare il nostro popolo sul fatto che RAWA non si arrenderà mai nella sua lotta contro i gli assassini jehadi, i talebani, Khalqi, e Parchami e continuerà la sua inflessibile lotta per rompere la maschera della demagogia fondamentalista.
Vogliamo dire a tutti i sostenitori della libertà, a tutti coloro che provano sdegno davanti agli invasori e ai gruppi fondamentalisti che, finché non formeremo un movimento unito contro di loro e contro i loro maestri stranieri, non saremo in grado di spezzare la catena di oppressione e tirannia. Dal primo giorno dell’invasione americana, abbiamo dichiarato che non c’è un solo esempio nella storia di un esercito straniero che abbia portato la libertà in un’altra nazione. Gli afgani sono i soli a poter conquistare questi valori. Sono passati 14 anni da quel triste 28 Aprile 1992, eppure la nostra nazione è ogni giorno di più schiava di coloro che hanno portato dolore, lutto e distruzione nella nostra terra. Il sign. Karzai e i suoi protettori stranieri, che hanno investito sui fondamentalisti per molti anni, hanno assegnato cariche di rilievo, nel ramo esecutivo, giudiziario e legislativo del governo, agli elementi più infami e sanguinari dell’Alleanza del Nord e ad altre bande di selvaggi. E con il passare del tempo, i traditori stanno aumentando di numero.
Gli uomini spregevoli responsabili della tragedia dell’aprile 1992 non sono stati processati, al contrario hanno così tanta autorità nel paese da proporla come giornata di festa nazionale. In questo modo ridicolizzano la gente, la maggior parte della quale, secondo un sondaggio delle organizzazioni per la difesa dei diritti umani, nazionali ed internazionali, vuole che i traditori della nazione vengano processati e puniti. Se non si metterà fine al regime fondamentalista, l’osservanza dei diritti umani resterà soltanto un sogno! Unitevi alla lotta per la libertà, la democrazia e la giustizia sociale! Potete unirvi alla gente contro il fondamentalismo, o al fondamentalismo contro la gente; non c’è una terza possibilità!
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RAWA (Associazione Rivoluzionaria delle Donne dell’Afghanistan)
Fonte: www.zmag.org, 10 dicembre 2006
Tradotto da Maria Teresa Masci per www.peacelink.it
AFGHANISTAN: SCONTRI TALEBANI-TRUPPE NATO, UCCISI 9 MILITANTI
Kandahar, 11 gen. - (Adnkronos) - Almeno nove militanti islamici sono rimasti uccisi nel sud dell’Afghanistan, in scontri tra i Talebani e i militari della Nato. Lo hanno riferito fonti della polizia locale, secondo cui i caccia della coalizione hanno bombardato le postazioni degli ’’studenti di teologia’’ a seguito degli scontri nel villaggio di Gerenshk, nella provincia meridionale di Helmand, in cui e’ rimasto ferito un soldato dell’Alleanza. Tra le vittime, ci sarebbe un importante capo talebano dell’area, Mullah Faqir Mohammad. Nell’operazione e’ stata sequestrata un’ingente quantita’ di armi ed esplosivo.
Il ministro degli esteri ha scritto ai colleghi dei sei paesi, i cui ambasciatori hanno firmato la lettera sull’Afghanistan
D’Alema, dura lettera di protesta: "Inopportuna interferenza esterna" *
ROMA - Il ministro degli Esteri D’Alema ha scritto una lettera ai sei ministri degli Esteri dei paesi che hanno firmato la lettera a Repubblica sull’Afghanistan, quindi anche agli Stati Uniti. Scrive che l’iniziativa della lettera dei sei ambasciatori "desta disapprovazione perché, per quanto animata da buone intenzioni, appare come una inopportuna interferenza esterna in un processo decisionale che coinvolge il governo e il Parlamento italiano".
Il testo integrale del comunicato: "Il Ministro degli Esteri Massimo D’Alema ha scritto ai suoi colleghi di Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Australia, Paesi Bassi e Romania per esprimere "sorpresa e disapprovazione" per la lettera aperta sull’Afghanistan che gli Ambasciatori di questi sei Paesi hanno pubblicato nei giorni scorsi sul quotidiano "La Repubblica".
Il Ministro D’Alema ha ricordato ai suoi colleghi che l’Italia è impegnata con coerenza, con risorse e mezzi significativi, nelle operazioni delle Nazioni Unite e della NATO volte alla stabilizzazione e alla ricostruzione dell’Afghanistan, e che il Governo ha anche di recente confermato questo impegno con l’approvazione del Decreto Legge di rifinanziamento delle missioni internazionali dell’Italia.
Il Ministro degli Esteri D’Alema ha sottolineato, inoltre, che l’intervento pubblico dei sei Ambasciatori accreditati a Roma si presta ad essere interpretato come un’inopportuna interferenza esterna nel corso di un processo decisionale su una materia che è e resta di esclusiva competenza del Governo e del Parlamento. Fa parte infatti della normale dialettica politica interna di un Paese democratico il sereno e aperto confronto sugli strumenti e sulle modalità di un impegno così rilevante e delicato.
Pur dicendosi convinto che si sia trattato di un’iniziativa animata dalle migliori intenzioni, il Ministro D’Alema ha quindi richiamato l’attenzione dei suoi colleghi - ai quali ha comunque indicato di considerare il caso chiuso - sull’opportunità che i rispettivi Ambasciatori a Roma operino nell’ambito di un maggiore rispetto delle loro responsabilità e prerogative".
* la Repubblica, 6 febbraio 2007
In un discorso all’American Enterprise Institute, il presidente Usa si è rivolto a tutti gli alleati, chiedendo maggiori aiuti per l’Afghanistan
Lotta al terrorismo, Bush cita l’Italia tra i paesi amici degli Stati Uniti
D’Alema: "Noi siamo già tra i massimi contributori mentre altri non hanno mandato nessuno. Lavoriamo ad una conferenza di pace" *
NEW YORK - Bush si appella agli alleati e annuncia una nuova offensiva "di promavera" in Afghanistan. Il presidente Usa incoraggia i paesi alleati a non desistere nella guerra contro i terroristi e cita l’Italia tra gli alleati che nel corso dell’ultimo anno hanno smascherato cellule terroristiche al loro interno: "Il popolo americano deve sapere che non siamo soli in questa guerra", ha detto Bush in un discorso all’American Enterprise Institute, un think tank conservatore.
Nel corso dello stesso intervento il presidente ha poi annunciato che "in primavera vi sarà una offensiva della Nato in Afghanistan" e che molti paesi dell’Alleanza impegnati in Afghanistan "aumenteranno il numero delle loro truppe". Allo stesso tempo Bush ha invitato i governi dell’Alleanza a togliere le restrizioni attualmente imposte alle proprie truppe sul campo.
"Intendiamo lavorare con i nostri alleati per rafforzare il contingente Nato in Afghanistan. Oggi l’Afghanistan è la più importante operazione militare della Nato...- ha detto il presidente americano - Ringrazio i leader dei paesi Nato per avere riconosciuto l’importanza dell’Afghanistan per la nostra sicurezza e per rafforzare la sicurezza dei nostri paesi. Se si vuole che la Nato abbia successo, i paesi membri devono fornire ai comandanti sul terreno le truppe e l’equipaggiamento necessari per fare il loro lavoro. Molti alleati si sono impegnati a fornire forze aggiuntive e sostegno. Apprezzo questi impegni quasi quanto la gente dell’Afghanistan".
"La gente dell’Afghanistan - ha ricordato ancora Bush - deve sapere che hanno molti amici nel mondo. Perché la Nato abbia successo, gli alleati devono fare in modo da riempire i gap di sicurezza esistenti. In altre parole, quando c’è una necessità, quando i nostri comandanti sul terreno dicono ai rispettivi paesi che c’è bisogno di aiuto addizionale, i nostri paesi Nato devono fornirlo per fare in modo che questa missione abbia successo".
L’"appello" di Bush, ha osservato il ministro degli Esteri Massimo D’Alema, non si rivolge all’Italia in modo specifico: "Non ci sentiamo appellati", ha replicato ai giornalisti. E ha poi aggiunto: "Sull’Afghanistan abbiamo preso le nostre decisioni che sono all’esame del Parlamento. Abbiamo deciso quello che era giusto decidere. Non mi pare che Bush nel suo discorso di oggi si sia rivolto all’Italia per quanto riguarda l’invio di nuove truppe".
"Noi siamo già tra i massimi contributori mentre altri non hanno mandato nessuno - ha precisato D’Alema -. Il nostro obiettivo è quello al quale lavoriamo da tempo per arrivare a una conferenza di pace per l’Afghanistan".
Bush ha inoltre confermato che gli Stati Uniti aumenteranno il livello delle loro truppe in Afghanistan estendendo di altri quattro mesi la permanenza dei 3200 soldati della Terza Brigata della Decima Divisione Montana. Inoltre saranno inviati in Afghanistan in primavera, per la prevista offensiva successiva al disgelo, altri 3200 soldati della 173/ma Brigata Aviotrasportata di stanza a Vicenza. I soldati di stanza a Vicenza erano stati inizialmente destinati al fronte iracheno ma il Pentagono ha deciso, in tempi recenti, di inviare queste truppe in Afghanistan.
Il presidente Usa ha ricordato, al termine del suo discorso, i successi già ottenuti in Afghanistan citando "un presidente ed una Assemblea Nazionale eletti in modo democratico" e "la presenza di 91 donne in Parlamento", il raddoppio della economia del paese e il ritorno di oltre 4,6 milioni di rifugiati.
* la Repubblica, 15 febbraio 2007
Generale Fabio Mini: «I nostri soldati non siano ostaggio di ambiguità politiche»
di Umberto De Giovannangeli *
«Esistono gli strumenti per far rispettare sia la volontà popolare sia i trattati internazionali. Bisogna solo utilizzare quelli giusti senza falsi scopi o obiettivi fuorvianti». È una sottolineatura che vale sia per l’ampliamento della base Usa di Vicenza che per quanto concerne la presenza italiana in Afghanistan: inizia da qui il nostro colloquio con il generale Fabio Mini, già Capo di Stato Maggiore del Comando Forze Alleate del Sud Europa.
Generale Mini, molto si discute sulla manifestazione di domani a Vicenza. Quale idea si è fatto su questo caso?
«Su Vicenza non dobbiamo confondere il piano locale con quello internazionale. Sul piano locale ci sono dei buoni motivi da parte della popolazione vicentina per non volere l’ampliamento della base. Ma queste ragioni locali non possono influire più di tanto sulla decisione nazionale che è di politica estera e chiama in causa i rapporti internazionali, politici e militari. Chi vuole accentuare il peso del dibattito a livello locale non può pretendere poi di estenderlo a livello internazionale. E viceversa. Chi dal livello internazionale vuol far discendere la questione a livello locale, significa che non ha la forza o il coraggio di trattare le questioni internazionali».
Entriamo nel merito della base ampliata. C’è chi sostiene che l’Italia stia sacrificando la propria sovranità nazionale.
«Sulla questione della sovranità nazionale noi possiamo soltanto assumerci le nostre responsabilità: non c’è nessuno oggi al mondo che possa imporre all’Italia qualcosa che non vuole. D’altro canto gli americani hanno già provato nel resto del mondo che quando non sono i benvenuti, o sono cacciati, se ne vanno, ovviamente non a cuor leggero ma senza ricorrere all’uso della forza. La Spagna ha rinunciato alle basi americane, come a suo tempo fecero le Filippine, e ricordo che ancora oggi la Nuova Zelanda, che fa parte di un’alleanza a tre (con Australia e Usa, la Anzus), impedisce l’approdo nei porti sul proprio territorio nazionale ai sommergibili a propulsione nucleari americani. È compito dell’Italia far valere le proprie regole e, soprattutto, far rispettare i trattati. Perché Vicenza come tutte le altre basi americane in Italia sono concesse soltanto per compiti Nato...».
Cosa significa in concreto questo, generale Mini?
«Significa che non è possibile dalle basi americane in Italia senza espressa autorizzazione del nostro Governo, far partire operazioni che non siano sotto il comando Nato. A rigore, dalle quelle basi non potrebbero partire operazioni o forze per l’Iraq; né forze per l’Afghanistan impegnate nelle operazioni americane di Enduring Freedom (missione di cui non facciamo più parte); né per la Somalia, per la Liberia, per la Sierra Leone, per il Sudan, per l’Etiopia e per tutti gli altri teatri nei quali gli americani sono impegnati al di fuori della Nato. Gli strumenti esistono per far rispettare sia la volontà popolare sia i trattati internazionali. Bisogna solo utilizzare quelli giusti senza falsi scopi o obiettivi fuorvianti».
L’altro fronte caldo è quello dell’Afghanistan. Nel ddl del Governo c’è lo sforzo di riequilibrare il rapporto tra presenza militare e impegno civile per la ricostruzione. Qual è in proposito la sua valutazione?
«Ritengo che il tentativo di riequilibrare i due aspetti sia giusto; bisogna soltanto chiedersi se questa cooperazione civile sarà in grado di sopravvivere alle sfide della propria sicurezza. Il che significa resistere non solo ai possibili attacchi e alle minacce dei Taliban, ma anche ai compromessi, ai ricatti, alle pressioni dei signori della guerra afghani; significa resistere ai tentativi di diversioni dei fondi, e così via. Ecco perché è importante che l’Italia impegnata in Afghanistan venga percepita come una forza unitaria, che dietro ad ogni civile si avverta il peso della propria presenza militare. Se l’Afghanistan l’Iraq o qualsiasi altro Paese dovessero percepire che una forza nazionale non rappresenta l’unità dello Stato ma manifesta la divisione interna allo Stato stesso, sarebbero autorizzati a negare il proprio sostegno. La seconda domanda da porsi per l’Afghanistan è: le forze militari che cosa fanno?...».
Qual è la sua risposta?
«La mia risposta è che se le forze militari non partecipano alle attività operative degli altri alleati, oppure non intervengono sugli alleati perché cambino strategia, allora significa che i nostri soldati rimarranno prigionieri dell’ambiguità e ostaggi di tutti i delinquenti, internazionali e locali».
Generale Mini, da Vicenza a Kabul, passando per la lettera dei sei ambasciatori: il dibattito interno è condotto a colpi di accuse di "filoamericanismo" o "antiamericanismo".
«È un dibattito veramente isterico. Oggi bisogna rendersi conto che gli americani non hanno bisogno di chi gli tiene bordone, ma hanno bisogno di chi fa presente le difficoltà e le opportunità. Noi dobbiamo smetterla di porre tutto sul piano del "filo" o dell’"anti" americanismo; dobbiamo invece essere leali con i nostri alleati fino a dirgli quando è il caso, come è accaduto sull’Iraq, che stanno sbagliando».
* l’Unità, Pubblicato il: 16.02.07, Modificato il: 16.02.07 alle ore 13.45
Appello all’Italia
PRIMA CHE MI UCCIDANO
di Malalai Joya (Il manifesto, 21 luglio 2007)
Piu’ di cinque anni fa gli Usa e i loro alleati hanno attaccato il mio paese dicendo di voler liberare le donne afghane. Poche settimane dopo il rovesciamento del regime dei talibani, Laura Bush ha dichiarato orgogliosamente: "Grazie ai nostri successi militari, le donne non sono piu’ imprigionate nelle loro case. La lotta contro il terrorismo e’ anche la lotta per i diritti e la dignita’ delle donne".
Nel novembre 2001 Colin Powell, segretario di stato americano, ha dichiarato: "I diritti delle donne in Afghanistan non saranno merce di scambio", ma il 17 giugno 2007 il rapporto del dipartimento di stato Usa sul traffico umano ha scritto che l’Afghanistan e’ tra i paesi in cui il traffico per lo sfruttamento sessuale di donne e bambini e’ piu’ diffuso.
Oggi le bugie degli Usa sono chiare a tutti. Dopo cinque anni di guerra il nostro devastato paese rimane intrappolato nelle maglie del fondamentalismo dei signori della guerra ed e’ come un corpo che ha perso conoscenza e che sta spirando. L’amministrazione Bush ha consegnato il potere a quelli che erano gia’ noti anche in passato, quegli assassini, massacratori, crudeli come i talibani.
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I media occidentali parlano di democrazia e di liberazione dell’Afghanistan ma gli Stati Uniti e i loro alleati sono impegnati nella promozione dei signori della guerra, dei signori della droga, della criminalizzazione del nostro paese ferito.Voglio elencare i nomi di quelli che detengono il potere in Afghanistan: Karim Khalili, il vicepresidente, e’ il leader di un partito pro- Iran chiamato Wahdat, responsabile dell’uccisione di migliaia di innocenti. Il generale Mohammed Daoud, viceministro degli interni afghano, responsabile della lotta alla droga, e’ un famoso signore della guerra e narcotrafficante.
Rashid Dostum, il capo delle forze armate afghane, e’ un killer spietato e molto conosciuto.
Qasim Fahim, ex ministro della difesa e ora senatore e consulente del presidente Karzai e’ accusato di crimini di guerra. E’ una lista che continua, con centinaia di uomini, molti definiti criminali da Human Rights Watch.
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Come possiamo parlare di democrazia quando le nostre strutture legali, giudiziarie, esecutive sono infettate dai virus del fondamentalismo e della mafia del narcotraffico?
Il mese scorso tutti questi criminali hanno messo da parte le loro differenze per unirsi e formare un nuovo fronte politico contro la nostra gente. Soltanto due giorni dopo la sua creazione si e’ detto che dietro a questo fronte ci sono la Russia e l’Iran. L’Afghanistan si sta dirigendo verso il disastro. I talibani continuano il loro fascismo nelle zone orientali dell’Afghanistan dove il governo non ha alcun controllo. Continuano a perpetrare esecuzioni pubbliche e rapimenti.
Quando qualche mese fa un giornalista italiano e il suo interprete afgano furono rapiti, il governo afghano ha raggiunto un accordo con i talibani e ha rilasciato cinque dei loro capi in cambio della liberta’ del giornalista italiano. Ma nessuno si e’ preoccupato del destino dei due afghani innocenti che erano con lui. Entrambi sono stati decapitati dei talibani. La sporca e vergognosa diplomazia del governo afghano ha suscitato rabbia tra la nostra gente che ha capito che il destino degli afghani non ha valore per questo antidemocratico governo di burattini.
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Un rapporto di Human Rights Watch sui criminali di guerra in Afghanistan e l’impiccagione di Saddam Hussein ha spaventato molti criminali afghani. Ad aprile i signori della guerra che siedono in parlamento hanno approvato una legge in base alla quale nessuno puo’ denunciare o avviare un’inchiesta o perseguire qualcuno per crimini di guerra commessi nei venticinque anni passati. Io e pochi altri parlamentari abbiamo alzato la voce contro questa legge, ma poiche’ i signori della guerra fondamentalisti detengono oltre l’80% dei seggi, la legge e’ stata approvata. Si tratta di una amnistia a tutti i criminali, nonostante tutti i sondaggi rivelino che oltre l’80% del popolo vuole che siano perseguiti i responsabili dei crimini passati, nella speranza di aprire la strada a un futuro piu’ roseo.
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La storia della ricostruzione dell’Afghanistan e’ dolorosa: dopo cinque anni non si puo’ vedere alcun progetto di ricostruzione serio e miliardi di dollari di aiuti sono stati razziati dai signori della guerra, dalle ong corrotte, dalle Nazioni Unite e da uomini del governo. In una recente conferenza sulla giustizia in Afghanistan sono stati promessi aiuti per 370.000 dollari, ma sono sicura che questi soldi serviranno solo ad allargare il gap tra ricchi e poveri. Il nostro sistema giudiziario e’ infetto con il virus del fondamentalismo, non possiamo certo aspettarci di vedere una qualche parvenza di giustizia in questo paese. Sarwar Danish, il ministro della giustizia, che faceva parte della delegazione afghana alla conferenza, e’ lui stesso un signore della guerra e membro di un partito criminale pro-Iran. EJabar Sabet, il procuratore generale, e’ un oscuro collaboratore che e’ stato membro della organizzazione terroristica di Gulbuddin Hekmatyar.
Sotto l’occupazione Usa l’Afghanistan e’ diventato inoltre il piu’ importante produttore di oppio al mondo. Anche i media internazionali confermano che i signori della guerra e membri dell’esecutivo di Karzai sono coinvolti in questi affari sporchi.
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Io ho giurato che avrei smascherato tutto cio’ davanti al mondo.
Quando non sono riusciti a farmi tacere con le minacce, hanno provato a scacciarmi dal parlamento. Il 27 maggio scorso il parlamento dei signori della guerra ha votato la mia sospensione fino alla fine di questa legislatura, nel 2010, cosi’ il parlamento ha nuovamente mostrato il suo volto antidemocratico.
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Gli Stati Uniti non si preoccupano della sofferenza e delle condizioni disastrose del nostro popolo. E’ loro interesse economico e strategico far si’ che il nostro popolo rimanga in pericolo.
Sfortunatamente gli alleati degli Usa, Italia compresa, si comportano seguendo i loro dettami. Le persone e i gruppi che si battono per la pace e la liberta’ vengono soppresse e non sostenute e per questo sono molto deboli. Siamo consapevoli delle difficolta’, delle sfide e delle prospettive di morte che abbiamo di fronte. Ma sono sicura del sostegno del mio popolo. I nemici della mia gente hanno armi, potere politico e il sostegno del governo Usa per sopprimermi. Ma non potranno mai far tacere la mia voce e nascondere la verita’.
* Malalai Joya e’ una deputata e prestigiosa attivista per i diritti umani afgana