Dal marxismo a una diversa concezione del tempo: le confessioni di Alberto Moravia ad Alain Elkann
Io e la Noia
In barba al Gruppo 63 ho superato il realismo ***
Fino agli anni Sessanta, si può dire che prevaleva il realismo esistenzialista e anche marxista, le due cose non erano tanto separate. Sartre è una figura tipica dell’ epoca: era al tempo stesso realista ed esistenzialista. Poi c’ era un ramo, diciamo così, meno appetitoso, che era il realismo socialista, che ha avuto dei seguaci anche in Italia, come Pratolini.
Quindi c’ è stato un ritorno al surrealismo e comunque all’ avanguardia che aveva caratterizzato il dopoguerra della Prima guerra mondiale.
Infatti il Gruppo 63 si chiamava anche neo-avanguardia. Dal favore che il marxismo riscuoteva, si è passati al favore per le cosiddette scienze umane. Antropologia, sociologia, psicanalisi, etnografia.
Che cosa vuole dire? Che, in pratica, da un’ideologia che voleva cambiare il mondo, che presupponeva una prassi, un intervento attraverso la politica sul mondo stesso, si passa ad una tendenza che vuole invece spiegare il mondo, spiegare la realtà e conoscerla. Nel caso della letteratura, questo segnò un passaggio dal neo-realismo, o dal realismo socialista, ad una visione più astratta della rappresentazione.
Questa concezione trovò espressione sia nella mia opera - questo è il senso di un libro come La noia, checché ne dicano quelli del Gruppo 63 - sia nel nouveau roman. Il fondamento del realismo - pare impossibile - è la durata, non è la rappresentazione oggettiva. La rappresentazione oggettiva può anche non essere realista, può essere surrealista. La durata è realista, è legata al tempo, il tempo fa sì che le cose si presentino oggettivamente. Il nouveau roman fu uno sforzo, coronato qualche volta anche da successo, di sottrarre la durata dal romanzo. Cioè di estrarla come si estraggono le ossa da un pollo.
Ora, questo è proprio della poesia, non del romanzo. Il romanzo comincia sempre: «Nel 1780 nacque il Tal dei Tali...». La durata è legata al tempo che l’uomo vive. È il metro con cui vengono scritti i romanzi e anche i libri di storia. Il nouveau roman tende a fare un’operazione di scomposizione dei piani di durata. È un modo quasi di composizione cubista.
Le voyeur di Robbe-Grillet è un libro scritto nel modo in cui dipingeva Picasso: piani sovrapposti. I volumi sono sovrapposti, e i tempi sono incastrati uno sull’ altro. I tempi non hanno la logica dell’ orologio, ma del fattuale.
La durata è indispensabile, tanto è vero che, se manca, ad un certo momento ti annoi. Non puoi andare avanti. Hai mai mangiato la carne senza sale? Hai mai bevuto un brodo senza sale? Non si può mangiare. La durata è il sale della narrativa. Perciò, il nouveau roman spesso alla fine, nei suoi risultati estremi, diventa incomprensibile e illeggibile, proprio perché non si può scrivere un poema in prosa di trecento pagine.
Il Gruppo 63 adotta queste cose su due fronti principali: da una parte la critica, che è strutturalistica, e dall’ altra la poesia. Però il Gruppo 63 non è omogeneo, come anche il nouveau roman: Butor, madame Sarraute, Robbe-Grillet, poi Simon, non è che abbiano molto a che fare uno con l’altro. Hanno a che fare negativamente, attraverso il rifiuto delle forme tradizionali del romanzo. Ma positivamente ciascuno segue la sua strada. E così il Gruppo 63: oggettivamente bisogna riconoscere che tra Sanguineti, Balestrini, Giuliani e altri c’ era soltanto il nesso che rifiutavano le forme ricevute, le forme tradizionali, della narrativa, della critica e così via.
Insomma, il nouveau roman, nella sua smania di abolire la durata, il realismo, in fondo si ricongiunge con i surrealisti. Perec sta alla confluenza del surrealismo con il nouveau roman. La sua idea è che la realtà va ricostituita come un puzzle. Ora, la realtà non è un puzzle, ma nell’idea che lo sia c’è anche sempre l’idea dell’ abolizione della durata. Quando hai di fronte uno scrittore che, invece di raccontare, cerca di ricostituire la realtà, di scomporre i piani, oppure fa della realtà un puzzle, oppure si affida alla numerologia, per esempio, di cui parla anche il nostro Eco, che è fissato con quella cosa, vuoi dire che rifiuta il tempo.
La durata è fondamentale, la durata vuol dire storia, e la storia è fondamentale. Perché la durata è fondamentale? Perché è il più grande mistero di tutti. La durata è Dio, insomma. Perché il tempo passa? Perché uno nasce, cresce e muore? Il nouveau roman e i surrealisti vorrebbero uscire da questa trappola. È un tentativo che è molto interessante, indubbiamente, ma insomma il tempo è Dio. È Dio che è il tempo. Il mondo esiste, dura, perché? È un mistero e il mistero è Dio. Tutto ciò che non si spiega è Dio.
Io qualche volta mi fermo a riflettere e dico: duemila anni fa girava della gente con gli stessi sentimenti, però vestita di un peplo. Ma perché? Scrivevano in una lingua diversa dalla mia. Perché è morto il latino? Non si sa. Da questo viene la grande domanda: da dove veniamo, dove andiamo? Anch’ essa è sempre legata al tempo.
È molto difficile acchiappare la durata, anche per me. Infatti sto sempre in lotta con l’ imperfetto, il passato prossimo e il presente. I miei libri cominciarono ad essere scritti in passato remoto. Ne ho fatti molti al tempo presente. Molti al passato prossimo. Non riesco ad adoperare l’ imperfetto, che è il verbo narrativo per eccellenza. Non riesco a dire aveva, faceva ecc. Questo vuol dire che anch’ io ho qualche cosa che non funziona con la durata. E infatti, mi succede questo: comincio un romanzo; ad un certo momento, le cose succedono in un giorno, non vedo la ragione perché succedano in un mese. Deve succedere per forza il giorno dopo. Non sento il tempo, mi sfugge.
A riprova, prima che venissi al mondo come narratore, c’erano due grandi analisti del tempo. Uno che analizzava un giorno, Joyce; uno che cercava di analizzare mezzo secolo, che è Proust. Questi due scrittori erano le due colonne d’ Ercole di quello che si chiama naturalismo. Cioè hanno fatto l’inventario della realtà. Uno in un giorno e l’altro in mezzo secolo. Di fronte a questi due inventari che avevano allargato gli orizzonti del naturalismo fino ai confini dell’ universo, mi trovavo désemparé (smarrito).
E allora pensai: l’unica uscita è la tragedia. In una tragedia come Edipo re, il tempo è ridotto a niente. Perciò, quando scrissi Gli indifferenti, volevo scrivere un dramma travestito da romanzo. Tutti i miei libri sono drammi, l’imperfetto non mi riesce: ammiro quelli che lo sanno adoperare, perché è una cosa che vorrei fare e non sono capace.
Nel mondo moderno tutto si appiattisce. Ora, la reazione del nouveau roman, delle scuole di neo-avanguardia, è contro il tempo, contro la durata come garanzia di realtà. È un problema filosofico, che io non ho gli strumenti per sciogliere, perché a tutto questo arrivo unicamente attraverso la letteratura. Non sono un pensatore, ho una scarsa educazione filosofica. Se ho avuto pensieri di questo genere, li ho avuti attraverso la letteratura.
* * * L’ intervista. Questo inedito è un brano, finora mai pubblicato, della conversazione alla base della «Vita di Moravia» di Alain Elkann (pubblicata da Bompiani nel 2000). Nel centenario della nascita di Moravia il libro è ora uscito in una nuova edizione, sempre da Bompiani (pp. 306, 15)
Moravia Alberto
25 novembre, 2007 - Corriere della Sera
Foto (e Scheda): Alberto Moravia (Wikipedia).
Nacque a Roma il 28 novembre 1907
Moravia, a cent’anni dalla nascita il dibattito continua
’Tracce’, mensile di Comunione e Liberazione, nel numero di novembre riavvia la discussione su ’La Noia’. Nei prossimi giorni il sito di Ign chiamerà a confrontarsi sulla figura dello scrittore autorevoli personaggi del mondo della politica e della cultura. Lucido interprete del XX secolo o scrittore ’sopravvalutato’? Dì la tua sul forum
Roma, 15 nov. (Ign) - Il 28 novembre ricorrono i cento anni dalla nascita di Alberto Moravia. La data offre lo spunto per una nuova riflessione sull’autore, la sua produzione letteraria e il suo impegno politico che a distanza di tempo continuano a far discutere. ’Tracce’, mensile di Comunione e Liberazione, nel numero di novembre si sofferma su ’La Noia’, scritto nel 1960, e a dibattere chiama uno scrittore, Luca Doninelli, un docente di Italianistica, Ermanno Paccagnini, e un insegnante di italiano in un liceo, Mauro Grimoldi. Il quadro che ne esce è di un romanzo influenzato dalla ’Nausea’ di Sartre, di ’’una prospettiva borghese’’ da parte dell’autore ’’che ha fatto della contraffazione un elemento vitale’’. Quindi l’avvertimento che ’’non c’è nulla di più menzognero di una verità affrontata senza metodo’’.
’Tracce’ delinea poi il profilo dello scrittore e punta il dito contro i ’’voltafaccia’’ nella sua carriera, dall’intellettuale militante di sinistra alle lettere al Duce e a Ciano fino al discredito dell’antifascismo non comunista. ’’Forse era un bravo scrittore - si chiosa nella rivista - ma sempre contro la verità’’. Nei prossimi giorni anche il sito di Ign, il portale del gruppo Gmc Adnkronos, aprirà un forum on line e chiamerà a confrontarsi sulla figura di Moravia autorevoli personaggi del mondo della politica e della cultura, perché il dibattito su uno dei personaggi più noti e controversi del Novecento resta aperto.