AFGHANISTAN, UCCISO UN MILITARE ITALIANO.
(di Vincenzo Sinapi)
Il primo maresciallo Giovanni Pezzulo avrebbe compiuto 45 anni il 25 febbraio. L’hanno ucciso oggi, in una valle maledetta a 60 chilometri da Kabul, mentre distribuiva scatoloni di viveri e vestiti. Una sparatoria durante una missione umanitaria finalizzata, anche, a cercare il consenso della popolazione. Cosa che i taleban non vogliono. E così è scattato l’agguato: c’é stata una violenta sparatoria, in cui anche l’alpino paracadutista Enrico Mercuri è rimasto ferito a una gamba. Non è grave.
L’ATTACCO - E’ avvenuto alle 15 locali, le 11:30 in Italia. I militari italiani, ricostruiscono allo Stato maggiore della Difesa, si trovavano a Rudbar, una località nella valle di Uzeebin, distretto di Surobi. E’ l’area di competenza italiana. I soldati della Task force Surobi erano impegnati in "attività di cooperazione civile e militare e sostegno sanitario alla popolazione". Dopo alcune ore - il tempo, forse, per organizzare un attacco pesante - vengono presi di mira a raffiche di kalashnikov: i ’rangers’ del reggimento Montecervino rispondono subito al fuoco. Anche gli altri sparano. Alla fine resta a terra Pezzulo, morto, mentre Mercuri viene ferito. Li portano via in elicottero all’ospedale francese di Camp Warehouse, a Kabul.
L’AVVERTIMENTO - Secondo indiscrezioni, un precedente attacco a militari italiani, una sorta di avvertimento, sarebbe avvenuto nella stessa zona una decina di giorni fa: in quel caso nessuno riportò danni. Per risalire all’ultimo attacco noto contro uno dei circa 2.350 italiani di stanza tra Kabul ed Herat bisogna però andare al 4 dicembre: a Farah, nessun ferito. L’ultima vittima è invece il maresciallo Daniele Paladini, ucciso da un kamikaze il 24 novembre. Dodici in tutto i morti italiani.
LA VITTIMA E IL FERITO - Il maresciallo Pezzulo, in servizio al Cimic Group South di Motta di Livenza (Treviso), un reparto specializzato nella cooperazione civile-militare, si occupava di assistenza umanitaria praticamente da sempre. Fin dal 1980, quando entrò nel Genio pionieri dell’Esercito. Faceva quel ’mestiere’ anche a Nassiriya, quando il 12 novembre 2003 ci fu la strage degli italiani. Sembra che fu uno dei primi soccorritori a intervenire sul posto. Originario di Carinola (Caserta), viveva con la moglie e una figlia di 18 anni ad Oderzo, in provincia di Treviso. Mercuri, 31 anni, marchigiano di Montecassiano, non è invece né sposato né fidanzato: per lui, dicono, conta adesso soprattutto la sua uniforme da ’ranger’. Vive a Bolzano, dove hanno sede gli alpini paracadutisti del Montecervino, uno dei reparti d’elite delle Forze armate italiane. E’ alla sua prima missione. "Ci ha telefonato dicendo che sta bene e che non dobbiamo preoccuparci", spiega ai giornalisti Luigi, il fratello.
IL FORTINO DI SUROBI - Pezzulo e Mercuri erano entrambi distaccati nella ’Fob’ (Forward operating base), la base operativa avanzata di Surobi, ad una trentina di chilometri ad ovest di Kabul, sulla strada per Jalalabad: un vero e proprio ’fortino’ presidiato da un centinaio di militari italiani, in una zona considerata nevralgica. Ed anche molto pericolosa. Proprio in quell’area, il 19 novembre 2001, venne uccisa l’inviata del Corriere della Sera Maria Grazia Cutuli ed altri quattro giornalisti stranieri. Questo isolato avamposto è attualmente presidiata da uomini del 185/o reggimento della Folgore e dai ’rangers’ di Bolzano. Insieme a loro ci sono i soldati del Cimic, la cooperazione civile-militare.
TALEBAN RIVENDICANO - Il fortino di Surobi è considerato dall’Isaf molto importante perché strategico per il controllo della provincia di Kapisa, dove si trovano gruppi di taleban e dove spadroneggiano gli uomini dell’ex signore della guerra Gulbuddin Hekmatyar. Un’area che viene continuamente pattugliata, anche perché lì si trova una diga con una importante centrale idroelettrica. Ma a che serve distribuire viveri e medicine? "Serve ad aiutare questa gente, che non ha niente", risponde una fonte militare. "E serve anche - aggiunge - ad acquisire consenso. L’altro giorno sono stati degli abitanti di un villaggio, durante un’operazione come quella di oggi, a segnalarci la presenza di un arsenale con 14 razzi. Tutti efficienti. Ovvio che i taleban vedono in questo la loro più pesante sconfitta". Ed infatti, la rivendicazione non tarda a venire, per bocca di uno dei tanti portavoce. In una telefonata all’Afp, Zabihullah Mujahid dice che "i taleban hanno teso un’imboscata ad una sessantina di chilometri dalla capitale ed ucciso cinque soldati americani nel distretto di Surobi". Tutto da verificare. Secondo alcune indiscrezioni, in effetti, anche soldati Usa di stanza a Kabul sarebbero intervenuti nel luogo dell’attacco, pur non restando feriti: indiscrezioni che non trovano però alcuna conferma ufficiale. E lo stesso portavoce, contattato più tardi dalla Reuters, si corregge: "era un convoglio dell’esercito italiano. Più di due soldati sono rimasti uccisi nell’attacco".
Ansa» 2008-02-16 16:46
L’ADDIO A PEZZULO, "CIAO MIO EROE"
ODERZO (TREVISO) - Lo sguardo attonito della moglie Maria e la voce fiera, rotta dal pianto, della figlia Giusy che dice "ciao mio eroe continuerò il tuo lavoro". Sono i due volti del funerale del primo maresciallo Giovanni Pezzulo, ucciso mercoledì scorso in un agguato terroristico nella valle di Uzeebin in Afghanistan mentre distribuiva generi alimentari. Pezzullo (promosso post mortem a sottotenente) era in forza al Cimic Group South di stanza alla caserma "Fiore" di Motta di Livenza (Treviso).
Alle esequie nel Duomo di Oderzo hanno partecipato in oltre un migliaio, con la città "vestita" di tricolore come aveva chiesto Giusy; bandiere che sono spuntate a sorpresa anche nelle cittadine vicine, ma anche lontano da qui, come sui trambus di Roma. A Oderzo è giunta anche una corona d’alloro del Presidente della Repubblica ed un messaggio di conforto ai familiari dal Vaticano, in cui si annuncia che Benedetto XVI pregherà per la nuova vittima del terrorismo. In chiesa autorità civili e militari - il ministro della difesa, Arturo Parisi, e il capo di stato maggiore, generale Fabrizio Castagnetti - i familiari e loro conoscenti e tanti colleghi in divisa.
In piazza, a seguire la messa sul sagrato, tutta Oderzo che ha applaudito quando è arrivata la bara di Pezzulo. Caricata a spalla da alcuni amici e colleghi, non è sfuggito il gesto di uno di loro che ha preso un lembo del tricolore che la ricopriva, per baciarlo. "Giovanni ha dato il meglio di sé consapevole che chi non ama non protegge e non difende la vita" ha detto nell’omelia il vescovo di Vittorio Veneto mons. Corrado Pizziolo. "Giovanni - ha proseguito - è rimasto vittima di un nuovo vile attentato. Ancora una volta il terrorismo, impaurito dalla solidarietà, ha manifestato il disprezzo per la vita umana". "Il grande amore per la bandiera - ha concluso - è ciò che Giovanni ci lascia come suo supremo testamento".
Poi il momento più toccante della cerimonia, quando Giusy, la figlia 18enne del maresciallo eroe è salita sull’altare, per l’ultimo saluto al papà: "non voglio ricordarti così in una bara a terra - ha detto la ragazza, tra le lacrime - anche da lontano mi facevi sentire molto amata". "Non c’eri per i miei 18 anni perché eri lontano - ha proseguito - ma mi sei stato vicino con un mazzo di rose rosse". "So quanto mi ami - ha detto ancora Giusy - e ricordo quando da piccola giocavamo a sposarmi con te". "Ora devo crescere in fretta - ha concluso - per stare vicino alla mamma, mi sento forte e sono sicura che sei tu a darmi questa forza: stammi sempre vicino". Durante la tumulazione nel cimitero di Oderzo sono risuonate le note di ’Io Vagabondo’ dei Nomadi, brano e gruppo molto amato da Pezzulo. La band dedicherà proprio al maresciallo caduto in Afghanistan il concerto di stasera a Novellara di Reggio Emilia.
Rientro in serata per la salma di Giovanni Pezzulo, i funerali sabato a Oderzo
Piccolo intervento alla gamba per il militare ferito, anche lui oggi in Italia
Maresciallo ucciso in Afghanistan
ultimo saluto a Kabul sotto la neve
A Oderzo, parla la figlia diciottenne: "Mio padre era a Kabul per portare la pace"
ROMA - "Papà era in Afghanistan per portare la pace e non è la prima volta che andava all’estero: tutti i giorni ci mandava le foto di quello che faceva con i bambini nelle scuole che ricostruivano". Sulla porta della casa di Oderzo, parla Giusy, 18 anni, figlia del maresciallo Giovanni Pezzulo, ucciso ieri in un agguato in Afghanistan. La giovane ha spiegato ai giornalisti che il padre "aveva scelto di far parte di un reparto dell’Esercito che si occupa di ricostruire, ed era orgoglioso di quello che faceva". "Aveva creduto fino in fondo al suo lavoro mettendo al servizio dello Stato e della Patria la propria vita". Poi, commossa ma apparentemente serena, esprime la speranza "che il sacrificio di papà possa contribuire a cambiare le cose. Mi farebbe piacere l’esposizione del tricolore perchè lui, ad esempio, in occasione dell’anniversario dell’attentato di Nassiriya lo metteva sempre in onore dei colleghi caduti".
E la salma del padre di Giusy tornerà questa sera in Italia. Alle 22,30 il C-130 dell’Aeronautica militare con a bordo il feretro dovrebbe atterrare a Ciampino. Il maresciallo Enrico Mercuri, ferito nello stesso attacco, sarà rimpatriato invece un’ora o due più tardi sempre con un aereo militare. Mercuri, 31 anni, ha riportato lesioni giudicate non gravi ed è stato sottoposto a un piccolo intervento alla gamba.
Questa mattina in un hangar dell’aeroporto militare di Kabul, imbiancato dalla neve, si è svolta una semplice cerimonia per l’ultimo saluto al sottufficiale ucciso ieri mentre distribuiva viveri e vestiti in un villaggio del distretto di Surobi. Nella camera ardente allestita in un deposito a ridosso della pista, il cappellano del contingente, don Marco Galanti, ha benedetto la salma. Qualche minuto di raccoglimento e poi la bara, avvolta nel tricolore, è stata portata a spalla per 500 metri lungo la pista, fino al C-130 dell’Aeronautica che questa sera riporterà Pezzulo in Italia.
Alla cerimonia hanno partecipato alcuni commilitoni del maresciallo (gli altri gli avevano reso omaggio prima a Camp Invicta, il quartier generale italiano) e i suoi comandanti: il generale Federico Bonato e il colonnello Michele Risi. C’era l’ambasciatore italiano a Kabul, Ettore Sequi, e c’erano alcuni rappresentanti stranieri di Isaf, la missione della Nato nel cui ambito il maresciallo Pezzulo si occupava di Cimic, la cooperazione civile-militare. Presente tra gli altri anche il vicecomandante della missione di polizia europea Eupol, tenente colonnello dei Carabinieri Nicola Mangialavori.
Dopo il rientro previsto questa sera a Ciampino, la salma di Pezzulo sarà presumibilmente portata nel pomeriggio di domani nella caserma Fiore di Motta di Livenza, sede del comando Cimic, dove si sta già allestendo la camera ardente. Le esequie potrebbero svolgersi sabato nel Duomo di Oderzo (Treviso), secondo fonti vicine alla famiglia.
* la Repubblica, 14 febbraio 2008
ATTACCO CONTRO ITALIANI A KABUL, 6 MORTI E 4 FERITI
ROMA - Sei militari italiani sono stati uccisi e quattro feriti in un attentato avvenuto nel pieno centro di Kabul, sulla Massoud Circle, la strada che conduce all’aeroporto della capitale afghana. Sia i morti che i feriti (questi ultimi non sarebbero in pericolo di vita) sono tutti del 186.o Reggimento Paracadutisti Folgore. Nell’attentato sono morti anche due afghani e oltre 30 civili sarebbero rimasti feriti.
Fonti della Difesa hanno reso noto i nomi dei sei militari italiani morti, le cui famiglie sono state avvisate. Si tratta del tenente Antonio Fortunato, originario di Lagonegro (Potenza); del primo caporal maggiore Matteo Mureddu, di Oristano; del primo caporal maggiore Davide Ricchiuto, nativo di Glarus (Svizzera); del primo caporal maggiore Massimiliano Randino, di Pagani (Salerno); del sergente maggiore Roberto Valente, di Napoli, e del primo caporal maggiore Gian Domenico Pistonami, di Orvieto.
Decine di veicoli hanno preso fuoco. L’attacco è stato rivendicato dai talebani ed è stato fatto - hanno riferito fonti dei ribelli ad Al Jazira - "con lo scopo di dimostrare che nessuno può considerarsi al sicuro in Afghanistan". "Sui mezzi c’erano complessivamente 10 nostri soldati. Sei sono morti", ha confermato il ministro della Difesa Ignazio La Russa intervenendo al Senato. I morti italiani sono quattro caporal maggiore, un sergente maggiore e il tenente che comandava i due blindati Lince. Due delle vittime tornavano dalla licenza. Secondo una prima ricostruzione della Difesa italiana, a provocare l’esplosione sarebbe stata un’autobomba. Due i mezzi militari - due veicoli blindati Lince - rimasti coinvolti.
L’auto carica di esplosivo è scoppiata al passaggio del primo mezzo del convoglio, uccidendo tutti e cinque gli occupanti. Danni gravi anche al secondo Lince: uno dei militari a bordo è morto e altri tre sono rimasti feriti. L’attentato è avvenuto alle 12.10 locali, le 9.40 in Italia, nei pressi della rotonda Massud, dove il traffico è rallentato per i controlli sul traffico diretto verso l’ambasciata Usa, il comando Isaf e l’aeroporto. Sui due lati delle strade sono stati distrutti case e negozi. Secondo le prime ricostruzioni, un automezzo civile (una Toyota bianca secondo quanto ha riferito in Senato il ministro della Difesa Ignazio La Russa) con a bordo i due kamikaze e con un notevole carico di esplosivo sarebbe riuscito ad infilarsi tra i mezzi prima di esplodere. Negli ultimi mesi, nonostante la massiccia presenza di forze armate internazionali, a Kabul si sono moltiplicati gli attacchi suicidi dei talebani. L’ultimo è stato l’8 settembre scorso, quando un’autobomba ha ucciso tre civili esplodendo davanti all’entrata della base aerea della Nato.
Colloquio con Gino Strada: «In Afghanistan è vera guerra. Dobbiamo ritirarci subito»
Il fondatore di Emergency: per il nostro contingente militare spendiamo ogni giorno 3 milioni di euro. Con quei soldi laggiù si potevano costruire 600 ospedali e 10mila scuole
La missione. «Basta ipocrisie, non si può usare la parola pace
Dobbiamo chiederci cosa ci stiamo a fare»
di Rachele Gonnelli (l’Unità, 18.09.2009)
Per Gino Strada il sangue non ha un colore diverso a seconda della bandiera e il dispiacere è lo stesso per i soldati italiani uccisi ieri e per tutte le altre vittime della guerra. Non riesce neppure a capire perchè la Fnsi abbia rinunciato alla manifestazione di sabato per la libertà di informazione. «Con decine di morti ogni giorno...donne, bambini...non so, dev’essere per il clima di guerra. Stiamo vivendo da anni in un clima di guerra senza dircelo, anche se solo ultimamente è passata l’ipocrisia di chiamarla “missione di pace”. Un clima che sta avvelenando la coscienza civile, creando intolleranza, criminalità verso il diverso, lo straniero, l’altro da sè. È anche questo, la guerra».
Il lascito di una casta, lo chiama. «I politici di 30 anni fa non lo avrebbero fatto in spregio della Costituzione». Il 7 novembre del 2001: «l’entrata in guerra dell’Italia decisa dal 92 percento del Parlamento italiano, il voto più bipartisan della storia della Repubblica», per puro «servilismo verso gli Stati Uniti». «Che cosa ci avevano fatto i talebani? Niente. E poi cosa avevano fatto anche agli americani?». Forse non è troppo semplice, recentemente anche negli Usa gli analisti cominciano a porsi la stessa domanda: perchè siamo lì, cosa ci stiamo a fare?. Non c’erano afghani nel commando dei terroristi delle Torri gemelle. Ma la rappresaglia di Bush scattò lì, con Enduring Freedom, il 7 ottobre. Per colpire le basi di Bin Laden, si disse. Otto anni dopo più del l’80 percento dell’Afghanistan è tornato sotto il controllo dei talebani, di Bin Laden non c’è traccia, sono morti 1.403 militari stranieri, spesi centinaia di milioni di euro e il Paese è più povero e più criminale, produce il 90 percento dell’oppio del mondo.
Dopo otto anni l’unico centro di rianimazione è quello di Emergency a Kabul, sei letti di terapia intensiva per 25 milioni di persone. Spendiamo 3 milioni di euro al giorno per la guerra. Sai cosa avremmo potuto con questi soldi in Italia per i poveri, gli emarginati, chi ha bisogno. In moneta afghana invece avremmo potuto aprire 600 ospedali e 10 mila scuole».
A Khost gli americani hanno costruito una strada, a Kajaki una diga, la Banca Mondiale lo scorso giugno ha stanziato altri 600 milioni di dollari di aiuti per la popolazione afghana...«Se si devono costruire dighe e ponti si mandino commando di ingegneri, non aerei telecomandati e bombe. Non tremila baionette, o fucili, per sostenere il dittatorello di turno». Quanto ai soldi della cooperazione internazionale, «noi non abbiamo ricevuto una lira quindi non so dice il fondatore di Emergency ma gli afghani che si lamentano, anche ora alle presidenziali, dicono che i soldi sono serviti soprattutto a ingrassare funzionari ministeriali e signorotti della guerra».
Lasciare il Paese, allora, andarsene unilateralmente o tutti insieme, e lasciare ai fanatici mujaeddin partita vinta? Non una bella prospettiva anche fosse realizzabile. «Finchè c’è l’occupazione militare ci sarà la guerra. Emergency lavora in Afghanistan da 10 anni, da tempi non sospetti. Abbiamo curato 2 milioni e 200 mila afghani, il 10 percento della popolazione. In pratica una famiglia su due, sono famiglie con centinaia di persone, ha ricevuto nostre cure. Per questo a Laskhargah non è mai stato torto un capello al nostro personale internazionale. Tutti dovrebbero porre fine a questa guerra e lasciare che gli afghani trovino la loro soluzione attraverso il dialogo, che per la verità non si è mai interrotto, tra le varie fazioni di talebani, mujaeddin e questo governo. Qual è l’obbiettivo di questa guerra?». Domanda che torna. «Le ultime due guerre internazionaliè la spiegazione di Strada sono legate ai giacimenti di gas e petrolio. In Iraq perchè ci sono, l’Afghanistan invece è sulla via di transito dal Kazakistan e dalle altre ex repubbliche sovietiche». Pipeline di sangue.
La nuova strategia McChrystal o la conferenza sull’Afghanistan, inutile parlarne con un chirurgo. Ad inquietarlo è che dei 35 feriti civili dell’attentato all’ospedale di Emergency a Kabul ne sono arrivati solo tre. Gli altri sono stati dirottati all’ospedale militare detto “dei 400 letti”, «struttura del tutto inadeguata, ma lì possono essere interrogati senza paroline dolci». ❖
Domani a Galatina i funerali del funzionario dell’Aise ucciso dai talebani
I testimoni afgani: "Un uomo coraggioso, ha salvato quattro italiani prima di essere assassinato"
Rientrata a Roma da Kabul
la salma dell’agente segreto Colazzo *
ROMA - E’ atterrato all’aeroporto di Ciampino l’aereo con a bordo la salma del funzionario dell’Aise Pietro Antonio Colazzo. Espletate le formalità di rito, una camera ardente sarà allestita presso l’ospedale militare del celio dalle 15 alle 18. Il feretro raggiungerà quindi Galatina, città di origine di Colazzo, dove domani in Duomo si terrà la cerimonia funebre. Sull’aereo militare, che era partito ieri dalla capitale afgana, anche la salma del regista francese Severin Blanchet, rimasto vittima dell’attentato. Il feretro non sarà fatto scendere e proseguirà per la Francia.
Ad accogliere la salma di Colazzo, naturalmente, i familiari, in particolare la sorella Stefania, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Gianni Letta, che ha la delega per i servizi, Massimo D’Alema, presidente del Copasir (il comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica), i vertici dei servizi, in primo luogo il generale Adriano Santini, capo dell’Aise (l’Agenzia informazioni sicurezza esterna). Presenti anche i vertici delle forze armate e di polizia. Sulla pista un picchetto interforze, che ha reso omaggio alla salma.
Colazzo è rimasto vittima di un attacco suicida sferrato dai talebani venerdì mattina nella capitale afgana Kabul, facendo 17 morti. Secondo il portavoce del ministero dell’Interno afgano Zemeri Bashary, tre kamikaze hanno partecipato all’attacco, anche se il portavoce dei talebani Zabiullah Mujahid nella sua rivendicazione ha parlato di cinque attentatori suicidi.
Colazzo era un agente dei servizi segreti italiani dell’Aise, l’agenzia informazioni e sicurezza esterna. Parlavo perfettamente il dari, la lingua locale, e prima di arrivare in Afghanistan dove ricopriva di fatto il ruolo di capo missione, era stato in Oman. Secondo quanto emerso dalle prime ricostruzioni dell’attentato, il funzionario dei servizi segreti italiani si trovava nella hall del Residence Park. Stando alle dichiarazioni del capo della polizia afgana, il generale Abdul Rahman, Colazzo sarebbe stato ucciso da alcuni colpi d’arma da fuoco mentre era al telefono con la polizia locale per informarla sulla posizione dei combattenti islamici. "Era un uomo coraggioso", ha commentato. "Stava fornendo delle informazioni grazie alle quali la polizia ha potuto evacuare sani e salvi altri quattro italiani".
* la Repubblica, 01 marzo 2010