MYANMAR: ATTIVISTI PER DEMOCRAZIA AL TIMES, COMBATTEREMO FINO ALLA MORTE
Londra, 6 ott. - (Adnkronos) - "Combatteremo fino alla nostra o alla loro morte". E’ questo il grido, disperato e determinato, lanciato da due attivisti birmani per la democrazia, che hanno contattato il Times di Londra dal loro nascondiglio nello stato meridionale birmano di Mon. "Abbiamo bisogno di un grande aiuto da parte della comunita’ internazionale, ma non ci arrenderemo" - affermano Myint Htoo Aung e la signora Khaind - "al momento ci hanno costretto a nasconderci, ma quando verra’ il momento ricominceremo, ancora e ancora, fino a quando non se ne saranno andati. Combattiamo da 20 anni per la democrazia. Forse verra’ domani, forse fra cinque anni, forse fra altri 20".
La giunta militare: "Rilasciati 404 dei 513 monaci arrestati"
Onu, una dichiarazione di condanna della "violenta repressione" in Birmania
RANGOON - Un progetto di dichiarazione che condanna la repressione condotta dalla giunta birmana contro i manifestanti: è quello che Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia, i tre membri permanenti occidentali del Consiglio di sicurezza dell’Onu, stanno facendo circolare, una proposta alla quale aderiscono anche gli altri membri del Consiglio di sicurezza. Una condanna della "repressione violenta condotta dal governo birmano contro le manifestazioni pacifiche, attraverso l’uso della forza contro personalità e istituzioni religiose".
La notizia è stata diffusa all’indomani della riunione del Consiglio di sicurezza al Palazzo di vetro, durante la quali l’ambasciatore americano l’ambasciatore americano Zalmay Khalilzad ha ipotizzato la presentazione di una risoluzione con sanzioni (l’embargo delle armi, ad esempio) mentre il collega italiano Marcello Spatafora ha chiesto il "pieno accesso" a tutti i detenuti per le organizzazioni dei diritti umani.
Ed è di oggi anche la notizia, diffusa dalla giunta militare birmana, secondo la quale sarebbero stati rilasciati 404 dei 513 monaci arrestati a partire dal 26 settembre scorso. Lo riporta il quotidiano "La Nuova Luce del Myanmar", organo ufficiale della dittatura militare. Sarebbero state rilasciate, si legge, anche le 30 donne arrestate nelle retate scattate in 18 monasteri buddisti durante la sanguinosa repressione del movimento di protesta pacifica guidato dai monaci.
Disattivati di nuovo, durante il coprifuoco notturno, i collegamenti internet, che avevano ripreso a funzionare ieri sera. La giunta birmana ha disattivato la scorsa settimana il principale collegamento internet al fine di limitare il più possibile le comunicazioni con il mondo esterno per tenerlo all’oscuro della repressione contro le manifestazioni pacifiche dei monaci.
(la Repubblica, 6 ottobre 2007)
BIRMANIA: LE MANIFESTAZIONI NEL MONDO (la Repubblica, 27.09.2007)
LA PROTESTA DEGLI STUDENTI (l’Unità, 27.09.2007)
LA REPRESSIONE DEI MILITARI (l’Unità, 28.09.2007)
BIRMANIA, LE IMMAGINI SFUGGITE ALLA CENSURA (la Repubblica).
15:48 La giunta militare si difende
La giunta militare birmana respinge le accuse della comunità internazionale di una sanguinosa repressione delle manifestazioni pacifiche nel Myanmar. Alcuni diplomatici stranieri convocati nella nuova capitale Naypyidaw dal viceministro degli Esteri hanno riferito che è stato loro assicurato che il "governo è impegnato a dare prova di moderazione nella sua risposta alle provocazioni". Le fonti diplomatiche hanno riferito che la giunta militare ha condannato i manifestanti, accusandoli di essere guidati da "elementi distruttivi interni e esterni" e che proprio per fare chiarezza sulle responsabilità, visto che il governo "si sente chiaramente frainteso" sono stati "convocati al ministero".
15:26 Almeno cinque morti
Sarebbero almeno cinque i morti, tra cui il fotoreporter giapponese Kenji Nagai, 50 anni, dell’agenzia video giapponese APF. Altre fonti parlano di nove morti. Un altro fotoreporter straniero, con al polso un braccialetto con la bandiera degli Stati Uniti, è rimasto ferito e la sua videocamera sequestrata
15:20 Sit-in a Roma e Milano di Amnesty International
La sezione italiana di Amnesty International ha indetto due sit-in a Roma e a Milano: domani nella capitale dalle 17.30 di fronte all’ambasciata del Myanmar, in via della Camilluccia 551, e sabato a Milano, dalle 16.30 in piazza della Scala
14:53 Usa: "Fermate le violenze"
Appello degli Usa al governo birmano: "Fermate le violenze contro i manifestanti. Il governo del Myanmar non deve
ostacolare le aspirazioni del suo popolo alla liberta" ha detto il portavoce della casa Bianca Gordon Johndroe.
14:48 Voci di una nuova vittima, sarebbe un giornalista ucciso
Sarebbe di nazionalità tedesca il secondo fotoreporter che sarebbe stato ucciso a Yangon a seguito della repressione della polizia contro i manifestanti. Lo riferisce l’agenzia di stampa tedesca Dpa, secondo cui a identificarlo sarebbero state le autorità locali.
14:17 Gruppo ribelle dei Karen lancia appello ad altre etnie
Un gruppo ribelle dell’etnia minoritaria dei Karen ha dato oggi il suo sostegno al movimento di protesta contro la giunta militare birmana, e ha lanciato un appello a tutte le altre etnie perchè si uniscano contro i generali al potere. L’Unione nazionale Karen (Knu) - principale gruppo della guerriglia contro la giunta - ha condannato la violenta repressione di Yangon. Il Knu conduce una lotta armata da 57 anni e attualmente controlla vasti territori nell’est del Myanmar.
13:35 Spari contro i manifestanti
La tensione non accenna ancora a calare a Yangon. I soldati hanno nuovamente sparato colpi di avvertimento contro 10.000 manifestanti nelle vicinanze del centro della ex capitale. Il quartiere dove i birmani si sono di nuovo radunati non è lontano dal luogo dove stamane aveva preso avvio una manifestazione ancora più numerosa, dispersa poi con cariche e colpi di avvertimento, mentre centinaia di manifestanti venivano stati arrestati.
13:12 I militari sparano ancora
I militari birmani hanno di nuovo aperto il fuoco contro i dimostranti nel quartiere di Tamwe, alla periferia di Yangoon, dove si erano diretti dopo la repressione nel centro dell’ex capitale birmana
* la Repubblica, 27.09.2007 (ripresa parziale)
MYANMAR, IN 300 MILA CONTRO IL REGIME - LE FOTO (LA REPUBBLICA, 24.09.2007).
(26 settembre 2007)
Le proteste nate da una repressione pluridecennale.
L’analisi di Federico Rampini, inviato di Repubblica,
che da poco ha lasciato il paese
(Audio raccolto da Federica Paris, Radio Capital)
Myanmar, la protesta continua
ora in piazza anche le monache *
YANGON (Myanmar) - Sono in migliaia, non hanno intenzione di fare marcia indietro, anzi, è una sollevazione popolare che conquista maggior favore col passare delle ore. Nuova giornata - la settima - di protesta in Myanmar, ex Birmania, contro la giunta militare al potere da 45 anni. Ieri, il colpo di scena con l’apparizione di Aung Suu Kyi, la leader dell’opposizione birmana e Nobel per la pace, ai domiciliari da dodici anni, che ha salutato i manifestanti dalla sua casa-prigione. Oggi, almeno 20 mila persone sono tornate in piazza a Yangon (ex Rangoon), una manifestazione guidata ancora una volta dai monaci buddhisti, motore della sollevazione. Nel Paese asiatico non si tengono più elezioni dal 1990, quando la Lnd - il partito della Suu Kyi - vinse in maniera schiacciante, e i vertici militari ripresero il potere con la forza annullando i risultati della consultazione.
Circa 5000 manifestanti si sono radunati nella Pagoda d’Oro di Shwedagon, il principale tempio del Paese, per pregare ed esprimere pacificamente il loro dissenso nei confronti del regime. Nel giro di un’ora, però, la folla è quadruplicata di numero, e la metà erano, appunto, monaci. Per la prima volta, poi, alle proteste si sono unite anche un centinaio di monache. Insieme ai religiosi, hanno preso la testa di un enorme corteo che si è riversato nelle vie del centro della vecchia capitale birmana, fino a raggiungere e circondare un altro importante luogo sacro, la Pagoda di Sule.
Altro avvenimento finora inedito dall’inizio delle marce contro il governo: i monaci hanno esplicitamente invitato gli abitanti a dare loro man forte. "Stiamo marciando per il popolo - cantavano in coro i religiosi, uomini e donne - vogliamo che il popolo venga con noi". Una protesta innescata dall’improvviso rincaro dei prezzi dei carburanti, che hanno colpito indiscriminatamente la popolazione di uno degli Stati più poveri al mondo, tanto che molti non hanno più nemmeno la possibilità di prendere un autobus, il mezzo di trasporto più diffuso in città.
L’atmosfera, comunque, è calma, e le forze dell’ordine non accennano a intervenire. Un segno, questo, della cautela con cui il regime sta cercando di gestire una situazione sempre più difficile, con un approccio quindi ben diverso dalla sanguinosa repressione che stroncò la rivolta del 1998. Sempre ogggi, nel frattempo, altri 500 monaci hanno inscenato un raduno di protesta a Mandalay, la seconda città del Myanmar, manifestando nel centrale quartiere di Payagyi.
* la Repubblica, 23 settembre 2007
Il premio nobel per la pace agli arresti domiciliari da 12 anni ha abbracciato idealmente la manifestazione contro il regime
Myanmar, San Suu Kyi esce e saluta i bonzi
I monaci sfilano davanti alla casa-prigione
Le manifestazioni degli oppositori alla dittatura militare vanno avanti da cinque settimane *
YANGON - Si è liberata in un pianto e per un quarto d’ora ha salutato i monaci che sfilavano. Restando all’interno del compound della sua residenza a Yangon, dove è agli arresti domiciliari da 12 anni, Aung Suu Kyi, leader dell’opposizione birmana e premio nobel per la pace, ha voluto partecipare in questo modo alla marcia pacifica dei monaci contro il regime militare che affligge il Myanmar da oltre quarant’anni.
Sei giorni di marcia. La marcia che sta facendo tremare il regime militare dell’ex Birmania va avanti ormai 6 giorni. "Abbiamo visto Aung Suu Kyi uscire dalla sua casa. Indossava una camicia gialla. E quando è comparsa la folla ha iniziato a urlare ’Lunga vita a Aung Suu Kyi’", hanno riferito alcuni testimoni. La leader dell’opposizione non ha potuto rivolgersi direttamente ai manifestanti, ma è uscita in compagnia di due donne e si è messa a piangere salutando i monaci a distanza. Il corteo ha potuto raggiungere eccezionalmente la residenza di Suu Kyi che solitamente è isolata dalle forze dell’ordine.
Cinque settimane di manifestazioni. Da cinque settimane sono in corso manifestazioni pacifiche contro la giunta militare sono in atto in Myanmar. La storia dell’ex Birmania è segnata da colpi di stato e sorde lotte tra generali fin dalla sua indipendenza, raggiunta nel gennaio 1948. Durante la Seconda Guerra Mondiale Aung San e un gruppo di nazionalisti noti come ’I 29 compagni’, si unirono alle forze giapponesi. L’esercito nazionalista costruito con l’aiuto del Sol Levante rovesciò le alleanze nel 1945 e aiutò gli alleati anglo-americani a raggiungere la capitale, che allora si chiamava Rangoon (il nome del paese fu cambiato nel 1989 da Birmania in Myanmar e la capitale fu ribattezzata Yangon). Ma, subito dopo la proclamazione dell’indipendenza, e prima ancora che la Costituzione entrasse in vigore, Aung San e buona parte dei suoi ministri furono uccisi da assassini rimasti ignoti in una mattanza nel palazzo del governo.
Il colpo di stato militare. I primi anni di indipendenza furono caratterizzati dagli scontri violenti tra l’esercito, composto in maggioranza da birmani, e le minoranze etniche degli Shan, dei Karen e dei Mon. L’esercito cominciò ad intervenire in politica nel 1958 e il suo sempre maggiore impegno sfociò nel colpo di stato del 1962, che portò al potere Ne Win. Il dittatore, morto nel dicembre 2002, lanciò il cosidetto "socialismo birmano", una sorta di autarchia statale che portò il paese al disastro economico. La protesta popolare, guidata dagli studenti di Yangon, scoppiò nel 1988 e fu repressa in un massacro nel quale si ritiene siano state uccise un migliaio di persone.
Aung San Suu Kyi, leader dell’opposizione. Fu nel corso delle proteste seguite al massacro che Aung San Suu Kyi emerse come leader dell’opposizione democratica. Un mese dopo il massacro, nel settembre del 1988, i militari deposero Ne Win. Altre migliaia di persone furono uccise e diecimila studenti trovarono rifugio all’estero, in maggioranza nella vicina Thailandia.
Due anni di legge marziale. Dopo due anni di legge marziale, la giunta organizzò le elezioni ma si rifiutò di accettarne il risultato, che aveva visto la Lega Nazionale per la Democrazia di Suu Kyi conquistare 392 dei 485 seggi del Parlamento. Con l’eccezione dei due anni dal 2000 al 2002 - nei quali però le fu impedito di muoversi liberamente per il paese - Aung San Suu Kyi è rimasta agli arresti domiciliari.
La protesta dei monaci. Negli ultimi giorni i monaci buddisti - che già avevano partecipato ad una sollevazione nel 1988 - si sono messi alla testa di marce e manifestazioni contro la giunta. Il 6 settembre centinaia di bonzi hanno tenuto in ostaggio per sei ore 20 funzionari locali a Pakokku.
IN "PARADISO" (CON DANTE - 2021), NEL CIELO DI MARTE.... *
MISSIONE DI INGENUITY. “Questo è solo il primo grande volo" (MiMi Aung).
Marte, un successo il volo del drone-elicottero Ingenuity
La prima immagine, in bianco e nero
di Redazione ANSA *
E’ stato un successo il volo su Marte del drone-elicottero Ingenuity della Nasa: è la prima dimostrazione della possibilità del volo controllato su un pianeta diverso dalla Terra e apre nuovi scenari per il futuro dell’esplorazione marziana.
Nella notte gli ingegneri del Jet Propulsion Laboratory (Jpl) della Nasa avevano inviato i comandi per il volo al drone-elicottero per le 9,31 italiane di oggi e più di tre ore più tardi i dati sono arrivati a Terra.
Il centro di controllo ha ricevuto anche la prima immagine, in bianco e nero. L’ha scattata lo stesso drone, catturando la sua ombra sul suolo marziano durante il volo di circa 40 secondi nel quale si è sollevato di tre metri. L’immagine è stata scattata dalla telecamera di bordo che in modo autonomo ha tracciato il suolo durante il volo. Anche il rover Perseverance ha ripreso il volo di Ingenuity, in un breve video inviato al centro di controllo della missione.
Il segnale è stato trasmesso da Ingenuity al rover Perseverance, che il 3 aprile scorso aveva rilasciato il drone sulla superficie marziana, dopo averlo portato con sé nel lungo viaggio dalla Terra; dal rover il segnale è stato trasmesso alla sonda della missione Mars 2020 che si trova nell’orbita marziana, che poi lo ha inviato sulla Terra.
Il volo di Ingenuity è avvenuto in modo completamente automatico. Come previsto è durato circa 40 secondi e il drone si è sollevato di circa tre metri, per atterrare sulle sue quattro zampe. Quindi il veicolo si è messo a riposo per ricaricare le batterie.
Altri voli in programma
“Questo è solo il primo grande volo", ha detto la responsabile della missione di Ingenuity, MiMi Aung, paragonando la portata del primo volo di un drone-elicottero su un altro pianeta a quella del primo volo dei fratelli Wright. Un’analogia che la Nasa ha sottolineato da subito, considerando che a bordo del drone c’è un piccolo frammento di tela dell’ala dell’aereo dei fratelli Wright.
Ulteriori dati e nuove immagini del primo volo di Ingenuity sono attesi nell’arco dei prossimi tre giorni marziani, ognuno dei quali dura circa 40 minuti in più rispetto al giorno terrestre. Sulla base di questo materiale, rileva la Nasa, si prevede di organizzare un secondo volo sperimentale non prima del 22 aprile. Se il drone elicottero supererà anche questo secondo test, il gruppo di lavoro responsabile della missione metterà a punto le caratteristiche ottimali per ulteriori voli.
* ANSA, 20 aprile 2021 (ripresa parziale).
Nota:
#PianetaTerra #DANTE2021. #DivinaCommedia: nel V #Cielo, quello di #Marte (Paradiso XIV, 101-123: "Come distinta da minori e maggi /lumi biancheggia tra ‘ poli del mondo / Galassia sì, che fa dubbiar ben saggi; / sì costellati facean nel profondo /Marte quei raggi il venerabil segno/ che fan giunture di quadranti in tondo.. E come giga e arpa, in tempra tesa /di molte corde, fa dolce tintinno / a tal da cui la nota non è intesa, /così da’ lumi che lì m’apparinno /s’accogliea per la croce una melode / che mi rapiva, sanza intender l’inno").
FLS
Analisi.
Myanmar, ancora i militari al potere. L’incognita San Suu Kyi
Il ritorno al potere dei militari può difficilmente sorprendere chi segue abitualmente le vicende dell’ex Birmania, oggi Myanmar. Con ogni probabilità si chiariranno presto meglio le loro ragioni...
di Stefano Vecchia (Avvenire, lunedì 1 febbraio 2021)
Il ritorno al potere dei militari può difficilmente sorprendere chi segue abitualmente le vicende dell’ex Birmania, oggi Myanmar. Con ogni probabilità si chiariranno presto meglio le loro ragioni e intenzioni, ma di fatto, quel potere che hanno detenuto apertamente per quasi mezzo secolo dal 1962 al 2011 terrorizzando la popolazione, incarcerando o decimando gli oppositori e aggredendo senza piegarle le minoranze etniche che rivendicavano identità e diritti, non lo hanno mai lasciato.
La pretesa, oggi, di essere intervenuti a salvaguardia della Costituzione fa emergere con chiarezza le loro intenzioni, dato che quella in vigore è una Carta scritta da essi, fatta approvare con un referendum-farsa mentre era in corso un ciclone che a inizio maggio 2008 costò al Paese 140mila morti e dispersi, semplicemente poneva nell’incertezza e nel ricatto qualunque parlamento o governo si fosse succeduto dopo la “restituzione” ai civili del potere dal 2011.
Proprio il rischio dopo la vittoria straripante dei rivali della Lega nazionale per la democrazia che lo scorso novembre ha lasciato solo 33 seggi contro 396 ai gruppi associati agli interessi delle forze armate, dell’avvio di un percorso di modifica della Costituzione per togliere loro le prerogative maggiormente negative per una democrazia reale, tra cui il 25 per cento dei seggi loro garantiti e quindi del diritto di veto, hanno spinto all’azione. Un’azione che avevano anticipato o almeno prospettato da quando avevano denunciato brogli durante le elezioni, chiesto un ricalcolo dei voti e poi - vista l’impossibilità di ottenere soddisfazione - avevano rilanciato il loro ruolo “costituzionale”.
Altri elementi possono avere incentivato una mossa che nasconde pesanti rischi, a partire da sanzioni internazionali già annunciate verso i generali golpisti e una reazione interna che potrebbe svilupparsi nelle prossime ore o giorni con una eventuale repressione.
Anzitutto il rischio per gli uomini in divisa che la Premio Nobel per la Pace, Aung San Suu Kyi, riferimento ancora per la Lega, potesse riappropriasi in pieno di un ruolo non solo politico e ministeriale ma anche ideale di un popolo che in essa ha creduto per un ventennio e che ne ha fatto simbolo della lotta nonviolenta per la democrazia. Il suo prestigio internazionale, appannato per non avere saputo opporsi alla persecuzione con sfumature di genocidio dei musulmani Rohingya nell’Arakan (Rakhine), si è indebolito, ma la democrazia birmana non ha al momento un sostituto credibile.
Proprio le pressioni internazionali sui militari per la persecuzione dei Rohingya potrebbero essere state un altro elemento che ha convinto all’azione la leadership militare (o almeno la parte meno dialogica e più connessa con i vasti interessi economici che le forze armate mantengono in tante aree del Paese, a partire da quelle di confine abitate da minoranze, come appunto l’Arakan). Con un ruolo probabilmente cinese, con ogni probabilità ufficialmente di mediazione con l’obiettivo di garantire a Pechino la continuità della sua Belt and Road Initiative, ma dove giocano pure la necessità di garantirsi lo sbocco verso i “mari caldi” e di supremazia strategica verso la vicina India che la democrazia birmana, per quanto fragile e bisognosa di sostegno in infrastrutture, commerci e aiuti, gli finora sostanzialmente negato.
Myanmar.
La caduta di Suu Kyi, Bruxelles le ritira il Premio Sakharov
Troppi silenzi sui crimini contro i Rohingya, il Parlamento Ue sconfessa l’ex paladina dei diritti umani
di Redazione Esteri (Avvenire, giovedì 10 settembre 2020)
Da paladina dei diritti umani a negazionista dei crimini contro i Rohingya. La parabola politica di Aung San Suu Kyi, per decenni leader dell’opposizione in Myanmar e attualmente consigliere speciale di Stato e ministro degli Esteri del suo Paese, non è piaciuta al Parlamento europeo che ha deciso di escluderla dalla comunità delle personalità insignite del Premio Sakharov. I suoi silenzi, l’avere accettato le violenze e gli abusi commessi nei confronti della minoranza musulmana hanno a dir poco indignato gli eurodeputati che oggi hanno voluto prendere le distanze rispetto al 1990, quando Strasburgo decise di conferirle il premio Sakharov per la libertà di pensiero. Un riconoscimento che viene conferito ogni anno per onorare le personalità e le associazioni che lottano per la difesa dei diritti umani.
I presidenti dei gruppi politici all’Europarlamento nel corso della consueta riunione settimanale hanno deciso di escluderla formalmente dalla Comunità dei vincitori del Premio Sakharov e da tutte le attività legate ad esso. La decisione - ha riferito l’Eurocamera - sancisce la sua inazione e la sua accettazione dei crimini in corso contro la comunità Rohingya. Una mossa, la prima di questo tipo nella storia del Parlamento Ue, che ha un valore non solo simbolico, ma anche pratico. La comunità del Premio Sakharov mette infatti in contatto deputati, vincitori e società civile per aumentare la cooperazione sulle azioni per i diritti umani a Bruxelles e in tutto il mondo. Agisce come un canale di comunicazione che consente ai vincitori e al Parlamento di affrontare congiuntamente le violazioni dei diritti umani e le questioni correlate.
La vita politica di Suu Kyi è contraddistinta da diversi momenti spartiacque. Un anno dopo avere ricevuto il Premio Sakharov per aver incarnato la lotta per la democrazia del suo Paese, le viene assegnato il Premio Nobel per la Pace, che ha potuto ritirare di persona solo anni dopo perché rinchiusa agli arresti domiciliari. Il suo diventa un caso internazionale che la porterà negli anni seguenti alla liberazione e alla carriera
politica. Un cambio di passo che non piace a molti dei suoi antichi sostenitori che cominciamo a prenderne le distanze, criticandola per le sue posizioni sui Rohingya, minoranza che i birmani considerano una minaccia per la loro identità nazionale.
A difesa dei Rohingya sono scesi in campo numerosi Paesi e leader politici, istituzioni e organizzazioni internazionali, dalla Corte penale internazionale fino al Parlamento europeo che con varie risoluzioni ha preso posizione contro la loro persecuzione.
Papa Francesco incontra Aung San Suu Kyi: ’Il futuro del Myanmar sia la pace’.
La leader birmana ha affermato che l’incontro con Francesco rimarca "la nostra fiducia nel potere e nella possibilità di pace".
di Redazione ANSA *
YANGON (MYANMAR). E’ durato 23 minuti il colloquio privato tra il papa e il ministro degli Esteri e Consigliere diplomatico del Myanmar Aung San Suu Kyii, nella sala del Corpo diplomatico del palazzo presidenziale della capitale Nay Pyi Taw.
Papa ha detto ad autorità e Corpo diplomatico del Paese che "il futuro del Myanmar deve essere la pace, una pace fondata sul rispetto della dignità e dei diritti di ogni membro della società, sul rispetto di ogni gruppo etnico e della sua identità, sul rispetto dello stato di diritto e di un ordine democratico che consenta a ciascun individuo e ad ogni gruppo, nessuno escluso, di offrire il suo legittimo contributo al bene comune. L’arduo processo di costruzione della pace e della riconciliazione nazionale - ha proseguito Francesco - può avanzare solo attraverso l’impegno per la giustizia e il rispetto dei diritti umani. La giustizia - ha concluso - è volontà di riconoscere a ciascuno ciò che gli è dovuto", e queste intuizioni hanno portato a creare l’Onu e a concepire la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.
Aung San Suu Kyi ha affermato che l’incontro con il Papa, (nel palazzo presidenziale della capitale, prima in privato e poi con un discorso della "Signora", ndr), "rimarca la nostra fiducia nel potere e nella possibilità di pace". Ha citato la crisi del Rakhine (dove sono i musulmani "rohingya", ndr); ha incluso il Papa tra quei "buoni amici" il cui "sostegno allo sforzo di pacificazione" ha un valore "inestimabile". Per Aung San Suu Kyi la crisi dei musulmani del Rakhine - che si chiamano "rohingya" ma che i birmani, il governo, i militari e le altre etnie chiamano "bengali del Rakhine" - si è trasformata in un grande problema, tanto che secondo alcuni osservatori negli attacchi dell’agosto scorso a postazioni militari del Rakhine, attacchi ad opera dell’esercito di liberazione dei rohingya, ci sarebbe il disegno destabilizzante proprio dei militari, contro la leader democratica e la sua opera di integrazione delle minoranze. Incontrando pubblicamente il Papa nel palazzo presidenziale della capitale Nay Pyi Taw, la ministra degli Esteri del Paese ha affrontato con determinazione non solo la questione del Rakhine, ma le sfide del Paese che deve uscire da decenni di dittatura militare. In questo percorso, ha annoverato il Papa tra i "buoni amici", citando anche le relazioni diplomatiche che Myanmar e Santa Sede hanno allacciato lo scorso maggio. Sono un nuovo inizio, ha detto, ma per le persone della mia generazione sono anche la conferma di antichi legami. La leader democratica ha ricordato di aver iniziato gli studi in una scuola cattolica, quella dei francescani, e ha ringraziato per il contributo della Chiesa alla storia e in prospettiva al futuro del Paese. Ha parlato in inglese, (queste note si basano su una traduzione non ufficiale, ndr), ma ha pronunciato due frasi in italiano: "Grazie per essere arrivato qui da noi" e "continuiamo a camminare insieme con fiducia". Ha anche citato il messaggio di papa Francesco per la Giornata mondiale della pace del 2017, le Beatitudini del discorso della montagna, che, ha detto la "Signora", sono anche una sfida per i governanti e un programma politico.
Lo staff del generale Min Aung Hlaing, che ieri ha incontrato papa Francesco nell’arcivescovado di Yangon insieme ad altri sei militari, ha fatto sapere tramite "Facebook" che nel colloquio tra il Pontefice e il generale, che è capo dell’esercito del Myanmar, il generale ha fatto presente che nel Paese "non c’è persecuzione religiosa né discriminazione religiosa".
Aung San Suu Kyi ministro degli Esteri
Unica donna del nuovo governo
di Redazione ANSA ROMA 22 marzo 2016
Aung San Suu Kyi è stata nominata ministro degli Esteri del nuovo governo birmano. Lo riferiscono i media internazionali. Il Premio Nobel per la Pace è anche l’unica donna in un esecutivo DI Htin Kyaw, composto da 18 ministri.
Myanmar, il trionfo di Suu Kyi: oltre il 70% nelle elezioni
La dissidente premio Nobel per la pace avrebbe la maggioranza necessaria per formare il governo e diventare premier.
L’attuale partito al potere ammette la sconfitta *
YANGON - Una vittoria travolgente dopo anni di prigionia e opposizione silenziosa. La premio Nobel per la pace birmana Aung San Suu Kyi si avvia a diventare il primo ministro di Myanmar dopo le prime elezioni libere in 25 anni nel paese asiatico da sempre sottoposto a regime militare. Aung invita ancora alla prudenza sostenendo che "è troppo presto per festeggiare". Ma i membri del suo partito, Lega Nazionale per la Democrazia, hanno annunciato di essere certi di aver conquistato il 70% dei voti.
Se il dato trovasse conferma Suu Kyi avrebbe la maggioranza necessaria per formare il governo e diventare premier. La soglia è del 67% dei voti considerando che alla giunta militare è riservato un 25% dei seggi). Valutazioni di fonte democratica indicano una vittoria con oltre l’80% in diverse aree urbane, mentre attorno al 65% in quelle rurali e in stati etnici, come quelli Mon e Kayin. Nessuna conferma finora dalla commissione elettorale, anche se in giornata sono attesi i primi risultati, ma la Lega nazionale per la democrazia avrebbe conquistato la maggioranza nella maggiore città del paese, Yangon, e in importanti centri, come Mandalay e Bago, roccaforti del partito per l’unione, la solidarietà e lo sviluppo erede del regime militare durato dal 1962 al 2010.
VIDEO - Myanmar, San Suu Kyi: "Credo proprio che abbiamo vinto"
Il presidente dell’Usdp, il partito del presidente birmano Thein Sein, ha ammesso la sconfitta e ha aggiunto che accetterà il risultato delle elezioni, le prime libere in 25 anni. "Abbiamo perso", ha dichiarato Htay Oo. Lo spoglio delle schede è ancora in corso e non sono stati annunciati risultati ufficiali, ma i primi dati ancora parziali indicano un ampio margine di vittoria per la Lega Nazionale per la Democrazia della ’pasionaria’ birmana. "Dobbiamo capire le ragioni per cui abbiamo perso", ha aggiunto, Htay Ooo, stretto alleato del presidente Thein Sein. "In ogni caso accettiamo il risultato senza alcuna riserva". Htay Oo si è detto inoltre sorpreso dell’entità della sconfitta subita nella sua circoscrizione, a Hinthada, nel delta della regione, considerata la roccaforte del sostegno di base al partito. "Non me l’aspettavo perché avevamo fato tantissimo per le genti di quella regione. In ogni caso è una decisione del popolo".
1. MAESTRE. AUNG SAN SUU KYI: DISCORSO TENUTO NELLA SALA DEL CONSIGLIO COMUNALE DI BOLOGNA IL 30 OTTOBRE 2013 *
Signora presidente, signor sindaco, consiglieri, ospiti, signore e signori, sono davvero lieta di essere qui oggi per ricevere la Cittadinanza onoraria di Bologna. La Presidente nel suo intervento ha detto di avere letto una mia citazione in cui esprimevo parole di amore verso l’Italia, dicevo di essere platonicamente innamorata dell’Italia. Non so se questo amore e’ davvero platonico, comunque e’ tangibile e credo che oggi la vostra testimonianza ne sia una maggiore conferma. Quindi grazie davvero per questa calorosa accoglienza. Grazie anche al professor Sofri, quando ha detto nel suo discorso che io non sono mai stata sola. Queste stesse parole me le ha dette anche il Dalai Lama, che in un incontro mi disse che io non ero mai stata sola e non lo saro’ mai, perche’ la mia lotta per la pace e per la liberta’ e’ una lotta condivisa da moltissime persone in tutto il mondo. E questo senso di condivisione, di aspirazione agli stessi valori e’ quello che mi ha dato la forza di andare avanti, e che ha fatto si’ che io non mi sia mai sentita sola perche’ sapevo che ovunque, non solo nel mio Paese, ma anche in tantissimi altri Paesi del mondo, io ero un membro di una grandissima famiglia. Capite bene, essere un membro di una famiglia e’ qualcosa di molto piu’ importante che essere una persona riconosciuta come importante. Essere un membro di una famiglia e considerato come tale e’ di gran lunga migliore. Non importa essere temuti come dittatori o ammirati come qualcuno che ha raggiunto un grande successo. Quello che conta di piu’ e’ essere accettati per quello che si e’ all’interno di una famiglia, condividendo le stesse aspirazioni, gli stessi valori, un percorso verso la pace e la liberta’.
Quindi per questo io non mi sono mai sentita sola. E quando le persone mi hanno espresso, sempre, piu’ volte, la loro solidarieta’ rispetto alla mia sofferenza, io ho sempre accolto queste parole con grande umilta’, anche perche’ in realta’ non credo di avere fatto molto per queste parole, io ho semplicemente portato avanti questa mia battaglia. Io stessa sono cresciuta come figlia di un padre, che mi ha insegnato tanto, un padre che per me stessa e’ stato gia’ un leader. Un padre che e’ stato padre della mia patria, una persona che ha sempre avuto grande rispetto e considerazione.
E’ lui che ha costruito l’esercito moderno della Birmania. E’ sempre stata una figura che ha unito il mio popolo, perche’ mio padre ha sempre rappresentato un percorso verso l’indipendenza. Quindi per il popolo della Birmania mio padre e’ stato un grande simbolo, anche perche’ ha sempre rappresentato una via possibile di unione. Ecco perche’ io credo fermamente che la figura di mio padre sia stata fondamentale per me, non solo come leader del mio popolo, ma come leader per me stessa.
Vorrei tornare anche sul tema del mio Paese e della riconciliazione che secondo me e’ possibile, e soprattutto e’ necessaria. E’ una via che e’ davvero necessaria, e sono fiduciosa sul fatto che presto il mio Paese sara’ unito nei valori che ci renderanno un popolo davvero degno, e soprattutto ci renderanno veri cittadini del mondo. Sono sempre molto cauta quando si parla di politica interna, perche’ forse sapete che nei Paesi asiatici la politica interna sembra sempre dominata da famiglie potenti. Io stessa a volte vengo considerata tale essendo considerata come una rappresentate di queste famiglie, appunto per la figura di mio padre. In realta’ io mi considero alla stregua e al pari dei miei concittadini, e soprattutto credo fermamente nell’integrita’ della politica. Il mondo della politica e’ un mondo molto difficile e molto pericoloso. Io ho sempre cercato di pormi come pari dei miei cittadini, senza mai considerarmi al di sopra di essi, ma come una di loro, cercando appunto di portare avanti la mia battaglia per i valori di pace e di liberta’. Condividendo i punti deboli e i punti forti dei miei concittadini, lottando per una politica all’insegna dell’integrita’.
Per me questa e’ la cosa piu’ importante, poiche’ a volte, ripeto, in politica ci si dimentica dei valori spirituali e degli ideali, che vengono dichiarati da alcuni come superati, ma non sono affatto superati, e anzi, credo che il visitare un Pese come il vostro ci conferma ancora una volta che questi valori non sono affatto superati. Anzi, se voi avete sentito nei miei confronti, nei confronti della Birmania, un legame spirituale cosi’ forte in questi anni, che mi ha dato sostegno e forza, questa e’ una ulteriore conferma del fatto che questi valori non sono superati, travalicano gli oceani, le frontiere, e ci fanno sentire tutti parte della grande famiglia degli esseri umani. Anche perche’ guardare con aspirazione alle persone che rappresentano delle qualita’ e dei valori in cui crediamo non puo’ che renderci migliori, poiche’ l’aspirare a quegli stessi valori ci rendera’ migliori.
Io stessa ho sempre condiviso le aspirazioni dei miei concittadini, degli uomini e delle donne del mio popolo e per questo appunto mi hanno sempre dato grande forza, persone normali, persone comuni, anche loro hanno lottato, persone pero’ completamente sconosciute. Io invece ho sempre goduto di grande riconoscimento, sono stata anche protetta in questo senso, anche sempre per la figura di mio padre, perche’ anche i generali hanno sempre molto rispettato mio padre in quanto padre della Birmania e padre dell’esercito birmano moderno. Quindi io ho sempre goduto, diciamo, di questo status particolare, ma tanti hanno lottato nel silenzio, hanno lottato silenziosi, sconosciuti, con grande coraggio, senza nessuna ricompensa, nessun riconoscimento, con l’unico riconoscimento derivante dalla loro coscienza, dall’essere soddisfatti per aver lottato per qualcosa in cui credevano fermamente. Ebbene, io voglio ricordare anche queste persone, perche’ io sono stata liberata, ma molti, purtroppo, non lo sono ancora stati nel mio Paese e continuano a lottare.
Quindi noi non siamo affatto al termine di un percorso nel mio Paese, anzi si tratta di un percorso di cui siamo solo all’inizio, e di una strada che non ha fine. Voi lo sapete molto meglio di me anche se da tantissimi anni godete di un regime democratico. Sapete che per mantenere la democrazia bisogna lottare quotidianamente, ogni giorno, per mantenere vivi questi valori. Anche se qualcuno magari potra’ dire che forse governare l’Italia in realta’ e’ piu’ difficile che governare la Birmania, ma credetemi, la vera democrazia sta proprio nella capacita’ di essere in disaccordo e, anzi, e’ proprio la capacita’ di riconoscere il disaccordo con qualcuno che rende e da’ la misura di quanto un Paese sia democratico, perche’ e’ proprio nel riconoscimento del disaccordo che si puo’ poi trovare la via per la riconciliazione, la riconciliazione insieme in nome di un bene comune e piu’ grande per tutti. Questa e’ la mia filosofia e anche il principio che mi ha guidato ed e’ per questo che anche quando io ho rivolto degli attacchi e delle critiche ai nemici del governo militare, non l’ho mai fatto citandoli per nome. Quando a volte ci sono state azioni che io ho sentito il dovere di condannare l’ho fatto, ma sempre senza mai citare direttamente il nome dei perpetratori, e questo perche’ credo fermamente che ognuno abbia la possibilita’ di pentirsi, di ricredersi, quindi nessuno deve essere condannato a priori personalmente. Bene e male convivono in ciascuno di noi e se prevale l’uno o l’altro e’ il risultato delle esperienze che facciamo, delle persone che ci stanno intorno, dell’ambiente in cui viviamo. Noi piu’ fortunati in cui prevale il bene e’ perche’ abbiamo avuto intorno un ambiente che ha favorito questo tipo di evoluzione. Altri hanno avuto altre esperienze. Ebbene io credo che ogni individuo abbia il diritto di ricredersi, di poter cambiare strada, di potersi pentire, e questo proprio perche’ e’ l’unica via che ci puo’ permettere di arrivare ad un mondo all’insegna dell’umanita’, un mondo migliore e, ripeto, noi siamo soltanto all’inizio, e ci avete dato molto supporto, voi come molti altri Paesi.
Sostegno e supporto sono fondamentali, ma devono andare di pari passo con la comprensione. In questi anni abbiamo ricevuto grande sostegno, anche a livello emotivo, a livello emozionale, e non voglio sottovalutare questo contributo che e’ stato fondamentale, ma questo deve andare di pari passo con la comprensione profonda delle nostre problematiche, delle nostre sfide come popolo. Soltanto cosi’ potremo evolvere ed aspirare, quindi, ad una condizione migliore, ed io spero ed auspico per il mio Paese una democrazia che per me risulta dall’equilibrio tra liberta’ e sicurezza: e’ questo che io mi auguro per il mio popolo, per il mio Paese, perche’ bisogna sentirsi liberi, liberi di poter seguire la propria coscienza, ma questa liberta’ non e’ nulla senza la sicurezza poi di poter appunto seguire di fatto la propria coscienza.
Si parla spesso della liberta’ di parola, della liberta’ di espressione, ma come ha detto qualcuno di cui ora non ricordo il nome, "non e’ tanto importante la liberta’ di esprimersi, ma di avere liberta’ dopo che ci si e’ espressi", perche’ sappiamo purtroppo che in Birmania alcune persone sono riuscite a esprimersi liberamente, ma in seguito purtroppo hanno pagato un caro prezzo per averlo fatto. Quindi non si puo’ essere liberi se non si e’ sicuri. La liberta’ non e’ sufficiente da sola, la liberta’ deve essere reale, e per esserlo deve essere accompagnata alla sicurezza. E liberta’ e sicurezza devono essere garantiti non solo a pochi a scapito di altri, ma a tutti. Non si puo’ essere liberi a scapito di qualcun altro, liberta’ e sicurezza devono essere per tutti. In una dittatura, beh, una dittatura e’ all’insegna ovviamente della repressione, nessuno si sente sicuro, nemmeno gli stessi dittatori, altrimenti perche’ sarebbero cosi’ ossessionati dalle misure di sicurezza?
Ebbene, senza liberta’, senza sicurezza, non si puo’ nemmeno avere soddisfacimento dei bisogni, non ci puo’ essere giustizia, e tutti questi valori e questi elementi devono andare di pari passo. Ecco perche’, ripeto, io mi auguro che questo equilibrio possa essere raggiunto proprio per poter dare finalmente compimento a questa battaglia per i diritti umani e la democrazia. Ognuno deve poter essere libero di seguire quello che cerca nella propria esistenza, di poter agire, di poter vivere, indipendentemente da quello che raggiungera’ o che otterra’. Sappiamo che gli individui, gli esseri umani, poi raggiungono risultati diversi sia dal punto di vista materiale che intellettuale o spirituale ma ciascuno ha il diritto di poter seguire la propria strada. Ecco perche’ io ho lottato, ecco perche’ in Birmania siamo stati in tanti ad aver lottato in cosi’ tanti anni.
Ringrazio ancora tutti gli amici che in questi anni ci hanno sostenuto, mi hanno sostenuto e non hanno mai cessato di sorprendermi. A volte ho saputo di avere avuto sostegno e supporto da persone di Paesi di cui mai avrei immaginato una tale forza di solidarieta’, persone da tutti i Paesi, africani, mediorientali, dalla Cina, dalla Russia, Paesi appunto da cui non mi sarei mai aspettata un sostegno tale. Ebbene a volte, incontrando persone di questi Paesi, mi hanno ringraziata, loro hanno ringraziato me, e io sono sempre rimasta stupita e ho ascoltato le loro parole e testimonianze con grande umilta’ perche’ io in realta’ non penso di avere fatto niente per loro e se loro evidentemente hanno riconosciuto in me la lotta per dei valori che condividono, valori di liberta’, e quindi questo riconferma ancora una volta che siamo uniti da valori profondi, culturali, che vanno al di la’ dei confini delle nazioni, quindi siamo tutti parte di una grande famiglia umana, siamo tutti cittadini di una stessa grande citta’ e sono davvero lieta che oggi, con questa cittadinanza onoraria, voi abbiate riconfermato tutto questo e che quindi abbiate ritrovato questa "cittadina", anzi, questo membro della famiglia che non vedevate da tempo. Grazie.
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TELEGRAMMI DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
Numero 1443 del primo novembre 2013
Telegrammi quotidiani della nonviolenza in cammino proposti dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza
Direttore responsabile: Peppe Sini. Redazione: strada S. Barbara 9/E, 01100 Viterbo,
tel. 0761353532, e-mail: nbawac@tin.it , centropacevt@gmail.com
BIRMANIA
Rangoon, rilasciata Aung San Suu Kyi
Obama: "E’ stata liberata un’eroina"
Dopo sette anni è stata rilasciata la leader del movimento per la democrazia birmana. "Dobbiamo lavorare all’unisono per raggiungere il nostro obiettivo", ha detto alla folla fuori la sua abitazione. La notizia accolta con soddisfazione dalle cancellerie occidentali. Sarkozy: "Ora nessuna restrizione ai suoi movimenti" La leader Aung San Suu Kyi saluta la folla dal cancello della sua abitazione subito dopo la liberazione RANGOON - E’ libera. Dopo vent’anni di lotta e di arresti, di parole e silenzi obbligati e dopo gli ultimi sette anni di reclusione, la premio Nobel per la pace birmana Aung San Suu Kyi è stata rilasciata. Oggi alcuni ufficiali del governo sono arrivati nella casa dove ha passato gli ultimi 18 mesi della sua detenzione per notificarle la comunicazione del rilascio. La polizia ha spostato le barriere davanti alla casa. E lei uscita all’aria, piccola, esile, con una maglietta rosa. E ha salutato la folla in festa.
Più di mille erano in attesa sotto il sole tropicale da ieri, perché l’ora del rilascio non era sicura. Hanno aspettato di vedere Aung San Suu Kyi apparire ai cancelli. Di vederla fuori dalle mura di una casa che per tutti era solo un’altra prigione. Poi oggi finalmente è arrivata la conferma. L’avvocato Nyan Win ha riferito che intorno alle 5 e 30 della mattina erano arrivate le auto della polizia e che gli agenti le avevano letto l’ordine di scarcerazione. "Ora è libera", ha detto davanti alla folla. La leader birmana è uscita e ha salutato. Guardando il suo volto sulle magliette e tra le mani delle persone.
"Dobbiamo lavorare insieme, all’unisono, per raggiungere il nostro obiettivo", ha detto. E poi ha invitato i suoi sostenitori a tornare domani, quando farà il suo primo discorso dopo la liberazione. Poche parole, le altre le dirà domani, ma saranno la prova dell’ennesima lotta. Perché San Suu Kyi ha rifiutato il divieto delle autorità di tornare a parlare dopo la liberazione. Così, subito dopo quello che è stato solo un omaggio ai suoi sostenitori, è rientrata in casa accompagnata da funzionari del suo partito, la Lega Nazionale per la Democrazia (Lnd). Significativamente, le forze di sicurezza birmane non sono intervenute per disperdere la folla, cosa piuttosto rara nel Paese.
La notizia della libertà è volata veloce. Il presidente americano Barak Obama ha espresso la sua soddisfazione da Yokohama, in Giappone dove partecipa al vertice dell’Ape. Si è spesso riferito a San Suu Kyi come alla "mia eroina", un’eroe della nostra epoca. "Ora bisogna liberare anche gli altri prigionieri politici" ha chiesto Obama alla giunta militare al potere dal 1968. "Mentre il regime birmano ha isolato e tappato la bocca ad Aung San Suu kyi per un periodo straordinariamente lungo, lei ha coraggiosamente continuato a combattere per la democrazia, la pace e il cambiamento in Birmania", si legge in una nota della Casa Bianca". Suu Kyi, ha proseguito Obama, "è una dei miei eroi e una fonte di ispirazione per tutti coloro che lavorano per il progresso dei diritti umani in Birmania e nel resto del mondo. Gli Stati Uniti accolgono con favore il suo estremamente ritardato rilascio" ora "è giunto il tempo che il regime liberi tutti i prigionieri politici, non uno solo".
Soddisfatte anche Londra e Parigi. "Sarebbe dovuta essere liberata già da tempo", ha detto il primo ministro britannico David Cameron, "Aung San Suu Kyi - ha affermato - è un’ispirazione per tutti noi che crediamo nella libertà d’espressione, nella democrazie e nei diritti umani". Il presidente francese Nicolas Sarkozy ha invece messo in guardia le autorità birmane contro "tutti i possibili ostacoli alla libertà di movimento e di espressione" per Aung Sang Suu Kyi che "costituirebbero una nuova inaccettabile negazione dei suoi diritti". E d’accordo con lui anche il presidente della Commissione europea, Josè Manuel Durao Barroso: "E’ fondamentale che ora Aung San Suu Kyi goda di una libertà di movimento e di parola senza restrizioni, e che possa partecipare pienamente al processo politico del Paese" ha detto. Dalla cancelliera tedesca Angela Merkel sono arrivati i rallegramenti per la liberazione di "un’ispirazione, una figura simbolica e un modello" unito all’appello a che vengano "liberati gli oltre 2.000 prigionieri politici" del Paese."
E dopo la gioia espressa ufficialmente, dalla Farnesina è arrivata anche una nota di rammarico per il fatto che "la liberazione di Aung San Suu Kyi, così come quella di numerosi altri detenuti politici, non sia avvenuta prima delle elezioni del 7 novembre, le prime elezioni dal 1990 le quali avrebbero certamente assunto un significato ben diverso se si fossero svolte in un contesto di libero e democratico confronto tra le diverse forze politiche del paese". "Auspichiamo che rappresenti un primo segnale di apertura del governo di Rangoon - ha concluso la Farnesina - per avviare un dialogo con l’opposizione e un processo di apertura sul fronte delle libertà democratiche e il rispetto dei diritti".
Per Amnesty International ora l’importante è che il rilascio di Aung San Suu Kyi non faccia dimenticare gli altri "prigionieri di coscienza" ha dichiarato Salil Shetty, segretario generale di Amnesty ricordando che in Birmania "ci sono attualmente oltre 2200 prigionieri politici, condannati sulla base di norme vaghe, utilizzate sovente per criminalizzare il dissenso politico e detenuti in condizioni agghiaccianti, con cibo e servizi igienici inadeguati e senza cure mediche. Molti di essi sono stati torturati nel corso degli interrogatori e subiscono ancora torture da parte del personale penitenziario".
Da 24 ore anche centinaia di sostenitori sono radunati nella sede del suo partito Nld (Lega nazionale per la democrazia) a Rangoon per attendere la loro leader, simbolo della lotta per i diritti civili in Birmania. Circa 150 persone - tra cui molti giornalisti - si sono riunite nei pressi della residenza del premio Nobel per la Pace, in University Avenue. A Rangoon stasera sarà festa e nel Paese è già arrivato il figlio minore del premio Nobel che ha ottenuto nei giorni scorsi il visto di ingresso per la Birmania, ora Myanmar, dopo che per anni le autorità di Rangoon gli avevano negato l’ingresso. Il suo ultimo incontro con la leader birmana risale al dicembre del 2000. La prima volta che Aung San Suu Kyi fu arrestata era il 1989, quando i figli, Kim e Alexander, avevano rispettivamente 11 e 16 anni.
* la Repubblica, 13 novembre 2010
Libero l’americano che ha fatto condannare San Suu Kyi*
E’ stato lui con la sua improvvida decisione di incontrare San Suu Kyi a provocarle il dolore di una nuova condanna a 18 mesi di arresti domiciliari. Ora è libero e lascia la Birmania. L’aereo con a bordo John Yettaw è partito alla volta di Bangkok. Lo ha annunciato un responsabile governativo birmano.
Yettaw era stato condannato martedì scorso a sette anni di lavori forzati. La sua rapida liberazione è stata ottenuta dal senatore statunitense Jim Webb, che ieri ha incontrato il capo della giunta militare al potere in Birmania Than Shwe, e che ha avuto anche occasione di un incontro con San Suu Kyi. Un fatto assolutamente inedito. All’inizio di luglio la giunta militare avceva rifiutato al segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon un colloquio con la leader dell’opposizione birmana.
Webb ha definito l’incontro «un’opportunità, per me, di esprimere il mio profondo rispetto ad Aung San Suu Kyi per i sacrifici che ha fatto in nome della democrazia nel mondo». Il senatore, fautore di un approccio più «costruttivo» verso il regime birmano data la scarsa efficacia delle sanzioni economiche, si è detto «grato» per l’esaudimento delle sue richieste, auspicando che ciò possa portare le due parti a «porre le fondamenta» per costruire una maggiore fiducia e disponibilità reciproca.
* l’Unità, 16 agosto 2009
Uno dei monaci che capeggiarono la rivolta, U Gambira, sconta in prigione
una condanna a 69 anni perché invitò il popolo a pregare per la San Suu Kyi
La pace ribelle dei monaci buddisti
"Aung sa come resistere all’ingiustizia"
di RAIMONDO BULTRINI *
DI RITORNO DA MANDALAY (BIRMANIA) - Il monastero sorge attorno all’ex capitale Mandalay, in un’oasi di verde chiamata "il luogo privo di preoccupazioni". Il nome sembra confermare, come scrisse Max Weber, che i buddisti birmani "dormono in un giardino incantato", secondo lo stereotipo diffuso di una religione basata - non solo in Birmania - sul distacco dal mondo.
Ma due anni fa, quando i monaci scesero in piazza contro i governanti responsabili dell’aumento dei prezzi di riso e benzina, il mondo si accorse che nel Paese dei generali la comunità religiosa - il sangha - è tutt’altro che estraniata dal Paese reale. Questo "esercito in zafferano", com’è stato chiamato, pagò allora un prezzo altissimo: templi svuotati, religiosi arrestati, rispediti nei villaggi o costretti ad abbandonare la tonaca.
Eppure oggi, nonostante tutto, ci sono ancora poco meno di 500mila tra novizi e monaci ordinati, distribuiti specialmente tra Mandalay e il nord, un numero pari se non superiore a quello dei soldati del famigerato esercito dei tadmadaw.
"Nei giorni delle rivolte del 2007 - spiega un monaco che insegna i testi pali ai novizi e meditazione agli stranieri qui ospitati per qualche giorno - molti nostri fratelli hanno esplicitamente chiesto ai soldati, giovani che vengono dai nostri stessi villaggi, di mettere da parte le loro armi e di battersi a mani nude. Ma quelli non hanno accettato".
Un atteggiamento forse un po’ troppo combattivo per una dottrina pacifica come quella del Buddha. "Niente affatto", risponde il monaco, "un conto è sviluppare un’intenzione amorevole verso tutti gli esseri viventi e un conto tollerare le ingiustizie dei più forti verso i più deboli. Noi siamo cresciuti alla vita dura delle campagne, arriviamo nei monasteri per avere un minimo di educazione e di cibo, perché nei nostri villaggi non ci sono né l’uno né l’altro.
Quando i prezzi aumentarono fino al 500% - spiega - ci vergognavamo di andare a chiedere l’elemosina, perché molte famiglie non avevano abbastanza riso per sé. E nonostante ciò molti di noi rifiutarono le offerte delle persone coinvolte con il regime, un gesto considerato di scomunica. Capirete che non si è trattato di una decisione facile, era in ballo la nostra sopravvivenza, ma anche la possibilità di cambiare in meglio la vita della nostra gente".
Dai dormitori si vedono alzarsi all’alba, nelle stanze ancora avvolte dal buio, centinaia e centinaia di novizi, molti bambini sotto i sei anni, con l’aria assonnata e le ciotole di legno avvolte nel saio. Escono anche sotto la pioggia scrosciante dei monsoni e raggiungono a piedi nudi i quartieri e i villaggi dove riceveranno l’unico cibo della giornata.
Ancora oggi in città è difficile racimolare anche solo un po’ di pesce, carne o verdure oltre al riso, e per questo a frotte salgono sugli autobus, gratuiti per i monaci, fino alle fattorie sperdute nelle campagne, dove le famiglie di contadini offrono loro la parte migliore delle provviste del giorno. A nessuno da queste parti passa per la testa di definire i monaci "un esercito di fannulloni sovversivi", come disse un generale per umiliare i ribelli.
Qui ogni famiglia manda i bambini almeno una volta l’anno in monastero per imparare le scritture pali "che liberano da ogni schiavitù mentale". I novizi apprendono i rudimenti di tecniche si dice sperimentate dallo stesso Budda per ottenere l’Illuminazione. Più prosaicamente, devono fare attenzione al respiro che entra ed esce sulla punta del naso, notando quante volte la mente s’è distratta dietro ai pensieri perdendo la concentrazione.
"Meditare su un punto solo" - spiega l’insegnante - "è il segreto per domare le percezioni che generano la rabbia, la delusione e il desiderio". In realtà questi esercizi spirituali, dicono i monaci, hanno a che fare più di quanto si immagini con la realtà non solo sociale ma anche politica della Birmania. "U Ba Khin, il maestro del celebre Narayan Goenka che ha istruito generazioni di birmani e stranieri alla meditazione vipassana - racconta uno di loro - era un impiegato civile e ha contribuito notevolmente alla riorganizzazione delle istituzioni all’indomani dell’indipendenza.
Ma per venire all’oggi: come credete che la stessa Daw Aung San Suu Kyi abbia potuto resistere tutti questi anni in isolamento senza perdere mai il controllo delle sue azioni? E come fa il popolo a sopportare i soprusi di cui è testimone ogni giorno? Dai nostri conventi sono usciti monaci che hanno avuto un ruolo decisivo nella lotta per l’indipendenza, come U Ottama e U Seinda, o come U Wisara, morto in prigione dopo un lungo sciopero della fame".
Ancora oggi, a rivolte domate, piccoli e più o meno isolati episodi di eroismo vedono ancora protagonisti gli uomini in tonaca e spesso le loro famiglie. La madre di U Gambira, fondatore dell’Alleanza dei monaci birmani e tra i protagonisti delle rivolte del 2007, è costretta a raggiungere da Mandalay una prigione isolatissima a tre giorni di barca attraverso un grande fiume, per recarsi a trovare suo figlio che sta scontando una condanna a 69 anni. La sua colpa? Aver invitato a pregare per la liberazione di Aung San Suu Kyi.
* la Repubblica, 15 agosto 2009
condannato anche John William Yethaw
Nuova condanna per San Suu Kyi
L’Onu chiede il «rilascio immediato»
Il tribunale ha condannato il premio Nobel per la pace agli arresti domiciliari nella casa di rangoon
RANGOON- Altri 18 mesi agli arresti domiciliari. Aung San Suu Kyi, la leader dell’opposizione birmana, rimarrà nella sua casa-prigione ancora un anno e mezzo. L’accusa per il premio Nobel per la Pace è di violazione degli arresti domiciliari. Secondo molti è semplicemente una scusa che il regime birmano ha individuato per togliere di mezzo l’attivista in vista delle elezioni del prossimo anno, dopo l’iniziativa di John William Yethaw, cittadino americano di religione mormone, che il 3 maggio scorso raggiunse a nuoto la casa di Suu Kyi. L’uomo, processato anche lui, è stato condannato a sette anni di lavori forzati. A sostegno della leader birmana scende in campo il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban ki Moon, chiedendo «al governo della Birmania di rilasciare immediatamente e senza condizioni Aung San Suu Kyi». Dura reazione alla condanna della leader birmana da parte dell’Ue, che minaccia sanzioni. E anche il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, come l’Onu, ha chiesto la liberazione immediata e incondizionata di Aung San Suu Kyi.
GLI ARRESTI- La leader della Lega Nazionale per la Democrazia è stata condannata per aver ospitato il 4 e il 5 maggio Yethaw ed è stata immediatamente ricondotta nella sua abitazione di Rangoon dopo la sentenza. Un tribunale speciale, riunito nel complesso carcerario di Insein, a nord della capitale, ha riconosciuto Suu Kyi colpevole di aver violato i termini che, dal 2003, regolano la sua detenzione domiciliare, per aver fatto entrare nella sua abitazione il pacifista americano.
LA CONDANNA- San Suu Kyi è stata condannata a tre anni dal tribunale militare. Una pena che il generale Than Shwe, capo della giunta militare al potere, ha tuttavia deciso di ridurre, commutandola in un anno e mezzo agli arresti domiciliari. Con questa nuova reclusione, Suu Kyi viene esclusa dalla elezioni che la giunta militare intende organizzare nel Paese per il 2010. Il premio Nobel ha trascorso 14 degli ultimi 20 anni in stato di detenzione, per lo più agli arresti domiciliari. La 64enne avrebbe finito di scontare la sua pena il 21 maggio. La donna, figlia di uno storico oppositore al regime militare birmano, è agli arresti domiciliare dal 1989. Ed è diventata simbolo della lotta per la libertà birmana.
IL PACIFISTA - Più pesante il verdetto a carico del co-imputato di Suu Kyi, il 54enne statunitense John Yettaw, in tutto sette anni di lavori forzati: tre ancora per violazione delle leggi sulla sicurezza, altrettanti per immigrazione illegale nel Paese asiatico, e infine uno per violazione delle norme municipali sull’attività natatoria. L’americano aveva raggiunto a nuoto la residenza della donna dopo aver avuto a suo dire «una visione nella quale sarebbe stata assassinata».
LE REAZIONI - All’appello delle Nazioni Unite per il rilascio di Suu Kyi si unisce quello di numerosi capi di stato e di governo. «L’Unione europea condanna il verdetto di colpevolezza emesso contro Aung San Suu Kyi e risponderà con sanzioni supplementari verso i responsabili della condanna», si legge in un comunicato della presidenza della Ue. «Il processo contro San Suu Kyi è ingiustificato e va contro il diritto nazionale e internazionale», spiegano da Bruxelles. «Stiamo preparando nuove sanzioni contro la Birmania, che comprendono restrizioni commerciali contro compagnie di Stato e il divieto di ingresso nella Ue per i quattro responsabili della sentenza di oggi» ha poi aggiunto il premier svedese Fredrik Reinfeldt, guida di turno della Ue, in un comunicato diffuso dalla presidenza. Una posizione confermata anche dalla Farnesina. «Laddove alla signora Suu Kyi, a seguito della nuova pena inflittale, fosse impedita la partecipazione al processo elettorale previsto per il 2010», ha affermato a sua volta il ministro degli Esteri, Franco Frattini, «ritengo che ciò costituirebbe una gravissima lesione ai principi della democrazia». Il primo ministro inglese Gordon Brown si è detto «costernato e in collera» per l’ennesima condanna al premio Nobel. Insieme alla reazione di Brown è giunto anche un appello del governo della Malaysia per una riunione d’urgenza dell’Associazione dei Paesi del sud est asiatico, Asean.
* CORRIERE DELLA SERA, 11 agosto 2009 (ultima modifica: 12 agosto 2009)
La dissidente premio Nobel per la pace, agli arresti domiciliari, è gravemente malata
E’ accusata di aver favorito l’ingresso di un cittadino Usa, arrivato a nuoto nella sua residenza
Birmania, incarcerata Aung San Suu Kyi
per la violazione dell’attivista americano
RANGOON - La leader democratica e premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi è stata condotta in un carcere dove rischia di essere incriminata per l’intrusione di un americano la settimana scorsa nella casa dove è tenuta in isolamento dal 2003 a Rangoon, secondo quanto hanno riferito testimoni.
Pochi giorni fa i collaboratori della leader dell’opposizione avevano lanciato l’allarme per le sue deteriorate condizioni di salute, appellandosi alla comunità internazionale perché facesse pressione sul regime birmano affinché permettesse al medico della Suu Kyi, anch’egli incarcerato, di visitarla. La donna, dicono fonti a lei vicine, è gravemente disidratata e indebolita e la carcerazione rischia ora di aggravare le sue condizioni.
Le misure di sicurezza erano state considerevolmente rafforzate all’alba intorno alla residenza del Nobel, ormai sessantatreenne, che è stata privata della libertà per la maggior parte degli ultimi 19 anni, da 6 anni agli arresti domiciliari. Un convoglio della polizia che trasportava la Suu Kyi ha lasciato la sua casa alle 7 del mattino (le 2.30 in Italia) per recarsi al carcere di Insein dove ha sede un tribunale. Pochi minuti dopo il convoglio è arrivato nel centro di detenzione, situato nella periferia di Rangoon.
Aung San Suu Kyi e le sue due collaboratrici domestiche sono "detenute nel carcere", ha dichiarato Nyan Win, portavoce della Lega nazionale per la democrazia, principale partito d’opposizione in Birmania. Le autorità "hanno preparato un fascicolo" giudiziario e la oppositrice "non può tornare a casa sua" ha aggiunto il portavoce. Il processo è stato rinviato a lunedì 18 maggio.
Se verrà riconosciuta colpevole, insieme a un domestico e al suo medico, di aver ospitato in casa sua per tre giorni il cittadino americano, la leader della Lega nazionale per la democrazia rischia da tre a cinque anni per visita non autorizzata. La precedente condanna di Suu Kyi scade il prossimo 27 maggio.
Proprio una settimana fa, il regime dei generali aveva reso noto l’arresto di un cittadino statunitense, John Yettaw, che aveva raggiunto la casa della Suu Kyi attraversando a nuoto il lago che la costeggia e vi è restato per due giorni. Anche per lui sono scattate le misure detentive. Poche notizie sono filtrate sulla rocambolesca intrusione che è stata rivelata dalla giunta militare.
* la Repubblica, 14 maggio 2009
La dissidente agli arresti domiciliari da 19 anni non mangia ed è disidratata
Appello del portavoce: "Siamo preoccupati". Arrestato anche il medico personale
Birmania, "San Suu Kyi sta male"
Allarme per il premio Nobel
Lunedì mattina a Roma sit-in davanti all’ambasciata birmana
YANGON - Allarme per la salute di Aung San Suu Kyi. Il portavoce dell’opposizione in Birmania ha riferito che il premio Nobel per la Pace, agli arresti domiciliari da circa 19 anni, "sta male", non mangia, ha la pressione bassa ed è disidratata. All’indomani di una visita alla 63enne leader della Lega nazionale per la democrazia, Nyan Win ha spiegato che Suu Kyi viene alimentata e idratata per via endovenosa. "Siamo molto preoccupati per la sua situazione", ha aggiunto.
Il portavoce ha anche riferito che giovedì è stato arrestato il medico personale di Suu Kyi, Tin Myo Win, che si era recato all’abitazione in cui la sua paziente è confinata. Fonti ufficiali hanno riferito che al medico è stato negato il permesso di entrare dopo che aveva atteso diverse ore.
Mercoledì scorso le autorità birmane avevano arrestato un cittadino americano che era riuscito a raggiungere a nuoto l’abitazione della leader dell’opposizione, eludendo la sorveglianza nel lago. L’uomo avrebbe trascorso due giorni nella casa prima di essere arrestato mentre ripartiva a nuoto.
Il caso di Suu Kyi è da tempo al centro di una mobilitazione internazionale che coinvolge anche l’Italia. Giampiero Cioffredi, candidato del Pd alle elezioni europee, ha annunciato che per lunedì mattina alle 10 è in programma un sit-in davanti all’ambasciata birmana a Roma per chiedere "al regime l’immediata scarcerazione del premio Nobel e leader dell’opposizione, anche in vista della scadenza degli arresti domiciliari, il prossimo 27 maggio".
* la Repubblica, 9 maggio 2009
’Liberate il Benigni birmano’
Anche Roberto Benigni si è aggiunto al gruppo dei ’100 autorì per lanciare l’appello a favore della liberazione dell’attore e regista birmano Zarganar, il «Benigni birmano» detenuto nelle carceri del Myanmar (Burma). *
Zarganar è il nome d’ arte di U. Thura, 48 anni, poeta, drammaturgo, regista, e il più famoso attore satirico del Myanmar. Irriverente, scomodo, re dei doppi sensi per sfuggire alla dura censura militare, coraggioso antagonista del regime dittatoriale birmano, Zarganar è stato arrestato nel giugno scorso e successivamente, nel novembre scorso, è stato condannato alla pena pesantissima di 59 anni di carcere, poi ridotta a 34 in appello. Aveva organizzato nel maggio scorso un gruppo di 400 intellettuali, studenti, artisti e scrittori per portare aiuti alle vittime del devastante ciclone Nargis ed è stato condannato proprio per aver portato aiuti umanitari e per avere denunciato l’indifferenza del governo alle sorti della popolazione civile.
Di fronte all’assurda e ingiusta condanna emessa contro il collega birmano, gli autori italiani di cinema, televisione e documentari dell’associazione ’100 autorì - più di trecento tra registi, sceneggiatori e documentaristi, una parte significativa di tutti gli autori italiani, tra i quali nomi storici del cinema italiano come come Bernardo Bertolucci, Marco Bellocchio, Liliana Cavani - hanno inviato in febbraio un forte appello al ministro degli Affari Esteri Franco Frattini chiedendo «che la diplomazia italiana si attivi con la massima energia e rapidità per ottenere la scarcerazione immediata dell’ attore e regista Zarganar detenuto senza alcun valido motivo».
Negli ultimi giorni è intervenuto anche Roberto Benigni. Dopo aver appreso della vicenda di Zarganar, Benigni ha inviato dall’ estero, dove è impegnato nella tournee internazionale dello spettacolo Tutto Dante, la sua «adesione all’appello con la richiesta di liberazione immediata di Zarganar».
* l’Unità, 23 marzo 2009
Ansa» 2008-10-11 11:44
Suu Kyi, appello contro domiciliari
Leader opposizione ha trascorso 19 anni in questa condizione
(ANSA) - RANGOON, 10 OTT - La leader storica dell’opposizione in Myanmar, la Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi, ha fatto ricorso contro gli arresti domiciliari. Lo ha detto un portavoce del suo partito, la Lega nazionale per la Democrazia. L’appello e’ ufficialmente indirizzato ai generali della giunta che governano il Paese nella nuova capitale Naypyidaw. San Suu Kyi, 63 anni, ha trascorso la maggior parte degli ultimi 19 anni agli arresti domiciliari dopo aver vinto in modo schiacciante le elezioni nel 1990.
Ansa» 2008-05-27 15:10
BIRMANIA, RINNOVATI GLI ARRESTI DOMICILIARI PER AUNG SAN SUU KYI
RANGOON - L’ordine di arresti domiciliari per la leader dell’opposizione birmana Aung San Suu Kyi è stato rinnovato. Lo hanno detto oggi responsabili birmani.
La leader della Lega nazionale per la democrazia (Lnd), che ha 62 anni, ha trascorso agli arresti più di 12 anni degli ultimi 18 anni.
La giunta militare birmana ha inasprito le misure di sicurezza attorno alla casa a Rangoon della leader dell’opposizione Aung San Suu Kyi, nel giorno in cui è scaduto l’anno di arresti domiciliari inflitto, ultimo di una lunga serie, alla premio Nobel per la pace.
ARRESTATI 15 MEMBRI DEL PARTITO DI AUNG SAN SUU KYI
Quindici oppositori birmani sono stati arrestati mentre si stavano recando alla residenza dove loro leader, la premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi, è tenuta in isolamento dalla giunta militare birmana. Lo riferiscono fonti dell’opposizione e testimoni.
REFERENDUM COSTITUZIONE E’ ’UN’IMPOSTURA’
La Lega nazionale per la democrazia (Lnd), il partito della leader dell’opposizione birmana Aung San Suu Kyi, ha qualificato oggi "un’impostura" il referendum sulla nuova costituzione voluto dalla giunta militare che si è tenuto questo mese. In una dichiarazione, la Lega nazionale per la democrazia ha denunciato "l’ostinazione" dei generali a organizzare la consultazione, nonostante il Paese fosse in ginocchio per il passaggio del ciclone Nargis, che ha fatto oltre 130.000 vittime fra morti e dispersi, e 2,5 milioni di senza tetto. Il referendum non è stato "né libero né onesto" e la Lega "non può accettare" questa "impostura", afferma la dichiarazione. E’ la prima reazione della Lnd alla proclamazione di vittoria nel referendum del 10 e 24 maggio fatta dalla giunta, secondo la quale la nuova costituzione è stata approvata da oltre il 92% dei votanti.
Ansa» 2008-05-10 10:00
BIRMANIA: ALLE URNE UN PAESE DEVASTATO
RANGOON - In alcune regioni della Birmania si sono aperti i seggi per il referendum sulla nuova costituzione indetto dal regime militare. A votare sono le regioni meno colpite dal devastante ciclone abbattutosi sul paese una settimana fa. Nelle zone più disastrate il referendum è stato rinviato di alcune settimane.
Le autorità birmane hanno fornito oggi un nuovo bilancio delle vittime del ciclone Nargis, aumentando il numero dei morti a 23.335 e diminuendo quello dei dispersi a 37.019. Lo ha riferito la televisione Mrtv, controllata dalla giunta militare al potere. La televisione ha aggiunto che il ciclone ha fatto anche 1.403 feriti. L’ultimo bilancio ufficiale aveva dato le cifre di 22.997 morti e 42.11 dispersi. Alcuni diplomatici occidentali hanno detto nei giorni scorsi che il bilancio potrebbe invece superare i 100.000 morti.
NEW YORK - La Birmania intende cooperare con la comunità internazionale, e accetterà aiuti "da qualsiasi parte provengano" per far fronte alle conseguenze del ciclone Nargis che ha devastato il paese. Lo ha detto l’ambasciatore birmano all’Onu Kyaw Tint Swe. "La Birmania ha l’intenzione di cooperare con la comunità internazionale per affrontare questa enorme sfida", ha detto il diplomatico nel corso di una riunione degli stati membri delle Nazioni Unite in occasione di un appello dell’Onu per aiuti alla Birmania. La Birmania - ha sottolineato l’ambasciatore - accetterà aiuti "da qualsiasi parte provengano" per soccorrere le popolazioni colpite dal ciclone. Kyaw Tint Swe ha detto che due navi e undici aerei carichi di materiali e generi di prima necessità sono arrivati finora in Birmania, a una settimana dal ciclone. "Noi abbiamo urgente bisogno di squadre e attrezzature mediche, di cibo, vestiario, generatori elettrici, tende e di assistenza finanziaria", ha precisato l’ambasciatore birmano sottolineando come il paese asiatico sia "molto riconoscente nei confronti della comunità internazionale, verso i nostri amici vicini e lontani, per la loro solidarietà e generosità". L’Onu ha lanciato un appello alla comunità internazionale per la raccolta di 187 milioni di dollari necessari a fronteggiare l’emergenza umanitaria in Birmania nei prossimi mesi.
Il regime militare non autorizza l’atterraggio di aerei Usa
Birmania: bloccati ancora i primi aiuti
Notizie di saccheggi a Rangoon. Fonti militari locali: 80 mila morti
solo in un distretto dell’Irrawaddy
RANGOON - La giunta militare birmana non ha autorizzato l’arrivo dei primi aiuti internazionali nelle zone devastate dal tifone Nargis. Il regime non ha permesso l’arrivo di un aereo americano da trasporto, ed è stato ritardato l’arrivo a Rangoon di tre aerei carichi di aiuti umanitari del Programma mondiale alimentare (Pam) dell’Onu con a bordo 45 tonnellate di viveri di emergenza perché mancano ancora le autorizzazioni (finora ne è giunto uno solo partito da Brindisi e organizzato dalla Farnesina). In un primo momento sembrava che un velicolo Usa potesse arrivare dalla Thailandia, mai poi l’ambasciatore americano a Bangkok ha smentito la notizia. «Lanciamo un appello alle autorità birmane affinché facilitino il lavoro delle agenzie delle Nazioni Unite e delle organizzazioni non governative», hanno lanciato congiuntamente su Le Monde un appello i ministri degli Esteri di Francia e Gran Bretagna, Bernard Kouchner e David Miliband. Nel frattempo la Cina, grande «amica» del regime birmano, ha fatto sapere di sperare che Rangoon inizi a collaborare con la comunità internazionale. Il segretario di Stato americano, Condoleezza Rice, ha lanciato un nuovo appello alla giunta militare birmana perché consenta l’ingresso di aiuti nel Paese.
AIUTI - Amnesty Internazional ha reso noto che alcune nazioni, pronte a inviare aiuti, hanno per il momento rinunciato per il timore che questi vengano «accaparrati» dall’esercito birmano. Lo stesso timore è stato espresso da Anthony Banbury, direttore regionale del Pam: «Non vogliamo arrivare con gli aiuti all’aeroporto, scaricare e andarcene», ha detto Banbury, facendo capire perché gli aerei con gli aiuti non hanno ancora ricevuto le autorizzazione per atterrare in Birmania.
VITTIME - Secondo le stime ufficiali birmane, Nargis ha provocato almeno 22.980 morti e 42.119 dispersi, ma fonti americane parlano di non meno di 100 mila vittime e di oltre un milione di senzatetto. Tin Win, responsabile militare di uno dei distretti di Labutta, situata nel cuore del delta dell’Irrawaddy, ha detto che «allo stato attuale il bilancio nei villaggi è di circa 80 mila morti», aggiungendo che, dei 63 villaggi che circondano Labutta, alcune decine sono stati spazzati via. La tv statale birmana ha mostrato il primo ministro, generale Thein Sein, distribuire aiuti e sacchi di cibo ai malati e ai feriti dalla furia del ciclone nel delta dell’Irrawaddy, la zona più colpita da Nargis. La radio statale ha reso noto che ci sono stati episodi di saccheggio a Rangoon dove si è diffusa la notizia di un imminente terremoto e dell’arrivo di un altro tifone. Intanto iniziano le proccupazioni sanitarie, soprattutto per la mancanza di acqua pulita anche perché migliaia di chilometri quadrati sono ancora allagati. Anche il tetto della casa del premio Nobel per la pace, Aung San Suu Kiy, sarebbe stato spazzato via dal vento.
* Corriere della Sera, 08 maggio 2008
Sempre più grave il bilancio del ciclone che ha sconvolto il Paese
Il regime autorizza i voli Onu. E crea un ministero per i visti
Chilometri di Birmania sott’acqua
Un milione restano senza casa *
BANGKOK - Passano le ore e lo scenario si fa sempre più drammatico. Milioni di morti e dispersi, chilometri di terra ancora inondata. Ovunque devastazioni e morte. Mentre il governo birmano non si decide ad aprire le porte ai soccorritori stranieri e continua a creare ostacoli all’invio di aiuti. E’ sempre più grave la situazione dopo il ciclone che ha colpito la Birmania.
Secondo fonti dell’Onu oltre 5000 km quadrati del delta del fiume birmano Irrawaddy sono ancora sott’acqua e un milione di persone sono senza una casa. Decine di migliaia di profughi stanno giungendo lentamente e sotto shock nella località di Labutta dopo aver attraversato zone inondate e ancora piene di cadaveri di uomini e animali. "Stimiamo che il numero di persone senza un tetto e bisognose di assistenza per sopravvivere va da un milione in su - spiega il portavoce dell’agenzia Onu per il coordinamento degli affari umanitari (Ocha), Richard Horsey - Ci sono ampie zone del delta dell’Irrawaddy ancora completamente sommerse, parliamo di 5mila chilometri quadrati, è un’area vastissima".
Medici Senza Frontiere, che questa sera farà partire dall’Europa un aereo cargo con a bordo 40 tonnellate di aiuti di vario genere, riferisce che in molte aree la popolazione sta cercando di organizzarsi autonomamente in decine di ripari di fortuna. "Nelle località rurali le persone si stanno arrangiando con quello che resta delle loro provviste e raccolgono bambù per ricostruire le case", dice il personale dell’associazione sul posto. "Nelle zone di Twantey e Daala la gente si è raggruppata spontaneamente nei monasteri e nelle scuole, senza cibo e acqua potabile".
Una dramma a cui la comunità internazionale sta cercando di rispondere nonostante l’ostracismo del regime birmano. Il governo, che secondo l’Organizzazione meteorologica mondiale aveva avvertito la popolazione dei forti venti in arrivo, ha annunciato di aver designato un ministro per esaminare le richieste di visto per i lavoratori umanitari stranieri. Al momento, però, di nuovi visti non c’è traccia. Mentre le autorità birmane hanno autorizzato l’arrivo di voli Onu di aiuti umanitari e di un piccolo gruppo di membri dell’ organizzazione.
Nel frattempo la macchina della solidarietà si muove. Il governo australiano fornirà l’equivalente di 1,8 milioni di euro per aiuti immediati. La somma sarà divisa fra le Ong umanitarie con basi in Australia come Care, World Vision e Caritas, il programma alimentare mondiale dell’Onu e l’organizzazione Onu per l’infanzia Unicef. Ed ancora un volo con aiuti di emergenza potrà partire da Brindisi per la Birmania. A bordo ci sono 25 tonnellate di aiuti e alcuni operatori umanitari. E anche le Ong italiane si danno da fare. Tra i tanti il comitato Italia Aiuta ha organizzato una raccolta di fondi destinata alle popolazioni colpite.
* la Repubblica, 7 maggio 2008.
Sopralluoghi delle squadre Onu preoccupati per la distribuzione degli aiuti
Il governo ha deciso un parziale rinvio del referendum nelle zone più colpite
Ciclone Nargis in Birmania
"I morti sono oltre ventiduemila"
Quarantunomila i dispersi, ma il bilancio potrebbe aggravarsi ancora
RANGOON - Oltre 22 mila morti (22.464) e 41 mila dispersi. Assume proporzioni inimmaginabili il bilancio del passaggio del ciclone Nargis dalla Birmania. L’ultimo drammatico aggiornamento è stato diffuso dalla televisione di Stato. In precedenza, parlando all’emittente, il ministro degli Esteri del Myanmar, Nyan Win, aveva precisato che il governo sta ancora valutando i danni nei villaggi remoti dell’area del delta del fiume Irrawaddy, particolarmente colpita dal ciclone Nargis, includendo Rangoon, la più grande città del paese del sud-est asiatico.
Sempre Nyan ha aggiunto che soltanto nella città di Bogalay le vittime sono diecimila. La tv di Stato ha annunciato inoltre che la giunta militare al potere ha deciso di rinviare al 24 maggio il referendum sulla costituzione fissato per il 10 maggio. La televisione, monitorata dalla Reuters fuori dalla Birmania, ha detto che il referendum sarà rinviato a Rangoon, la principale città del Paese e ex capitale, e nel delta dell’Irrawaddy, le due regioni più colpite dal ciclone della settimana scorsa. Nel resto del Paese, ha precisato l’emittente, il referendum si terrà come previsto il 10 maggio. Una decisione che l’esponente dell’opposizione democratica Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la pace, ha definito "inaccettabile".
Il drammatico bilancio delle vittime e dei dispersi, purtroppo ancora provvisorio, è stato confermato dal ministro degli Esteri della confinante Thailandia, Noppadol Pattama, al termine di un colloquio con l’ambasciatore birmano a Bangkok, Ye Win. Appare quindi destinato ad aggravarsi ulteriormente il bilancio della peggiore catastrofe naturale del genere registrata in Asia dal ’91, quando in Bangladesh morirono 143.000 persone. Secondo fonti dei servizi di soccorso approntati dalle Nazioni Unite, già adesso i senzatetto sono nell’ordine delle centinaia di migliaia, ma potrebbero ben presto risultare milioni.
Le squadre dell’Onu hanno intanto iniziato a compiere sopralluoghi, secondo quanto riferito da Richard Horsey, portavoce dell’Onu a Bangkok, avvertendo però che "portare gli aiuti alle popolazioni sinistrate costituirà una grande sfida". Secondo Horsey, la principale difficoltà sarà quella di raggiungere il delta dell’Irrawaddy, una zona di paludi e risaie esposta alle inondazioni, che è stata la più devastata dal ciclone. "Per adesso l’emergenza sono i ripari e l’acqua" ha aggiunto Horsey. "Senza acqua potabile, la preoccupazione principale è il rischio di propagazione di epidemie".
* la Repubblica, 6 maggio 2008.
Myanmar, oltre 15mila morti per il ciclone ’Nergis’
Lo riporta l’agenzia cinese Xinhua citando fonti della giunta militare birmana. Il bilancio ufficiale finora parlava di 3.880 vittime nella provincia di Ayeyawaddy dove con 20mila case distrutte sono quasi 93mila gli sfollati. Dalla Farnesina aiuti urgenti per 123mila euro
Yangoon, 5 mag. - (Adnkronos) - Oltre 15mila persone sarebbero state uccise nelle due province di Yangon e Ayeyawaddy dal violento ciclone che ha colpito cinque province del Myanmar tra venerdì e sabato scorso. Lo riporta l’agenzia cinese Xinhua citando fonti della giunta militare birmana.
Secondo le fonti citate dall’agenzia cinese, solo nella zona di Bogalay, nella provincia di Ayeyawaddy, le vittime sarebbero oltre 10mila ed almeno mille nella zona di Laputta, sempre nella stessa provincia. Si tratterebbe, quindi, di un bilancio molto più pesante di quello ufficiale che finora parlava di 3,880 morti nella provincia di Ayeyawaddy dove con 20mila case distrutte sono quasi 93mila gli sfollati .
Anche altre fonti parlano di un bilancio molto più drammatico di quello di 4mila morti e 3mila dispersi. Secondo alcuni diplomatici stranieri, convocati oggi dal governo birmano per un briefing sulla situazione, il ministro degli Esteri ha riconosciuto che potrebbero essere 10mila le vittime del ciclone. E per affrontare la crisi umanitaria il regime repressivo, che lo scorso settembre ha usato il pugno di ferro per mettere a tacere un movimento di protesta, avrebbe rivolto un appello alla comunità internazionale, si legge sul sito della Cnn.
E ancora. Secondo la tv di Stato, le persone rimaste uccise dal passaggio di ’Nargis’ sono 3.969, mentre oltre tremila risultano dispersi. Finora, il bilancio ufficiale parlava di 351 vittime.
Tra le vittime del passaggio del ciclone si contano anche 36 detenuti del famigerato carcere Insein di Yangon. Ne ha dato notizia l’Associazione di assistenza per i prigionieri politici Burma, organizzazione non governativa con sede in Thailandia, secondo cui i detenuti sono stati uccisi a colpi d’arma da fuoco dalle guardie carcerarie dopo che un incendio nel carcere aveva seminato il panico fra i prigionieri. Nel tentativo di riscaldarsi, alcuni di loro avevano acceso un fuoco ma le fiamme si erano propagate rapidamente in tutta la struttura, provocando la reazione delle guardie, che hanno sparato, ferendo altre 70 persone.
Interi villaggi spazzati via, colpita anche Rangoon. Bilancio ancora provvisorio La Croce Rossa ha già iniziato a distribuire i primi aiuti, ma molte zone sono isolate
Ciclone in Birmania, 4 mila morti
centinaia di migliaia i senza tetto *
RANGOON - Un vero disastro, che ha colpito un paese già poverissimo. Secondo la televisione di stato, il passaggio del ciclone Nargis sulla Birmania meridionale ha causato almeno 3.969 morti. Altre 2.879 persone risultano invece disperse. Inoltre, secondo fonti delle Nazioni Unite, centinaia di migliaia di persone sono rimaste senza tetto ed acqua potabile. Enormi anche i danni agli edifici e alle infrastrutture, con centri abitati distrutti e strade interrotte. Il bilancio, però, è ancora provvisorio: alcune aree sono quasi irraggiungibili ed il numero delle vittime potrebbe crescere considerevolmente.
La tempesta tropicale, di categoria 3, si è abbattuta nella notte tra venerdì e sabato sulle coste meridionali del paese con raffiche di vento fino a 240 chilometri orari. Il ciclone ha spazzato via interi villaggi e ha lasciato senza energia elettrica cinque regioni.
La zona più colpita è il delta del fiume Irrawaddy, dove la tempesta ha sfogato tutta la sua potenza. Lì si è registrato il maggior numero di vittime e molte, secondo la tv di stato, potrebbero non essere ancora state raggiunte dai soccorritori. "In base alle informazioni in nostro possesso - ha affermato l’emittente nel notiziario serale - potrebbero esserci decine di migliaia di morti a Bogalay e altre migliaia a Labutta".
Investito dalla furia di Nargis anche il centro più importante del paese, Rangoon, che conta cinque milioni di abitanti. Le immagini che arrivano dalla città mostrano alberi sradicati, tetti scoperchiati e pali della corrente elettrica piegati dalla furia del vento.
Il paese è in mano da 46 anni a un regime che ha pochi rapporti con l’Occidente. Questo non facilita i soccorsi, anche perché, secondo fonti della dissidenza, la giunta militare impone restrizioni agli spostamenti delle organizzazioni umanitarie. In ogni caso, è già iniziata una mobilitazione internazionale per portare aiuti alla popolazione. "Sappiamo che alcune centinaia di migliaia di persone hanno bisogno di un ricovero e di acqua potabile da bere, ma non siamo in grado di quantificare il numero esatto", ha detto Richard Horsey, dell’ufficio per l’emergenza disastri delle Nazioni Unite, a Bangkok.
L’ufficio dell’Onu a Rangoon ha spiegato che la situazione è "critica, con la popolazione che ha innanzitutto bisogno di riparo e acqua potabile". Tra i primi paesi ad inviare aiuti c’è stata la Thailandia, che ha spedito un aereo C-130 con a bordo 9 tonnellate di cibo e medicinali.
Il portavoce della Federazione della Croce Rossa internazionale, Michael Annear, ha invece riferito che l’organizzazione ha già distribuito 5.000 litri d’acqua potabile, pasticche di cloro per la potabilizzazione, kit di sopravvivenza, zanzariere, teli di plastica e coperte. "Abbiamo cercato di raggiungere le zone più isolate", ha spiegato, "ma molte strade sono inaccessibili".
* la Repubblica, 5 maggio 2008
Ansa» 2008-05-05 10:07
BIRMANIA, CENTINAIA DI MIGLIAIA I SENZATETTO
BANGKOK - Centinaia di migliaia di persone sono rimaste senzatetto ed acqua potabile in Birmania dopo il passaggio del ciclone Nargis sulla parte meridionale del paese. Lo ha detto oggi il responsabile Onu per la protezione civile di Bangkok. Richard Horsey ha detto di aver saputo che "ci sono diverse centinaia di migliaia di persone che hanno bisogno di un rifugio e di acqua potabile, ma non sappiamo quante centinaia di migliaia". Le organizzazioni umanitarie stanno cercando di rendersi conto della situazione nel paese, ma il regime militare non dà piena libertà di movimento agli operatori. I dati stanno via via arrivando dalle isole situate nel delta dell’Irrawaddy, una delle zone più colpite dalla furia del ciclone.
L’ultimo bilancio di fonte governativa parla di 351 morti, di circa centomila senzatetto e di alcune città quasi completamente distrutte. Una legislazione imposta alle organizzazioni umanitarie nel 2006 richiede permessi di viaggio e scorte ufficiali e detta norme rigide per il trasporto di rifornimenti e materiali. Spesso per aggirare le restrizioni si usa personale locale che ha maggiore libertà di movimento. Il regime ha nominato il primo ministro Thein Sein come responsabile dei soccorsi nelle cinque regioni dichiarate disastrate.
GOVERNO, REFERENDUM SI FA Il governo birmano ha deciso che si terrà come previsto il referendum costituzionale fissato per il prossimo sabato 10 maggio nonostante la situazione di emergenza causata dal devastante ciclone che ha colpito il Paese. Lo si legge oggi sulla stampa ufficiale birmana. "Il referendum si terrà tra qualche giorno e la popolazione attende con impazienza l’appuntamento", scrive il quotidiano ’New Light’ controllato dalla giunta militare al potere.
La tempesta tropicale si è abbattuta in Myanmar, Rangoon senza elettricità e acqua
Colpita l’area del delta del fiume Irrawaddy dove due città sono state distrutte
Birmania, oltre 240 morti
per la furia del ciclone Nargis *
RANGOON - Il vasto ciclone tropicale Nargis si è abbattuto nelle ultime ore sulla Birmania (ora Myanmar) provocando centinaia di vittime e devastando intere zone. Oltre 240 persone sono morte durante il passaggio del ciclone. Un responsabile del ministero dell’Informazione ha detto che, "secondo le notizie attualmente disponibili 19 persone sono morte nella zona della capitale Rangoon e 222 nella regione del delta dell’Irrawaddy", il lungo fiume che attraversa la Birmania da Nord a Sud.
La giunta militare che governa la ex Birmania ha dichiarato l’emergenza di aree disastrate in quattro regioni, compresa la città di Rangoon. Le zone meridionali del Paese sono state investite dal ciclone nel week end. L’area più colpita è quella del delta del fiume Irrawaddy, dove nelle città di Laputta e di Kyaik Lat sono stati abbattuti o danneggiati oltre la metà degli edifici, e le costruzioni rimaste in piedi sono state lasciate senza tetto dalla furia del ciclone. I venti che ieri hanno soffiato a 190 chilometri orari hanno abbattuto alberi e scoperchiato case anche nella capitale Rangoon, rimasta senza acqua ed energia elettrica, mentre le strade sono invase dai detriti e dalle macerie, provenienti dai tronchi caduti e dalle case crollate.
* la Repubblica, 04 maggio 2008
I monaci birmani tornano in piazza
Rapporto di Human Rights Watch: la giunta usa baby-soldati
di RAIMONDO BULTRINI la Repubblica 01 NOVEMBRE
BANGKOK - La rivolta dei monaci è ripresa. In piccola scala, ma potente abbastanza da riportare l’attenzione del mondo sul caso Birmania. Erano poco più di duecento, allineati lungo una traversa minore della cittadina di Pakokku, consapevoli che il valore simbolico del loro gesto andava ben oltre il numero. Intanto, l’organizzazione per i diritti umani Human rights watch denuncia la giunta militare di arruolare bambini, anche di 10 anni appena, nel suo esercito. In un rapporto si afferma che i militari stanno ricorrendo ai bambini soldati per fronteggiare «la continua espansione dell’esercito, l’alto tasso di diserzione e la mancanza di volontari».
Proprio a Pakokku è iniziato tutto come una fiammata 55 giorni fa, il 5 di settembre. Quel giorno parecchi religiosi, venerati dalla popolazione e in teoria dagli stessi governanti, vennero pestati a sangue dai militari mentre cantavano i Sutra buddisti per protestare contro l’aumento dei prezzi e la condizione di miseria della popolazione. Alcuni soldati vennero sequestrati in un monastero e i religiosi chiesero le scuse formali del regime, che rispose con la repressione delle manifestazioni in tutto il paese e l’uccisione di un numero imprecisato di monaci e civili. Da oltre un mese era tornata una calma apparente senza più spiegamenti di truppe, ma la rabbia non era diminuita, tanto che la giunta militare ha riportato nei giorni scorsi i carri armati nelle strade di Rangoon, già temendo evidentemente quello che, ancora in piccolo, è successo a Pakokku.
«Non eravamo in molti - ha spiegato all’emittente norvegese Democratic Voice of Burma uno dei monaci partecipanti - perché non avevamo pianificato la protesta. Ma ce ne saranno presto di più grandi e più organizzate». Da pochi giorni infatti è finito il periodo del ritiro spirituale dei monaci durante il monsone, e a migliaia sono tornati liberi di muoversi. Nella sola Pakokku, città tessile sulle rive del fiume Ayeyarwady, ci sono più di 80 prestigiosi monasteri con migliaia di monaci, trovandosi vicina ai celebri stupa buddhisti dell’antica capitale Pagan.
Alle otto e mezza di mattina dai monasteri di Sasana Wihmula, di Bodhi Mandaing e Mya si sono raccolti dietro alla bandiera color arancio detta Sasana, simbolo dell’eredità spirituale del Buddha, e hanno camminato in direzione della pagoda di Shwe Ku recitando il Metta Sutta, lo stesso di 55 giorni prima.
Nessuno li ha fermati, forse per il numero relativamente esiguo, o per la sorpresa come avvenne a settembre. Ma i partecipanti hanno assicurato di aver messo nel conto anche un’aggressione: «Noi non abbiamo paura di venire arrestati o torturati - ha detto il monaco testimone - perché facciamo questo per Sasana». La protesta di ieri - ha spiegato - «è la continuazione di quelle del mese scorso, perché le nostre richieste non sono state ancora accolte: domandiamo la riduzione dei prezzi, la riconciliazione nazionale e l’immediata liberazione di Aung San Suu Kyi e di tutti i prigionieri politici».
«E intanto la comunità internazionale non trova strumenti efficaci»
Birmania, ecco le «foto della vergogna»
Asianews pubblica le immagini di un monaco ucciso scattate in segreto in un obitorio
MILANO- Immagini durissime, raccapriccianti. Che tolgono il fiato. «Le foto della vergogna», come le descrive AsiaNews. L’agenzia del Pontificio Istituto Missioni Estere ha deciso di diffondere sul web le immagini di un monaco assassinato prese in segreto in un obitorio e fatte pervenire a Roma. «Sono le foto della vergogna. Vergogna per la Giunta, che proprio oggi diffonde alle telecamere di tutto il mondo il suo goffo tentativo di riconciliarsi con i monaci buddisti, costringendoli ad accettare doni. Vergogna per l’Onu e la Comunità Internazionale, che non trova strumenti efficaci per garantire la democrazia a un popolo che l’ha scelta da tempo. E vergogna per noi, che al di là di qualche sussulto, abbiamo pensato che in fondo si tratta solo della soppressione di alcune manifestazioni, quando invece si tratta di un sistema che uccide, ammazza, schiavizza».
CONDANNA - La fonte anonima che ha recapitato le immagini lancia un appello: «Il mondo sappia che c’è bisogno di molto più che una semplice condanna di questi bastardi della giunta». L’agenzia del Pime premette al link per arrivare alla sezione delle foto l’avviso che si tratta di immagini non adatte ai minori e alle persone impressionabili. Ma sono foto che fanno raccapriccio a chiunque.
* Corriere della Sera, 26 ottobre 2007
Aung San Suu Kyi, manifestazioni nel mondo *
Manifestazioni di solidarietà al Premio Nobel per la Pace, Aung San Suu Kyi, e a tutti i prigionieri politici detenuti in Birmania si sono svolte in 12 città del mondo. È il 12esimo anno di detenzione della leader dell’opposizione birmana, Aung San Suu Kyi. Per l’occasione, le sei donne premiate con il Nobel per la pace - Jody Williams, Shirin Ebadi, Wangari Maathai, Rigoberta Menchu Tum, Betty Williams e Mairead Corrigan Maguire - hanno lanciato un appello per la sua liberazione. Anche Amnesty International lancia l’appello: «Le autorità del Myanmar (Birmania) devono rilasciare immediatamente tutti i prigionieri di coscienza».
Le proteste si sono tenute davanti alle ambasciate cinesi di Londra, Parigi, Berlino, Dublino, Vienna, Sydney, Washington, Toronto, New York, Brasilia, Bangkok e Città del Capo. Gli organizzatori avevano chiesto ai partecipare di indossare una maschera con il volto di Suu Kyi e abiti bianchi come quelli dei prigionieri politici birmani.
Intanto, in Cina è giunto l’inviato delle Nazioni Unite Ibrahim Gambari, in missione diplomatica nella regione per ottenere l’appoggio dei Paesi vicini alla Birmania al processo di riconciliazione promosso dalle Nazioni Unite tra la giunta militare al potere dal 1962 e l’opposizione democratica.
Un mese fa i monaci buddisti sono scesi in piazza per protestare contro l’aumento dei prezzi e per chiedere l’avvio di un processo di riconciliazione. La giunta militare birmana ha risposto con la violenza, uccidendo 10 persone e arrestandone un altro migliaio, stando alle cifre ufficiali. Però secondo attendibili fonti dell’opposizione democratica, quelle governative di paesi terzi, e molti dissidenti, il bilancio sarebbe molto più pesante. Secondo la Bbc circa 10mila persone, tra cui molti bonzi, sono state arrestate dalle forze militari capeggiate dal generale Than Shwe e altre centinaia sono state uccise.
* l’Unità, Pubblicato il: 24.10.07. Modificato il: 24.10.07 alle ore 17.41
2.284 solo a Yangon, l’ex capitale
Myanmar, ’’3000 gli arresti durante le proteste’’
La giunta militare ha riferito che 468 delle 2.927 persone arrestate sono ancora in carcere. L’annuncio alla tv di Stato e sui giornali di regime. Ma i dati riguardano esclusivamente le manifestazioni del 26 e 27 settembre
Yangon, 17 ott. (Adnkronos) - La giunta militare del Myanmar ha riferito che 468 delle 2.927 persone arrestate durante le proteste per la democrazia sono ancora in carcere. La notizia è stata diffusa ieri sera con un breve annuncio alle 22 sulla televisione di Stato, e ripetuta oggi sui giornali del regime. In particolare è stato precisato che 2.284 persone sono state arrestate a Yangon (Rangoon) e 643 nel resto del Paese. Rimangono in carcere 190 persone arrestate nell’ex capitale e 278 nelle province.
L’annuncio ha colpito gli osservatori per la sua brevità e la mancanza dell’usuale propaganda antioccidentale di accompagnamento.
I dati riguardano gli arresti alle manifestazioni del 26 e 27 settembre. Ma la giunta militare birmana ha da allora continuato ad arrestare oppositori. Il 13 ottobre ha, per esempio, arrestato tre leader della protesta democratica del 1988 e un altro attivista
La giunta militare al potere "tirerà dritto" come stabilito
giura di resistere a oltranza e nega che ci siano prigionieri politici
Birmania, il regime non si piega
"Non c’è alcuna ragione di cambiare"
Nuove sanzioni Ue contro i generali. Il Giappone revoca gli aiuti *
RANGOON - La giunta al potere in Birmania ha rilanciato la sfida alla comunità mondiale, giurando di resistere a oltranza e insistendo di voler "tirare dritto" e "rimanere in marcia" come stabilito. Il regime militare ha ribadito che non ha alcun motivo di "cambiare direzione", nonostante le azioni della comunità internazionale per far cessare la repressione nel Paese asiatico. "Noi andremo avanti. Non ci sono ragioni per cambiare direzione" ha scritto il quotidiano New Light of Myanmar organo della giunta precisando: "Elimineremo tutti gli impedimenti e gli ostacoli che si frapporranno davanti a noi".
"Non ci sono prigionieri politici". Attraverso i mass media ufficiali la giunta al potere ha quindi negato che in Birmania vi siano prigionieri politici, malgrado le comprovate notizie delle migliaia di arresti effettuati nelle ultime settimane, in concomitanza con la feroce repressione delle proteste di piazza per la democrazia, e a dispetto delle ben nota detenzione domiciliare cui è costretta dal 2003 la leader dell’opposizione, Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la Pace 1991.
Inoltre, commentando la dichiarazione adottata l’11 ottobre al consiglio di Sicurezza dell’Onu, che deplorava la repressione di fine settembre, il giornale ha rilevato: "Questa dichiarazione non è una fonte di inquietudine per noi" poiché la situazione in Birmania "non costituisce in nulla una minaccia alla pace e alla sicurezza regionale e internazionale"; non "c’è quindi alcuna ragione" perché l’Onu avvii una qualsiasi azione contro di noi.
Nuove sanzioni Ue. Ieri l’Unione Europea aveva imposto nuove sanzioni contro i generali birmani, varando l’embargo sulle esportazioni di legname, pietre preziose e metalli dal Paese asiatico, e minacciando ulteriori misure punitive; il presidente americano George W. Bush a sua volta si era appellato per una "enorme pressione internazionale", onde rafforzare l’ostracismo.
Giappone revoca aiuti. Intanto oggi il Giappone ha revocato una serie di aiuti allo sviluppo in Birmania come protesta per le sanguinose repressioni della protesta popolare nelle quali, tre settimane fa, è rimasto ucciso anche un videocronista nipponico. Si tratta di 552 milioni di yen (circa 3,3 milioni di euro) destinati in prevalenza alla costruzione di un centro di formazione professionale. Proseguirà invece l’assistenza in altri settori puramente umanitari come i programmi di vaccinazione dei bambini tramite l’Unicef, il fondo dell’Onu per l’infanzia.
Nell’annunciare la revoca, il ministro degli Esteri Masahiko Komura ha nuovamente espresso la "forte preoccupazione" di Tokyo circa la democratizzazione e la situazione dei diritti umani in Birmania. Il Giappone, ha detto Komura, continuerà a intensificare gli sforzi per convincere il governo birmano ad ascoltare il messaggio della comunità internazionale e ad avanzare verso una vera democratizzazione.
* la Repubblica, 16 ottobre 2007.
Gambari riferisce sulla sua missione: "Rischio di ripercussioni internazionali, no a ritorno a status quo ante"
Pechino contraria alla proposta di Washington. Rappresentante americana a colloquio con la giunta
Birmania, cauto ottimismo all’Onu
Gli Usa pronti a proporre sanzioni
Il regime libera 2000 arrestati durante le manifestazioni:
fra loro oltre 700 monaci. E la tv di stato mostra Suu Kyi
NEW YORK - Un ritorno in Birmania ad una situazione di "status quo ante è inaccettabile e insostenibile". L’inviato dell’Onu Ibrahim Gambari ha riferito oggi davanti al Consiglio di Sicurezza con cauto ottimismo sull’esito della sua missione in Birmania. Esiste una "finestra di opportunità" ha detto il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon aprendo la riunione, ma rimane forte la preoccupazione per la situazione dopo la repressione violenta da parte del regime delle proteste pacifiche dei monaci.
"Il processo di riconciliazione, più urgente che mai, deve essere accelerato", ha detto al Palazzo di Vetro Gambari, che ha commentato positivamente l’annuncio di un possibile incontro tra il generale Than Shwe e Aung San Suu Kyi, la leader dell’opposizione da anni agli arresti domiciliari. "Chiedo alle parti che avvenga appena possibile", ha detto ancora Ban Ki-moon, definendo "inaccettabile" l’uso della forza contro manifestanti pacifici.
"Rilasciare tutti i detenuti". Gambari ha chiesto che tutti i detenuti politici siano rilasciati "senza ulteriori esitazioni". Qualche passo avanti negli ultimi giorni c’è stato, ha riferito, come l’annuncio dell’ammorbidimento del coprifuoco a Rangoon e a Mandalay e la ridotta presenza militare nelle strade. "Sono stato informato dal governo che, a tutt’oggi, un totale di 2.095 persone arrestate nel corso delle dimostrazioni sono state rilasciate, tra cui 728 monaci, e che nuove scarcerazioni seguiranno, come risultato diretto delle mie richieste alle autorità", ha aggiunto.
L’inviato speciale ha concluso la sua relazione affermando che "nonostante questi passi avanti siano benvenuti, decisioni ulteriori devono essere prese nei prossimi giorni e nelle prossime settimane, non solo per superare la crisi attuale ma anche per risolvere" la situazione più in generale, che "rischia di avere gravi ripercussioni internazionali".
La Cina contraria alle sanzioni. Pechino continua a opporsi all’idea di nuove sanzioni contro la Birmania, che, ha detto l’ambasciatore cinese Wang Guan Gya "portebbero solo a uno scontro". L’ipotesi viene invece rilanciata con forza dagli Stati Uniti, che sarebbero pronti a proporre una risoluzione apposita all’Onu e chiedono anche che Gambari torni al più presto nel Paese. L’incaricata d’affari Usa, Shari Villarosa, è stata invitata nella nuova capitale Naypyidaw per incontrare alcuni esponenti del regime, ma non il capo della giunta, Shwe. Porterà loro un messaggio chiaro - ha spiegato il portavoce del Dipartimento di Stato Usa, Sean McCormack - cioè che la repressione deve finire e deve iniziare il dialogo con l’opposizione.
Immagini di Suu Kyi sulla tv birmana. Intanto la tv di stato birmana ha mostrato per la prima volta dopo anni immagini di Aung San Suu Kyi, durante l’incontro con Gambari. E la giunta militare ha ammesso di aver fermato 700 monaci coinvolti nelle proteste, 109 dei quali sarebbero ancora detenuti.
La Lega Nazionale per la Democrazia, principale forza di opposizione in Birmania, ha bollato come poco seria l’offerta di colloqui diretti rivolta dal generale Shwe ad Aung San Suu Kyi, dal generale Shwe. "Pretendono da lei la confessione di reati che non ha commesso", ha osservato Nyan Win, portavoce della Lnd, puntualizzando che comunque la proposta sarà valutata "con spirito positivo" da ’Daw’ Suu Kyi, la ’Signora’, come il premio Nobel per la Pace 1991 è chiamata in lingua birmana.
* la Repubblica, 5 ottobre 2007.
ANSA» 2007-10-04 11:34
BIRMANIA: ANCORA DECINE DI ARRESTI
RANGOON - Nella notte le forze di sicurezza birmane hanno effettuato altre decine di arresti a Rangoon, secondo quanto hanno rivelato testimoni nella ex capitale birmana. Analogamente alle altre volte, le forze si sicurezza hanno rastrellato numerosi quartieri durante le ore del coprifuoco, in particolare il settore della pagoda di Shwedagon, che nelle scorse settimane era stato uno dei punti di aggregazione delle manifestazioni guidate dai monaci buddisti e duramente represse dalla giunta militare.
Secondo alcuni osservatori sembra che le autorità dispongano di liste di sospetti, fotografie e filmati presi durante le manifestazioni del 24 e 25 settembre, e in base a questi procedano sistematicamente agli arresti. Abitanti di Rangoon hanno detto che alcune persone arrestate la settimana scorsa sono state rilasciate dopo aver subito interrogatori, ma la maggior parte dei monasteri di Rangoon e di altre zone sembrano deserti e molti monaci mancano ancora all’appello.
"Ci dobbiamo nascondere. Ci siano uniti alle manifestazioni per pregare in modo pacifico a favore della popolazione. Non so cosa è accaduto ma dobbiamo nasconderci. Spero che le cose migliorino al più presto" ha detto un monaco, che ha chiesto di restare anonimo, all’agenzia France Presse.
POSITIVA PER PECHINO LA MISSIONE DI GAMBARI
La Cina giudica "positiva" la missione in Birmania dell’inviato speciale dell’Onu Ibrahim Gambari. In una nota comparsa sul sito web del ministero degli esteri di Pechino, il portavoce Liu Jianchao ripete l’ appello già rivolto in precedenza ai generali birmani e all’ opposizione, invitandoli ad "esercitare la moderazione". Inoltre, "le parti interessate" vengono invitate da Pechino a "proseguire il processo di riconciliazione" a "migliorare le condizioni di vita della popolazione" e a "realizzare la democrazia e lo sviluppo con mezzi pacifici".
Lo stesso Gambari, che ha lasciato ieri la Birmania dopo aver incontrato i leader della giunta militare e la leader dell’ opposizione Aung San Suu Kyi, non ha ancora commentato la sua visita. Nella nota, Liu Jianchao afferma che la Cina ’ha compiuto degli sforzi’’ per assicurare il successo della missione di Gambari e che in futuro intende giocare "un ruolo attivo e costruttivo". Pechino ha grossi investimenti in Birmania, soprattutto nello sfruttamento e nella ricerca del gas naturale del quale il paese é ricco, e si ritiene che sia uno dei pochi paesi al mondo in grado di farsi ascoltare dai militari birmani. La Cina si oppone all’ imposizione di sanzioni economiche alla giunta, come proposto dagli Usa e dall’ Europa, affermando che non sarebbero "costruttive".
ANSA» 2007-10-02 11:39
BIRMANIA, INVIATO ONU INCONTRA DI NUOVO SAN SUU KYI
RANGOON - L’inviato speciale dell’Onu in Birmania, Ibrahim Gambari, ha incontrato di nuovo la dissidente storica e Premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi. Lo rivelano fonti birmane.
CAPO GIUNTA MILITARE RICEVE INVIATO ONU - Il capo della giunta militare birmana generale Than Swe ha ricevuto oggi l’inviato speciale delle Nazioni Unite, Ibrahim Gambari. Lo ha annunciato un responsabile del ministero dell’Informazione. L’incontro e’ avvenuto nella nuova capitale della Birmania, Naypydaw.
GIUNTA RIDUCE COPRIFUOCO NOTTURNO DI DUE ORE - La giunta militare al potere in Birmania ha annunciato oggi una riduzione di due ore del coprifuoco notturno imposto in questi giorni in seguito alle grandi manifestazioni dell’opposizione. Altoparlanti montati su camion girano per Rangoon annunciando che il coprifuoco d’ora in poi sarà in vigore dalle 22.00 alle 04:00, anziché dalle 21:00 alle 05:00.
BIRMANIA: ONU,MINISTRO ESTERI ACCUSA ’OPPORTUNISTI POLITICI’ - Il ministro degli Affari Esteri birmano, U Nyan Win, in un discorso all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, ha accusato ’’opportunisti politici’’ appoggiati da ’’paesi forti’’ di essere i responsabili della repressione subita la settimana scorsa dai manifestanti nel suo paese. U Nyan Win ha avvertito la comunita’ internazionale ad astenersi dall’imporre sanzioni che non farebbero altro che gettare benzina sul fuoco.
ALMENO 30 MORTI E 1.400 ARRESTI, DICE AUSTRALIA - Secondo il governo australiano, sono almeno 30 le persone uccise e altre 1.400 quelle arrestate nella repressione militare delle manifestazioni per la democrazia dei giorni scorsi in Birmania. Lo ha detto oggi alla radio australiana Abc il ministro degli esteri, Alexander Downer, che ha definito ’’una vera esagerazione per difetto’’ il bilancio ufficiale di 10 morti. ’’Pensiamo che il numero sia sostanzialmente superiore. Possono essere multipli di 10 o anche di piu’’, ha dichiarato. Il ministro ha espresso fiducia che la Cina, che e’ l’alleato piu’ vicino dei generali che comandano in Birmania, si adoperi per calmare la situazione. ’’Ma naturalmente nessuno puo’ sapere fino a che punto i cinesi possano influenzare la situazione’’, ha aggiunto Downer.
AUSTRALIA RESPINGE NOMINA AMBASCIATORE - L’Australia si è posta in prima linea nella guerra diplomatica contro il regime militare in Birmania, respingendo la nomina di un generale dell’esercito come nuovo ambasciatore a Canberra. Al tempo della sua nomina alcuni mesi fa, il brigadiere generale Thura U Thet Oo Maung serviva nel comando dell’esercito, e in precedenza è stato responsabile militare degli stati di Shan e Karen, teatro di una dura repressione di etnie indipendentiste.
"Abbiamo messo in chiaro con i birmani che in nessuna circostanza accetteremmo come ambasciatore un esponente del loro regime militare", ha dichiarato il ministro degli Esteri Alexander Downer. Ha quindi osservato che un simile rifiuto è estremamente raro nella prassi diplomatica, ma Canberra vuole sottolineare che la repressione dei manifestanti pro democrazia "é un comportamento inaccettabile". La settimana scorsa il dipartimento degli Esteri ha convocato l’ambasciatore reggente della Birmania a Canberra, per protestare contro la repressione militare a Rangoon. L’Australia ha anche imposto restrizioni finanziarie e di visto a personaggi del regime, e ha ottenuto dai paesi dell’Associazione delle nazioni del sud est asiatico (Asean), di cui Birmania è membro, una dura presa di posizione verso la giunta militare. Resta esclusa però l’adozione di sanzioni economiche, dato che i rapporti commerciali fra i due paesi sono minimi. Intanto a Sydney un gruppo di esuli birmani ha iniziato uno sciopero della fame davanti ai locali uffici delle Nazioni unite. I manifestanti chiedono di presentare una petizione a funzionari dell’Onu, e distribuiscono al pubblico copie di lettere che descrivono la situazione in Birmania.
L’emissario delle Nazioni Unite è già tornato a Naypydaw, la capitale
L’opposizione si sta riorganizzando: in programma uno sciopero generale
Birmania, l’inviato dell’Onu Gambari
incontrerà domani il generale Than Shwe *
RANGOON - L’inviato speciale delle Nazioni Unite, Ibrahim Gambari, incontrerà domani il generale Than Shwe, capo della giunta militare birmana. Lo hanno annunciato fonti del regime. Gambari è già tornato a Naypyidaw, il villaggio nella giungla che l’esercito ha voluto come nuova capitale dal 2005. Ieri l’emissario dell’Onu aveva avuto un colloquio di poco più di un’ora a Rangoon con la leader dell’opposizione e premio Nobel per la Pace, Aung San Suu Kyi.
Intanto l’opposizione birmana non si piega e risponde alla sanguinosa repressione della giunta militare con lo sciopero generale. E, dalla ’zona libera’ Karen, ai confini con la Thailandia, si muove l’esercito formato dall’alleanza tra le etnie shan, karen, mon e karenny.
A riferirlo all’agenzia Agi è Cecilia Brighi, responsabile della Cisl per i rapporti con le istituzioni internazionali e con i Paesi asiatici. "Il sindacato birmano ha lanciato una mobilitazione generale per paralizzare formalmente il Paese - ha raccontato la rappresentante sindacale - a Rangoon (che la giunta ha ribattezzato Yangon), nella zona di Insein, 2.000 persone stanno già manifestando e altre 1.500 si sono radunate nell’area dei centri commerciali".
Ieri non ci sono state manifestazioni: i monaci, anima della protesta dei giorni scorsi, sono confinati nei monasteri e la repressione scatenata dai militari ha stroncato il movimento. Dalle testimonianze che riescono a sfuggire alle maglie della censura si apprende di centinaia di arresti e di pestaggi da parte dell’esercito nei monasteri.
* la Repubblica, 1 ottobre 2007.
MAO VALPIANA: IL METODO NONVIOLENTO DEI MONACI BUDDISTI BIRMANI *
Tutto il mondo guarda alla prova di forza tra il regime e le preghiere di migliaia di monaci che lungo le strade di Rangoon, in Birmania, sfilano chiedendo il diritto alla vita per una popolazione affamata e sofferente. La loro preghiera e’ per la democrazia e la liberta’. Ci sono molti insegnamenti nelle manifestazioni dei monaci e dei cittadini che si sono svolte nelle citta’ birmane in questi giorni.
Per solidarizzare concretamente con la lotta del popolo birmano (evitando la moda politica del momento e il rischio autoreferenziale che emerge da alcune iniziative partitiche ed istituzionali italiane) e’ bene comprendere il senso profondo del metodo che i monaci hanno attuato (nel mezzo, diceva Gandhi, e’ gia’ insito il fine che si vuole raggiungere).
I monaci dicono che non si puo’ realizzare ne’ ottenere nulla di buono se non si ha sufficiente pace nell’anima e che agli attacchi dei militari del generale Than Shwe, si puo’ rispondere solo con la preghiera.
I monaci vogliono "pregare per il bene di tutti". E’ con questo spirito che essi hanno la certezza di farcela e di conquistare la pace e la democrazia.
"Ci vorra’ tempo, ma il bene porta solo bene", assicurano.
"Offrire aiuto ad un intero popolo senza abbracciare le armi e’ un dovere", affermano, "ogni monaco deve essere partecipe e sapersi sacrificare per lenire le sofferenze del popolo dove vive e pratica. Preghiamo perche’ tutto questo finisca e la Birmania possa contare su di un governo democratico".
Marciano a piedi scalzi, perche’ hanno fatto voto di poverta’, e perche’ il loro metodo e’ quello di assumere su di se’ le sofferenze, non di caricarle sulle spalle altrui.
Hanno simbolicamente rovesciato le loro ciotole, perche’ non vogliono accettare l’elemosina dai militari; anche questa e’ una rinuncia alla collaborazione con il male. E’ una sorta di digiuno, di sciopero, un modo di dire: "Io ti rispetto come persona, ma non accetto nulla dalla tua struttura di violenza".
Manifestano senza bandiere di parte, solo quella con il pavone, simbolo di liberta’ e democrazia. Hanno rinunciato ai loro segni distintivi, alla singola individualita’, per riconoscersi tutti nell’identita’ nazionale birmana, si sono completamente identificati nella sofferenza del popolo.
Dai loro cortei non si levano slogans e proclami, ma una sola frase, in forma di preghiera: "viva la democrazia". Non portano cartelli, ne’ striscioni, perche’ il loro corpo disarmato e’ il messaggio.
Se vengono picchiati, bastonati, arrestati, torturati, non regiscono, subiscono, se possibile con il sorriso sulle labbra. La loro e’ la nonviolenza del forte, non del debole.
Pace interiore, preghiera, sacrificio, poverta’, noncollaborazione, digiuno, tenacia, serenita’: e’ fatta di questo la nonviolenza dei monaci buddisti birmani.
Sono gli stessi valori vissuti e trasmessi da due maestri della nonviolenza che ci prepariamo ad onorare nei prossimi giorni: Mohandas Gandhi (il 2 ottobre, anniversario della nascita, si celebra la "Giornata internazionale della nonviolenza" indetta dall’Onu) e San Francesco d’Assisi (il 4 ottobre, anniversario della morte, e’ la festa del patrono d’Italia).
Nella memoria di Gandhi e di Francesco siamo vicini ai fratelli monaci birmani, e li ringraziamo per la loro lotta che fa tanto bene anche a noi, che dobbiamo trovare la forza per liberarci dalle basi militari e dalle bombe atomiche ancora pesenti sul nostro territorio, e per uscire dai conflitti armati nei quali il nostro paese e’ coinvolto.
Solo con la nonviolenza l’umanita’ si potra’ salvare.
*
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO Numero 228 del 30 settembre 2007
[Ringraziamo Mao Valpiana (per contatti: e-mail: mao@sis.it o anche azionenonviolenta@sis.it, sito: www.nonviolenti.org) per questo intervento.
Mao (Massimo) Valpiana e’ una delle figure piu’ belle e autorevoli della nonviolenza in Italia; e’ nato nel 1955 a Verona dove vive ed opera come assistente sociale e giornalista; fin da giovanissimo si e’ impegnato nel Movimento Nonviolento (si e’ diplomato con una tesi su "La nonviolenza come metodo innovativo di intervento nel sociale"), e’ membro del comitato di coordinamento nazionale del Movimento Nonviolento, responsabile della Casa della nonviolenza di Verona e direttore della rivista mensile "Azione Nonviolenta", fondata nel 1964 da Aldo Capitini. Obiettore di coscienza al servizio e alle spese militari ha partecipato tra l’altro nel 1972 alla campagna per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza e alla fondazione della Lega obiettori di coscienza (Loc), di cui e’ stato segretario nazionale; durante la prima guerra del Golfo ha partecipato ad un’azione diretta nonviolenta per fermare un treno carico di armi (processato per "blocco ferroviario", e’ stato assolto); e’ inoltre membro del consiglio direttivo della Fondazione Alexander Langer, ha fatto parte del Consiglio della War Resisters International e del Beoc (Ufficio Europeo dell’Obiezione di Coscienza); e’ stato anche tra i promotori del "Verona Forum" (comitato di sostegno alle forze ed iniziative di pace nei Balcani) e della marcia per la pace da Trieste a Belgrado nel 1991; nel giugno 2005 ha promosso il digiuno di solidarieta’ con Clementina Cantoni, la volontaria italiana rapita in Afghanistan e poi liberata. Un suo profilo autobiografico, scritto con grande gentilezza e generosita’ su nostra richiesta, e’ nel n. 435 del 4 dicembre 2002 di questo notiziario]
Ibrahim Gambari ha trascorso la notte a Naypyidaw, capitale di Myanmar dal 2005
Oggi a Rangoon non ci sono manifestazioni di protesta, le strade sono vuote
Birmania, l’inviato dell’Onu ha incontrato Aung San Suu Kyi
Secondo Mizzima, l’agenzia che dà voce all’opposizione birmana, la giunta ha organizzato
"contromanifestazioni" a proprio favore, "per impressionare" il diplomatico delle Nazioni Unite *
RANGOON - L’inviato delle Nazioni Unite, Ibrahim Gambari, ha incontrato la leader dell’opposizione birmana Aung San Suu Kyi a Rangoon. Lo hanno reso noto fonti della sicurezza. Inizialmente l’autorizzazione era stata negata dal capo della giunta di Myanmar, il generale Than Shwe, anche a causa delle pesanti misure di sicurezza a Rangoon.
L’incontro, che è avvenuto in una residenza del governo, messa a disposizione di Gambari, è durato un’ora e 15 minuti. Già nel maggio del 2006 l’inviato delle Nazioni Unite aveva avuto la possibilità di un colloquio con la donna simbolo della lotta contro il regime dei militari, ma le conseguenze erano state dure: una settimana dopo la giunta aveva risposto prorogando gli arresti.
Appena arrivato in Birmania, Gambari si era recato a Naypyidaw, circa 350 chilometri a Nord di Rangoon, la cittadella blindata in mezzo alla giungla, che nel 2005 la giunta del generale Than Shwe ha trasformato nella nuova capitale. Secondo fonti diplomatiche ha incontrato proprio il generale, per chiedergli di permettere d’incontrare Aung San Suu Kyi. Tuttavia stamane è arrivata una smentita della giunta.
In genere i generali ignorano la pressione internazionale, ma questa volta evidentemente hanno deciso di essere più flessibili considerato che le dure repressioni avvenute nella settimana che sta per concludersi hanno suscitato anche le proteste della vicina Cina e la condanna dell’Associatione delle Nazioni del Sud Est Asiatico, delle quali lo stato di Myanmar è membro.
Oggi nelle strade c’è poca gente, nonostante non ci sia alcun segnale da parte dei generali di una qualsivoglia concessione nei confronti dei manifestanti. Il governo ha ammesso che la repressione ha provocato la morte di dieci persone, ma secondo gli osservatori internazionali in realtà le vittime sono molte di più, circa 35.
Intanto, secondo quanti riportato da Mizzima, l’agenzia che dà voce all’opposizione birmana, le autorità hanno cercato di organizzare contro-manifestazioni di sostegno al regime per "impressionare Gambari". "Le autorità cittadine hanno dato disposizione di formare gruppi di manifestanti di almeno 20 persone secondo quest’ordine: almeno 30 persone nei villaggi con più di 50 nuclei familiari e 25 nei villaggi con meno di 50 famiglie" si legge sul sito web di Mizzima, "tutti dovranno raggiungere la città di Loikaw per dimostrare il proprio sostegno alla convention nazionale della giunta che si è appena conclusa".
Per fiaccare la protesta, il regime ha anche cercato di convincere i monaci più giovani e i novizi a lasciare i monasteri - quasi tutti chiusi - e a tornare dalle proprie famiglie e ha messo loro a disposizione trasporti gratuiti. Per questo - afferma Mizzima - ma anche per l’attesa che circonda la visita di Gambari, le proteste sono scemate rispetto ai giorni scorsi.
* la Repubblica, 30 settembre 2007.
ANSA» 2007-09-30 06:19
BIRMANIA: L’INVIATO ONU IN UN PAESE SOTTO ASSEDIO
RANGOON - L’Onu gioca la carta diplomatica nella crisi della Birmania. In un Paese in stato d’assedio, dove migliaia di militari sono riusciti in tre giorni di sanguinosa repressione a riportare un ordine armato nelle strade e dove si sono visti solo pochissimi manifestanti, subito dispersi o arrestati, è arrivato l’inviato speciale del Consiglio di sicurezza dell’Onu Ibrahim Gambari. Mentre i collegamenti internet continuano ad essere interrotti, tranne un breve ripristino di poche ore, una pacifica manifestazione di circa 500 monaci, con i militari rimasti a guardare, si è comunque svolta a Pakokku. Ma 500 chilometri più a sud, mentre Gambari transitava brevemente a Rangoon prima di decollare nuovamente per Naypyidaw, l’ex capitale contava quasi più militari che civili nelle strade del centro.
Le grandi pagode di Shwedagon e Sule erano completamente isolate, le camionette pattugliavano le strade, ancora piene di barricate e barriere di filo spinato. La repressione, che ha lasciato in terra - secondo cifre ufficiali, contestate dal governo inglese come reticenti - 13 morti, fra cui un fotografo giapponese, sembra funzionare. In giro non si vedono monaci e qualcuno di loro, dicono testimoni, si mischia alla gente senza la tonaca rossa. La popolazione appare intimorita, pochi escono di casa. La stampa ufficiale birmana titola trionfante che "pace e stabilità sono state ripristinate" e che le forze di sicurezza sono riuscite ad avere la meglio sulla protesta "con il guanto di velluto, con un uso della forza minimo".
Nonostante questo clima un centinaio o poco più di manifestanti si è radunato nei pressi del ponte Pansoedan e poi del mercato Bagyoke Aung San (Scott Market). Canti, slogan, qualche insulto ai militari, poi le cariche li hanno rapidamente dispersi a colpi di manganello, di spari in aria e con l’arresto di diversi di loro, caricati a forza sui camion, secondo i testimoni. "Hanno colpito la gente con una violenza tale che non si capisce come potesse resistere", ha raccontato un testimone all’Afp. "I membri delle forze di sicurezza superano in numero i manifestanti nel centro della città. I manifestanti non si azzardano più a venire visto che rischiano come minimo di essere violentemente pestati o arrestati", dice un altro testimone.
Ad aumentare la tensione la giunta ha prima bloccato la distribuzione di aiuti alimentari dal parte del Pam (Programma alimentare mondiale dell’Onu) a mezzo milione di persone. Poi, per le proteste dell’organizzazione, l’ha in parte ripristinata. Sui colloqui dell’inviato dell’Onu, Gambari, finora non è trapelato nulla. Da Singapore, prima di decollare alla volta di Rangoon, il diplomatico nigeriano ha annunciato che avrebbe "consegnato un messaggio del segretario generale delle Nazioni Unite alla leadership (birmana)". A Rangoon Gambari non ha rilasciato dichiarazioni e non è chiaro se intendesse cercare di incontrare la dissidente storica, Premio Nobel per la Pace, Aung San Suu Kyi.
"M’aspetto di incontrare tutti coloro che devo incontrare", ha detto laconicamente l’inviato Onu. La Casa Bianca ha espresso perplessità sulla brevità della sua sosta a Rangoon prima di volare a Naypyidaw, "lontano dai centri più popolosi e dal popolo". "Esortiamo la giunta - ha detto il portavoce Gordon Johndroe - a permettergli l’accesso a tutti coloro che desidera incontrare, inclusi leader religiosi e Aung San Suu Kyi". Gambari - ha commentato il ministro degli esteri di Singapore, George Yeo, che ha ricevuto il diplomatico nigeriano - "é la migliore speranza che abbiamo. In lui confidano entrambe le parti. Se fallisce, la situazione può diventare bruttissima".
Ibrahim Gambari incontrerà i membri del regime e, forse, quelli dell’opposizione
A Rangoon ancora cariche e pestaggi contro i pochi manifestanti. Altri arresti
E’ in Birmania l’inviato dell’Onu
Cariche a Rangoon, chiuso di nuovo il web
Internet aveva ripreso a funzionare per 24 ore, poi è stata di nuovo interrotta *
RANGOON - Arriva in Birmania l’inviato dell’Onu Ibrahim Gambari e il regime gli "regala" una paio d’ore di riapertura di internet. Ma, subito dopo, torna l’isolamento della rete e riprendono anche i pestaggi e le violenze nei confronti di poche centinaia di manifestanti che ancora resistono nel centro di Rangoon ormai ridotto quasi al silenzio e saldamente in mano alle forze di polizia.
L’inviato Onu. A Ibrahim Gambari spetta il difficile compito di provare a indicare una soluzione pacifica. L’inviato dell’Onu è arrivato con un aereo di linea da Singapore. Appena sbarcato a Rangoon è subito salito a bordo di un velivolo speciale che lo ha condotto direttamente a Naypyidaw, il villaggio in mezzo alla giungla situato 385 chilometri più a nord, e che la giunta del generale Than Shwe ha trasformato nella nuova capitale birmana. Non è ancora chiaro se al diplomatico egiziano, rappresentante personale del segretario generale Ban Ki-moon, sarà consentito aveva un colloquio faccia a faccia con lo stesso leader del regime. "Mi aspetto di incontrare tutte le persone che ho bisogno di vedere" ha detto partendo da Singsapore, lasciando così intendere un probabile incontro anche con la leader carismatica dell’opposizione, Aung San Suu Kyi.
Altre violenze a Rangoon. Nel pomeriggio le forze di sicurezza birmane sono tornate in azione a Rangoon, caricando a manganellate due manifestazioni di protesta nel centro città. La polizia ha sparato colpi d’avvertimento per disperdere un assembramento di circa 500 persone al mercato di Bagyoke Aung San, meta turistica nota anche come Scott’s Market. Un numero imprecisato di manifestanti è stato arrestato. Al vicino ponte Pansoedan si è formato un altro gruppo, di un centinaio di persone. Non appena i dimostranti hanno iniziato ad applaudire, sono stati aggrediti a bastonate da una cinquantina tra soldati e poliziotti.
E’ dunque durata poco l’apparente e irreale calma che fino a quel momento era prevalsa nella vecchia capitale birmana, sebbene in giornata il volume delle proteste sia stato enormemente inferiore rispetto ai giorni precedenti, a causa del massiccio dispiegamento di truppe e anche delle torrenziali piogge monsoniche abbattutesi sulla città.
Internet. Dopo circa 24 ore di black-out era stato ripristinato l’accesso a Internet, ma oggi ne sono passate appena un paio prima che fosse bloccato di nuovo. L’oscuramento era iniziato ieri, con ogni probabilità per ordine del governo, con l’obiettivo di chiudere l’unica ’finestra’ attraverso la quale il resto del mondo poteva conoscere almeno in parte, mediante foto, video e informazioni, che cosa accade in Birmania. In giornata gli utenti erano però potuti tornare a navigare in rete, anche se non a 360 gradi: era infatti possibile accedere soltanto ai siti collocati su indirizzi nazionali, non a quelli stranieri; in compenso, la posta elettronica sembrava funzionare pienamente, e pertanto i messaggi e-mail potevano essere inviati anche all’estero.
Un’ipotesi formulata dagli osservatori era stata che il ripristino di Internet fosse legato all’imminente arrivo di Gambari. Si era pensato a un gesto distensivo del regime dal quale, almeno per l’intera permanenza dell’emissario del Palazzo di Vetro, ci si attendono un atteggiamento quanto meno cauto e, in concreto, una sospensione delle brutalità nei confronti degli oppositori.
Invece, ben presto l’ex Birmania è tornata a essere isolata dal mondo, anche per via telematica. Resta comunque il dato dell’importanza di internet in questa vicenda: diciannove anni fa, all’epoca della precedente sollevazione popolare contro la giunta, gli oppositori non disponevano di ritrovati tecnologici per aggirare le pastoie di regime e far sentire la propria voce; le immagini dei massacri perpetrati per volontà dei vertici militari dalle forze di sicurezza contro i dimostranti, in massima parte studenti, per giorni e giorni rimasero così congelate, e nessuno seppe alcunchè dei drammatici momenti vissuti dal Paese asiatico finchè la situazione non fu completamente normalizzata con la forza. Questa volta, grazie alla rete, alla posta elettronica e ai canali telematici, il mondo ha potuto sapere e "vedere" quello che stava (e sta) succedendo in Birmania.
Sanzioni Ue. Un alto diplomatico europeo ha convocato l’incaricato d’affari birmano a Bruxelles per "spiegare" i termini di un possibile rafforzamento di sanzioni da parte europea e le altre misure che l’Ue intende prendere contro il Paese per spingere il processo di democratizzazione nel Paese. Lo ha riferito oggi la portavoce dell’Alto rappresentante per la politica estera Ue Javier Solana, Cristina Gallach.
Il diplomatico, Helga Shmidt, una stretta collaboratrice di Solana, ha convocato ieri l’incaricato d’affari Han Thu, per informarlo che i 27 paesi dell’Ue lavoreranno ad un possibile rafforzamento delle sanzioni contro il regime birmano che, dallo scorso mercoledì, reprime con la forza la protesta popolare esplosa da giorni nel Paese, ha detto Cristina Gallach.
Helga Smidt ha inoltre messo al corrente Han Thu di altre "piste di lavoro" dell’Ue, tra cui stretti contatti con i paesi vicini alla Birmania e partner dell’Ue (Cina, India, paesi dell’Asean - Associazione delle Nazioni dell’Asia Sud-Orientale) e aiuti diretti alla popolazione, ha aggiunto la portavoce.
Gli aiuti del Pam. Le autorità militari hanno dato il permesso di trasportare e consegnare a Lashio 195 tonnellate di viveri del Pam che erano state bloccate a Mandalay. Il Programma Alimentare mondiale, la maggior agenzia umanitaria dell’Onu, aveva lanciato un appello per chiedere il pieno e libero accesso in tutto il Paese, allo scopo di distribuire il cibo. Il Pam è attualmente impegnato in un programma che ha l’obiettivo di sfamare 500mila persone, la maggior parte delle quali bambini.
L’appello al papa. L’ex premier, attualmente in esilio, Sein Win, e il segretario dell’Ncub, il Consiglio Nazionale dell’Unione Birmana, Maung Maung, hanno scritto oggi a papa Benedetto XVI, chiedendo che il pontefice, nel corso dell’Angelus di domani, faccia sentire la sua voce " per incoraggiare i credenti di tutte le fedi in Birmania e nel mondo affinché sostengano le varie iniziative pacifiche in atto".
* la Repubblica, 29 settembre 2007
ANSA» 2007-09-29 10:04
BIRMANIA: ARRIVA INVIATO ONU, ANNUNCIATA NUOVA PROTESTA
RANGOON - I manifestanti birmani anti-giunta sono pronti a tornare oggi in piazza a Rangoon e a far sentire la propria voce anche durante la visita dell’inviato speciale dell’Onu Ibrahim Gambari atteso nel Paese in giornata. "Siamo pronti a scendere in piazza di nuovo. Ricominceremo ancora e ancora. E abbiamo buone speranze che le cose s’intensificheranno nelle prossime ore", ha detto uno tra più attivi partecipanti alla protesta che da giorni scuote il Paese del sud-est asiatico provocando una dura repressione da parte della giunta militare da 45 anni al potere.
Il programma della visita di Gambari non è stato reso noto, nelle sue missioni passate in Birmania l’inviato Onu aveva incontrato più volte il capo della giunta, il generale Than Shwe, e una volta anche la leader dell’opposizione e premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, gli Stati Uniti premono affinché Gambari possa incontrarla anche in questa occasione. Il diplomatico di origine nigeriana ha oggi il delicato compito di tentare di persuadere il regime militare a risolvere pacificamente la crisi in corso. Intanto questa mattina Rangoon, deserta, è apparsa ancora una volta presidiata dalle forze dell’ordine: le strade che portano alle principali pagode della città sono sbarrate e una ventina di veicoli militari stazionano nei pressi alla pagoda di Sule, teatro delle violenze dei giorni scorsi, mentre le due divisioni dell’esercito impegnate in città nei giorni scorsi hanno ricevuto i rinforzi di una terza.
RIPRISTINATO COLLEGAMENTO INTERNET L’accesso a Internet è stato ripristinato oggi in Birmania, il giorno dopo un’interruzione dei collegamenti attribuita al regime militare in un tentativo di frenare la diffusione all’estero di fotografie, filmati e testimonianze sulla sanguinosa repressione del movimento pro-democrazia. Dall’interno del Paese, bloggers e internauti sono di nuovo in grado di accedere a pagine internet locali e a inviare email all’esterno del Paese.
La forza dei monaci
DI ENZO BIANCHI (La Stampa, 28/9/2007)
File interminabili di monaci che camminano silenziosi e risoluti in mezzo a due ali di folla con le loro teste rasate e gli abiti cremisi e arancioni; monaci accovacciati inermi di fronte a militari in assetto antisommossa.
Bocche abituate al silenzio coperte da mascherine antilacrimogeni; monaci anziani e giovani feriti, uccisi, imprigionati, bastonati... Il mondo sembra scoprire tragicamente solo in queste ore un intero Paese e, al cuore di esso, i suoi monaci. E, stupito, si chiede quale forza interiore li muova e faccia di loro una leva cui si affida per il proprio riscatto un popolo vessato da un regime dittatoriale.
Persone che noi frettolosamente giudichiamo «fuori dal mondo», distaccate dalle ambizioni e dalle preoccupazioni che abitano i loro contemporanei, si rivelano le più capaci di cogliere le radici di un disagio e di una insostenibilità della vita, quelle maggiormente in grado di dare voce - paradossalmente attraverso il silenzio - al grido soffocato dell’oppresso, di farsi carico della sofferenza e della dignità di un’intera nazione. Di loro ci accorgiamo solo in situazioni estreme, come ai tempi dei bonzi che si davano fuoco in Vietnam, della precedente rivolta in Birmania o della resistenza e dell’esilio dei lama tibetani, icona di un popolo martoriato; oppure li confiniamo in un fascinoso mondo poetico, come i protagonisti de l’Arpa birmana o del più recente Primavera, estate, autunno, inverno... e ancora primavera. Eppure essi sanno cogliere con estrema concretezza ciò che ai più sfugge: la radice ultima delle cose.
Questo dipende indubbiamente da alcune caratteristiche proprie del buddhismo e dei suoi monaci: una via «monastica» nella sua essenza e struttura, al cui interno ogni giovane è invitato a trascorrere un tempo come monaco nel proprio percorso di formazione umana; una società dove la gente normale incontra ogni giorno sul proprio cammino i monaci che, in silenzio, nella fiducia e nell’abbandono alla generosità dell’altro, chiedono per strada una ciotola di riso, nutrimento per loro sì, ma soprattutto occasione per il donatore di perseguire la rettitudine della propria vita. Non a caso abbiamo visto in questi giorni immagini di monaci che tenevano ostentatamente rovesciata la propria ciotola, in segno di estrema protesta, come a dire: noi siamo disposti a privarci del cibo, ma priviamo nel contempo questa società ingiusta della via maestra per compiere un’azione meritoria.
Ma in questa epifania della capacità dei monaci birmani di catalizzare il sentire della gente comune ritroviamo soprattutto alcuni tratti comuni al monachesimo come fenomeno antropologico, prima ancora che come elemento interno a una determinata via religiosa. La vita monastica, infatti, è un fenomeno umano, quindi universale, che presenta gli stessi caratteri a tutte le latitudini, presente nella storia non solo delle varie religioni, ma anche di alcune correnti e scuole filosofiche. È una forma di vita che da sempre riguarda sia uomini che donne e che si caratterizza per il celibato e per una certa separazione dall’ambiente sociale e sovente anche religioso di appartenenza: elementi che da soli ne spiegano la natura di presenza sempre minoritaria. Quale elemento marginale, il monaco emerge da un’area esogena ma, facendo parte del sistema endogeno della religione e della società, rappresenta un agente esterno che lavora ed è efficace all’interno.
Il monachesimo non resta mai completamente esogeno, «altro» - pena il divenire settario ed ereticale - ma non è neanche mai interamente endogeno, come se fosse una forza che nasce e si sviluppa all’interno del sistema istituzionale. Questa duplice appartenenza del monaco fa sì che, come minoranza efficace, inoculi all’interno del sistema religioso e sociale una diastasi che è sempre e congiuntamente di edificazione e di contestazione. In qualche misura il monaco mantiene il contatto con la cultura dominante, ma esprime anche una protesta, e ricerca un urto con questa, ponendosi in contrasto con la «via media». «Compito peculiare del monaco - scriveva Merton, un monaco d’Occidente così familiare al monachesimo buddhista - è tener viva nel mondo moderno l’esperienza contemplativa e mantenere aperta per l’uomo tecnologico dei nostri giorni la possibilità di recuperare l’integrità della sua interiorità più profonda». Sì, il monachesimo è controcultura, cioè cultura altra, minoritaria ma, proprio per questo, capace di svolgere un ruolo determinante ed efficace nel lungo termine. Allora, non chiediamoci per chi e perché manifestano i monaci birmani: essi manifestano anche per noi, avvolti nella miope opulenza del nostro Occidente malato di mancanza di senso.
ANSA» 2007-09-28 19:20
BIRMANIA: APPELLO BUSH-BROWN, NON REPRIMERE LA PROTESTA
ROMA - Stati Uniti e Gran Bretagna, dopo un collegamento in video conferenza tra il presidente Usa George W. Bush e il premier britannico Gordon Brown, hanno rinnovato la loro richiesta alla giunta birmana che cessi di reprimere le manifestazioni di protesta della popolazione. Durante il colloquio Bush e Gordon Brown "hanno discusso l’importanza della visita in Birmania dell’inviato speciale dell’Onu Ibrahim Gambari e della necessità che il mondo continui a manifestare in modo chiaro alla giunta militare" il suo giudizio su quanto sta accadendo, ha detto un portavoce della Casa Bianca. "La giunta militare deve astenersi dal far ricorso alla violenza - ha aggiunto il portavoce - e accettare una transizione pacifica verso la democrazia".
Il portavoce della Casa Bianca Scott Stanzel ha detto che "la repressione contro i dimostranti pacifici è assolutamente barbarica". Il presidente Bush ha annunciato negli ultimi giorni una serie di sanzioni contro la giunta militare. "Gli Stati Uniti danno sicuramente il loro sostegno alle persone che in Birmania stanno marciando per la democrazia e per la pace", ha detto il portavoce della Casa Bianca.
Nonostante i morti di ieri, nonostante le migliaia di militari in assetto di guerra che presidiano massicciamente Rangoon e minacciano di sparare ancora, nonostante il coprifuoco, alcune migliaia di manifestanti, diecimila secondo alcuni testimoni, sono tornati oggi in piazza nella capitale birmana, tentando di radunarsi nel centro. I soldati hanno risposto agli assembramenti con cariche e lancio di lacrimogeni e anche con spari in aria.
La situazione generale appare confusa: il sito di esuli birmani ’Mizzima News’ parla - senza per ora alcuna conferma - di un possibile ’’dissidio fra generali’’. L’intera Rangoon e’ rimasta sotto il coprifuoco per 12 ore fino alle 6 di stamattina. E stamani lo scenario che si presentava a Rangoon ai coraggiosi manifestanti era di una citta’ in stato d’assedio: camionette con mitragliatrici pattugliavano le strade, le piazze e i centri nevralgici della citta’ erano presidiate da migliaia di soldati in assetto di guerra, che hanno completamente isolato il grande complesso di templi di Shwedagon e hanno posato filo spinato attorno alla pagoda di Sule. Negozi sbarrati, uffici e scuole chiusi. Anche il principale collegamento a Internet del Paese oggi ha smesso di funzionare.
Quando i primi manifestanti si sono radunati, hanno comunciato a scandire slogan e insulti all’indirizzo dei militari, ai quali hanno gridato ripetutamente ’Fuck you’ (Andate affanculo). Fra i manifestanti, secondo la testimonianza di un diplomatico britannico all’emittente Cnn, vi sarebbero anche alcuni monaci buddisti, che nei giorni scorsi sono stati l’avanguardia della protesta pacifica contro il regime militare che da 45 anni governo col pugno di ferro il Paese asiatico. Secondo il sito dissidente ’Mizzima News’, fra alcuni reparti dell’esercito birmano ci sarebbe una non meglio precisata ’’agitazione’’. Aerei pieni di militari si sarebbero levati in volo dalla base aerea di Matehtilar e anche truppe dal centro del Paese si starebbero muovendo verso Rangoon. Secondo ’Mizzima’, ’’non e’ chiaro se le truppe stiano marciando (verso Rangoon) come rinforzi o per opporsi alle truppe che a Rangoon hanno sparato sui monaci’’ buddisti.
Molti non si fidano dei numeri forniti dal regime agli occhi puntati dell’opinione pubblica mondiale. Secondo l’ambasciatore australiano a Rangoon, Bob Davis, il numero di morti nella repressione delle manifestazioni di ieri e’ molto piu’ alto della cifra ufficiale di nove diffusa da regime dei generali. E da alcune immagini amatoriali diffuse dalla tv giapponese si vedrebbe un soldato che getta in terra il fotografo giapponese ucciso ieri e che forse gli spara a bruciapelo.
Manifestazioni di solidarieta’ con i manifestanti e i monaci birmani si sono intanto tenute oggi in molti Paesi asiatici anche in Australia, dove a Canberra ci sono stati scontri.
MYANMAR: I MANIFESTANTI SFIDANO LA REPRESSIONE A YANGON *
YANGON - Nonostante i morti di ieri, nonostante le migliaia di militari in assetto di guerra che presidiano massicciamente Yangon e minacciano di sparare ancora, nonostante il coprifuoco, alcune migliaia di manifestanti, diecimila secondo alcuni testimoni, sono tornati oggi in piazza nell’ex capitale birmana, tentando di radunarsi nel centro. I soldati hanno risposto agli assembramenti con cariche e lancio di lacrimogeni e anche con spari in aria.
La situazione generale appare confusa: il sito di esuli birmani ’Mizzima News’ parla - senza per ora alcuna conferma - di un possibile ’’dissidio fra generali’’.
L’intera Yangon e’ rimasta sotto il coprifuoco per 12 ore fino alle 6 di stamattina. E stamani lo scenario che si presentava a Yangon ai coraggiosi manifestanti era di una citta’ in stato d’assedio: camionette con mitragliatrici pattugliavano le strade, le piazze e i centri nevralgici della citta’ erano presidiate da migliaia di soldati in assetto di guerra, che hanno completamente isolato il grande complesso di templi di Shwedagon e hanno posato filo spinato attorno alla pagoda di Sule. Negozi sbarrati, uffici e scuole chiusi. Anche il principale collegamento a Internet del Paese oggi ha smesso di funzionare.
Quando i primi manifestanti si sono radunati, hanno comunciato a scandire slogan e insulti all’indirizzo dei militari, ai quali hanno gridato ripetutamente ’Fuck you’ (Andate affanculo). Fra i manifestanti, secondo la testimonianza di un diplomatico britannico all’emittente Cnn, vi sarebbero anche alcuni monaci buddisti, che nei giorni scorsi sono stati l’avanguardia della protesta pacifica contro il regime militare che da 45 anni governo col pugno di ferro il Paese asiatico. Secondo il sito dissidente ’Mizzima News’, fra alcuni reparti dell’esercito birmano ci sarebbe una non meglio precisata ’’agitazione’’. Aerei pieni di militari si sarebbero levati in volo dalla base aerea di Matehtilar e anche truppe dal centro del Paese si starebbero muovendo verso Yangon. Secondo ’Mizzima’, ’’non e’ chiaro se le truppe stiano marciando (verso Yangon) come rinforzi o per opporsi alle truppe che a Yangon hanno sparato sui monaci’’ buddisti.
Molti non si fidano dei numeri forniti dal regime agli occhi puntati dell’opinione pubblica mondiale. Secondo l’ambasciatore australiano a Yangon, Bob Davis, il numero di morti nella repressione delle manifestazioni di ieri e’ molto piu’ alto della cifra ufficiale di nove diffusa da regime dei generali. E da alcune immagini amatoriali diffuse dalla tv giapponese si vedrebbe un soldato che getta in terra il fotografo giapponese ucciso ieri e che forse gli spara a bruciapelo.
Manifestazioni di solidarieta’ con i manifestanti e i monaci birmani si sono intanto tenute oggi in molti Paesi asiatici anche in Australia, dove a Canberra ci sono stati scontri.
ANSA» 2007-09-28 14:50
La giunta blocca i centri chiave della rivolta. Migliaia per le strade, nuove cariche e colpi di arma
Truppe in marcia verso Rangoon, non è chiaro se per sostenere i militari o per fermarli
Voci di defezioni fra i generali
Bandito l’accesso ai monasteri
RANGOON - Sembra mostrare le prime crepe il fronte dei militari che stanno stroncando con pugno di ferro le manifestazioni pacifiche contro il regime di monaci e civili in Birmania. Voci riportate dal sito di informazione Mizzima News riferiscono di uno scontro in atto fra i generali della giunta birmana e di possibili defezioni. Aerei militari si sono levati in volo dalla base di Matehtilar. Sono stati riferiti disordini nelle divisioni 33 e 99 di fanteria leggera dell’esercito, ma non ci sono ulteriori informazioni.
Sempre secondo il sito dei dissidenti in esilio, truppe dal centro del paese hanno iniziato a marciare verso Rangoon dal comando centrale che ha sede a Taung Oo e dal comando sudorientale. Non è chiaro se le truppe si stiano muovendo per sostenere quelle a Rangoon o invece per osteggiarle, dopo la repressione violenta della protesta. E già ieri alcune fonti sul posto avevano riferito di militari che si erano rifiutati di sparare sulla folla.
Anche oggi, malgrado la massiccia presenza di truppe per le strade di Rangoon, la gente si è ancora riunita a manifestare. Sono diverse migliaia, soprattutto studenti, che si sono radunati intorno alla pagoda di Sule sfidando le forze di sicurezza che hanno bloccato l’accesso a cinque monasteri chiave della città, fra cui appunto Sule e Shwegadon, luoghi simbolo della rivolta.
Camion con altoparlanti sfilano invitando i civili a non proteggere chi sfugge all’arresto e il centro della città è blindato. Le forze di sicurezza hanno nuovamente caricato i manifestanti, in maggioranza civili. E ancora una volta i soldati hanno sparato, secondo quanto riporta Cnn.
Il bilancio degli scontri di ieri è di nove morti, fra cui un fotoreporter giapponese, ma secondo fonti diplomatiche il numero delle vittime è molto più alto, nell’ordine di diverse decine di persone.
L’accesso ad internet a Rangoon è stato bloccato ed è disponibile solo a tratti in altre parti del paese. Proprio attraverso la rete sono arrivate immagini, video e testimonianze sui blog e ai siti di informazione stranieri per mostrare cosa sta realmente accadendo in Birmania. Foto e racconti che oggi sono molto più radi.
* la Repubblica, 28 settembre 2007.
08:49 Bush alla Cina: "Sosteniamo la transizione verso la democrazia in Birmania"
Il presidente americano George Bush ha chiesto alla Cina d’incoraggiare la transizione della Birmania verso la democrazia, in un incontro non previsto con il ministro degli Esteri di Pechino, Yang Jiechi
08:37 Domani inviato Onu in Birmania
Comincerà domani la missione in Birmania dell’inviato dell’Onu Ibrahim Gambari. Lo ha reso noto Marie Okabe, portavoce delle Nazioni Unite, spiegando che la giunta militare birmana ha accettato di ricevere Gambari e ha promesso di collaborare
08:25 La giunta taglia internet
La giunta birmana sembra abbia fatto tagliare l’accesso a internet, nell’intento d’impedire la trasmissione on line di fotografie, video e persino semplici notizie su quanto sta accadendo nel Paese, unica fonte d’informazione all’esterno. Abbassate le saracinesche di tutti i bar della città dotati di terminali, nessuna risposta al telefono dagli uffici del maggiore provider nazionale
08:02 Ambasciatore australiano: "Numero vittime molto più alto"
Il bilancio delle vittime sarebbe assai più elevato rispetto alle cifre ufficiali: lo ha denunciato l’ambasciatore d’Australia in Birmania Bob Davis, intervistato dall’emittente radofonica pubblica ’Abc’. Secondo la giunta militare birmana, i morti sarebbero 9 - secondo altre fonti sarebbero 10 - ma a detta del diplomatico di Canberra testimoni oculari avrebbero riferito che le vittime sarebbero "un numero significativamente superiore": "Il numero di dieci morti va moltiplicato parecchie volte"
* la Repubblica, 28.09.2007 - ripresa parziale
Cara Aung, state dando una lezione
non solo al regime ma al mondo intero
Lettera aperta di Emma Bonino a San Suu Kyi
Cara Aung San Suu Kyi, sto seguendo con molta emozione gli sviluppi della situazione nel Suo paese. Anche stamattina, come accade ormai da otto giorni consecutivi, un migliaio di giovani monaci buddisti si sono radunati davanti alla millenaria pagoda di Shwedagon, a Rangoon, per dare vita ad un nuovo corteo contro il regime militare che da ormai 45 anni tiene saldamente il potere in Birmania. Nei giorni scorsi, il corteo è diventato sempre più grande, grazie all’adesione di migliaia di cittadine e cittadini. Oggi si parla di centomila persone, e lamia speranza è che questa volta il corteo possa raggiungere pacificamente 54 University Street, dove Lei si trova agli arresti domiciliari.
Per noi radicali transnazionali, che in nome della nonviolenza gandhiana ci siamo sempre battuti per la promozione dei diritti umani e la democrazia in tutto il mondo, questa lotta nonviolenta è una prova straordinaria di un paese, di un popolo intero che chiede libertà, giustizia, e che combatte senza armi per la propria rinascita. E’ una grande lezione che, su iniziativa dei testimoni più autentici del buddismo nel Suo paese, il popolo birmano sta dando non solo al regime militare, ma al mondo intero. So che la giunta ha minacciato ieri di «prendere misure» contro i manifestanti, oppure di ricorrere, come nel 1988, all’impiego di infiltrati e di agenti provocatori per far scoppiare i disordini e così giustificare una violenta repressione.
Sono convinta che si tratterebbe di un tragico errore di calcolo. Gli occhi del mondo sono puntati su quello che sta accadendo in Birmania. Sia l’Unione europea sia l’Asean hanno chiesto al regime di non ricorrere alla violenza. Ieri, all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il Presidente Bush ha annunciato un inasprimento delle sanzioni contro i membri della giunta. Sappia che anche il governo italiano ha chiesto alla giunta di aprire un dialogo con i monaci, con i membri della National League of Democracy e con tutta l’opposizione birmana, così come chiede che Le venga immediatamente restituita la libertà.
Cara Aung San Suu Kyi, ho ancora impressi nella memoria, dal nostro incontro di undici anni fa, quando Lei già si trovava agli arresti domiciliari, la Sua forza e il Suo coraggio. Questa forza e questo coraggio sono esattamente ciò di cui ha più bisogno il popolo birmano. Ho fiducia che una buona combinazione prodotta dall’azione nonviolenta interna e dalla pressione esterna delle organizzazioni regionali e multilaterali nonché dei paesi democratici, possa portare presto, finalmente, al ristabilimento della libertà. Lei non è sola. I monaci birmani non sono soli.
Il Suo popolo non è solo. Ha - avete - tutta la vicinanza, il sostegno e la determinazione non solo di noi radicali transnazionalima di tutta quella comunità internazionale impegnata ogni giorno nella costruzione di un mondo fondato sulla difesa della dignità umana.
Emma Bonino
Iniziativa interreligiosa
A fianco dei monaci e del popolo birmano
Torino, 27 settembre 2007 ore 20,30
Le immagini che giungono dalla Birmania sono tali da interpellarci nella nostra più autentica umanità.
La rivolta contro un regime dispotico e brutale, guidata dalla forza della fede e dalla determinazione pacifica e coraggiosa di tutto un popolo: tutto ciò, trasmesso attraverso i giornali, le televisioni e internet in tutto il mondo, rende ben visibile il senso profondo della nonviolenza, ma anche fa temere un grave bagno di sangue.
Per riflettere e meditare su quanto avviene, e per testimoniare la vicinanza e la solidarietà con i monaci e col popolo birmano, proponiamo per domani 27 settembre alle ore 20,30 un incontro pubblico a Torino, presso il chiostro della Consolata in via Maria Adelaide 2.
Elvio Arancio, della Confraternita islamica sufi Jerrahi-Halveti, direttore editoriale di ‘Interdipendenza’;
Sarah Kaminski, dell’Università di Torino, consigliere della Comunità Ebraica di Torino;
Angela Lano, giornalista, collaboratrice di Repubblica e di altre testate;
Giuseppe Platone, pastore valdese, direttore di Riforma;
Bruno Portigliatti, presidente onorario dell’Unione Buddhista Europea;
Marco Scarnera, della Pastorale della Cultura dell’Arcidiocesi di Torino;
D. Ermis Segatti, referente per la Pastorale della Cultura dell’Arcidiocesi di Torino;
Claudio Torrero, co-presidente del Centro Studi Maitri Buddha, direttore responsabile di ‘Interdipendenza’
* IL DIALOGO, Giovedì, 27 settembre 2007
Intorno alle pagode che nei giorni scorsi sono state il motore della rivolta
centinaia di militari in assetto antisommossa. Decine di migliaia in corteo verso la pagoda Sule
Myanmar, scatta la repressione
Tre monaci uccisi, forse 5 i morti
Per disperdere la folla usati anche i gas lacrimogeni e gli spari in aria. Un’ottantina i fermati
E questa sera è stata convocata d’urgenza una riunione del Consiglio di sicurezza dell’Onu *
RANGOON - La polizia nella Birmania (la nazione cui la giunta militare ha cambiato nome in Myanmar) ha caricato i manifestanti con i manganelli e ha sparato sulla folla, i proiettili sono volati sopra le teste di monaci e giovani in corteo. Tre religiosi sono stati uccisi e le fonti locali parlano di 5 morti. La notizia è stata confermata anche dalla stampa locale e da fonti ospedaliere. Almeno 17, secondo l’agenzia Afp, sono stati feriti. Irene Khan, Segretaria generale di Amnesty International, ha chiesto l’invio immediato a Myanmar di una missione del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Mentre, su richiesta del premier britannico Gordon Brown, alle 21 si riunisce d’urgtenza il Consiglio di Sicurezza dell’Onu.
Dopo la prima notte di coprifuoco, stamane a Rangoon centinaia di militari e poliziotti in assetto antisommossa hanno preso posizione attorno ad almeno sei grandi monasteri che, nei giorni scorsi, erano stati il motore della rivolta. Le forze dell’ordine hanno isolato la celebre pagoda di Shwedagon, punto focale delle manifestazioni contro la giunta militare al potere da 45 anni in Birmania, picchiando una decina di monaci buddisti, e usando i gas lacrimogeni per disperdere la folla che si era radunata, circa 700 persone. Tra i manifestanti c’erano molti giovani, a differenza dei giorni precedenti, nei quali in corteo c’erano quasi esclusivamente monaci. Sono state arrestate un’ottantina di persone.
Le violenze non hanno fermato comunque le proteste. Circa 500 monaci buddisti, attorniati da una catena umana di sostenitori, hanno ripreso infatti a Rangoon una marcia di protesta contro la giunta militare, diretti alla pagoda Sule, nel centro della città. La polizia ha cercato di fermarli, ma intanto si sono messi in corteo altri due gruppi di manifestanti. In tutto, nei vari cortei è stato stimato che ci siano al momento decine di migliaia di manifestanti. Dalle forze dell’ordine sono partiti anche alcuni spari verso l’alto. La folla ha gridato più volte a soldati e poliziotti "imbecilli, imbecilli".
Uno dei cortei, seguito da camion militari che trasportano una quarantina di soldati, è diretto verso la residenza di Aung San Suu Kyi, la paladina dei diritti umani, Premio Nobel per la Pace, da anni agli arresti domiciliari nella sua abitazione alla periferia di Yangon.
Il gruppo di monaci in testa a questo corteo ha più volte esortato i manifestanti che li accompagnano a non esporsi alle violenze. "Ci pensiamo noi monaci - hanno detto alla folla - per favore, non seguiteci". E poi, esortando alla non-violenza nei rapporti con i militari, hanno a più riprese aggiunto: "Noi li ricolmeremo di amabile gentilezza".
Proteste di piazza anche a Sittwe, città portuale 560 chilometri a ovest di Yangon. Sono circa 15.000 i manifestanti, guidati dai monaci buddisti, scesi finora nelle strade. Nella manifestazione sono presenti anche cittadini musulmani.
Mentre nella notte sono stati arrestati un noto attivista per i diritti civili, Wing Nain, e il più celebre attore locale, Zaganar, che aveva appoggiato apertamente la protesta ed era andato in una pagoda ad offrire acqua e cibo ai monaci.
Inoltre nei giorni scorsi Zaganar, intervistato da una radio clandestina, aveva fatto appello perchè la popolazione si unisse alla protesta: "I monaci sono nelle strade, a pregare per noi, mentre noi ce ne stiamo a casa a guardare la tv: è una vergogna", aveva detto.
Il governo giapponese ha esortato oggi la giunta militare birmana a "reagire con calma" alle manifestazioni di protesta in corso nel paese. Una dichiarazione in tal senso è stata fatta dal ministro degli Esteri Masahiko Komura e lo stesso ’numero due’ del governo Nobutaka Machimura ha accennato in una conferenza stampa alla situazione in Myanmar, precisando che Tokyo eserciterà tutta l’influenza possibile affinchè la crisi si risolva "in maniera costruttiva". L’appello del Giappone segue quelli di ieri dell’Unione Europea e del presidente degli Stati Uniti George W. Bush.
Il coprifuoco imposto dalla giunta militare vige dalla 21:00 alle 05:00 ora locale e rimarrà in vigore per 60 giorni nelle città più importanti. Il provvedimento trasferisce all’esercito il controllo diretto della sicurezza in tutto il Paese e proibisce gli assembramenti e le riunioni di più di cinque persone.
* la Repubblica, 26 settembre 2007.
Centomila tra religiosi e civili anche oggi in corteo contro il regime nell’ex Birmania
a Yangon schierati reparti delle forze di sicurezza armati di fucili, scudi e bastoni
Myanmar, i monaci sfidano l’esercito
si schiera la polizia, scatta il coprifuoco
Bush all’Onu annuncia nuove sanzioni, dalla Ue solidarietà ai dimostranti *
YANGON - All’ottavo giorno di pacifici e sempre più imponenti cortei per le strade dell’ex capitale Yangon la giunta militare del Myanmar ha schierato la polizia davanti ai monaci e alle migliaia di manifestanti che protestano contro il regime. E in serata la giunta militare ha imposto il coprifuoco dal tramonto all’alba (dalle 21 alle 5) a Yangon e a Mandalay. Oltre al provvedimento, gli altoparlanti posizionati nell’antica capitale dell’ex Birmania hanno annunciato che la città sarà per 60 giorni sotto il controllo diretto del comandante militare.
Secondo quanto riferito da testimoni, otto camion carichi di poliziotti in assetto antisommossa sono arrivati nella vecchia capitale. Con scudi, manganelli e fucili, hanno preso posizione nella parte della città chiamata Botataung, vicino ai luoghi dove di solito si concludono le manifestazioni. Altre testimonianze riferiscono che decine di poliziotti a bordo di cinque camion si sono diretti verso il centro della città.
La comunità internazionale. Parlando all’assemblea generale dell’Onu il presidente degli Stati Uniti, George W. Bush, ha annunciato nuove sanzioni economiche contro la giunta. Bush ha detto che gli americani "sono sdegnati" per la situazione e che i nuovi provvedimenti sono tesi ad "aiutare la popolazione a riconquistare la libertà".
Nel preannunciare le sanzioni, il presidente americano ha invitato gli altri governi a unirsi alla pressione sulla giunta militare. E ha elencato una lunga serie di atrocità commesse dal regime in "19 anni di regno della paura": "Hanno imprigionato oltre un migliaio di detenuti politici inclusa Aung San Suu Kyi, il cui partito ha ricevuto massicci voti nel 1990".
La presidenza di turno della Ue, in questo semestre portoghese, ha espresso la propria solidarietà al popolo del Myanmar e la sua "ammirazione per i monaci, le suore e i cittadini coraggiosi che stanno esercitando il loro diritto a manifestare pacificamente". L’Unione europea "sollecita le autorità del Myanmar a rispettare questi diritti e soprattutto a non usare la violenza contro il popolo che è impegnato alla non violenza". E rivolge un appello a tutte le parti interessate "a portare avanti un processo genuino di riconciliazione e negoziazione che riunisca tutto il popolo del Myanmar".
I cortei e le minacce dei militari. L’uso della forza era stato più volte annunciato dall’esercito al potere in Myanmar ma anche oggi, come accade ormai da giorni, i monaci buddisti hanno dato vita a un corteo di protesta e come è accaduto ieri, nel giro di poco tempo la folla al loro seguito è aumentata e sono diventati centomila a sfilare tra monaci, studenti e civili. Altre 40.000 persone sono scese nelle strade a Taunggok, una città situata 400 km a nord-ovest di Yangon (la ex Rangoon), nella più grande manifestazione mai fatta in questa città costiera.
Le manifestazioni si sono svolte nella calma, nonostante il clima di tensione, acuito anche dai minacciosi appelli alla popolazione, diffusi fin dalla mattina a Yangon da funzionari governativi che circolavano a bordo di camionette munite di altoparlanti, con i quali esortavano la popolazione e gli influenti bonzi a non partecipare più alle proteste. Avvertendo che in caso contrario le leggi in vigore consentono di ricorrere all’intervento dell’esercito per disperdere le manifestazioni.
I religiosi hanno innalzato bandiere su alcune delle quali è stata apposta l’immagine del pavone da combattimento, l’emblema usato dagli studenti nella rivolta del 1988 repressa nel sangue dalla giunta. Lo stesso pavone è il simbolo della Lega nazionale per la Democrazia, il movimento della signora Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la pace e da anni agli arresti domiciliari.
"Dobbiamo essere uniti", hanno scandito i monaci mentre camionette militari si aggiravano per la città trasmettendo con altoparlanti le minacce della giunta: "Avvertiamo i monaci e la popolazione di non partecipare a marce di protesta". La televisione di Stato ha fatto nuovamente un appello ai monaci a mettere fine alla protesta e a tenersi a distanza dalla politica.
Intanto la giunta militare si è riunita stamane nel "gabinetto di guerra" nella nuova capitale Naypyidaw per affrontare l’emergenza creata dalla protesta. La notizia è stata data da una fonte diplomatica da Yangon ma non sono filtrati altri dettagli sulla riunione.
I timori dell’opposizione. Secondo alcune indiscrezioni la giunta sembra preparare la risposta militare alle proteste. I ribelli della Knu (la Karen National Union, l’Unione Nazionale Karen), uno dei più vecchi gruppi di guerriglia al mondo, hanno riferito che militari della 22esima Divisione (gli stessi che vennero usati per sedare le proteste del 1988, quando furono uccise circa 3.000 persone) sono stati richiamati dallo Stato Karen, la divisione amministrativa nel sud del Paese abitata dall’omonima etnia.
In questo clima si diffonde negli ambienti dell’opposizione il timore che i militari ricorrano ancora una volta all’impiego massiccio di agenti provocatori per far scoppiare disordini e violenze. L’allarme è stato lanciato da un’organizzazione umanitaria, la Burma campaign Uk, che ha detto di aver saputo da propri informatori che la giunta ha ordinato tremila tonache da monaco e ha imposto ad alcuni soldati di raparsi a zero: il sospetto è che i militari vogliano infiltrare soldati con funzioni di provocazione nei cortei che reclamano da giorni la fine della dittatura che dura ormai da 45 anni. Anche nel 1988 la giunta adoperò agenti provocatori per innescare violenze e stroncare nel sangue la protesta degli studenti che chiedevano democrazia.
* la Repubblica, 25 settembre 2007.
Myanmar, schierati militari contro manifestanti *
Undici camion militari, ciascuno con a bordo una ventina di soldati sono stati schierati in assetto antisommossa vicino al municipio di Yangon dove si sta svolgendo una sempre più imponente manifestazione contro la giunta militare al potere. Le forze di sicurezza sono rimaste all’interno dei veicoli mentre circa 500 persone osservavano la scena con preoccupazione. In molti infatti temono che si verifichi una repressione simile a quella avvenuta nel 1988, quando le manifestazioni furono represse nel sangue con la morte di 3mila persone. Preoccupazioni fondate se è vero come ha riferito una fonte diplomatica da Yangon che la giunta militare ha tenuto una riunione d’emergenza nel cosiddetto «Ufficio di guerra» istituito nella nuova capitale Naypyidaw per preparare lo schieramento contro la manifestazione. Non sono filtrati particolari sulle decisioni prese nella riunione, ma un leader del movimento guerrigliero Knu (Unione Nazionale Karen) ha riferito che unità della ventiduesima Divisione (la stessa impiegata nella sanguinosa repressione del 1988) hanno ricevuto l’ordine di lasciare la regione Karen e di trasfersi a Yangon. «Siamo convinti che i militari saranno usati come nel 1988», ha detto la fonte. Già in mattinata, alcuni funzionari dell’amministrazione, a bordo di camion nel centro di Yangon avevano minacciato con i megafoni la popolazione di ritirarsi dalla manifestazione altrimenti avrebbero preso provvedimenti contro quella che hanno definito una protesta illegale. Anche la televisione di stato martedì ha lanciato un appello ai monaci che da oltre una settimana guidano le manifestazioni, affinché mettano fine al loro movimento di protesta e non si intromettano nella vita politica. Nonostante l’assetto di guerra e le minacce per il secondo giorno consecutivo 100mila oppositori birmani, stando alle testimonianze oculari è sceso ancora in piazza per la democrazia. A quella di Yangon, ex capitale della Birmania, si sono associate altre manifestazioni in tutto il Paese. In 40mila tra monaci e civili sfilano per le strade di Taungok, città costiera a quattrocento chilometri da Yangon. È la più grande manifestazione mai vista nella città. Al grido di «democrazia, democrazia», le proteste si sono svolte nella calma nonostante il clima di tensione.
Condanne alla giunta al potere in Myanmar si sono alzate da tutti i Paesi occidentali. L’Italia, dopo la fiaccolata di lunedì sera a Roma cui hanno partecipato anche decine di monaci birmani che vivono in Italia ha invitato la giunta militare ad aprire un dialogo con i monaci e gli oppositori. Il sottosegretario agli Esteri italiano Gianni Vernetti nell’incontro di martedì alla Farnesina con l’incaricato d’Affari dell’Ambasciata dell’Unione di Myamar, Hkaing Myint, ha espresso a nome del governo italiano «la più viva preoccupazione per quanto sta accadendo in queste ore nella capitale Yangon e in tutto il paese». Il sottosegretario ha poi chiesto al diplomatico birmano di trasmettere alla giunta militare al potere in Myanmar la «richiesta del governo italiano di aprire un dialogo immediato con i monaci, con i membri della National League for Democracy e con tutta l’opposizione birmana e di non far ricorso ad alcuna forma di violenza nei confronti delle dimostrazioni pacifiche e nonviolente di questi giorni» come riferisce il ministero degli Esteri in una nota. Vernetti ha inoltre «protestato per i recenti episodi di repressione che hanno portato all’arresto di decine di manifestanti e alle condanne arbitrarie di numerosi sindacalisti e oppositori del regime, reiterando la richiesta di libertà immediata del Premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi, segregata agli arresti domiciliari dal 2003, insieme al rilascio dei prigionieri politici detenuti in modo arbitrario». Il sottosegretario italiano ha ricordato anche che «l’Italia intende seguire con la massima attenzione l’evolversi della situazione in Myanmar e che promuoverà in tutti gli ambiti multilaterali, dal Consiglio di Sicurezza, all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite tutte le iniziative necessarie per sostenere il desiderio di libertà del popolo birmano e per favorire il dialogo fra il regime di Yangon e l’opposizione democratica». Mercoledì, infatti Vernetti incontrerà a New York, a margine della sessantaduesima Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il Consigliere Speciale su Myanmar del Segretario Generale, Ibrahim Gambari e il primo ministro del governo birmano in esilio, Sein Win. La stessa Commissione europea si è detta «molto preoccupata per la situazione» della dittatura militare di Myanmar e in particolare per l’«aumento della presenza militare» dopo le manifestazioni pacifiche di martedì e di lunedì. «Invitiamo tutte le parti in causa, e in particolare il governo, ad esercitare la massima moderazione», ha dichiarato in sala stampa a Bruxelles il portavoce comunitario Amadeu Altafaj-Tardio, sottolineando il carattere «pacifico» delle manifestazioni e invitando le autorità a rispettare «il diritto legittimo alla libertà di espressione e assemblea». Per quanto riguarda l’ipotesi di inasprire le sanzioni contro il regime di Myanmar, Tardio ha rinviato la questione agli Stati membri, precisando che le decisioni a riguardo spettano al Consiglio dell’Ue. Il portavoce ha comunque ricordato il Paese è soggetto a sanzioni al Paese fin dal 1996, tra cui il divieto di ingresso nell’Ue e il congelamento dei beni per i leader della giunta militare, l’embargo sulle armi e la cooperazione militare e il divieto per le imprese Ue di investire in aziende di Stato dell’ex Birmania. Anche George W. Bush martedì all’assemblea generale dell’Onu chiederà altre sanzioni contro il regime birmano. Mentre il primo ministro britannico Gordon Brown ha proposto oggi che l’Unione europea mandi ai militari al potere in Myanmar un duro avvertimento: «Stiamo osservando che cosa state facendo e imporremo più aspre sanzioni se farete le scelte sbagliate». Brown sollecita quest’energica presa di posizione in una lettera inviata agli altri leader dei Paesi Ue nella speranza che un monito europeo contribuisca ad evitare una sanguinosa repressione della massiccia protesta guidata dai monaci birmani. Brown ha anche affermato che la più nota dissidente birmana, Aung San Suu Kiy, premio nobel dovrebbe prendere la leadership del suo Paese.
Nessun appoggio invece dai potenti vicini asiatici. Molto imbarazzo e nessun impegno ad intervenire da parte della Cina che si è limitata a chiedere al governo e alla popolazione birmana di «gestire correttamente» la crisi. Il portavoce del ministero degli esteri cinese Jiang Yu in una conferenza stampa ha più volte ripetuto che la Cina - che a tutt’oggi ha nell’ ex Birmania investimenti stimati in circa 1,2 miliardi di dollari - ritiene essenziali «la stabilità e lo sviluppo» del Pese. Stabilità e sviluppo, ha aggiunto il portavoce cinese sono «nell’interesse del Myanmar e della comunità internazionale». Jang si è guardato bene però dal rispondere alla domanda precisa sulla posizione di Pechino di fronte all’eventuale proposta di nuove sanzioni delle Nazioni Unite contro il governo di Yangon. Ufficialmente i cittadini cinesi del Myamar sono 200mila, ma gli osservatori ritengono che la vera cifra si aggiri intorno al milione di persone. Anche l’altra potenza asiatica, l’India, non ha finora commentato la manifestazione di protesta guidata dai monaci buddisti. Tuttavia in una chiara dimostrazione di appoggio lunedì il ministro di New Delhi per il petrolio, Murli Deora ha preso parte nella capitale birmana, alla firma di un accordo tra le compagnie petrolifere dei due paesi. Con questo accordo, l’ India si impegna ad investire 150 milioni di dollari nella ricerca di gas naturale, del quale il Myanmar è ricco. La visita in Myanmar del ministro Deora è stata contestata a New Delhi da un gruppo di esiliati birmani. L’apertura di New Delhi nei confronti dell’ex Birmania e il rafforzamento delle relazioni con il Paese confinante negli ultimi anni oltre ad essere in aperta concorrenza con la Cina ha portato l’India ad aumentare i propri investimenti nel Myanmar a circa un terzo di quelli cinesi. L’appoggio alla rivolta, comunque è stato spiegato da New Delhi come un modo per arginare eventuali rivolte dei gruppi secessionisti che operano nelle province nordorientali dell’India che confinano appunto con l’ex Birmania. L’Asean, l’associazione per la cooperazione economica dell’Asia del sudest, della quale il Myamar è membro ha mantenuto finora il silenzio assoluto. Solo il governo delle Filippine ha chiesto in passato alla giunta militare dell’ex Birmania di aprirsi alla democrazia.
* l’Unità, Pubblicato il: 25.09.07, Modificato il: 25.09.07 alle ore 16.54
I religiosi sfidano il divieto e anche oggi sfilano a Yangon e in altre 25 città
Alle marce pacifiche contro la dittatura si uniscono migliaia di cittadini
Myanmar, 300mila in piazza contro il regime
e la giunta militare minaccia la repressione *
YANGON - I monaci birmani sono tornati in piazza a Yangon, l’ex capitale del Myanmar, per l’ennesimo corteo che nel giro di poche ore è diventato la più imponente manifestazione contro la giunta militare degli ultimi 20 anni. Quasi 300 mila le persone scese in strada in quella che un tempo si chiamava Birmania, la metà delle quali monaci buddisti, gli altri in gran parte studenti. Nel centro di Yangon si sono riversate decine di migliaia di persone, superando le 100 mila unità (il doppio secondo l’agenzia di stampa on line Mizzima News, creata da dissidenti in esilio), altre 120 mila a Mandalay, seconda città più importante del Paese, e 100 mila a Pakokku, nella regione centrale. E manifestazioni si sono svolte in altre 23 città.
Di fronte alla vertiginose proporzioni assunte dalla protesta, il regime ha minacciato di reagire prendendo "provvedimenti". Reagendo per la prima volta alle dimostrazioni, i media hanno riferito che il ministro degli affari religiosi, il generale Thura Myint Maung, ha incontrato oggi la gerarchia clericale buddista e ha avvertito che "se i monaci non rispetteranno le regole e i regolamenti di obbedienza agli insegnamenti buddisti" verranno adottati "alcuni provvedimenti in base alla legge in vigore".
In testa ai cortei, come già nei giorni scorsi, i monaci buddisti, che hanno sfidato il divieto a tornare in piazza arrivato dalla gerarchia ecclasiastica controllata dal regime e si sono rifiutati di rientrare tutti nei monasteri.
I religiosi (ai quali ieri si sono aggiunte anche le monache) hanno iniziato la pacifica marcia contro la giunta militare che da 45 anni governa col pugno di ferro Myanmar, coinvolgendo la popolazione che ha sfilato numerosa. All’inizio erano circa cinquecento buddisti, poi sono diventati migliaia, e si sono riversati nelle strade della vecchia capitale insieme a numerosi sostenitori che si sono uniti a questa protesta pacifica contro la giunta militare.
I religiosi hanno chiesto alla popolazione di pregare, di non commettere violenze e di non scandire slogan politici. In breve tempo erano almeno diecimila le persone che dalla Pagoda d’Oro di Shwedagon, il principale tempio del Paese asiatico, si sono dirette verso il centro della città, sfilando davanti alla sede quasi in rovina della Lnd, la Lega nazionale per la democrazia, la maggiore forza di opposizione guidata da Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la Pace 1991, agli arresti domiciliari dal 2003.
Esponenti della Lnd hanno dapprima assistito in silenzio alla dimostrazione, limitandosi ad applaudire e a inchinarsi in segno di rispetto mentre i monaci passavano davanti al loro quartier generale, intonando preghiere e canti per la pace; poi però si sono uniti ai religiosi e alla popolazione, mettendosi in cammino. Il numero dei manifestanti non ha fatto che crescere, arrivando fino a oltre trentamila. Ma sempre più persone si sono unite alla marcia, e dopo qualche ora erano diventati oltre centomila i manifestanti.
Le proteste quotidiane delle ultime settimane sono state innescate dall’improvviso aumento dei prezzi dei carburanti, insostenibile per gli abitanti di uno dei Paesi più poveri al mondo. Quella di oggi è stata la manifestazione più imponente non solo di questo periodo ma anche degli ultimi vent’anni.
La marcia ben presto ha preso la direzione dell’ex cittadella universitaria, situata in periferia sulle rive di un lago, non lontano da dove sorge la casa-prigione di Suu Kyi. L’antico campus fu teatro nel ’98 di una rivolta studentesca, prima di oggi la maggiore insurrezione mai registrata nella storia nazionale, stroncata nel sangue dalla giunta con l’intervento delle unità speciali delle forze di sicurezza.
Di recente, per contro, il regime ha scelto un profilo relativamente basso, anche se agenti in assetto anti-sommossa hanno finora impedito ai manifestanti di raggiungere la residenza della leader dell’opposizione; solo sabato, in via eccezionale, a circa duemila tra monaci e comuni cittadini era stato permesso di avvicinarsi per pregare davanti alla villa: Suu Kyi a sorpresa era uscita sulla porta per salutarli e incoraggiarli.
In giornata il generale Than Shwe ha convocato una seduta di emergenza dei vertici militari che si terrà a Napydaw, il villaggio 400 chilometri a nord di Yangon trasformato nella nuova capitale del Myanmar.
* la Repubblica, 24 settembre 2007.
Da qualche giorno i religiosi sono scesi in piazza contro la giunta militare al potere da 45 anni
All’iniziativa del Comune di Roma si sono uniti anche la Cisl e l’associazione Articolo 21
Solidarietà alla rivolta dei monaci birmani
Oggi manifestazione in Campidoglio *
ROMA - Da qualche giorno, per chiedere libertà per il popolo birmano, lanciando il guanto della sfida alla giunta militare, ormai al potere a Yangon da 45 anni, sono scesi in piazza anche i monaci e le monache buddiste. Il Comune di Roma è da tempo in prima linea nell’appoggiare la battaglia libertaria dell’opposizione, guidata dal premio Nobel per la Pace Aung Suu Kyi, tuttora agli arresti domiciliari. E oggi, alle ore 18,30, davanti al Campidoglio, si svolgerà una manifestazione di solidarietà "alla rivolta dei monaci buddisti".
La manifestazione è stata indetta dal sindaco Walter Veltroni. Il primo cittadino ha spiegato che l’obiettivo dell’iniziativa è quello di esprimere la vicinanza del Campidoglio tanto al popolo birmano quanto ai monaci buddisti, che "in queste ore si battono per la democrazia nel loro Paese e per la libertà di Aung San Suu Kyi". In Myanmar, l’ex Birmania, le rivolte per il caro-vita hanno assunto un colore politico, e la leadership è stata assunta proprio dai religiosi. "I monaci buddisti che da giorni sfilano in Birmania, sfidando arresti e gas lacrimogeni, hanno iniziato una marcia della pace a cui idealmente ci uniremo il 7 ottobre con la Perugia-Assisi". Così ha dichiarato Giuseppe Giulietti, portavoce di Articolo21, associazione che si batte per la libertà di stampa, aderendo alla manifestazione del Campidoglio.
Anche la Cisl ha manifestato la propria adesione, annunciando la presenza del leader Raffaele Bonanni, assieme a una delegazione del dipartimento internazionale dell’organizzazione. Il sindacato ricorda di "essere da sempre a fianco del sindacato e del popolo birmano, contro la violenta dittatura militare". Ragione per cui la Cisl chiede che le istituzioni italiane "diano il massimo sostegno politico e operativo alle organizzazioni democratiche e sindacali birmane, per dare continuità alle straordinarie mobilitazioni pacifiche di questi giorni ed evitare che esse vengano represse duramente come nel passato". Bonanni ha chiesto al governo italiano un’iniziativa straordinaria a sostegno della libertà e della democrazia in Birmania, nel quadro dell’assemblea Onu e a livello europeo, per costringere la giunta militare al dialogo.
* la Repubblica, 24 settembre 2007.
LA CHIESA ANTICO CATTOLICA E APOSTOLICA DI MONZA E DI LOMBARDIA PARTECIPA ALLA MANIFESTAZIONE DI MILANO SULLA BIRMANIA : BASTA COMPLICITA’ DEI GOVERNI DEMOCRATICI CON I CRIMINALI E LE DITTATURE ! jeanfelix - da 4 ore Tag :
OCCORRE DENUNCIARE TUTTE LE CONNIVENZE DEI GOVERNI DEMOCRATICI CON I DITTATORI E DENUNCIARE APERTAMENTE CHI FA’ AFFARI CON IL COMMERCIO DELLE ARMI ANCHE CON I REGIMI CHE CALPESTANO I DIRITTI UMANI E LA DEMOCRAZIA: SVELIAMO IL VOLTO DEI CAPITALISTI E DEI MERCANTI DI ARMI CHE STANNO CELATI NELL’ANONIMATO DI SOCIETA’ MULTINAZIONALI E NELLE BANCHE MONDIALI - GLI AFFARI NON SI FANNO SUL SANGUE ! FUORI I NOMI DI QUESTI PERSONAGGI , UNO PER UNO!
From: Centro Studi Teologici To: press@amnesty.it
aderisce all’APPELLO PER LA BIRMANIA il CENTRO STUDI TEOLOGICI di MILANO - Centro Ecumenico - e S. E. Mons. +Giovanni Climaco MAPELLI Vescovo di Monza (con il Presbiterio Diocesano) della CHIESA ANTICo - CATTOLICA E APOSTOLICA
e partecipera’ con una sua Delegazione - domani 29 settembre alle ore 16.30 - alla Manifestazione in Piazza della Scala a MILANO organizzata da AMNESTY INTERNATIONAL
tel. 339.5280021
Alcune iniziative in programma nei prossimi giorni a Milano a sostegno della lotta del popolo birmano, chiedendovi di diffonderle e segnalarne eventuali altre.
Sul sito www.pialocatelli.com potete vedere il video che l’Internazionale Socialista Donne ha dedicato alla leader birmana, premio Nobel per la pace, Aung San Suu Kyi.
sabato 29 settembre, ore 16.30 - Piazza della Scala, MI: manifestazione di solidarietà con i monaci e il popolo birmano, indetta dall’Unione Buddista Italiana e dai Centri Buddisti Italiani insieme ad Amnesty International; aderiscono Cgil, Cisl, Uil Lombardia
lunedì 1 ottobre, ore 18.00 - piazza San Babila, MI: presidio promosso dalle Associazioni e dai Sindacati che fanno parte della Consulta per la Pace di Milano
giovedì 4 ottobre, ore 17.30 - presso CISL, Via Tadino 23, MI: incontro promosso dalle Associazioni e dai Sindacati che fanno parte della Consulta per la Pace di Milano con Cecilia Brighi (Dipartimento internazionale Cisl nazionale) e un esponente del FTUB (sindacato clandestino birmano); è stato invitato anche un monaco buddista birmano della Comunità di Lerici
Il 7 ottobre, unitevi alla marcia e vestitevi di rosso per sostenere la lotta del popolo birmano
Il Governo birmano in esilio ha inviato alla Tavola della pace un appello in vista della prossima Marcia per la pace Perugia-Assisi
Il 7 ottobre, unitevi alla marcia e vestitevi di rosso per sostenere la lotta del popolo birmano
La risposta della Tavola della pace: 500 manifestazioni di solidarietà con la protesta nonviolenta dei monaci e del popolo birmano
Perugia, 29 settembre 2007 - Il sito www.perlapace.it ha diffuso oggi un appello inviato dal Governo birmano in esilio alla Tavola della pace in cui invita tutti gli amici e i sostenitori a partecipare alla prossima Marcia per la pace Perugia-Assisi vestiti di rosso per sostenere la lotta del popolo birmano.
L’Appello è stato immediatamente raccolto da Flavio Lotti e Grazia Bellini, coordinatori della Tavola della pace.
“Invitiamo tutti i gruppi, le associazioni, i Comuni, le Province e le Regioni che hanno aderito alla Settimana della pace (1-7 ottobre) e stanno organizzando in tutta Italia centinaia di iniziative e manifestazioni per la pace a rilanciare in ogni occasione un forte appello contro la repressione in Birmania. Ogni evento della Settimana della pace (oltre cinquecento in programma) sia una manifestazione di solidarietà con la protesta nonviolenta dei monaci e del popolo birmano Non lasciamoli soli in questi giorni difficili.
E poi, domenica 7 ottobre, diamo vita alla più grande e alla più lunga azione di solidarietà marciando insieme da Perugia ad Assisi per il popolo birmano e per tutti quei popoli che ancora oggi sono brutalmente oppressi come quelli palestinese, ceceno e tibetano. Per rendere ancora più visibile la nostra solidarietà invitiamo tutti a portare qualcosa di rosso.
Rilanciamo forte il nostro appello all’Italia, all’Europa e all’Onu perché sostengano la lotta nonviolenta di liberazione del popolo birmano. Se il Consiglio di sicurezza dell’Onu è paralizzato, intervengano l’Assemblea Generale e il Segretario Generale. L’Italia e l’Unione Europea devono esercitare ogni forma di pressione politica sul regime birmano e sui paesi vicini.”
Segue Appello
APPELLO PER LA PACE E LA DEMOCRAZIA IN BIRMANIA *
Il 7 ottobre, unitevi alla marcia e vestitevi di rosso per sostenere la lotta del popolo birmano
Cari amici e sostenitori,
Vi chiediamo di sostenere i monaci buddisti birmani che da giorni guidano una massiccia ondata di manifestazioni pacifiche contro la giunta militare repressiva in Birmania chiedendo la liberazione della signora Aung San Suu Kyi e di altri prigionieri politici.
Le manifestazioni in Birmania si sono intensificate nonostante gli arresti e il timore di una reazione violenta da parte delle forze governative.
Dobbiamo esprimere il nostro orrore di fronte all’uccisione di manifestanti pacifici, insistere affinché le forze di sicurezza rientrino alle loro baracche e chiedere il riconoscimento della legittimità delle richieste che vengono avanzate, un’assistenza medica internazionale per i feriti e il rilascio dei manifestanti arrestati ed altri prigionieri politici;
Dobbiamo far pressione su Cina e Russia di sostenere in pieno una chiara dichiarazione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che condanni l’uso brutale della forza in Birmania e chiedere al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di incaricare il Segretario Generale delle Nazioni Unite di avviare un’azione al fine di agevolare la riconciliazione nazionale e una transizione alla democrazia in tale paese; chiede altresì all’Assemblea generale delle Nazioni Unite di avviare un’azione adeguata;
Bisogna far pressione sul nostro governo affinche`il Consiglio dell’Unione europea si metta urgentemente in contatto con gli Stati Uniti, l’Associazione dei paesi del Sud-est asiatico (ASEAN) e altri membri della comunità internazionale al fine di preparare una serie coordinata di misure addizionali, comprese sanzioni economiche mirate, da adottare contro il regime birmano qualora faccia ricorso alla violenza e non reagisca alla richiesta di ripristinare la democrazia.
Ma la cosa piu` importante e` continuare a sostenere la lotta del popolo birmano e non dimenticare le loro sofferenze con manifestazioni come la marcia della Pace di Perugia-Assisi.
Il 7 ottobre, unitevi alla marcia e vestitevi di rosso per sostenere la lotta del popolo birmano
Governo birmano in esilio, 28 settembre 2007
Per maggiori informazioni :
Euro-Burma Office
Square Gutenberg 11/2
1000, Brussels, Belgium
Email : burma@euro-burma.be
Tel : 001-240-328-84-13
Appello per la Birmania: 200 adesioni nel primo giorno
Penati domani alle ore 16.30 al sit-in in piazza della Scala
È fortissima l’adesione da parte dei cittadini, dei sindaci e degli amministratori della Provincia di Milano e non solo, all’appello per la Birmania libera e democratica lanciato ieri dal presidente della Provincia di Milano Filippo Penati. In un solo giorno, sono già 200 le adesioni pervenute attraverso l’email attivata dalla Provincia, birmanialibera@provincia.milano.it, per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle violazioni dei diritti umani che il regime di Ryanmar sta perpetrando, tra l’orrore e la condanna delle democrazie di tutto il mondo, ai danni di migliaia di uomini e donne che stanno lottando e mettendo a repentaglio la loro vita per la libertà e la democrazia del loro Paese. Le email continuano ad arrivare, alcune corredate da brevi messaggi di profonda partecipazione e di solidarietà al popolo birmano, e l’appello perché la Birmania possa trovare libertà e democrazia rimane aperto.
“Per un sostegno ancora più forte al popolo birmano, abbiamo esteso l’invito ad aderire all’appello - dichiara il presidente della Provincia di Milano Filippo Penati - a tutte le realtà religiose presenti sul territorio, e abbiamo già ricevuto l’adesione del Centro studi teologici di Milano, guidato da Monsignor Giovanni Mapelli, vescovo e responsabile del Centro”.
“Dopo questa giornata all’insegna del colore rosso - aggiunge Penati - domani sarò presente alle 16.30 al sit-in, in piazza della Scala, perché credo che quello che sta avvenendo in un Paese lontano da noi ci riguardi da vicino. È importante in questo momento che proprio dai nostri Paesi venga un forte messaggio di solidarietà, ricordandoci che la libertà e la democrazia, e il rispetto dei diritti umani, sono dei fondamentali traguardi dell’umanità da non dare per scontato e da difendere”.
Tutti i cittadini, le istituzioni e le forze sociali sono invitati ad aderire all’appello per tenere alta l’attenzione sulla Birmania, spedendo un’email all’indirizzo: birmanialibera@provincia.milano.it
Mhm, caro cugino napoletano (sono Nazareno beneventano...),
in Birmania o come si chiama adesso Myanmar, l’esempio è stato dato dai Monaci Buddisti, e lì, come in Tibet la casta religiosa ha avuto il coraggio di opporsi ad un regime iniquo e violento. Da noi in Europa, tutto questo, non sarebbe mai potuto accadere, in quanto da sempre il "nostro" clero è stato preferibilmete accanto a ricchi e potenti, e mai incline (salvo rare eccezioni) ad accompagnare il cammino dei poveri e degli oppressi.
Forse perchè troppo preso com’era dal garantirsi privilegi religiosi anche attraverso bieche connivenze?
Chissà...
Il potere temporale ha da sempre talmente interessato "i religiosi occidentali" che costoro hanno finito per preferirlo alla meditazione ed all’apostolato ( attività poco o mal praticate).
Ma tant’è ognuno cerca di fare quello in cui riesce meglio no?
Sarebbe stata diversa la nostra storia? Chi può dirlo!
L’unica certezza è che alla fine un popolo, come per la classe politica, ha la classe religiosa che si merita, e forse sinora non ci siamo meritati di meglio... non credi?
un abbraccio
cugino beneventano
Nazareno Anniballo