Comunicato stampa della Tavola della pace*
Guerra in Medio Oriente
Non possiamo tollerare che si ripeta la vergogna dei Balcani e del Ruanda
In questi giorni si sta ripetendo in Medio Oriente quanto già accaduto all’inizio degli anni ’90 nei Balcani e in Ruanda, quando i più potenti fra gli stati membri dell’ONU ne ritardarono l’indispensabile ruolo e, successivamente, lo resero inefficace incrinando la credibilità della massima organizzazione mondiale.
Mentre in Medio Oriente si sta consumando una strage di civili e di ora in ora si aggrava una nuova catastrofe umanitaria, nonostante la corale invocazione della società civile e di alcune leadership politiche illuminate, alcuni Stati stanno impedendo la rapida messa in opera di una forza di interposizione e stabilizzazione delle Nazioni Unite.
L’Italia e l’Unione Europea devono rompere gli indugi e adottare subito una decisione formale di “azione comune” ai sensi dell’art.14 del Trattato sull’Unione Europea, con la quale mettere a disposizione delle Nazioni Unite le sue capacità militari e civili da impegnare per la forza di interposizione delle Nazioni Unite da inviare nel sud del Libano e nella Striscia di Gaza.
Questa decisione dovrebbe porre i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu di fronte alle loro responsabilità e far cessare l’attuale pretestuoso, scandaloso tergiversare di cui stanno dando prova alcuni stati.
L’Italia e l’Europa non possono tollerare che si ripeta la vergogna dei Balcani e del Ruanda. L’Europa non può tollerare il ritorno alla barbarie.
L’Italia e l’Europa debbono agire con determinazione per mettere l’Onu, una volta per tutte, nella condizione di esercitare con tempestività ed efficacia il ruolo di garante della pace, dei diritti umani e della sicurezza internazionale.
Confidiamo nel coraggio del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, il quale, dopo aver denunciato la mancata assunzione di responsabilità dell’UE negli anni passati, ne reclama oggi il ruolo attivo di operatrice di pace e sicurezza nel quadro delle Nazioni Unite e della legalità internazionale dei diritti umani.
Flavio Lotti e Grazia Bellini, coordinatori nazionali della Tavola della pace
Perugia, 21 luglio 2006
www.ildialogo.org/appelli, Venerdì, 21 luglio 2006
Israele si prepara all’invasione Prime fosse comuni per i morti Il 26 a Roma un summit internazionale*
L’Esercito israeliano richiama migliaia di riservisti alla frontiera con il Libano: altri 3mila soldati dopo i 6mila richiamati il 12 luglio scorso. Una decisione che appare come la chiara premessa ad una massiccia invasione via terra del sud del Paese, dove già si svolgono intensi combattimenti fra reparti e commando della fanteria israeliana e i guerriglieri hezbollah che hanno costruito nella zona una vasta rete di gallerie sotterranee. «È possibile che nei prossimi giorni le nostre operazioni a terra si estendano», conferma il generale di brigata Alon Friedman, citato dal quotidiano Maariv, mentre il comandante in capo delle truppe di terra israeliane, generale Banny Gantz, dal canto sottolinea che i raid aerei non bastano.
Di fronte all’escalation, per la prima volta il governo di Beirut, con un intervento del ministro della difesa Elias Murr ha risposto alle minacce israeliane affermando che in caso di invasione, «l’esercito libanese resisterà, difenderà il paese e dimostrerà che si tratta di un esercito degno di rispetto», perché «l’unione del sangue è più forte delle confessioni, delle religioni o delle convinzioni». Il leader di Hezbollah Nasrallah, apparso in una intervista trasmessa dalla televisione al Jazira, ha sottolineato che «il mondo intero non riuscirà a liberare i due soldati prigionieri se non attraverso negoziati indiretti nel quadro di uno scambio»
Intanto, mentre sul fronte della diplomazia internazionale si intensificano gli sforzi per fermare la crisi e viene annunciata un summit internazionale a Roma per il 26 luglio, i bombardamenti non si fermano. Dall’avvio delle operazioni militari israeliane in Libano, lo scorso 12 luglio, oltre 300 persone sono morte nel Paese dei cedri (30% dei quali bambini) ed i feriti sono quasi un migliaio. Sul fronte sud della «guerra contro il Libano» - come il quotidiano cristiano L’Orient-Le Jour non ha esitato a definirla, intitolandoci un’intera pagina di agghiaccianti fotografie -, si cominciano ormai a scavare fosse comuni per seppellire decine di vittime civili dei devastanti bombardamenti israeliani, che l’ospedale di Tiro, travolto dal continuo afflusso di cadaveri, non riesce più a conservare.
Anche sul fronte israeliano ci sono vittime. Fra mercoledì e giovedì sono stati uccisi quattro soldati. Un altro è morto nella collisione fra due elicotteri. Dieci giorni di bombardamenti a tappeto non sembrano insomma aver inciso sulla capacità di Hezbollah di lanciare razzi sul territorio israeliano. Ancora nella giornata di venerdì ne sono piovuti almeno 15 su Haifa. Una ventina i feriti, due dei quali sarebbero molto gravi.
Ma è nel LIbano che la situazione umanitaria ormai è ai limiti. Il sud del Paese resta inaccessibile anche alle agenzie umanitarie che hanno ribadito a Ginevra l’appello per un accesso alle popolazioni colpite dalle ostilità ed in particolare le decine di migliaia di sfollati. La situazione umanitaria sta peggiorando, secondo le Nazioni Unite. A causa delle ampie distruzioni delle infrastrutture pubbliche (ospedali, scuole, strade, ponti, depositi di carburante e porti) le operazioni di assistenza umanitaria sono difficili e si stima che a Beirut resti benzina per soli altri tre giorni. «Abbiamo bisogno di passaggi sicuri per trasportare e distribuire gli aiuti», ha affermato il Programma alimentare mondiale (Pam) che in Libano assume il coordinamento della logistica per conto delle Nazione Unite. Secondo il Pam, il Libano non è autosufficiente dal punto di vista alimentare (importa il 90 % dei cereali necessari) e si stima che le scorte alimentari presenti nel paese siano sufficienti per un periodo che varia da uno a tre mesi. Tuttavia, i gravi danni alle infrastrutture, la crescente insicurezza, la chiusura di molti negozi e la rapida crescita dei prezzi rendono difficile l’accesso al cibo. I prezzi di alcuni beni alimentari sono cresciuti del 400% a Beirut e del 50% altrove.
Droga e viagra, così si finanzia Hezbollah
Gli Hezbollah, da buoni libanesi, hanno il senso del commercio. E con l’obiettivo di aiutare la «resistenza armata» trafficano in tutto. Partite di cocaina in Sudamerica, gemme in Africa, sigarette negli Stati Uniti, false griffe in Europa. Ma il prodotto che non ti aspetteresti è il Viagra: pillole taroccate, probabilmente pericolose per chi le assume. La storia del Viagra non è una bugia per «sporcare» l’immagine dura e pura del partito di Dio libanese. E’ vera ed è emersa nei mesi scorsi durante una indagine federale negli Usa. Un gruppo di libanesi, da tempo residenti tra Carolina del Nord e Michigan, avevano messo in piedi una redditizia attività di contrabbando destinata - in parte - ad alimentare il budget dell’Hezbollah.
Fonti diplomatiche stimano in 250 milioni di dollari il bilancio ufficiale del movimento, un tesoro garantito da cospicui finanziamenti iraniani. Almeno 10 milioni di dollari al mese. In realtà c’è il sospetto che il giro d’affari abbia dimensioni planetarie. Un piccolo impero economico su cui non tramonta mai il sole.
Il primo pilastro dell’apparato è nella famosa Triplice frontiera, la zona racchiusa dai confini di Paraguay, Brasile e Argentina. Nella cittadina paraguayana di Ciudad del Este, l’Hezbollah gestisce scuole, centri islamici e commerci. Un finanziere d’assalto brasiliano di origini libanesi ha inviato almeno 50 milioni di dollari alla guerriglia ottenendo una lettera di ringraziamento da parte del segretario Hassan Nasrallah.
A Ciudad vendono smerciati prodotti contraffatti - borse, profumi, elettronica, cd musicali -, riciclano denaro, raccolgono soldi nella folta comunità araba (almeno 20 mila persone). I negozi dai nomi arabi diventano una buona copertura e una base per militanti in trasferta.
Esiste - secondo gli 007 argentini - un sistema di comunicazione via Internet che lega la colonia paraguayana al quartier generale in Libano. Un accogliente santuario dove sciiti e sunniti vanno d’accordo in nome del guadagno. Infatti elementi pro-iraniani convivono con estremisti egiziani della Jamaa e della palestinese Hamas, anche loro impegnati nella raccolta della zakat (l’offerta).
Il modello ha funzionato e l’Hezbollah lo ha riprodotto. Attivisti libanesi hanno aperto imprese di import/export all’Isola Margaritas in Venezuela, in Cile, in Ecuador, a Panama, in Guayana. I luoghi preferiti sono le cittadine a cavallo delle frontiere, dove poliziotti distratti e un intenso passaggio favoriscono gli imbrogli. Nei paesi della droga emissari Hezbollah trattano droga con i cartelli locali. La polizia ecuadoriana ha smantellato di recente una organizzazione che guadagnava un milione di dollari a spedizione e destinava il 70% ai militanti.
Oltre il Rio Grande, negli stati centrali degli Usa, l’Hezbollah è più discreto. Oltre al Viagra, traffica in latte in polvere e sigarette, quest’ultime comprate in una riserva indiana. Una rete che operava tra Detroit e Charlotte ha frodato il fisco per 20 milioni di dollari. Quanti ne sono finiti all’Hezbollah? L’Fbi non ha una risposta, però ha accertato un legame operativo con Imad Mugnyeh, a lungo responsabile dell’apparato clandestino e oggi numero tre nella lista dei super-ricercati. Le cellule americane, oltre a commerciare, hanno il compito di acquistare materiale paramilitare: visori notturni, apparati radio, abbigliamento, telefoni satellitari, sistemi Gps. I mediatori legati all’Hezbollah si sono fatti un nome in altri due settori.
Il recupero crediti e le pietre preziose. Una grande società del tabacco britannica avrebbe chiesto aiuto ai militanti per recuperare un grosso credito in Iran. Operazione pagata con un ricco assegno per la intermediazione. Non meno aggressiva l’attività in Africa. Alcuni tra i più spregiudicati mercanti di gemme sono di origine libanese e appartengono alla comunità sciita. C’è il fondato sospetto che promuovono la raccolta di «tasse rivoluzionarie» in favore dell’Hezbollah e versino loro stessi un obolo alla causa. I libanesi finiti sotto accusa si difendono sostenendo che si tratta di normali attività economiche, perfettamente legali. E altri aggiungono che i fondi inviati a Beirut sono spesi nel vasto apparato sociale composto da asili, mense, scuole, ambulatori gestito dall’Hezbollah. Provare che i dollari finiscono all’ala combattente non sempre è facile. Ma il sospetto è legittimo.
Guido Olimpio, Corriere della Sera, 22 luglio 2006
Ascoltate na donna libanese che fa capire il cuore del conflitto:
http://www.youtube.com/watch?v=-sL54rHPwqA