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TIBET E CINA. Lhasa in fiamme, numerose persone morte negli scontri. L’esercito assedia i monasteri. Il Dalai Lama esprime la sua preoccupazione e denuncia: "E’ in atto un genocidio culturale" - a cura di pfls

NEPAL CHIUDE EVEREST PER PASSAGGIO FIAMMA OLIMPICA
domenica 16 marzo 2008.
 


-  Tibet, il governo in esilio
-  "Ci sono almeno 80 morti"
-  Ancora tensione a Lhasa,
-  nuovi scontri nel Sichuan dove
-  migliaia di monaci si confrontano
-  con le forze di sicurezza cinesi

11:12 A Lhasa caccia ai rivoltosi, casa per casa, e 200 veicoli militari

In attesa della scadenza dell’ultimatum di Pechino perchè i rivoltosi si consegnino senza condizioni, la polizia cinese sta setacciando tutte le case di una zona di Lhasa, nei pressi del Potala Palace, dove il Dalai Lama ha vissuto prima di essere costretto ad andare in esilio 49 anni fa. A mostrare le immagini della caccia all’uomo - mentre in città sono entrati 200 veicoli militari, ognuno a bordo dei quali ha tra 40 e 60 soldati - è stata la televisione Hong Kong Cable.

11:08 Cina: nella provincia del Sichuan uccisi tre manifestanti

Le proteste dei tibetani dilagano oltre Lhasa, nella provincia cinese di Sichuan, al confine con il Tibet; e purtroppo le proteste fanno registrare anche in Cina delle vittime. Lo hanno riferito fonti locali. Almeno tre tibetani sono rimasti uccisi dagli spari della polizia, in seguito alle proteste scoppiate nella provincia del Sichuan, una delle quattro province cinesi al confine con la regione himalayana del Tibet.

10:50 "No al boicottaggio delle Olimpiadi"

Il Dalai Lama ha rifiutato di lanciare un appello per il boicottaggio dei giochi olimpici che si terranno in Cina in estate e che da più parti è stato auspicato dopo la repressione delle manifestazioni in Tibet. Nel corso di una conferenza stampa a Dharamsala, in India, trasmessa dalle televisioni, il capo spirituale dei buddhisti ha aggiunto che è al momento "impossibile l’armonia nella zona".

"L’autonomia - secondo il Dalai Lama - può preservare sia l’ambiente che la cultura in Tibet" e ha aggiunto che i tibetani sono un "capro espiatorio" e sono trattati "come cittadini di seconda classe".

10:30 Il Dalai Lama: "E’ in atto un genocidio culturale"

In Tibet c’è uno "stato di terrore" ed è in atto "un genocidio culturale". Il Dalai Lama da Dharamshala, in India, usa parole molto forti per condannare le violenze in atto in queste ore a Lhasa. La massima autorità spirituale ha chiesto un’inchiesta internazionale per appurare cosa sia realmente accaduto. Secondo il Premio Nobel per la Pace, nella regione himalayana è in atto "una discriminazione sistematica" e "i tibetani nella propria terra sono trattati da cittadini di seconda classe". Ed ha poi aggiunto: "a Lhasa erano oltre 50 mila, oggi si sono ridotti a tre mila, per l’arrivo massiccio di cinesi" - la Repubblica, 16.03.2008, parziale - cliccare sulla zona rossa


TIBET, SANGUE E VIOLENZA A LHASA IN RIVOLTA

(di Beniamino Natale) *

Lhasa è in fiamme. La polizia militare, intervenuta in forze per mettere a tacere le proteste ha sparato sui manifestanti, monaci e laici tibetani, ferendone un numero imprecisato. Secondo l’emittente Radio Free Asia "almeno due persone" (una ragazza di 16 anni e un monaco) sono rimaste uccise. Testimoni hanno detto all’Ansa di aver visto persone in borghese su delle automobili sparare sulla folla, e hanno descritto strade "piene di sangue".

La stessa agenzia Nuova Cina - ma solo nella sua edizione in inglese - ha confermato che "ci sono dei feriti, che sono stati ricoverati in ospedale" dopo che testimoni avevano riferito di aver udito numerosi colpi di arma da fuoco. Le proteste sono iniziate intorno alle dieci locali della mattina, quando centinaia di monaci del piccolo monastero di Ramoche, nel centro di Lhasa e non lontano dal Barkor, la passeggiata sacra che gira intorno al tempio di Jokhang, hanno dato vita ad una manifestazione inneggiando al Dalai Lama, il loro leader spirituale che vive in esilio dal 1959. Testimoni hanno raccontato che erano presenti pochi agenti di polizia, che non sono riusciti ad impedire a numerosi civili di unirsi ai monaci. Il grosso delle forze della polizia militare - il corpo addetto al controllo dell’ordine pubblico - è arrivato intorno alle 11:30, sparando gas lacrimogeni e attaccando i manifestanti con bastoni.

Alcuni dei presenti hanno reagito e presto i disordini si sono estesi al vicino mercato di Tromisikhang, dove sono stati attaccati e dati alle fiamme negozi appartenenti ai cinesi. Le fiamme si sono presto estese ad altre parti del mercato. Le violenze sono proseguite almeno fino alle 16:30 locali, secondo testimoni. Anche due automobili della polizia militare sono state rovesciate e date alle fiamme. L’ondata di proteste, la più estesa dal 1989, quando l’allora segretario del Partito Comunista del Tibet e oggi presidente cinese Hu Jintao impose la legge marziale, è iniziata lunedì scorso, con una manifestazione nel monastero di Drepung, pochi chilometri fuori dalla città. In questa occasione ci sarebbero stati decine di arresti. Il giorno dopo sono stati i monaci di Sera, un altro monastero poco fuori dalla capitale, a dare vita ad una mafestazione di protesta nel centro di Lhasa, nei pressi del Barkor.

Lunedì 10 marzo, anniversario della rivolta anticinese del 1959 che si concluse con la fuga in India del Dalai Lama, proteste si sono verificate anche nelle aree a maggioranza tibetana delle province del Gansu e del Qinghai (la regione che i tibetani chiamano Amdo). Attivisti della Free Tibet Campiagn riferiscono che "alcuni" lama di un altro monastero, quello di Sera, sono da ieri in sciopero della fame per chiedere la liberazione dei loro compagni arrestati nei giorni scorsi. Due monaci sarebbero in gravi condizioni dopo aver tentato di suicidarsi. I monasteri di Sera, Drepung e Ganden, centro delle proteste dei giorni scorsi, sono circondati dalla polizia militare, aggiungono i testimoni. Le voci sulla dichiarazione dello stato d’ emergenza, che circolano da alcune ore, non sono state confermate. Gli incidenti non potrebbero avvenire in un momento peggiore per la Cina.

Mancano 147 giorni all’apertura delle Olimpiadi di Pechino, che avrebbero dovuto segnare la "pacificazione" tra la Cina e il resto del mondo dopo il massacro di studenti del 1989 a piazza Tiananmen. Tutti i leader delle province - compresi quelli della Regione Autonoma del Tibet - sono a Pechino per partecipare all’Assemblea Nazionale del Popolo che nei prossimi giorni deve eleggere il nuovo governo. L’Unione Europea ha chiesto a Pechino di "trattenersi" nella repressione della rivolta, mentre Usa e Gb hanno sottolineato che la Cina "deve rispettare" la cultura tibetana. Dal suo esilio di Dharamsala, in India, il Dalai Lama ha chiesto alla Cina di "rinunciare all’ uso della forza" e ai suoi compatrioti di ricorrere solo a proteste pacifiche. La Cina ha occupato il Tibet nel 1950. Trattative tra il Dalai Lama - che ha 72 anni ed ha ricevuto il premio Nobel per la pace nel 1979 a riconoscimento del suo impegno per la non-violenza - ci sono state all’ nizio degli anni Ottanta quando a Pechino era al potere il riformista Hu Yaobang. Dopo il fallimento di quel tentativo, i contatti sono stati interrotti fino al 2002, quando è iniziata una tornata di incontri che si è conclusa con un nulla di fatto nel 2006. Poco dopo, la propaganda cinese ha lanciato pesanti accuse al leader tibetano, tra cui quella di aver fatto assassinare almeno quattro oppositori e di essere stato un promotore della setta giapponese Aum Shirikyo, responsabile di attentati che hanno causato la morte di decine di persone.

APPELLO DALAI LAMA, PRIME FOTO DEGLI SCONTRI Si è fatta sentire anche la voce del Dalai Lama, esiliato in India, nella giornata che ha contato le prime vittime degli scontri in corso da alcuni giorni in Tibet tra la popolazione che protesta contro l’occupazione cinese e le forze dell’ordine di Pechino. Il leader spirituale dei buddhisti tibetani e capo del governo tibetano in esilio, ha fatto "appello alle autorità cinesi, affinché smettano di usare la forza e indirizzino il risentimento a lungo covato dal popolo tibetano verso il dialogo con il popolo tibetano stesso.

Nello stesso tempo esorto i miei compatrioti tibetani a non fare ricorso alla violenza". Per il Dalai Lama, che ha affidato il duo doloroso appello ad un comunicato stampa, "queste proteste dimostrano il profondo risentimento della gente del Tibet verso l’attuale governo. Come ho sempre detto, l’unità e la stabilità ottenuti dalla violenza bruta possono al massimo essere una soluzione temporanea. E’ irrealistico aspettarsi unità e stabilità sotto un simile governo e questo non contribuirà a trovare una soluzione pacifica e durevole".

Il leader tibetano, da sempre portavoce della richiesta del suo popolo di ottenere per il Tibet una piena autonomia sotto il controllo cinese (non indipendenza dal governo di Pechino, ha sempre sottolineato) non ha rilasciato altre dichiarazioni dai suoi uffici di Mc Leodgaji, il quartiere amministrativo nei pèressi di Dharamsala, a nord di New Delhi, dove ha sede il governo tibetano in esilio. In giornata hanno cominciato a circolare anche le prime fotografie degli scontri in Tibet. Sui cellulari e nelle caselle di posta elettronica di attivisti tibetani in India, sono arrivate foto scattate con i cellulari. Oltre agli incendi a Lhasa, le foto mostrano immagini di monaci che sfilano con la bandiera tibetana per le vie di Labrang, sede di uno dei più importanti monasteri buddhisti.

Manifestanti civili, sempre a Labrang sono stati fotografati mentre protestano dinanzi ad uffici governativi, mentre altre foto mostrano la polizia cinese schierata e alcune auto bruciate. Le proteste tibetano non hanno avuto molta eco sui media indiani, che le hanno relegate in fondo ai notiziari, nonostante proprio qui si sia stabilito nel 1959 il Dalai Lama in fuga da Lhasa. La stessa polizia indiana tiene in prigione sia le 36 donne che tre giorni fa a New Delhi hanno manifestato dinanzi all’ambasciata cinese, sia un centinaio di attivisti che stanno tentando di portare avanti la ’Marcia del ritorno’ in Tibet e che sono stati condannati a 14 giorni di carcere. Comunque anche la protesta e il dissenso indiani viaggiano sui cellulari e sul web. Molti gli sms che chiedono di partecipare alla campagna pro-Tibet. Nessuna protesta oggi in Nepal, altro paese dove sono migliaia gli esuli tibetani. Ma il governo di Kathmandu, accogliendo una richiesta da Pechino, ha deciso di chiudere gli accessi all’Everest in occasione del passaggio della fiaccola olimpica, dall’1 al 10 maggio.

USA CONDANNA VIOLENZE, CINA RISPETTI ALTRE CULTURE Gli Stati Uniti hanno espresso oggi "rammarico" per la violenza in Tibet ed hanno richiamato la Cina al "rispetto della cultura tibetana". "La Cina deve rispettare la cultura tibetana e deve rispettare il carattere multietnico della sua società", ha detto il portavoce della Casa Bianca Gordon Johndroe. "Esprimiamo rammarico per le tensioni tra i gruppi etnici e Pechino", ha aggiunto Johndroe. Il portavoce ha ricordato che il presidente George W. Bush "ha sempre detto che Pechino deve dialogare con il Dalai Lama". Gli Stati Uniti hanno tolto pochi giorni fa la Cina dalla lisat nera dei paesi responsabili delle peggiori violazioni dei diritti umani. Nello stesso tempo avevano sottolineato che le autorità di Pechino stanno continuando a violare tali diritti e numerose libertà di base.

NEPAL CHIUDE EVEREST PER PASSAGGIO FIAMMA OLIMPICA

KATHMANDU - Il Nepal ha annunciato oggi che chiuderà per una decina di giorni in maggio, su richiesta della Cina, l’accesso alla cima dell’Everest quando passerà la fiamma olimpica. Ciò per impedire che l’appuntamento sportivo diventi occasione per manifestazioni a sostegno dei tibetani.

La decisione è stata presa il giorno dopo l’esplosione di violenza a Lhasa, capitale del Tibet, e mentre i tibetani in esilio in Idia a in Nepal stanno manifestando contro la "repressione cinese". "Le spedizioni di alpinisti non saranno autorizzate a lasciare il campo base nepalese dell’Everest tra il primo e il 10 maggio", ha dichiarato il ministro del Turismo nepalese, Prithvi Subba Gurung. La più alta montagna del mondo è accessibile dal Tibet, a nord, e dal Nepal, a sud. "Abbiamo ricevuto dalla Cina la richiesta che nessuno sia sulla montagna quando passerà la fiamma olimpica sull’Everest - ha spiegato il ministro nepalese - e noi non vogliamo che il Nepal venga strumentalizzato da un movimento separatista".

ANSA»» 2008-03-14 19:20


-  Tesa la situazione dopo giorni di proteste da parte dei monaci
-  Decine di arresti, alcuni feriti. La polizia usa i lacrimogeni e circonda i monasteri

-  Incendi, spari e morti a Lhasa
-  L’appello del Dalai Lama alla Cina

-  La guida spirituale dei tibetani esprime la sua preoccupazione
-  Gli Usa chiedono formalmente a Pechino di "dare prova di moderazione"

PECHINO - Il Tibet brucia nell’anno delle Olimpiadi di Pechino. La Cina accusa "la cricca del Dalai Lama di aver fomentato la folla". Un monaco e una ragazza di sedici anni sarebbero morti durante gli scontri.

Lhasa è da giorni teatro di disordini, in coincidenza del 49esimo anniversario della rivolta contro il dominio cinese. Per le strade della capitale si spara, la polizia ha usato lacrimogeni e ci sono numerosi morti e feriti, secondo quanto ha detto il centro per le emergenze mediche della capitale del Tibet. Alcuni testimoni hanno riferito che la polizia ha aperto il fuoco per disperdere i manifestanti scesi nuovamente in piazza contro Pechino.

’’C’è concitazione riguardo ai feriti. Ce ne sono davvero tanti. Alcuni sono morti, ma non so dire quanti’’, ha spiegato un funzionario del centro per le emergenze mediche. Radio Free Asia, citando alcuni testimoni, ha riferito che almeno due persone sono rimaste uccise a Lhasa.

L’appello del Dalai Lama. Profonda preoccupazione è stata espressa dal Dalai Lama, la guida spirituale dei buddisti. Ha rivolto un appello alle autorità cinesi affinché rinuncino all’uso della "forza bruta". "Queste proteste - ha sottolineato la guida spirituale tibetana - sono una manifestazione del radicato risentimento del popolo tibetano sotto l’attuale governo. Mi appello ai dirigenti cinesi perché smettano di usare la forza e affrontino tale risentimento attraverso il dialogo con il popolo tibetano. Come ho sempre detto, l’unità e la stabilità ottenuti dalla violenza bruta possono al massimo essere una soluzione temporanea. E’ irrealistico aspettarsi unità e stabilità sotto un simile governo e questo non contribuirà a trovare una soluzione pacifica e durevole".

Il governo cinese gli ha risposto attraverso un comunicato della Regione Autonoma del Tibet: "Abbiamo prove sufficienti per dire che il recente sabotaggio a Lhasa è stato organizzato, premeditato e diretto dalla cricca del Dalai Lama -si legge sull’agenzia Xinhua - "le violenze, inclusi pestaggi, saccheggi e incendi hanno scombussolato l’ordine pubblico e messo a repentaglio la vita e la proprietà della gente".

Washington ha condannato il comportamento del governo di Pechino: manifestando "rammarico" per le violenze in Tibet, la Casa Bianca ha "richiamato" la Cina al rispetto della cultura tibetana. L’ambasciatore statunitense a Pechino, Clark Randt, ha chiesto inoltre formalmente al governo cinese di "dare prova di moderazione" in Tibet e di non fare ricorso alla forza, ha riferito il portavoce del Dipartimento di Stato, Sean McCormack.

Le testimonianze. "C’è fumo dappertutto e si sentono colpi d’arma da fuoco" ha detto un residente che parlava dalle vicinanze del Jokhang, un grande tempio nel centro della capitale. Di spari hanno parlato anche cittadini americani, come ha riferito l’ambasciata americana a Pechino.

Il mercato di Tromisikhang, dove ci sono negozi appartenenti a cinesi, tibetani e musulmani cinesi hui, è in fiamme. "La situazione è molto pericolosa, nelle strade i tibetani attaccano i cinesi" ha detto un altro testimone. Anche alcune auto della polizia sono state incendiate.

La polizia ha impedito oggi con la forza ai monaci del monastero di Ramoche di tenere una manifestazione. Attivisti della Free Tibet Campaign riferiscono che alcuni monaci di un altro monastero, quello di Sera, sono da ieri in sciopero della fame per chiedere la liberazione dei loro compagni arrestati nei giorni scorsi, che sarebbero decine.

I monasteri di Sera, Drepung e Ganden, al centro delle proteste dei giorni scorsi, sono circondati dalla polizia militare. Circolano voci sulla dichiarazione dello stato d’emergenza, che però non sono state confermate.

Da giorni Lhasa ospita le proteste dei monaci, le più imponenti degli ultimi vent’anni. Secondo Radio Free Asia decine di persone sono state arrestate anche oggi. Manifestazioni di monaci e civili tibetani, che inneggiavano al Dalai Lama, il leader spirituale del Tibet che vive in esilio dal 1959, si sono svolte questa settimana anche in aree a maggioranza tibetana nelle province cinesi del Qinghai e del Gansu. Il dissenso preoccupa gravemente Pechino, che ha cercato in tutti i modi di evitare simili proteste in vista dell’appuntamento dei Giochi Olimpici.

* la Repubblica, 14 marzo 2008


TIBET, MESSNER ISSA LA BANDIERA SUL CASTELLO (la Repubblica)


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