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AFGHANISTAN. I TALEBAN RIVENDICANO. Ucciso il maresciallo Giovanni Pezzullo e ferito l’alpino Enrico Mercuri. Pezzullo e Mercuri erano entrambi distaccati nella ’Fob’ (Forward operating base), la base operativa avanzata di Surobi, ad una trentina di chilometri ad ovest di Kabul.

giovedì 14 febbraio 2008.
 
[...] In una telefonata all’Afp, Zabihullah Mujahid dice che "i taleban hanno teso un’imboscata ad una sessantina di chilometri dalla capitale ed ucciso cinque soldati americani nel distretto di Surobi". Tutto da verificare. Secondo alcune indiscrezioni, in effetti, anche soldati Usa di stanza a Kabul sarebbero intervenuti nel luogo dell’attacco, pur non restando feriti: indiscrezioni che non trovano però alcuna conferma ufficiale. E lo stesso portavoce, contattato più tardi dalla Reuters, si corregge: "era un convoglio dell’esercito italiano. Più di due soldati sono rimasti uccisi nell’attacco" [...]

Ansa» 2008-02-13 21:26

AFGHANISTAN, UCCISO UN MILITARE ITALIANO.

(di Vincenzo Sinapi)

Il primo maresciallo Giovanni Pezzulo avrebbe compiuto 45 anni il 25 febbraio. L’hanno ucciso oggi, in una valle maledetta a 60 chilometri da Kabul, mentre distribuiva scatoloni di viveri e vestiti. Una sparatoria durante una missione umanitaria finalizzata, anche, a cercare il consenso della popolazione. Cosa che i taleban non vogliono. E così è scattato l’agguato: c’é stata una violenta sparatoria, in cui anche l’alpino paracadutista Enrico Mercuri è rimasto ferito a una gamba. Non è grave.

L’ATTACCO - E’ avvenuto alle 15 locali, le 11:30 in Italia. I militari italiani, ricostruiscono allo Stato maggiore della Difesa, si trovavano a Rudbar, una località nella valle di Uzeebin, distretto di Surobi. E’ l’area di competenza italiana. I soldati della Task force Surobi erano impegnati in "attività di cooperazione civile e militare e sostegno sanitario alla popolazione". Dopo alcune ore - il tempo, forse, per organizzare un attacco pesante - vengono presi di mira a raffiche di kalashnikov: i ’rangers’ del reggimento Montecervino rispondono subito al fuoco. Anche gli altri sparano. Alla fine resta a terra Pezzulo, morto, mentre Mercuri viene ferito. Li portano via in elicottero all’ospedale francese di Camp Warehouse, a Kabul.

L’AVVERTIMENTO - Secondo indiscrezioni, un precedente attacco a militari italiani, una sorta di avvertimento, sarebbe avvenuto nella stessa zona una decina di giorni fa: in quel caso nessuno riportò danni. Per risalire all’ultimo attacco noto contro uno dei circa 2.350 italiani di stanza tra Kabul ed Herat bisogna però andare al 4 dicembre: a Farah, nessun ferito. L’ultima vittima è invece il maresciallo Daniele Paladini, ucciso da un kamikaze il 24 novembre. Dodici in tutto i morti italiani.

LA VITTIMA E IL FERITO - Il maresciallo Pezzulo, in servizio al Cimic Group South di Motta di Livenza (Treviso), un reparto specializzato nella cooperazione civile-militare, si occupava di assistenza umanitaria praticamente da sempre. Fin dal 1980, quando entrò nel Genio pionieri dell’Esercito. Faceva quel ’mestiere’ anche a Nassiriya, quando il 12 novembre 2003 ci fu la strage degli italiani. Sembra che fu uno dei primi soccorritori a intervenire sul posto. Originario di Carinola (Caserta), viveva con la moglie e una figlia di 18 anni ad Oderzo, in provincia di Treviso. Mercuri, 31 anni, marchigiano di Montecassiano, non è invece né sposato né fidanzato: per lui, dicono, conta adesso soprattutto la sua uniforme da ’ranger’. Vive a Bolzano, dove hanno sede gli alpini paracadutisti del Montecervino, uno dei reparti d’elite delle Forze armate italiane. E’ alla sua prima missione. "Ci ha telefonato dicendo che sta bene e che non dobbiamo preoccuparci", spiega ai giornalisti Luigi, il fratello.

IL FORTINO DI SUROBI - Pezzulo e Mercuri erano entrambi distaccati nella ’Fob’ (Forward operating base), la base operativa avanzata di Surobi, ad una trentina di chilometri ad ovest di Kabul, sulla strada per Jalalabad: un vero e proprio ’fortino’ presidiato da un centinaio di militari italiani, in una zona considerata nevralgica. Ed anche molto pericolosa. Proprio in quell’area, il 19 novembre 2001, venne uccisa l’inviata del Corriere della Sera Maria Grazia Cutuli ed altri quattro giornalisti stranieri. Questo isolato avamposto è attualmente presidiata da uomini del 185/o reggimento della Folgore e dai ’rangers’ di Bolzano. Insieme a loro ci sono i soldati del Cimic, la cooperazione civile-militare.

TALEBAN RIVENDICANO - Il fortino di Surobi è considerato dall’Isaf molto importante perché strategico per il controllo della provincia di Kapisa, dove si trovano gruppi di taleban e dove spadroneggiano gli uomini dell’ex signore della guerra Gulbuddin Hekmatyar. Un’area che viene continuamente pattugliata, anche perché lì si trova una diga con una importante centrale idroelettrica. Ma a che serve distribuire viveri e medicine? "Serve ad aiutare questa gente, che non ha niente", risponde una fonte militare. "E serve anche - aggiunge - ad acquisire consenso. L’altro giorno sono stati degli abitanti di un villaggio, durante un’operazione come quella di oggi, a segnalarci la presenza di un arsenale con 14 razzi. Tutti efficienti. Ovvio che i taleban vedono in questo la loro più pesante sconfitta". Ed infatti, la rivendicazione non tarda a venire, per bocca di uno dei tanti portavoce. In una telefonata all’Afp, Zabihullah Mujahid dice che "i taleban hanno teso un’imboscata ad una sessantina di chilometri dalla capitale ed ucciso cinque soldati americani nel distretto di Surobi". Tutto da verificare. Secondo alcune indiscrezioni, in effetti, anche soldati Usa di stanza a Kabul sarebbero intervenuti nel luogo dell’attacco, pur non restando feriti: indiscrezioni che non trovano però alcuna conferma ufficiale. E lo stesso portavoce, contattato più tardi dalla Reuters, si corregge: "era un convoglio dell’esercito italiano. Più di due soldati sono rimasti uccisi nell’attacco".


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