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"L’ALTRO MEDITERRANEO": INTRECCI DI CIVILTA’. Convegno MEDLINK, a Roma. «Incontro per la pace e la giustizia, i diritti e la democrazia».

domenica 26 novembre 2006.
 
[...] L’altro Mediterraneo ricorda a una comunità internazionale spesso distratta, a volte complice, altre silente, che esiste una correlazione diretta e dimostrabile tra guerre, traffico d’armi, mancanza di accesso alla libertà di informazione, diritti economici, livello di sviluppo e democrazia sostanziale [...]

Il volto femminile dell’associazionismo nato sulle rovine delle guerre

A ROMA IL CONVEGNO MEDLINK

Storie di donne e organizzazioni impegnate a creare ponti di dialogo e solidarietà tra la sponda sud e quella nord del Mediterraneo*

C’è chi intende fare del Mediterraneo un mare di guerra e infiammare i Paesi delle due sponde. C’è chi evoca, e pratica, l’ineluttabile «Scontro di Civiltà». C’è chi nel raccontare la storia, e la cronaca, degli eventi che segnano aree di conflitto dipinge una realtà nella quale le forze in campo si riducono al variegato network jihadista e agli eterni partiti-Stato, alle nomenklature politico-militari-affaristiche che in più casi hanno depredato risorse e fatto scempio dei più elementari diritti umani e civili. In questo schema la società civile scompare. Non esiste. O è rimasta sotto le macerie di conflitti etnici, di odii religiosi, di faide di potere. Non è così.

Dal Kossovo all’Algeria, dalla Bosnia al martoriato Iraq, dal Libano al Montenegro, dal Sahara alla Palestina, la società civile è in vita, si è organizzata, ha dato forma e sostanza ad una rete di associazioni, gruppi di base, organizzazioni non governative che rappresentano il vero investimento sul futuro. Un futuro di cooperazione e di diritti.

È questo il primo, importante contributo di conoscenza fornito da Medlink-Intrecci mediterranei, la tre giorni di incontri inizia ieri a Roma. L’obiettivo dei promotori è chiaro sin dal sottotitolo delle assise: «Incontro per la pace e la giustizia, i diritti e la democrazia».

Pace. Giustizia. Diritti. Democrazia. Ognuna di queste istanze racconta, spesso, speranze di popoli cancellate nel sangue, aspirazioni represse da regimi autoritari e teocratici. Ma raccontano anche di donne e uomini che attorno a questi aneliti di libertà hanno unito i propri destini e realizzato «ponti» di dialogo e di cooperazione cercando di incrinare i «muri» di odio e di violenza eretti nel mondo.

È l’«altro Mediterraneo» quello che emerge dai lavori di Medlink, un Mediterraneo, rilevano le organizzazioni promotrici dell’iniziativa, «fatto da movimenti, reti, amministrazioni locali, giornalisti, intellettuali sindacati, esponenti delle religioni, associazioni di donne, della sponda nord e sud del Mediterraneo, impegnati in riflessioni, proposte e pratiche volte a rafforzare il dialogo, la cooperazione, la solidarietà, per fare di questa area geografica il possibile crocevia di nuove relazioni tra i popoli, laboratorio di una nuova cittadinanza fondata sui diritti, la convivenza, la democrazia, le libertà».

Un «Incontro tra civiltà» laddove si vorrebbe imporre una «Guerra di civiltà». Un incontro che si fonda su una rete associativa che il Forum di Roma ha il merito straordinario di mettere in luce.

L’«altro Mediterraneo» ha il volto di Ben Saida Garrach, dell’Associazione tunisina donne democratiche, la determinazione di Rania Hani Mahmoud Shehabi, esponente della Rete Ong palestinesi. Ha la passione civile di Abdul Aziz Al Kayyer, giornalista siriano della Damascus Declaration, il retroterra drammatico di Hanna Eduwar G.Busha, dell’associazione di donne irachene Al Amal.

I loro nomi, le loro storie, i loro volti non riempiono le prime pagine dei giornali, conquistate a forza (di attentati e stragi) dai signori del terrore e dai loro spietati (e spesso speculari) avversari. Ma le loro storie collettive danno conto di una resistenza democratica, non violenta, che è davvero una Terza via tra rassegnazione e violenza. E non è un caso, che i volti di questa resistenza sono spesso femminili. Perché jihadisti e regimi autoritari-teocratici hanno come denominatore comune l’odio verso le donne, il disprezzo per i loro diritti.

Diritti di eguaglianza di cui è portatrice Firouzeh Mohajer, del Centro culturale donne iraniane, come Nawal el Saadawi, scrittrice egiziana, finita sulla lista nera della jihad per il suo impegno contro le mutilazioni sessuali femminili e i divieti imposti alle donne dalla legge islamica, o come Dalila Taleb, dell’associazione algerina Generations Citoyennes e Omoulbenine Moctar Nech, della Ong Mauritania 2000, che concede microcredito a donne che avviano progetto imprenditoriali, e Dewel Diop (Mauritania) di Apif, Comitato famiglie deportate.

Il loro percorso di libertà unisce la sponda sud del Mediterraneo ad un’altra area segnata in passato, un tragico, recente passato, da guerre e pulizie etniche: quella della sponda Est del Mediterraneo. Ma anche lì, sulle macerie dei conflitti che hanno marchiato la ex Jugoslavia, ha preso corpo una rete della speranza e del dialogo che si erge sopra e oltre le appartenenze etniche e nazionali.

Una sfida testimoniata dalla serba Daijela Nenanic, del Centro per la Cultura democratica, da Miodrac Dakic, bosniaco, del Contratto mondiale dell’acqua, da Albert Musliu, macedone, rappresentante dell’Associazione iniziative democratiche, da Kol Nikollaj, segretario generale della Confederazione dei Sindacati albanesi e da Vojislav Raonic, membro del Media Institute di Podgorica. Ognuna delle tante esperienze che si ritrovano nell’incontro di Roma «racconta» del tentativo, eroico, di sottrarsi alla tenaglia guerra-terrorismo per affermare democrazia e diritti. Trovando in questa sfida una ragione per riconoscere le ragioni, e i diritti, dell’altro da sé.

È il caso del conflitto israelo-palestinese. Non solo Tzahal. Non solo Hamas. Tra attentati e rappresaglie, è cresciuta, nei due campi, una rete di associazioni, gruppi di base che operano per il dialogo. Ne sono parte Raed Al Haddar e Ory Yassur, due tra i maggiori esponenti di Combattenti per la pace, gruppo pacifista nato in Israele e nei Territori palestinesi, composto da ex soldati israeliani e ex combattenti palestinesi. «Andiamo a raccontare la nostra storia nelle scuole, alla gente - spiega Ory, israeliano - per dimostrare che in quest’area disperata l’unica strada è cooperare in modo non violento e continuare a mantenere la speranza».

Racconta Raed, palestinese: «Prima ci guardavamo attraverso il mirino di un fucile e ciascuno lottava per il proprio Paese, ma poi abbiamo scoperto che il che il dialogo e l’incontro sono il modo migliore per cercare di arrivare alla soluzione di questo dramma». E del dialogo come antidoto a nuovi, devastanti conflitti in Medio Oriente, sono portatori Salwa Saad, del Cultural Council of South Libanon e Nahed Badawia, siriano, animatore del Forum Jamal Atassi.

Una sfida di pace che si proietta anche nel Maghreb della quale danno conto Djimi El Ghalia, del Committee of Families of Disappeared Saharawis e Touriya Lahrech del Forum Social Marocain. È la società civile che rivendica spazi di libertà. Che chiede ascolto. Che pone in essere quella «diplomazia dei popoli» non in contrapposizione ma a stimolo e integrazione di quella degli Stati.

È «l’altro Mediterraneo» che si rifiuta di arrendersi ad una pretesa incapacità della nostra società sviluppata di bandire la violenza armata politica, statuale e criminale dalle proprie sponde; violenza usata a piene mani per guerre, traffici, conflitti di potere.

L’altro Mediterraneo ricorda a una comunità internazionale spesso distratta, a volte complice, altre silente, che esiste una correlazione diretta e dimostrabile tra guerre, traffico d’armi, mancanza di accesso alla libertà di informazione, diritti economici, livello di sviluppo e democrazia sostanziale. Una correlazione riccamente documentata dal primo report Medlink. Una deriva contro cui far argine, in nome di quei principi di pace, giustizia, diritti e democrazia per i quali si batte l’«altro Mediterraneo».

* l’Unità, 25 novembre 2006


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