di Giovanni Sarubbi (www.ildialogo.org, Mercoledì, 24 maggio 2006)
Gli Stati Uniti si stanno preparando alla guerra nucleare contro l’Iran. Secondo il sito Indian Country Today è in programma, per il prossimo 2 giugno in Nevada, nel poligono nucleare che si trova in quella che era la terra del popolo Shoshone, un esperimento denominato "Divine Strake". Verrà effettuata l’esplosione di una bomba di 700 tonnellate.
L’esperimento dovrebbe servire a verificare gli effetti della esplosione delle bombe atomiche denominate "mini nuke", che hanno per l’appunto una potenza pari a 700 tonnellate equivalenti di tritolo, che gli USA vogliono usare contro i siti nucleari iraniani.
La denominazione data all’operazione la dice lunga su che cosa ispiri la politica del presidente BUSH, che si sente investito da un "compito divino", tanto che il termine "divino" viene usato con grande disinvoltura per definire le cose più turpi. Il termine "strake", usato per indicare l’esplosione, viene usato in navalmeccanica e aeronautica per indicare una particolare conformazione del fasciame delle navi o degli aerei, che hanno il compito di "generare vortici", per rendere stabili gli aerei o le navi. L’espressione "divine strake" potrebbe così tradursi con "vortice divino" , e la dice lunga sullo scopo delle armi che verranno sperimentate.
Gli Shoshone, che da tempo si battono contro l’uso del loro territorio a fini militari, hanno dichiarato, e come non essere d’accordo con loro!, che non c’è nulla di divino in una esplosione di quelle che i tecnici chiamano "massive conventional bomb\". Quella del 2 giugno prossimo sarà la più grande esplosione non nucleare mai effettuata. Finora la bomba convenzionale più grande era cosiddetta MOAD (GBU-43 Massive Ordnance Air Blast bomb) del peso di circa nove tonnellate, fra l’altro usata anche in Iraq.
Segnaliamo l’urgenza di opporsi a tale esperimento. Riportiamo di seguito il link con i siti degli indiani Western Shoshone e dei giornali americani che si oppongo agli esperimenti nucleari o non nucleari che siano, per l’evidente distruzione dell’ambiente che ne derivano.
Western Shoshone Defense Project (wsdp.org)
Shundahai Network
Dedicated to Breaking the Nuclear Chain (shundahai.org)
Shundahai is a Newe (Western Shoshone) word meaning "Peace and Harmony
with all Creation"
http://www.indiancountry.com
http://www.indymedia.no
(www.ildialogo.org/editoriali, Mercoledì, 24 maggio 2006)
Il gendarme planetario
di Antonio Cassese (la Repubblica, 11 gennaio 2007).
L’attacco statunitense contro i presunti terroristi in Somalia è assai grave. E ciò non solo perché, come ha osservato il ministro D’Alema, costituisce una misura unilaterale politicamente deprecabile e destinata ad accrescere l’instabilità di quella zona del mondo. E’ grave anche perché contrario alle regole del diritto internazionale. Le autorità di Washington si difendono affermando di aver previamente ottenuto il consenso del presidente somalo Yusuf. Ma, a parte l’esilissima rappresentatività di Yusuf, il consenso ad Usare la forza non può mai giustificare l’uccisione di persone, di cui peraltro solo l’intelligence americana ci dice trattarsi di terroristi: altrimenti ogni Stato potrebbe permettere ad un altro Stato di massacrare i propri cittadini (perché, ad esempio, oppositori politici). Il consenso del presidente Yusuf poteva al più autorizzare gli Usa ad usare la forza per catturare i presunti terroristi e consegnarli alle autorità somale o ad organi internazionali, perché venissero processati.
L’azione statunitense dei giorni scorsi costituisce in realtà il punto di approdo di una svolta preoccupante nell’azione degli Usa contro il terrorismo. Negli anni 80 Washington correttamente seguiva la via maestra della "risposta penale", nel lottare contro terroristi stranieri: chiedeva allo Stato che li ospitava di arrestarli e poi estradarli, perché fossero sottoposti a processo negli Usa. Se quello Stato si rifiutava di consegnare i presunti terroristi, gli Usa agivano in seno al Consiglio di sicurezza dell’Onu per adottare sanzioni contro lo Stato recalcitrante. E’ ciò che avvenne con i libici autori dell’attentato di Lockerbie, che alla fine Gheddafi, per far cessare le sanzioni, consegnò, perché venissero processati. Non che gli Usa si attenessero in tutto e per tutto alle regole internazionali. Ad esempio, in qualche caso usarono illegittimamente la forza sull’alto mare per arrestare un presunto terrorista arabo (Yunis); ma il fine era quello, poi conseguito, di sottoporlo a processo negli Usa. Insomma, all’epoca non venivano praticate le extraordinary renditions di oggi (usate per catturare illegittimamente stranieri perché forniscano informazioni, anche sotto tortura). Le violazioni del diritto internazionale erano limitate e comunque dirette a permettere che i presunti terroristi venissero processati in America. Inoltre, in vari casi Washington ricorse a missili e bombe in risposta ad attentati terroristici: ma quegli attacchi furono rivolti contro Stati, colpevoli secondo Washington di ospitare nel proprio territorio organizzazioni terroristiche: nel 1986 gli Usa bombardarono la Libia per l’attentato alla discoteca di Berlino; nel 1993 Clinton fece inviare missili contro Bagdad per punire l’Iraq di aver preparato un attentato contro Bush padre. Si era già in notevole misura al di fuori del diritto internazionale, ma almeno l’azione era interstatuale, cioè rivolta contro Stati come tali, e non volta a soppiantare completamente la "risposta penale".
La svolta si ebbe nel 1998, quando, a seguito degli attentati contro le ambasciate americane in Kenya e Tanzania, Clinton autorizzò l’invio di missili contro terroristi in Sudan e in Afghanistan. Gli Usa si trasformarono così in gendarmi planetari, che ritengono di intervenire dovunque nel mondo, uccidendo terroristi o distruggendone le basi. In Sudan venne colpita una fabbrica che secondo Washington produceva armi chimiche (e invece sembra producesse solo farmaci); in Afghanistan si sperava di uccidere Bin Laden (che invece la fece franca). A partire da allora l’azione violenta, volta sic et simpliciter all’uccisione, in qualsiasi parte del mondo, di coloro che Washington considera pericolosi terroristi, si sostituisce del tutto alla "risposta penale". La debolissima protesta degli Stati contro gli attacchi americani del 1998, e poi gli attentati dell’11 settembre 2001, spiegano in certa misura come gli Usa oggi si ritengano legittimati ad agire contro i terroristi all’estero, al di fuori dei canali della giustizia e del diritto internazionale.
L’unico modo per cercare di indurre Washington a rientrare nei canali della "risposta penale" è quello di protestare con forza - come ha fatto D’Alema - contro questa pericolosa deriva, nella speranza che si torni al multilateralismo, il mezzo migliore per cercare anche soluzioni politiche al grave problema del terrorismo.