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PER LA BIRMANIA!!! EMERGENZA MYANMAR: RIASCOLTARE IL SUONO DELL’ARPA BIRMANA. Rimeditare la lezione di Kon Ichikawa, "The burmese harp" (film del 1956). Una nota di Gianfranco Massetti - a cura di pfls

lunedì 1 ottobre 2007.
 

L’ARPA BIRMANA

Opera di Kon Ichikawa, L’arpa birmana è un film del 1956 che si fa apprezzare per la carica fortemente polemica nei confronti degli orrori della guerra, incorrendo tuttavia in qualche caduta di stile soprattutto in un finale reso eccessivamente retorico dall’addio di Mizushima ai compagni, che viene reiterato fino alla noia. Attraverso la voce narrante di un compagno di Mizushima, il racconto oscilla così tra sentimenti contradditori di amor di patria, pacifismo e valori religiosi che esprimono un generico amore per l’umanità di fronte alla consapevolezza delle sue sofferenze.

Il film di Ichikawa esordisce con una breve citazione: “Rossi come il sangue sono i monti della Birmania”. A seguire sentiamo invece una voce fuori campo che introduce il racconto: “ E’ passato molto tempo dalla fine della guerra, ma nei nostri cuori molti ricordi di quei giorni sono ancora vivi, come la storia dell’arpa birmana che è un po’ la storia del nostro reparto. Ebbe inizio nel luglio del 1945 quando la situazione militare del Giappone cominciò a volgere al peggio ... Il nostro comandante si era diplomato alla scuola musicale ed era riuscito ad insegnarci a cantare molto bene. Era il canto che ci aiutava a tirare avanti tra tutti quei guai. Eravamo anche molto fieri della nostra arpa, che avevamo fatto costruire sul modello delle arpe birmane.

Il sergente Mizushima aveva imparato a suonarla benissimo. Non aveva mai studiato musica prima di arruolarsi nell’esercito, ma aveva molto talento, così era riuscito ad imparare prestissimo anche una serie di variazioni molto armoniche.”

Il loro reparto era in marcia nella giungla per cercare un passaggio lungo il confine tra la Birmania e la Thailandia, dove i soldati pensavano di trovare un imbarco per il Giappone. Mizushima viene incaricato di una missione di avvistamento e si traveste da Birmano, ma nella giungla viene assalito da tre briganti che lo spogliano dei suoi vestiti. La sola cosa che gli rimane è l’arpa, con il cui suono riesce a farsi rintracciare dai compagni.

Il reparto prosegue, così, fino ad un villaggio birmano, dove il comandante decide di fare sosta. A sera, durante la festa di ricevimento in onore dei soldati stranieri, il reparto viene accerchiato dagli inglesi e si arrende, grazie alla complicità dell’arpa di Mizushima che riesce a unire in un unico coro i militari giapponesi e i loro nemici.

Condotti in un campo di concentramento, i soldati nipponici vengono destinati ad intraprendere dei lavori nella città di Mudone. Poco prima della partenza, il sergente Mizushima viene tuttavia incaricato dal suo comandante di una missione di pace per conto degli inglesi sul “colle del triangolo”, dove una postazione giapponese continua ostinatamente a combattere e non vuole arrendersi. Mizushima vi si reca e parla coi soldati, che sostengono di voler combattere fino alla morte al fianco del loro comandante.

Il sergente dice loro che ogni resistenza è vana e non bisogna morire, bisogna invece vivere per tornare in patria. Combattre e morire è inutile. Inutile per loro stessi, per il Giappone, per tutti. Il comandante della postazione propone allora di votare, ma tutti quanti sono concordi nel rifiutare la resa.

Scaduto l’ultimatum concesso dagli inglesi per consentire la missione di Mizushima, la postazione viene bombardata con l’artiglieria pesante e quasi tutti i soldati preseti sul colle del triangolo sono massacrati dalle esplosioni o dal crollo delle rocce.

Rimane ferito anche Mizushima, che non aveva fatto in tempo a lasciare la postazione, ma allo stremo delle forze riesce tuttavia a trascinarsi fuori dal bunker. Soccorso provvidenzialmente da un monaco buddista, viene così curato e guarito, mentre il suo reparto raggiunge Mudone.

I compagni non vedendo il ritorno di Mizushima temono che abbia perso la vita. Tuttavia, qualche speranza rinasce in loro quando apprendono che nel vicino ospedale militare sono stati ricoverati i soldati superstiti del bombardamento sul colle del triangolo. Chiedono così a una vecchia birmana che baratta vettovaglie con i soldati giapponesi di prendere informazioni su di lui. Durante le ore di libertà i compagni di Mizushima continuano ad esercitarsi a cantare e da un po’ di giorni notano uno strano bonzo che si ferma ad ascoltarli davanti al reticolato del campo di prigionia. E’ lo stesso che qualche tempo dopo incontrano per strada mente ritornano dal lavoro e che tutti riconoscono come Mizushma, anche se il monaco si schermisce. Egli continua infatti imperterrito per il suo cammino, portando con sé sulla spalla un pappagallo.

Sorpresi da un temporale, i soldati si rifugiano in una capanna che scoprono essere la casa della nonna birmana a cui avevano chiesto notizie di Mizushima. La donna dice di avere preso informazioni del sergente e di aver saputo che è forse morto durante i bombardamenti sul colle del triangolo, mentre stava scappando. Ma inaspettatamente un soldato riconosce in casa della nonna un pappagallo del tutto uguale a quello che il monaco incontrato qualche minuto prima portava sulla sua spalla. La donna spiega che suo marito, quella mattina, ne aveva catturati cinque. Tre li ha venduti e uno lo ha giusto regalato a un monaco buddista che era passato di lì. Visto pertanto l’interesse che i soldati mostrano per l’animale, la nonna finirà per regalare loro anche quest’ultimo.

Il monaco che i militari giapponesi avevano incontrato era davvero Mizushima, ed un flash back ne racconta le vicende a partire dalla sua fuga dal colle del triangolo. Il monaco buddista che lo raccolse, oltre a prestargli le proprie cure ebbe modo di offrire al sergente anche il suo insegnamento, spiegandogli che ogni azione umana è del tutto vana.

Uscito così dall’infermità delle sue ferite, Mizushima rubò la veste del monaco buddista e si rasò i capelli, facendosi a sua volta monaco e viaggiando per le terre della Birmania in direzione di Mudone, per rintracciare i suoi compagni.

Soccorso dalla popolazione locale, che al suo passaggio gli offre il cibo delle sopravvivenza, Mizushima vede nello splendido e incontaminato paesaggio naturale della Birmania l’orrendo spettacolo dei soldati giapponesi morti in battaglia, le cui carcasse giacciono nella giungla o nel deserto, fra i monti o lungo le sponde dei fiumi. Carcasse di resti umani in decomposizione che imputridiscono l’aria e che subiscono l’offesa degli animali rapaci. Carcasse di soldati che non hanno trovato nessuna mano pietosa e una tomba sotto cui riposare in pace.

Mizushima cerca, come può, di dare una sepoltura a questi corpi, ma è da solo. Giunto sulle rive di un fiume scopre una schiera sterminata di cadaveri ed è preso da sconforto e disperazione. Una barca si avvicina alla riva e ne discende il monaco che lo aveva soccorso. “ In Birmania - dice - ai cadaveri dei soldati stranieri uccisi in guerra non si da sepoltura.” Invita quindi Mizushima a salire sulla barca che lo avrebbe condotto a Mudone.

Ospite nella città di un convento buddista, il sergente pensa in un primo tempo di ricongiungersi al suo reparto, che sente cantare nei pressi del campo di concentramento. Ma poi, durante la notte, si accorge di un bambino che suona l’arpa, gliela prende e gli fa sentire i suoi accordi, e il bambino chiede a Mizushima di insegnargli a suonare allo stesso modo.

Di mattina, all’ospedale inglese una cerimonia celebra i caduti dedicando una lapide al milite ignoto e a Mizushima vengono in mente tutti i morti incontrati lungo la strada per Mudone. Anziché recarsi al campo di concentramento dove dimora il suo reparto, il sergente ritorna allora nella sua dimora al convento. Il giorno seguente Mizushima incontra i suoi compagni mentre ritornano dal lavoro, ma decide di non farsi riconoscere e di non degnare nessuno di uno sguardo. “Quel bonzo era proprio Mizushima, ma nessuno di noi allora lo sapeva” , commenta la voce fuori campo.

Mizushima pensa che non può tornare coi suoi compagni e si reca allora sulle sponde del fiume che aveva attraversato per seppellire i cadaveri che stavano sulla riva. Quando i birmani vedono il monaco darsi da fare in questo lavoro, si uniscono a lui. Scavando le tombe lungo il letto del fiume che si è ritirato, il monaco rinviene una pietra preziosa: un rubino birmano, ovvero l’anima di un defunto, commenta qualcuno. Vicino a un tempio buddista, mentre il reparto di Mizushima sta lavorando, i soldati sentono il suono di un’arpa. Chi suona è un bambino, ma nel suono dell’arpa tutti riconoscono l’arte del sergente.

Il giorno dopo, poiché ha aiutato a costruire il mausoleo dei morti, il reparto partecipa a una cerimonia in onore dei soldati giapponesi caduti in guerra. Tra il corteo di monaci buddisti c’è anche Mizushima, che reca una scatola con le ceneri di un morto. “Ehi! Mizushima, ritorna in Giappone con noi.” E’ la frase che intanto il comandante del suo reparto aveva insegnato al pappagallo ricevuto in dono dalla nonna birmana. Il comandante si è finalmente convinto che il bonzo è Mizushima e che il suo comportamento nei confronti dei commilitoni dipende dalla grave decisione che ha preso: quella di rimanere in Birmania. Nell’involucro delle ceneri che portava il bonzo, il comandante ottiene la conferma che quello è veramente il suo sergente. L’involucro infatti non contiene le ceneri di un morto ma un rubino birmano.

Trascorsi alcuni giorni, mentre il reparto canta nei pressi di un antico tempio, Mizushima nascosto nella cavità di una statua suona con la sua arpa alcune variazioni che i compagni riconoscono immediatamente. Ma di nuovo Mizushima si nega ai loro appelli. Finalmente giunge la notizia del rimpatrio. Allegria e mestizia s’impadroniscono del reparto di Mizushima. Allegria per il ritorno in patria, tristezza perché Mizushima non si è ancora unito a loro. Faranno così due nuovi tentativi per convincere il sergente a tornare in Giappone. Il primo è quello di passare gli ultimi giorni che restano cantando a squarciagola per attirare l’attenzione del compagno. Il secondo è di convincere la nonna birmana a rintracciare il bonzo per consegnargli il pappagallo da loro ammaestrato a ripetere “Mizushima, torna in Giappone con noi.” Prima della partenza, il bonzo si presenta all’ingresso del campo. Ha con sé i due pappagalli e l’arpa e lo accompagna il ragazzo incontrato al suo arrivo in città. “Torna in Giappone con noi”, dice il pappagallo, mentre il reparto intona Vecchio Giappone e il bambino suona le variazioni di Mizushima. Poi Mizushima prende l’arpa e suona lui stesso, suscitando l’entusiasmo dei compagni che lo riconoscono. I compagni gli fanno domande. Come mai non ritorna con loro? Cosa gli è successo? Ma Mizushima non risponde e continua a suonare e poi se ne va. La mattina del giorno seguente torna al campo la nonna birmana. Ha con sé un regalo, il pappagallo del bonzo e una lettera da consegnare al comandante. “Mizushima non tornerà più in Giappone e la lettera non dirà nulla di più di quello che io già non sappia.” , dice il comandante , che crede di aver capito i sentimenti del sergente.

La lettera dice: “ caro comandante e cari amici, io non posso dirvi quanto senta la vostra mancanza, né posso dirvi quanto mi piacerebbe tornare insieme con voi, lavorare con voi, chiacchierare con voi e suonare e cantare di nuovo. Quanto mi piacerebbe tornare in Giappone, quanto vorrei ripercorrere il mio paese distrutto, rivedere i miei parenti, mi mancano le parole per dirvelo meglio tutto questo; ma non posso tornare a casa. Non tornerò a casa, finché in Birmania resteranno insepolti i corpi dei nostri soldati. Perciò rimango qui, per rifare la strada della guerra. Ricordate quando ci incontrammo sul ponte? Avrei voluto fermarmi e dirvi ciò che volevo fare, ma non potei nemmeno parlare, non ne ebbi la forza, volevo fare ciò che pensavo fino in fondo ...” “No! Non posso più tornare a casa” , dice intanto il pappagallo di Mizushima. “ Ho superato - prosegue - i monti, guadato i fiumi, come la guerra li aveva superati e guadati in un modo insano. Ho visto l’erba bruciata, i campi riarsi, perché tanta distruzione caduta sul mondo? E la luce m’illuminò i pensieri. Nessun pensiero umano può dare una risposta ad un interrogativo inumano. Io non potevo che portare un poco di pietà dove non era esistita che crudeltà. Quanti dovrebbero avere questa pietà? Allora non importerebbe la guerra, la sofferenza, la distruzione, la paura, se solo potessero da queste nascere alcune lacrime di carità umana. Vorrei continuare in questa mia missione, continuare nel tempo fino alla fine. Per questo, ho chiesto al bonzo che mi salvò dalla morte sul colle del triangolo di affidarmi la cura dei morti insepolti. Il capitano diceva di tornare in Giappone per collaborare alla ricostruzione del paese distrutto dalla guerra. Ricordo molto bene queste sue parole, ma quando vidi i morti giacere insepolti, preda degli avvoltoi, della dimenticanza e dell’indifferenza decisi di rimanere perché le migliaia e le migliaia di anime sapessero che una memoria d’amore le ricordava tutte ad una ad una. Passeranno gli anni, tanti anni prima che io finisca e , allora, se mi sarà concesso tornerò in patria, forse non tornerò più, la terra non basta a ricoprire i morti. Miei cari amici, io so che voi siete in grado di comprendermi e ve ne sono riconoscente. Vi scrivo dal monastero durante la notte e il pappagallo dice: Mizushima ritorna in giappone con noi. Io lo ascolto e vi giuro vorrei tanto tornare. Oggi il desiderio era forte e non resistendo suonai la mia arpa: la canzone dell’addio per voi. Addio amici che tornate in patria, vi confesso che non finirei mai di poter dire addio. Grazie per avermi tanto cercato, amici. Io vi ringrazio con tutto il mio cuore commosso. Io sarò qui in Birmania quando nevicherà e i monti nasconderanno la croce del sud e quando avrò sete di ricordi, quando avrò nostalgia di voi suonerò di nuovo la mia arpa. Per tanto tempo siete stati miei amici, vi ricorderò tutti, questo voglio dirvi.”

Tutto questo mentre la nave del rimpatrio si allontana verso il Giappone e già i compagni di Mizushima pensano al proprio futuro e il ricordo di lui sbiadisce, consegnandoci il significato della vanità di qualsiasi gesto

Gianfranco Massetti


AUNG SAN SUU KYI (Wikipedia).

BIRMANIA, LE IMMAGINI SFUGGITE ALLA CENSURA (la Repubblica).


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