AFGHANISTAN. GINO STRADA: IL GIOCO DELLE TRE CARTE *
Tra le anime belle della politica nostrana, c’e’ chi si infastidisce se gli si fa notare che stanno per decidere di continuare la guerra in Afghanistan. Preferiscono, per il pubblico, chiamarla in altri modi, mascherarla. Mimetizzarla con gli "impegni internazionali" e "le alleanze", percheí i cittadini non capiscano che di guerra e non di altro si tratta. Qui qualcuno non dice la verita’. Che siano proprio i nostri politici?
Enduring Freedom, missione di guerra La risposta e’ nel sito del Ministero della Difesa (www.difesa.it). Nel capitolo sulle "operazioni militari in atto" (al 25 giugno 2006) si spiega che l’Italia partecipa alla Operazione Enduring Freedom. "Il Comando dell’operazione e’ affidato al Comando Centrale americano (Uscentcom) situato a Tampa (Florida, Usa)... L’operazione militare e’ parte della guerra globale che impegna la grande coalizione nella lotta contro il terrorismo, denominata Global War Against Terrorism (Gwat)".
Questo e’ parlare chiaro. Una guerra locale come parte di una guerra globale. E noi in mezzo, agli ordini. "E in atto - cosi’ il Ministero della Difesa spiega la situazione attuale in Afghanistan e i compiti delle nostre forze - la terza fase, che prevede l’impiego di unita’ di terra... Circa le attivita’ volte a neutralizzare le sacche di terrorismo ancora presenti, le possibili basi logistiche ed i centri di reclutamento, la fase, dopo un periodo iniziale di intensi combattimenti, sta evolvendo in operazioni di interdizione di area per la completa bonifica del territorio. Sono operazioni condotte mediante pattugliamenti, posti di blocco ed eliminazione delle residue presenze di Al Qaida, sulla base dell’attivita’ di intelligence". In altre parole, i comandi Usa, basandosi sui racconti delle loro spie, indicano di volta in volta chi ammazzare, mandando truppe, o qualche aereo a bombardare. E fare a pezzi esseri umani si chiama ora - nel sito ufficiale del Ministero della Difesa italiano - "bonifica del territorio". Nessun commento.
All’operazione, come ci informa lo stesso sito, "contribuiscono 70 Paesi dei quali 27, tra cui l’Italia, hanno offerto ’pacchetti di forze’ da impiegare, per la condotta dell’operazione militare vera e propria". Inequivocabile. E allora come mai i politici dell’attuale maggioranza continuano a intorbidire le acque? Hanno forse paura di essere considerati guerrafondai? Scelgono la guerra ma conviene loro farsi credere pacifisti (i guerrafondai dichiarati stanno, questa volta, perlopiu’ all’opposizione).
"Ritirarci dall’Afghanistan significherebbe uscire dalla Unione Europea e dalla Nato", si proclama con toni solenni, come se fosse l’orlo del baratro. E’ in effetti l’ultima delle scuse. E’ possibile che il "ripudiare la guerra" (quella in Afghanistan, ad esempio) comporti problemi con quei governi europei e d’oltreoceano che producono una guerra dopo l’altra. E anche con le loro alleanze militari. E allora? La nostra Costituzione e il suo articolo 11 vengono prima o dopo "le alleanze internazionali" o "gli impegni Nato"? Si puoí fare una guerra perche’ e’ "un impegno preso"? Il mondo della politica - apparentemente compatto - risponde "si’". Si puo’ fare la guerra (se si riesce poi a farla passare come un’opera di carita’, e’ ancora meglio!) se si e’ con la Nato, o con gli Usa, o con l’Onu, se la guerra e’ legittima, se e’ per la democrazia, se e’ umanitaria. "La guerra per far finire tutte le guerre", come sentenzio’ il presidente Wilson cercando (con risultati mediocri) di convincere gli americani ad entrare nella prima guerra mondiale.
Le "ragioni" per una guerra, per qualsiasi guerra, non sono mai mancate. Vere o fittizie, dichiarate o meno, se c’e’ una guerra ci sara’ pure una ragione. E poi ci sono le varie forme di propaganda di guerra.
Sono convinto che in questi anni moltissimi cittadini, italiani e non solo, abbiano compiuto un grande percorso di riflessione sui temi della guerra e della pace, dei diritti umani, della violenza. Alcune idee si sono fatte largo e sono finite dentro la coscienza di molti, nella loro etica, nel modo di concepire i rapporti tra esseri umani. Una di queste idee e’ che non esista piu’ giustificazione alcuna per la guerra. Ne’ etica, ne’ storica, ne’ politica.
Per quel movimento di coscienze, nessuna guerra sara’ mai piu’ accettabile ne’ negoziabile. Perche’ sarebbe un’altra perdita di pezzi di umanita’, sacrificata alle misere alchimie della politica. Se la scelta contro la guerra dovesse davvero obbligare l’Italia a uscire dalla Nato, perche’ la Nato intende continuare la guerra in Afghanistan, non mi sembrerebbe una grande tragedia. Lo sarebbe di certo per buona parte dei politici, ma non per i cittadini italiani. Anzi. Scommetto che, dovesse l’Italia uscire dalla Nato, ci sarebbe in Italia una festa di popolo di milioni di persone, a prescindere dalle direttive e dagli anatemi dei politici.
Isaf: l’altra faccia di Enduring Freedom Se su Enduring Freedom non viene detta la verita’, tantomeno cio’ accade per la missione "di pace" Isaf. Quando, verso la fine del 2001, l’Onu autorizza per 6 mesi una forza di sicurezza internazionale (Isaf) in Afghanistan, al governo italiano non par vero: finalmente si puo’ essere in Afghanistan sotto l’"ombrello" dell’Onu, senza dovere rendere conto a nessuno. O quasi. Perche’ in realta’ la missione Isaf e’ solo una manovra, un gioco delle tre carte.
Alla riunione che il 20 dicembre 2001 approva la Risoluzione 1386, i membri del Consiglio di Sicurezza si trovano sul tavolo una lettera in cui gli inglesi si propongono di assumere il comando dell’Isaf. Ma a comandare e’ sempre il Padrone, e’ chiaro. Perfino esplicito. Nella stessa lettera, resa nota dal Dipartimento di Stato Usa, viene precisato che "Per cio’ che riguarda i rapporti tra le forze dell’Isaf e altre forze operanti in Afghanistan in Enduring Freedom... per ragioni di efficienza, il Comando Centrale degli Stati Uniti avraí autorita’ sulle forze Isaf". Tu sei il comandante, ma io ti comando. Un trucco sopraffino: l’Onu mette in piedi, su richiesta Usa, una forza Onu per l’Afghanistan; gli inglesi, che partecipano a qualsiasi guerra made in Usa e che sono pertanto in Enduring Freedom, si offrono di guidarla (e come rifiutare tanta generosita’?); le truppe dell’Isaf (quelle dell’Onu) guidate da un inglese, prendono poi ordini dai militari Usa, mandati li’ non dall’Onu, bensi’ dal Pentagono.
Aderiamo, secondo i desideri del Padrone, anche alla missione Isaf. Figurarsi, manna dal cielo! Avevamo gia’ deciso di entrare, in modo ancora piu’ illegale, con Enduring Freedom. Adesso arriva l’ombrello dell’Onu a giustificarci.
Nell’agosto del 2003, la missione Isaf entra nella terza fase (anch’essa, come Endruing Freedom: ma guarda un po’ che coincidenza) e passa sotto il comando della Nato. Con i compiti che ben sappiamo, ce li hanno gia’ assegnati: combattere gli insurgents, quelli che si ribellano in qualsiasi modo e a qualsiasi titolo alla pax americana, e portare avanti la "guerra al terrorismo", il lavoro di Enduring Freedom. Poco importa, siamo comunque felici dello "scudo" rappresentato dalla Nato: per sentirci piu’ tranquilli, in regola, quando si dovra’ sparare parecchio.
Il momento sembra arrivato. Il "lavoro" che attende le truppe Nato, e che ci attende, non sembra facile neppure agli Usa, se il "Washington Post" scrive: "Ne derivera’ una battaglia per il controllo del sud, cruciale per l’Afghanistan e per la Nato". Con l’avvicinarsi della battaglia cruciale - un’altra "madre di tutte le battaglie"? - non e’ casuale che le truppe Nato, ex Isaf, ex Enduring Freedom si ritrovino, cinque anni dopo, un comandante di nuovo inglese, che sara’ poi sostituito, verso la fine dell’anno, da un comandante Usa. Eh si’, quando il gioco si fa duro... Cosi’ anche ai "nostri ragazzi", sotto il comando dei militaristi piu’ convinti, spettera’ il compito di estendere "il controllo del governo Karzai" e di "rimpiazzare" gli Usa nelle operazioni di controinsurrezione.
"Restate, chiedete rinforzi" ci sta domandando ora il Padrone, e ci assicura che stavolta saremo anche noi "in prima linea" perche’ le sue truppe intendono passarci il testimone. Anche noi adesso abbiamo l’occasione per sederci al tavolo dei grandi, "chi non spara non e’ di serie A", come dice Luttwack. Enduring Freedom, Isaf, Nato: perde, sbaglia, la carta bianca vince! Proprio come nel mezzanino del metro’. Poi i politici possono sguazzare tra articoli e codicilli alla caccia di qualcosa che giustifichi scelte gia’ decise, e i cittadini capiscono sempre meno.
Fuori l’Italia dalla guerra, senza se e senza ma
L’Italia dira’ si’ o no a "finire il lavoro" lasciato incompiuto (per la
verita’ un fallimento totale anche sul piano militare) dall’Alleato-Padrone?
Siamo alla vigilia di "grandi offensive", dicono i comandi Usa, e non si
puo’ dubitarne.
Il governo sta per decidere - con il rifinanziamento della missione militare in Afghanistan - se mandare militari italiani a combattere, per conto degli Usa e sotto il loro comando, i "nemici" che le forze Usa, di volta in volta, additeranno come soggetti da eliminare. E se mandarli a combattere per proteggere "gli amici". Criminali quanto i nemici ma servili quanto noi, e quindi "dalla parte giusta". Non e’ strano che il governo sia in difficolta’. Molti tra loro vorrebbero, col senno di poi, non essersi mai infilati anche nel pantano Afghanistan. Ma cinque anni fa la maggior parte di loro ha votato di tuffarcisi dentro entusiasticamente, approvando una Risoluzione (7 novembre 2001) che restera’ nella storia della Repubblica come esempio di stravolgimento, in una sola pagina, della Costituzione Italiana, dello Statuto dell’Onu e delle risoluzioni del suo Consiglio di Sicurezza.
Della situazione difficile in cui ci troviamo in Afghanistan, e da cui non e’ facile uscire, molti politici dell’attuale maggioranza sono corresponsabili. Da qui nasce la prima difficolta’. L’altra difficolta’, per i governanti di oggi, e’ tutta interna. Tra pochi giorni devono andare in Parlamento e votare un documento importante.
Non tanto per il suo contenuto. Per molti parlamentari dell’attuale maggioranza quello che si decidera’ e’ in un certo senso secondario. La cosa piu’ importante, quando non la sola importante, e’ che il documento del governo, quale che sia, venga approvato. Non si puoí rischiare di "andare sotto e far cadere il Governo" e’ voce di popolo. Non si puo’ rischiare. Quindi bisogna incominciare a fare rinunce, cercare compromessi, delineare una exit-strategy, o un modo per toglierci dai guai, per essere piu’ chiari.
Sembra un vicolo cieco. Perche’ il vero problema su cui la politica sta annaspando e’ la necessita’ di inventare un trucco. Una formula per poter tenere i militari a fare il lavoro per il Padrone, dando allo stesso tempo un carota a quella parte della maggioranza che sa - dovesse votare per il rifinanziamento - di trovarsi in linea di collisione con i propri elettori.
Ma se "la Patria vuole sacrifici", che cosa non si farebbe per fare stare in piedi un Governo, specie quando la sua "stabilita’" e’ considerata l’obbiettivo primario da raggiungere? Cosií in quell’area politica normalmente associata (o forse non piu’, potremo capirlo meglio dopo il voto) al pacifismo tira aria pesante di suicidio. Non e’ principalmente un problema di uomini di partito, ma di cittadini, di elettori, di coscienze. Se i partiti di quell’area votassero per la guerra, ne pagherebbero un prezzo politico e di consenso devastante.
Un prezzo ancora maggiore finirebbero col pagare se cercassero di truccare le carte, di fare passare inosservata o camuffata la scelta della guerra. "No alla guerra, senza se e senza ma" e’ espressione certamente efficace.
Oggi si puo’ darle concretezza. Essere contro la guerra, prima ancora che un obbligo costituzionale mi pare il discrimine tra civilta’ e incivilta’, tra le cose umane, per brutte che siano, e quelle disumane. Rifiutarsi di avere qualsiasi ruolo nel produrre violenza e omicidi di massa, pulizie etniche e genocidi, stupri e torture, mi sembra insieme un valore primario di specie e una garanzia di sopravvivenza, da custodire entrambi gelosamente.
Non si tratta di un valore di destra ne’ di sinistra. Ma possono la coscienza e l’intelligenza rifiutare l’orrore della guerra a giorni alterni? Una guerra si’ e una no, questa guerra e’ diversa, in quest’altra il nostro ruolo e’ diverso, qui siamo forze Onu e la’ forze Nato, gli impegni internazionali, le alleanze, questa guerra e’ giusta...
Basta alle nostre coscienze sapere che i soldati italiani hanno il bollino Onu, per rendere accettabile la partecipazione alla guerra in Afghanistan? Negli ultimi anni e’ maturato un importante movimento di persone che non vuole piu’ saperne della guerra ne’ della logica della guerra, della logica del togliere agli altri quello che hanno, o quello che potrebbero avere, fino a togliere loro anche la vita. Questo movimento rifiuta di aggredire economicamente, militarmente e moralmente, di sfruttare altri esseri umani.
In questo movimento sono state rifiutate tutte le "ragioni per la guerra", le sue giustificazioni. Per questo credo che un voto per la guerra sarebbe un macigno per quell’area politica che ha piu’ volte dichiarato sintonie col movimento per la pace.
Rifiutate la guerra "umanitaria" del centrosinistra e quella "per la civilta’" del centrodestra, rifiutata la guerra bipartisan "al terrorismo", puo’ il movimento accettarla oggi "perche’ non cada il governo italiano"?
Nel nuovo modo di pensare di milioni di persone, la "questione guerra" e’ stata risolta, da tempo e per sempre. Perche’ cio’ che ogni guerra produce e’ talmente ripugnante che nessun fine, neppure il piu’ nobile, potraí mai giustificarla. Ci potranno essere guerre legali o perfino legittime - le leggi cambiano - ma non ci saranno mai guerre giuste. Per questo, nessuna guerra e’ negoziabile.
Dopo cinque anni di evidente fallimento del nostro intervento in Afghanistan - con il risultato paradossale che i supposti militari "in missione di pace" sono visti con sempre maggior insofferenza - il mondo della politica dovrebbe, se non altro per buon senso, provare un approccio diverso.
Vuole il governo, per qualsiasi ragione, scegliere di stare ancora li’, a fare servilmente la guerra per conto terzi? Vogliono vedere "altro sangue italiano in Afghanistan" (e forse non solo) come poi titolerebbero le prime pagine dei nostri quotidiani, per "estendere il controllo del governo Karzai"?
Sta a loro decidere. Penso solo sia mio dovere, come cittadino che fa parte del popolo di Emergency e del movimento per la pace, riaffermare che chi scegliera’ la guerra lo fara’ not in my name, non a nome mio.
*
[Dal sito www.peacereporter.net riprendiamo questo intervento del 26 giugno 2006. Gino Strada, medico chirurgo impegnato in aree di guerra, fondatore dell’associazione umanitaria "Emergency", e’ una delle voci piu’ nitide e influenti del movimento pacifista italiano; tra le sue pubblicazioni: Pappagalli verdi, Feltrinelli, Milano; Buskashi’, Feltrinelli, Milano]
LA NONVIOLENZA E’ IN CAMMINO Numero 1347 del 5 luglio 2006
Tutti i fascicoli de "La nonviolenza e’ in cammino" dal dicembre 2004 possono essere consultati nella rete telematica alla pagina web: http://lists.peacelink.it/nonviolenza/maillist.html
E’ morto Gino Strada, il fondatore di Emergency
Aveva 73 anni. La figlia Cecilia: ’Mi ha insegnato a salvare vite’. Il cordoglio di Draghi: ’Sempre dalla parte degli ultimi’
di Redazione ANSA *
Gino Strada, il fondatore di Emergency, è morto. Aveva 73 anni. Non sono ancora state fissate le esequie e la camera ardente.
Il chirurgo infatti - spiegano da Emergency - è morto in Normandia, dove si trovava con la moglie Simonetta, e bisognerà quindi aspettare il rimpatrio della salma. Strada ha lavorato fino a ieri alla crisi in Afghanistan, cui ha dedicato un approfondimento pubblicato oggi su ’La Stampa’.
"La notizia ci ha colto tutti di sorpresa, lasciateci riprendere dal dolore": è stato il primo commento della presidente di Emergency Rossella Miccio.
"Amici, il mio papà Gino Strada non c’è più. Io vi abbraccio ma non posso rispondere ai vostri tanti messaggi (grazie), perché sono qui: dove abbiamo appena fatto un soccorso e salvato vite. È quello che mi hanno insegnato lui e la mia mamma. Abbracci forti a tutte e tutti": così in un tweet Cecilia Strada, la figlia del fondatore di Emergency.
"Tra i suoi ultimi pensieri, c’è stato l’Afghanistan, ieri. È morto felice. Ti vogliamo bene Gino": così Emergency ricorda il suo fondatore Gino Strada. "Non riusciamo a pensare di stare senza di lui, la sua sola presenza bastava a farci sentire tutti più forti e meno soli, anche se era lontano", il messaggio della Ong. "Il nostro amato Gino - si legge nel post - è morto questa mattina. È stato fondatore, chirurgo, direttore esecutivo, l’anima di EMERGENCY". "I pazienti vengono sempre prima di tutto", il senso di giustizia, la lucidità, il rigore, la capacità di visione: erano queste le cose che si notavano subito in Gino. E a conoscerlo meglio si vedeva che sapeva sognare, divertirsi, inventare mille cose".
Tanti i messaggi per ricordare e salutare Gino Strada. "Gino Strada ha recato le ragioni della vita dove la guerra voleva imporre violenza e morte. Ha invocato le ragioni dell’umanità dove lo scontro cancellava ogni rispetto per le persone. La sua testimonianza, resa sino alla fine della sua vita, ha contribuito ad arricchire il patrimonio comune di valori quali la solidarietà e l’altruismo, espressi, in maniera talvolta ruvida ma sempre generosa, nel servizio alla salvaguardia delle persone più deboli esposte alle conseguenze dei conflitti che insanguinano il mondo". Così in una nota il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. "In coerenza con la nostra Costituzione che ripudia la guerra - ha aggiunto il capo dello Stato - , Gino Strada ha fatto di questa indicazione l’ispirazione delle azioni umanitarie sviluppate in Italia e all’estero, esprimendo, con coraggio, una linea alternativa allo scontro tra i popoli e al loro interno". "Nell’esprimere le più sentite condoglianze alla famiglia e a quanti gli sono stati vicini - ha concluso - rendo onore alla sua figura".
"Strada ha trascorso la sua vita sempre dalla parte degli ultimi, operando con professionalità, coraggio e umanità nelle zone più difficili del mondo. L’associazione "Emergency", fondata insieme alla moglie Teresa - il messaggio del presidente del Consiglio Mario Draghi -, rappresenta il suo lascito morale e professionale. Alla figlia Cecilia, a tutti i suoi cari e ai colleghi di Emergency, le più sentite condoglianze del governo".
* Fonte: Ansa, 13 agosto 2021 17:42 (ripresa parziale).
Fondò Emergency.
Morto Gino Strada, fu sempre dalla parte delle vittime dei conflitti
Il medico e filantropo Gino Strada è morto all’età di 73 anni. Era il fondatore della Ong Emergency
di Nello Scavo (Avvenire, venerdì 13 agosto 2021)
Se n’è andato mentre la Storia gli dava ragione. “Chi allora si opponeva alla partecipazione dell’Italia alla missione militare, contraria alla Costituzione oltre che a qualunque logica, veniva accusato pubblicamente di essere un traditore dell’Occidente, un amico dei terroristi, un’anima bella nel migliore dei casi”. Lo ha scritto Gino Strada in un articolo per La Stampa, pubblicato proprio oggi.
Era quel tipo d’uomo, impastato di quella tempra che i potenti mal sopportano, che puoi far parlare solo con parole sue. Chi lo conosceva sapeva d’imbattersi prima o poi in un della sue riflessioni asciutte, dirette e taglienti, disperate eppure mai scoraggianti, come gli strumenti da chirurgo che gli hanno permesso di salvare vite in Oriente come in Africa, nel Mediterraneo come a Milano contro il Covid. Quegli stessi ferri da sala operatoria che gli hanno fornito un metodo per guardarsi intorno. “Come medico - diceva -, potrei paragonare la guerra al cancro. Il cancro opprime l’umanità e miete molte vittime: significa forse che tutti gli sforzi compiuti dalla medicina sono inutili? Al contrario, è proprio il persistere di questa devastante malattia che ci spinge a moltiplicare gli sforzi per prevenirla e sconfiggerla. Concepire un mondo senza guerra è il problema più stimolante al quale il genere umano debba far fronte. È anche il più urgente”.
L’1 dicembre 2015 concesse ad “Avvenire” un testo. Non un testamento, a rileggerlo oggi, ma un “mandato” per quelli di buona volontà. Scriveva: “Io sono un chirurgo. Ho visto i feriti (e i morti) di vari conflitti in Asia, Africa, Medio Oriente, America Latina e Europa. Ho operato migliaia di persone, ferite da proiettili, frammenti di bombe o missili. A Quetta, la città pakistana vicina al confine afgano, ho incontrato per la prima volta le vittime delle mine antiuomo. Ho operato molti bambini feriti dalle cosiddette ’mine giocattolo’, piccoli pappagalli verdi di plastica grandi come un pacchetto di sigarette. Sparse nei campi, queste armi aspettano solo che un bambino curioso le prenda e ci giochi per un po’, fino a quando esplodono: una o due mani perse, ustioni su petto, viso e occhi. Bambini senza braccia e ciechi. Conservo ancora un vivido ricordo di quelle vittime e l’aver visto tali atrocità mi ha cambiato la vita”.
Ma era quando il fondatore di Emergency provava a spiegare il perché di quei conflitti, che la sua figura diventava scomoda. “Dobbiamo convincere milioni di persone - scriveva ancora - del fatto che abolire la guerra è una necessità urgente e un obiettivo realizzabile. Questo concetto deve penetrare in profondità nelle nostre coscienze, fino a che l’idea della guerra divenga un tabù e sia eliminata dalla storia dell’umanità”.
A lungo accanto a lui c’è stata Teresa Sarti, la moglie che sapeva dare forma e struttura alle appassionate intuizioni di Gino. Se n’è andata nel 2009, per colpa di un tumore. Una guerra nella guerra che hanno combattuto insieme senza arretrare di un solo anelito nel loro impegno.
Mentre le agenzie rilanciavano la notizia del lutto Cecilia, la loro unica figlia, raccoglieva a bordo 85 desaparecidos del Mediterraneo. E’ in mare con la nave di soccorso “Resq” che offre l’ultimo appiglio ai dimenticati di guerre e soprusi che, come in Afghanistan, non ci vedono estranei. Come se la notizia delle morte non fosse riuscita a interrompere la concretezza di una vocazione familiare che dal 1994 a oggi ha messo radici in 19 Paesi curando oltre 11 milioni di persone. “Se l’uomo non butterà fuori dalla storia la guerra - ripeteva Gino Strada -, sarà la guerra che butterà fuori dalla storia l’uomo".
Retroscena di un funerale e «relativismo» della Cei
di Paolo Farinella, prete
Oggi alle 11.40
Genova 21-09-2009. - Ricevo una comunicazione riservata da persona proveniente da «dentro» il sistema militare dei «corpi speciali» che mi ha fatto rabbrividire. A motivo del mio lavoro (terapia di sostegno), avevo intuito che molte cose non quadrassero, ma questa rivelazione mi ha sconcertato. Il berretto al bambino di due anni e la corsa dell’altro bambino alla bara del padre con la mano che si copre il volto (foto giornali perché non ho visto i funerali né ascoltato tg e rg) non sono frutto di spontaneità o gesti di mamme che cercano di proteggere i figli con «qualcosa» del padre (berretto e abbraccio).
Al contrario, sembra che tutto sia stato centellinato dall’équipe di sostegno psicologico che in questi giorni circondano i familiari con un cordone sanitario strettissimo. Mi dice il militare interlocutore che lo scopo di questo gruppo di sostegno non è aiutare le famiglie ad elaborare la morte e il lutto, ma impedire che facciano scenate o mettano in atto comportamento lesivi dell’onore dell’esercito. La mia fonte asserisce che buona parte di questo personale non è specializzata in psicologia, ma è un corpo speciale che un obiettivo preciso: la gestione dei giorni successivi alla morte e il contenimento o meglio l’annullamento della rabbia, della contestazione e della disperazione conseguenti che potrebbero portare a comportamenti di indignazione verso l’esercito e le istituzioni.
Le tecniche quindi mirano ad adeguare il pensiero delle famiglie allo «status di eroe» del congiunto perché appaia «coerente» con la «nobiltà della missione» del morto che diventa anche la «missione della famiglia». Sarebbe una tragedia per l’immagine militare se mogli, madri, figli e fidanzate si mettessero a gridare contro l’esercito e il governo che li ha mandati a farsi ammazzare.
In questa logica si capisce la retorica dell’«eroe», l’insulsaggine del servizio alla Patria, il sacrificio per la Pace nel mondo e anche la lotta al terrorismo. Tutti sanno tutto e giocano a fare i burattini. Se le informazioni che ho ricevuto sono vere, e non posso dubitare della serietà della fonte, i funerali dei sei militari uccisi e tutta l’opera dei pupi presente a San Paolo, è stata un’operazione terribile, ancora peggiore degli attacchi dei talebani. Tutto è gestito per deviare il Paese, le Coscienze e la Verità. E’ una strategia scientificamente codificata.
Il vescovo militare (generale di corpo di armata) non ha risparmiato parole grosse di encomio e di osanna al servizio che i militari fanno alla Pace e alla Democrazia. Una sviolinata che neppure La Russa è capace di fare. A lui si è unito il cardinale Angelo Bagnasco che ha detto:
«Non è esagerato parlare di strage, tanto più assurda se si pensa ai compiti assolti dalla forza internazionale che opera in quel Paese e allo stile da tutti apprezzato con cui si muove in particolare il contingente italiano. Non è un caso che questo lutto, com’era successo per la strage di Nassiriya, abbia toccato il cuore dei nostri connazionali, commossi dalla testimonianza di altruismo e di dedizione di questi giovani quasi tutti figli delle generose terre del nostro Sud. E per questo il nostro popolo si è stretto alle famiglie dei colpiti con una partecipazione corale al loro immane dolore. Anche noi ci uniamo ai sentimenti prontamente espressi dal Santo Padre» (21-09-2009).
Mi dispiace per il signor cardinale, ma non posso associarmi a questa mistificazione collettiva. Enrico Peyretti mi dice che durante l’Eucaristia, pane spezzato per la fame del mondo, è risuonato l’urlo di guerra dei parà: «Folgore!» quasi una schioppettata nel cuore del Sacramento. Credo che si possa dire che la Messa è stata la cornice vacua di una parata militare con i propri riti.
Oggi (21-09-2009), infine, il cardinale Bagnasco ha parlato anche della questione morale e della legge sugli immigrati senza mai nominare e né l’uno e né l’altra. Nessun cenno esplicito alla legge sul reato di clandestinità: si intravede tra le righe un leggero senso di disapprovazione. Figuriamoci se chiamava per nome il Papi Priapeo. Si è limitato a fare una predica generalizzata, valida per tutti e, quindi per nessuno, come giustamente interpreta «Il Giornale» di famiglia.. Tutto va bene, madama la marchesa? Ma, sì! Diamoci una botta e via! «Domani è un altro giorno« diceva Rossella O’Hara o Tarcisio Bertone? Non ricordo bene.
* Il Dialogo,, Martedì 22 Settembre,2009 Ore: 11:59
Colloquio con Gino Strada: «In Afghanistan è vera guerra. Dobbiamo ritirarci subito»
Il fondatore di Emergency: per il nostro contingente militare spendiamo ogni giorno 3 milioni di euro. Con quei soldi laggiù si potevano costruire 600 ospedali e 10mila scuole
La missione. «Basta ipocrisie, non si può usare la parola pace
Dobbiamo chiederci cosa ci stiamo a fare»
di Rachele Gonnelli (l’Unità, 18.09.2009)
Per Gino Strada il sangue non ha un colore diverso a seconda della bandiera e il dispiacere è lo stesso per i soldati italiani uccisi ieri e per tutte le altre vittime della guerra. Non riesce neppure a capire perchè la Fnsi abbia rinunciato alla manifestazione di sabato per la libertà di informazione. «Con decine di morti ogni giorno...donne, bambini...non so, dev’essere per il clima di guerra. Stiamo vivendo da anni in un clima di guerra senza dircelo, anche se solo ultimamente è passata l’ipocrisia di chiamarla “missione di pace”. Un clima che sta avvelenando la coscienza civile, creando intolleranza, criminalità verso il diverso, lo straniero, l’altro da sè. È anche questo, la guerra».
Il lascito di una casta, lo chiama. «I politici di 30 anni fa non lo avrebbero fatto in spregio della Costituzione». Il 7 novembre del 2001: «l’entrata in guerra dell’Italia decisa dal 92 percento del Parlamento italiano, il voto più bipartisan della storia della Repubblica», per puro «servilismo verso gli Stati Uniti». «Che cosa ci avevano fatto i talebani? Niente. E poi cosa avevano fatto anche agli americani?». Forse non è troppo semplice, recentemente anche negli Usa gli analisti cominciano a porsi la stessa domanda: perchè siamo lì, cosa ci stiamo a fare?. Non c’erano afghani nel commando dei terroristi delle Torri gemelle. Ma la rappresaglia di Bush scattò lì, con Enduring Freedom, il 7 ottobre. Per colpire le basi di Bin Laden, si disse. Otto anni dopo più del l’80 percento dell’Afghanistan è tornato sotto il controllo dei talebani, di Bin Laden non c’è traccia, sono morti 1.403 militari stranieri, spesi centinaia di milioni di euro e il Paese è più povero e più criminale, produce il 90 percento dell’oppio del mondo.
Dopo otto anni l’unico centro di rianimazione è quello di Emergency a Kabul, sei letti di terapia intensiva per 25 milioni di persone. Spendiamo 3 milioni di euro al giorno per la guerra. Sai cosa avremmo potuto con questi soldi in Italia per i poveri, gli emarginati, chi ha bisogno. In moneta afghana invece avremmo potuto aprire 600 ospedali e 10 mila scuole».
A Khost gli americani hanno costruito una strada, a Kajaki una diga, la Banca Mondiale lo scorso giugno ha stanziato altri 600 milioni di dollari di aiuti per la popolazione afghana...«Se si devono costruire dighe e ponti si mandino commando di ingegneri, non aerei telecomandati e bombe. Non tremila baionette, o fucili, per sostenere il dittatorello di turno». Quanto ai soldi della cooperazione internazionale, «noi non abbiamo ricevuto una lira quindi non so dice il fondatore di Emergency ma gli afghani che si lamentano, anche ora alle presidenziali, dicono che i soldi sono serviti soprattutto a ingrassare funzionari ministeriali e signorotti della guerra».
Lasciare il Paese, allora, andarsene unilateralmente o tutti insieme, e lasciare ai fanatici mujaeddin partita vinta? Non una bella prospettiva anche fosse realizzabile. «Finchè c’è l’occupazione militare ci sarà la guerra. Emergency lavora in Afghanistan da 10 anni, da tempi non sospetti. Abbiamo curato 2 milioni e 200 mila afghani, il 10 percento della popolazione. In pratica una famiglia su due, sono famiglie con centinaia di persone, ha ricevuto nostre cure. Per questo a Laskhargah non è mai stato torto un capello al nostro personale internazionale. Tutti dovrebbero porre fine a questa guerra e lasciare che gli afghani trovino la loro soluzione attraverso il dialogo, che per la verità non si è mai interrotto, tra le varie fazioni di talebani, mujaeddin e questo governo. Qual è l’obbiettivo di questa guerra?». Domanda che torna. «Le ultime due guerre internazionaliè la spiegazione di Strada sono legate ai giacimenti di gas e petrolio. In Iraq perchè ci sono, l’Afghanistan invece è sulla via di transito dal Kazakistan e dalle altre ex repubbliche sovietiche». Pipeline di sangue.
La nuova strategia McChrystal o la conferenza sull’Afghanistan, inutile parlarne con un chirurgo. Ad inquietarlo è che dei 35 feriti civili dell’attentato all’ospedale di Emergency a Kabul ne sono arrivati solo tre. Gli altri sono stati dirottati all’ospedale militare detto “dei 400 letti”, «struttura del tutto inadeguata, ma lì possono essere interrogati senza paroline dolci». ❖
Il capo dello Stato da Tokyo esprime il suo giudizio sulla missione italiana
"Nulla da rivedere. Nel mondo politico non vedo divisioni, almeno dalla parte del Pd"
Afghanistan, verso la transition strategy
Napolitano: "Italia manterrà i suoi impegni"
Berlusconi: "Avevamo già un progetto di riportare a casa i soldati mandati per le elezioni"
Fassino: "Avvilente che dei governanti cavalchino in modo demagogico queste emozioni"
ROMA - "Non credo ci sia nulla da rivedere nella missione italiana in Afghanistan. Manterremo gli impegni presi". Lo ha detto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in chiusura della visita a Tokyo, all’indomani dell’attentato di Kabul costato la vita a sei parà italiani. Aggiungendo di non vedere diviosni, "almeno dalla parte del Pd"
Alla domanda di un giornalista sulle differenti posizioni sulla missione all’interno delle forze del governo, in particolare riferendosi alle dichiarazioni dei ministri La Russa e Bossi, Napolitano ha tagliato corto invitando il reporter a riformulare la stessa domanda in una conferenza stampa del presidente del Consiglio.
Quindi, riprendendo il discorso, ha ribadito come la missione italiana a Kabul sia "un impegno condiviso, confermato e pienamente coerente delle istituzioni italiane". Napolitano ha riferito di averne discusso anche durante l’ultima riunione del Consiglio Supremo della Difesa, in cui è stato confermato "in modo molto determinante l’impegno in Afghanistan come necessità di caratterizzare il nostro contributo tanto sul piano militare quanto su quello civile". Il problema, ha proseguito Napolitano, "non è vedere come rideterminare il contributo italiano che è stato sempre concepito in modo molto equilibrato".
"Io non ho titolo - ha sottolineato il presidente - per prevedere, auspicare, considerare necessaria una discussione in Parlamento. Questo non spetta a me dirlo ma al governo e al parlamento stesso: ritengo che sia comprensibile la discussione su come rimotivare la missione delle Nazioni Unite e non solo la presenza americana in Afghanistan perché quella in Afghanistan non è una guerra americana".
Le divisioni tra le forze politiche sulla missione in Afghanistan "voi le conoscete meglio di come", ha detto Napolitano ai giornalisti che gli chiedevano un commento sulle diverse posizioni delle forze politiche sulla missione a Kabul. "Comunque - ha aggiunto il presidente - ho avuto modo di leggere in rassegna stampa un articolo di un esponente del partito Democratico, il maggiore partito di opposizione, che segue le questioni politiche internazionali, ovvero l’onorevole Fassino, da cui non trapela alcuna divisione che venga, almeno, da quella parte".
Il Pd. Il Partito democratico, in questa occasione, sembra aver ritrovato una consonanza nel dire un secco "No" al ritiro. "Speravo che almeno nel giorno del lutto e del dolore il governo riuscisse a parlare con una sola lingua e un solo accento. Ancora una volta sentiamo invece il presidente del Consiglio e il ministro Bossi esprimere posizioni dissonanti da quelle del ministro della Difesa e del ministro degli Esteri", ha detto l’ex ministro della Difesa Arturo Parisi.
"Capisco l’ondata emotiva - ha aggiunto il responsabile esteri del Pd, Piero Fassino - ma che dei governanti cavalchino in modo demagogico queste emozioni, magari inseguendo dei sondaggi, mi sembra una cosa avvilente. Penso che tutte le forze politiche debbano rifarsi al richiamo alle responsabilità pronunciato dal capo dello Stato".
Berlusconi. Stamane il premier Silvio Berlusconi nel corso di una visita al sacrario dell’Esercito a Roma è tornato a parlare della missione italiana in Afghanistan: "Noi avevamo già un progetto, sempre condiviso con gli alleati, di riportare a casa i soldati che avevamo mandato in occasione del periodo elettorale: e poi bisognerà mettere a punto una transition strategy per caricare di maggior responsabilità il nuovo governo".
La Russa. "Nel Consiglio dei ministri tutti hanno condiviso la linea che ho esposto", ha affermato il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, al termine del Consiglio dei ministri di oggi. Sulle polemiche La Russa ha tagliato corto: "Ora è il momento del cordoglio, della vicinanza e della solidarietà ai nostri ragazzi che hanno sacrificato la vita per il Paese". il ministro ha spiegato che "in queste ore discutere o ipotizzare sull’onda dell’emotività exit strategy o qualsiasi altro tipo di strategia, può essere inteso da alcuni come un momento di debolezza e di vantaggio per il terrorismo. Può portare anche ad un’accresciuta azione di violenza nei confronti dei nostri soldati. Anche il ministro Frattini è d’accordo su questa posizione".
La Russa ha reso nota la linea dell’esecutivo: l’Italia non prenderà decisioni unilaterali in disaccordo con gli organismi internazionali. E’ confermato il rientro entro Natale dei 500 soldati in più inviati per le elezioni. Il rientro completo avverrà quando lo decideranno la Nato e l’Onu, ma la strada è lunga: "Siamo ancora in Kosovo, figuriamoci per l’Afghanistan".
* la Repubblica, 18 settembre 2009
ATTACCO CONTRO ITALIANI A KABUL, 6 MORTI E 4 FERITI
ROMA - Sei militari italiani sono stati uccisi e quattro feriti in un attentato avvenuto nel pieno centro di Kabul, sulla Massoud Circle, la strada che conduce all’aeroporto della capitale afghana. Sia i morti che i feriti (questi ultimi non sarebbero in pericolo di vita) sono tutti del 186.o Reggimento Paracadutisti Folgore. Nell’attentato sono morti anche due afghani e oltre 30 civili sarebbero rimasti feriti.
Fonti della Difesa hanno reso noto i nomi dei sei militari italiani morti, le cui famiglie sono state avvisate. Si tratta del tenente Antonio Fortunato, originario di Lagonegro (Potenza); del primo caporal maggiore Matteo Mureddu, di Oristano; del primo caporal maggiore Davide Ricchiuto, nativo di Glarus (Svizzera); del primo caporal maggiore Massimiliano Randino, di Pagani (Salerno); del sergente maggiore Roberto Valente, di Napoli, e del primo caporal maggiore Gian Domenico Pistonami, di Orvieto.
Decine di veicoli hanno preso fuoco. L’attacco è stato rivendicato dai talebani ed è stato fatto - hanno riferito fonti dei ribelli ad Al Jazira - "con lo scopo di dimostrare che nessuno può considerarsi al sicuro in Afghanistan". "Sui mezzi c’erano complessivamente 10 nostri soldati. Sei sono morti", ha confermato il ministro della Difesa Ignazio La Russa intervenendo al Senato. I morti italiani sono quattro caporal maggiore, un sergente maggiore e il tenente che comandava i due blindati Lince. Due delle vittime tornavano dalla licenza. Secondo una prima ricostruzione della Difesa italiana, a provocare l’esplosione sarebbe stata un’autobomba. Due i mezzi militari - due veicoli blindati Lince - rimasti coinvolti.
L’auto carica di esplosivo è scoppiata al passaggio del primo mezzo del convoglio, uccidendo tutti e cinque gli occupanti. Danni gravi anche al secondo Lince: uno dei militari a bordo è morto e altri tre sono rimasti feriti. L’attentato è avvenuto alle 12.10 locali, le 9.40 in Italia, nei pressi della rotonda Massud, dove il traffico è rallentato per i controlli sul traffico diretto verso l’ambasciata Usa, il comando Isaf e l’aeroporto. Sui due lati delle strade sono stati distrutti case e negozi. Secondo le prime ricostruzioni, un automezzo civile (una Toyota bianca secondo quanto ha riferito in Senato il ministro della Difesa Ignazio La Russa) con a bordo i due kamikaze e con un notevole carico di esplosivo sarebbe riuscito ad infilarsi tra i mezzi prima di esplodere. Negli ultimi mesi, nonostante la massiccia presenza di forze armate internazionali, a Kabul si sono moltiplicati gli attacchi suicidi dei talebani. L’ultimo è stato l’8 settembre scorso, quando un’autobomba ha ucciso tre civili esplodendo davanti all’entrata della base aerea della Nato.
LETTERA DI GINO STRADA AL QUOTIDIANO "la repubblica", DEL 27.06.2006
Caro direttore,
"Sostiene una parte della sinistra radicale... che l’Italia non debba mandare in Afghanistan soldati: semmai medici. Non blindati: ospedali da campo. Non aerei da combattimento: sale operatorie" ha scritto ieri Guido Rampoldi. "E’ una idea di" ha precisato subito dopo. Non so perche’ il signor Rampoldi si diverta a classificarmi di fatto come appartenente alla "sinistra radicale". Io sono contro la guerra. Non perche’ la pace mi sembri "un valore di sinistra". Sarebbe azzardato, e poco rispettoso della storia passata e recente. Sono contro la guerra per la violenza di massa che ogni guerra erutta, e di cui ho visto molti tragici frammenti in vent’anni di lavoro tra i conflitti. Sono contro la guerra perche’ ne ho conosciuto le vittime. Sono contro la guerra perche’ credo sia necessario e urgente disegnare un mondo non piu’ basato sulla violenza e sull’aggressione militare, economica, culturale, ambientale.
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Nel 1932 a Ginevra, Albert Einstein dichiaro’ in conferenza stampa ai giornalisti di tutto il mondo: "La guerra non si puo’ umanizzare, si puo’ solo abolire". Anche se oggi molti "opinionisti" bollerebbero il pensiero di Einstein di mancanza di realismo, di utopia, forse anche di stupidita’, io sono convinto che Einstein avesse del tutto ragione.
Confesso anche di credere fino in fondo in un altro documento importante nella storia umana quale il Manifesto del 1955 di Bertrand Russell e dello stesso Einstein. Rivolgendosi "da esseri umani" ai governanti del mondo, e insieme alla coscienza di tutti, i due scienziati scrissero: "Questo allora e’ il problema che vi poniamo davanti, reale, terribile, non eludibile:dobbiamo mettere fine alla razza umana oppure l’umanita’ deve rinunciare alla guerra?".
L’alternativa e’ questa, non altra. L’abolizione della guerra e’ la prima garanzia di futuro per l’umanita’ e per il pianeta. Finche’ la guerra restera’ tra le "opzioni possibili" di fronte a problemi anche gravi, ci sara’ sempre chi - per una ragione o per l’altra - finira’ col ricorrervi. E guerra, nel Terzo millennio, significa impiego (presente, imminente o futuro) di tecnologie di distruzione di massa un milione di volte superiori alla bomba di Hiroshima. Vogliamo entrare - se gia’ non ci siamo - nella roulette del rischio, anche se in palio ci potrebbe essere, come dice Noam Chomsky, "la fine dell’esperimento umano"? L’umanita’ deve rinunciare alla guerra. Utopico, ma non piu’ di quanto fossero utopiche, nei decenni e secoli passati, l’eliminazione del vaiolo o l’abolizione della schiavitu’. Semplicemente, non si erano ancora realizzate.
Penso, banalmente, che l’abolizione della guerra - che ha anche bisogno di una nuova etica e di nuovi comportamenti collettivi basati sulla costruzione e la pratica dei diritti di tutti - sia la cosa piu’ bella, razionale e intelligente che gli esseri davvero umani possano fare. Non e’ utopia "di sinistra", o di "sinistra radicale". E’ un lavoro e un compito che sta di fronte, ancora cinquant’anni dopo, a tutti "gli esseri umani, membri della specie homo, la cui esistenza minaccia di non continuare", come scrisse Russell.
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In Emergency troviamo sintonie con quelle parole: nascono dal nostro lavoro, creare ospedali. Luoghi "ospitali" dove chi ha bisogno, senza discriminazione alcuna, viene curato perche’ e’ suo diritto, non nostra discrezione. Non e’ "una idea di Gino Strada", e’ la pratica di Emergency. Il senso della nostra presenza in Afghanistan e’ tutto dentro il milione e centomila persone curate in sette anni in questo Paese. Un piacevole "effetto collaterale" e’ che si stabiliscono spesso rapporti di solidarieta’ e amicizia con molte persone di qui.
"Taliban e bande alleate hanno preso ad uccidere i medici e gli infermieri... se dunque un qualche migliaio di medici europei - asserisce Rampoldi - si sparpagliasse per il sud dell’Afghanistan senza alcuna protezione militare, i piu’ non arriverebbero vivi alla fine della settimana". Emergency ha un Centro chirurgico per vittime di guerra a Lashkargah, nel profondo sud talebano, come si usa dire. Un ospedale intitolato a un grande uomo di cultura e di pace, Tiziano Terzani. Da anni a Lashkargah i nostri medici e infermieri, molti italiani, ma anche inglesi, statunitensi, russi, canadesi... lavorano e addestrano il personale afgano, e incontrano il rispetto e perfino l’affetto della popolazione. Sono arrivati stanchi, ma vivissimi, a piu’ di cento fine settimana. Non e’ la "protezione militare" che protegge i medici, signor Rampoldi. I medici sono protetti quando e in quanto si comportano da medici, al servizio solo dei bisogni di esseri umani sofferenti. Senza distinzioni.
Quando si agisce "da medici" - e non da medici "di supporto" ad altre operazioni - la protezione militare non solo e’ inutile, diventa fattore di rischio. Per noi e per i nostri pazienti. I cartelli "Niente armi" che stanno alla porta di tutti i nostri ospedali non sono la’ per caso. Senza armi intorno, si e’ piu’ protetti.