Paolo Cacciari: "Nessun brindisi se Prodi cade ma non rinnego la mia vita"
di Claudia Fusani (La Repubblica, 20 luglio 2006)
ROMA - Alle sei del pomeriggio il deputato dimissionario Paolo Cacciari, barba grigia molto curata, fratello "massimalista" del sindaco riformista di Venezia, è nel suo studio al quarto piano di palazzo Marini. Su una scrivania lo scatolone pieno a metà di cartelle e fascicoli dei suoi due mesi di vita parlamentare. Il cellulare squilla in continuazione. In tivù Franco Giordano, il segretario del suo partito, sta spiegando in aula le ragioni del sì al decreto che rifinanzia le missioni militari.
Onorevole Cacciari, Giordano sta dicendo che la pace è qualcosa che in politica si costruisce giorno per giorno, a piccoli passi. Perché non ha condiviso questa linea e si è dimesso, all’improvviso? «Mi spiace molto aver spiazzato i compagni. Giudico però questo dibattito parlamentare inadeguato e insufficiente. Si è avvitato su un carro armato in più e un fucile in meno. Io vengo dalla scuola della non violenza, sono promotore di quel convegno che ogni anno sull’isola di San Servolo a Venezia mette insieme e cerca di contaminare il movimento operaio con le posizioni anarchiche e le pratiche pacifiste e non violente. Bertinotti mi ha scelto per questo. E io cosa faccio? Vengo qui e rinnego tutto? Non è possibile. Così ho raccolto l’invito avanzato da Sofri sulle pagine di Repubblica e lascio libero il mio seggio(l’articolo è sulla scrivania sottolineato in rosso e blu, ndr)».
Si è dimesso per un problema etico e di coscienza? La politica non sempre ha queste priorità... «Io credevo, e lo credo ancora, che Rifondazione sia il partito che mette fine alla divisione tra etica e politica. Ho iniziato così il mio intervento stamani: "Questa volta la politica non mi aiuta a tenere insieme ragionamento e convinzione". E ho citato Bobbio: "L’etica della responsabilità è quella della coscienza"».
Nel discorso con cui ha spiegato le dimissioni, lei però riconosce che la mozione parlamentare e il disegno di legge sono "le migliori possibili nelle condizioni date". «Ma la coscienza mi dice anche che le carneficine in corso in Medio oriente avrebbero bisogno di una rottura netta e immediata con le pratiche e le scelte fatte finora dall’Italia e dall’Occidente».
E’ consapevole che la sua scelta apre la strada a una sconfitta della maggioranza al Senato? «Sia chiaro che io, al contrario di Strada, non brindo se cade questo governo. Ma sono anche tristissimo se da questo governo non arriva un contributo alla crescita di una cultura non violenta e di pace. Ho cercato di fare la cosa più indolore per la maggioranza».
Cosa doveva fare, secondo lei, il governo per segnare la discontinuità in politica? «Io riconosco una discontinuità in politica estera a questo governo. Ma i contingenti Onu in Libano e Palestina e le missioni militari di pace sono un’abdicazione della politica. Ed è un’illusione suicida credere che siano la soluzione del problema».
Quindi? «Quindi penso ai corpi di pace, alla diplomazia dal basso, alla cooperazione, alla confidence building, alla costruzione del consenso. Ma tutto questo sembra politica di serie b».
A chi ha rassegnato le dimissioni? «Al Presidente della Camera».
Cosa dice ai vertici di Rifondazione? «Che ho rotto un mandato politico che il partito ci ha chiesto ripetutamente di non tradire. Per questo restituisco il mio mandato».
Intervista al deputato di Rc che si è dimesso Paolo Cacciari: «Non si delega la pace agli eserciti»
di Frida Nacinovich (Liberazione, 20.07.2006)
Cacciari, ci ha pensato bene? Ci ho pensato bene, è stata una scelta sofferta.
Non ne dubitiamo. Piuttosto che votare la proroga delle missioni militari italiane all’estero, si è dimesso da deputato.
La mia cultura è quella del pacifismo, della non violenza, del ripudio della guerra, mi batto contro il militarismo. Credo che questo stia alla base di un’idea di società nuova. Di comunismo nel nuovo secolo.
Siamo d’accordo. Del resto sono anche le idee di Rifondazione comunista. Di tutta Rifondazione.
Per questo ci sto male. Eppure ho avuto l’impressione che l’intero dibattito sul rifinanziamento delle missioni sia rimasto imprigionato nella logica degli interventi militari, quasi fossero l’unico orizzonte della nostra politica internazionale. Mi spiego: non mi ha convinto la posizione del ministro degli Esteri sul Libano. Massimo D’Alema non mi ha convinto e non mi convince chi parla di eserciti militari di pace.
Siamo ancora d’accordo. Ma è davvero convinto che il suo gesto serva a qualcosa?
Cerco di sostenere le mie idee. Non sto parlando di risultati, di possibili scenari alternativi. Anzi, apprezzo la mozione e il disegno di legge. Penso che con gli attuali rapporti di forza non sarebbe stato possibile ottenere di più. Ciò nonostante il risultato è inadeguato rispetto alla catastrofe in corso in Medioriente, e la richiesta di una nuova missione in Libano non è la risposta. In campo deve esserci una politica diversa, diversa da quella venuta fuori dal G8 di San Pietroburgo.
Fuori e dentro Rifondazione comunista c’è stata parecchia discussione. Si poteva trovare un punto d’incontro?
Personalmente penso che noi di Rifondazione, con grande coraggio, si debba ripartire dalle attività di “confidence building”, dalle azioni di interposizione pacifica. Che, fra l’altro, sono nel programma dell’Unione. Invece chi ne parla viene visto come un romantico, un’anima bella, un don Chisciotte che lotta contro i mulini a vento, quasi l’interposizione fosse un gioco per bambini. Per me gli interventi militari non solo sono insufficienti ma anche controproducenti. Esiste un’alternativa non violenta che la politica però non vede.
C’è il popolo della pace, il 61% degli italiani. E c’è il Parlamento.
Un’altra cosa che mi ha disturbato di questo dibattito è l’idea che tra sinistra e pacifisti nelle istituzioni e nei movimenti ci sia una sorta di incomunicabilità. Quasi i pacifisti non avessero l’intelligenza per capire ciò che la sinistra di buono può fare nelle istituzioni. O, viceversa, che la pace non possa essere rappresentata nelle istituzioni.
Paolo Cacciari quando ha annunciato le sue dimissioni ha subito abbandonato l’aula di Montecitorio. C’è la possibilità di un ripensamento?
Per ora ho rassegnato le mie dimissioni nelle mani del presidente della Camera Bertinotti. Spero che il mio gesto sia stato capito, non faccio parte di nessuna corrente, ho agito per conto mio. Sono molto dispiaciuto del fatto che il mio atto metta oggettivamente in difficoltà Rifondazione comunista, che in questa battaglia può contare su un parlamentare in meno. Detto questo, non me la sono sentita di votare.
E ora?
Mi assumo tutte le responsabilità del mio gesto. Sono consapevole che con questa mia decisione, che risponde a una linea di politica di pacifismo di principio, ho rotto un vincolo di mandato, pertanto mi sono dimesso da deputato. Del resto cosa altro potevo fare? Adriano Sofri su “Repubblica” ha scritto che i pacifisti farebbero bene a dimettersi e a lasciare il posto a quelli che li seguono in lista. Io ho seguito l’indicazione di Sofri.
Come ci si sente a fare un gesto del genere e finire naturalmente nell’occhio del ciclone?
Lo ripeto: ho agito a titolo personale. Non critico tanto la mozione o il ddl quanto l’immagine che abbiamo dato di noi. Siamo rimasti prigionieri, all’interno di un dibattito che come orizzonte ha solo le missioni militari. Non è venuta fuori un’idea diversa di cose da fare in Afghanistan e in Libano, diversa dalle missioni militari, con o senza Onu. C’è una sorta di delega ai militari per risolvere il problema della pace.
Qual è la politica estera italiana dei suoi sogni?
La discontinuità non è solo quella di mandare meno navi, meno aerei, meno soldati. Sicuramente è anche questo, ma bisognerebbe riflettere sugli strumenti di intervento. E sono altri quelli che andavano messi in campo in questa occasione. Altrimenti la discontinuità c’è, ma resta all’interno della logica dell’intervento militare.
Roma 19 luglio 2006: la Costituzione è stata di nuovo violata La Camera approva i crediti di guerra
di Giovanni Sarubbi (www.ildialogo.org/editoriali, Giovedì, 20 luglio 2006)
Ieri 19 giugno 2006 la Camera dei Deputati ha approvato la mozione sul rifinanziamento di tutte le missioni militari italiane all’estero, compresa quella in Afghanistan dove, come in Iraq, è in corso una guerra che, come tutte le guerre, è cruenta e dove sono molto forti i segnali di una sua ripresa in grande scala. E la legge approvata alla Camera, prevede non una diminuzione del contingente italiano in Afghanistan ma un suo rafforzamento. I soldati che verranno ritirati dall’Iraq andranno in Afghanistan, come nel più classico gioco delle tre carte.
Il consenso parlamentare a questa sciagurata posizione che viola palesemente la Costituzione, è stato molto ampio: 549 voti a favore, solo 4 voti contrari. I 4 contrari sono tutti deputati di Rifondazione Comunista, uno di essi, Paolo Cacciari, nel corso della sua dichiarazione di voto, si è anche dimesso da deputato.
Nel suo breve intervento Paolo Cacciari, partendo da ciò che sta succedendo in questi giorni in Medio Oriente e rispondendo all’argomentazione che il documento approvato costituirebbe una posizione di mediazione in vista del ritiro dell’Afghanistan, ha detto: «Potremmo non avere a disposizione altri sei mesi per convincerci che non saranno mai gli interventi militari a portare stabilità, sicurezza, pace (per non parlare della "democrazia") né a "loro", né a noi. Dal Libano alla Siria all’Iran il passo della spirale si allarga paurosamente. Il nostro è, oramai, il tempo della guerra. La violenza, sotto qualsiasi forma, determina altra violenza.»
Crediamo sia molto significativo che a favore della legge abbiano votato sia il centrodestra che il centrosinistra. E’ il segno inequivocabile che a vincere è stato il partito trasversale delle armi, di coloro che sono legati a filo doppio con gli interessi del complesso militare-industriale statunitense che dalle guerre trae profitti e potere.
Non possiamo non nascondere la nostra profonda amarezza per tale scelta che sancisce una pesante continuità con il governo precedente. In Afghanistan si continuerà a morire e l’Italia sarà anch’essa responsabile di quelle morti perché ha scelto non la via dell’intervento pacifico (ospedali, scuole, ricostruzione...) bensì quello dell’intervento militare. E la continuità con il governo precedente la riscontriamo persino nel metodo usato per chiedere la prosecuzione dell’intervento, quello della bugia, che in questo caso è relativo al non potersi rifiutare un intervento in ambito ONU. Di seguito riprendiamo una serie di articoli che sbugiardano definitivamente tale falsità.
E che ci sia la voglia di partecipare alle guerre in corso lo si evince anche dalle dichiarazioni relative alla guerra che sta insanguinando ora il Libano. Subito l’Italia si è detta pronta ad inviare truppe, sempre con la scusa dell’ONU: la politica oramai la fanno i militari o, meglio ancora, gli amministratori delegati delle aziende che producono armamenti.
Ciò che sta accadendo in Medio Oriente rende sempre più evidente che guerra e terrorismo sono una cosa sola e che per fermare le guerre non c’è altro da fare che scegliere il disarmo, la chiusura di tutte le fabbriche di armi e scegliere la nonviolenza come metodo per risolvere i conflitti. E’ l’unica cosa che può consentire di evitare la catastrofe che minaccia l’intera umanità.
Non c’è più tempo. La guerra va fermata subito, sono illusorie e drammaticamente perdenti le vie “intermedie” che cercano mediazioni con chi dalla guerra trae profitti e potere. Nessuno poi si permetta di spargere lacrime di coccodrillo sui prossimi soldati che rientreranno morti in Italia. Con il voto di oggi il parlamento è il responsabile diretto di quei morti. E quei morti non saranno “eroi” o “martiri” ma solo vittime di un sistema sociale e politico che non tiene in alcun conto la vita umana e quella dell’intero universo.
Paolo e la guerra
di Pierluigi Sullo (il manifesto, 20.07.2006)
Non so che effetto abbia fatto il gesto di Paolo Cacciari - che non ha votato sulle missioni militari italiane e si è dimesso da deputato - a chi pensa che il principio e la fine di ogni cosa si trova nella politica. A me ha fatto venire in mente una notte di gennaio del 1991, quando le prime bombe cadevano su Baghdad. Luigi Pintor disse: «Ma questa non è una guerra, è un massacro». Così, il giorno dopo la prima pagina del manifesto pronunciava un’unica, grande parola: «Massacro». Voleva dire: noi siamo contro la guerra in ogni caso, per principio. Tanto che fummo accusati, da molta sinistra, di essere schierati con il papa, la cui posizione era più o meno la stessa. Devo a Paolo, che, oltre a essere un socio fondatore della cooperativa Carta, è uno dei miei amici più intimi, delle scuse. Il meglio possibile
Perché ho cercato di convincerlo che sì, l’attuale maggioranza non riesce o non vuole troncare con la menzogna della «guerra umanitaria», ma che in fondo ora ci si ritira dall’Iraq, si mette in questione Enduring freedom in Afghanistan, si costituisce un osservatorio parlamentare sulle missioni all’estero, e insomma, alle condizioni date, quel che la camera ha votato ieri è il meglio possibile. Sono, grosso modo, le parole che Paolo ha adoperato nel suo breve intervento, ieri mattina. Tutt’e due, per altro, pensiamo che i mutamenti veri non avvengano nel governo o nel parlamento: caso mai, lì si può prenderne atto. Si può, come dice Marco Revelli, «ridurre il danno della politica». A patto che fuori, nella società, si crei il clima adatto, si diffonda consapevolezza e nascano movimenti.
E’ questo ad esempio il caso dell’acqua, che il governo ha dichiarato pubblica proprio mentre «liberalizzava" questo o quell’altro». O è il caso della Val di Susa, unico luogo in Italia dove la Legge obiettivo sia stata sospesa, tanto che i sindaci della valle corrono da una parte all’altra del paese a rispondere alla domanda: «Come possiamo riuscirci anche noi?». Ed è il caso dell’Iraq, paese nel quale la permanenza dei militari italiani è stata resa impossibile dall’avversione crescente di milioni di cittadini. Dunque, era la mia conclusione, non bisogna aspettarsi troppo dalle aule parlamentari o dai ministeri. Ma solo, appunto, il «meglio possibile». Non è una scelta bizzarra
Sottovalutavo però la condizione di Paolo, iscritto a Rifondazione comunista e deputato. Per noi che siamo fuori di lì, certo, è più facile. Così, lui ha deciso di fare una di quelle scelte che appaiono, alla normalità della politica, bizzarre. Ossia arrivare alla conclusione che quel tavolo, a cui la catastrofe della guerra si è seduta come un interlocutore tra altri, andava rovesciato. Se a queste condizioni non si riesce a cambiare strada, allora sono le condizioni che vanno rifiutate. Un gesto in cui si percepisce lo straordinario candore, la limpidezza, di quella signora nera che, in tempi di segregazione razziale nel sud degli Stati uniti, decise tranquillamente di andare a sedere nei posti riservati ai bianchi. Se posso permettermi di dare un consiglio al segretario di Rifondazione comunista e al presidente della camera, eviterei di trattare quello di Paolo Cacciari come un caso individuale, una stranezza. Perché non solo ha chiarito di colpo quanto vecchia sia la contrapposizione tra chi si oppone alle guerre sbagliate in nome della guerra giusta e chi cerca appunto di «limitare il danno», ma ha parlato alle orecchie dei milioni che aspirano a un mondo di pace.
Che a compiere quel gesto sia stato un deputato di Rifondazione comunista, partito che ha scelto la nonviolenza, è un onore.
Intervista al deputato di Rc che si è dimesso Paolo Cacciari: «Non si delega la pace agli eserciti»
di Frida Nacinovich (Liberazione, 20.07.2006)
Cacciari, ci ha pensato bene? Ci ho pensato bene, è stata una scelta sofferta.
Non ne dubitiamo. Piuttosto che votare la proroga delle missioni militari italiane all’estero, si è dimesso da deputato.
La mia cultura è quella del pacifismo, della non violenza, del ripudio della guerra, mi batto contro il militarismo [...]