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Italia

AFGHANISTAN: APPELLO PER IL RITIRO DEI SOLDATI ITALIANI. GUERRA, SEMPRE ASSURDA!!!

venerdì 16 febbraio 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] Né la guerra al terrorismo, né la condizione dei diritti delle donne Afgane, né la lotta al narco-traffico, hanno prodotto dei risultati apprezzabili, anzi assistiamo oggi sotto il governo dell’Alleanza del Nord, sostenuto dagli Usa, ad un forte peggioramento sia della sicurezza del paese, in mano ormai ai terribili signori della guerra, sia delle condizioni delle donne Afgane, prive di libertà come al tempo del regime Talebano, sia all’ aumento dei traffici illeciti di droga. (...)

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> AFGHANISTAN: APPELLO PER IL RITIRO DEI SOLDATI ITALIANI.

martedì 16 gennaio 2007

Missione in Afghanistan

Rinnovo sì, ma la strategia cambi. richieste dei parlamentari pacifisti

di Adista N.5 del 20-01-2007 *

33711. ROMA-ADISTA. Arriverà in Parlamento alla fine di gennaio il nuovo decreto legge che prolungherà di altri sei mesi la missione militare delle Forze armate italiane in Afghanistan, e lo voteranno anche i deputati e i senatori dell’area pacifista se il governo proporrà una strategia alternativa rispetto a quella attuale. In caso contrario, si aprirebbe un nuovo conflitto fra Prodi e la maggioranza che lo sostiene, e il governo sarebbe costretto a chiedere i voti anche al centro-destra o a porre di nuovo la fiducia.

Sembra essere questo lo scenario, prospettato anche da diversi parlamentari interpellati da Adista, che nelle prossime settimane si presenterà a Montecitorio e a Palazzo Madama. E il rischio di un altro scontro fra maggioranza e governo è dietro l’angolo anche se, dicono più o meno chiaramente deputati e senatori pacifisti, non si faranno le barricate per il ritiro delle truppe, ma si punterà a ottenere qualche elemento di discontinuità con la fase attuale e a disegnare una strategia alternativa a quella esclusivamente militare.

Fino a questo momento, però, nessun cambiamento si è visto: la strategia complessiva è rimasta la stessa (la missione - che si muove in ambigua sinergia con Enduring Freedom, l’operazione militare delle Forze armate Usa - è "autorizzata" dall’Onu ma guidata dalla Nato: di fatto un’occupazione del Paese) e le truppe italiane continuano a svolgere gli stessi compiti e ad occupare lo stesso territorio, con una spesa per mantenere soldati e mezzi pari a circa 300 milioni di euro l’anno. Anche le richieste di alcuni parlamentari della sinistra sono rimaste fino a ora lettera morta, o quasi. Lo scorso 28 luglio, infatti, al termine di un dibattito estenuante che provocò la prima ‘crisi’ nella maggioranza di centro-sinistra, il governo Prodi chiese ed ottenne la fiducia su un decreto che prorogava fino allo scorso 31 dicembre tutte le missioni militari all’estero (quella in Afghanistan è stata poi prolungata, con un emendamento alla Finanziaria, fino al prossimo 31 gennaio) e contestualmente stabiliva il ritorno entro l’autunno delle truppe che partecipavano alla missione Antica Babilonia in Iraq. Insieme alla fiducia venne anche approvata una mozione che, fra l’altro, prevedeva il "superamento" di Enduring Freedom e la costituzione di un Osservatorio parlamentare per il "monitoraggio permanente" delle missioni militari italiane all’estero, Afghanistan prima su tutte: l’Italia è formalmente uscita dall’operazione Enduring Freedom (lo scorso 17 dicembre sono rientrate a Taranto le ultime due unità navali) ma dell’Osservatorio parlamentare non c’è traccia. Ed è rimasta senza risposta anche un’interpellanza sulla situazione dell’Afghanistan presentata lo scorso 6 ottobre da 35 senatori della sinistra che, oltre a reclamare dal governo l’attuazione degli impegni contenuti nella mozione approvata 3 mesi prima, chiedevano di "rivedere" la partecipazione militare italiana "nella prospettiva di un ritiro delle truppe a vantaggio di forme efficaci di promozione della sicurezza umana e dei diritti fondamentali delle popolazioni afghane".

Nonostante questa serie di niet, i parlamentari pacifisti puntano a formulare "una proposta concreta e non ideologica, che possa superare il dilemma ‘sì alle truppe/no alle truppe’ e che convinca il Parlamento e il governo a trovare una strategia alternativa", spiega Francesco Martone, senatore di Rifondazione comunista (e primo firmatario dell’interpellanza del 6 ottobre). "Non ci possiamo bloccare esclusivamente sulla questione del ritiro dei militari, ma dobbiamo capire cosa succede se ce ne andiamo o cosa dobbiamo fare se restiamo, tentando di comprendere cosa vogliono realmente gli afghani nei confronti dei quali, dopo tutti i danni che abbiamo fatto, abbiamo più di qualche responsabilità. Certo è che se il governo resterà arroccato sulle sue posizioni non si andrà molto lontano e si aprirà un problema serio". (luca kocci)

* www.ildialogo.org, Martedì, 16 gennaio 2007


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