Filosofia e fotografia. Il mondo in un’immagine
Per Cartesio il dispositivo ottico consentiva di sottrarre il mondo al caos della percezione, mentre per l’uomo del ’900 l’obiettivo moltiplica lo sguardo soggettivo
di Anna Li Vigni (Il Sole 24 ore - Domenica’, 26 gennaio 2014)
«Per sapere occorre immaginare. Dobbiamo provare a immaginare l’inferno di Auschwitz nell’estate del 1944. Non parliamo di inimmaginabile. Non difendiamoci dicendo che immaginare una cosa del genere è un compito che non possiamo assumerci». Così George Didi-Huberman ci introduce a quattro fotogrammi scattati furtivamente, nell’agosto del 1944, da alcuni prigionieri del campo di sterminio destinati alle camere a gas.
Quei «quattro pezzi di pellicola strappati all’inferno» ci permettono oggi di rileggere la storia - secondo l’indicazione di Benjamin - «in contropelo», ovvero di assumere uno sguardo critico sul passato, andando con l’immaginazione al di là dei luoghi comuni forniti dalla tradizione. Se anche il ruolo della fotografia si limitasse a questo, sarebbe già abbastanza.
Ma c’è tanto di più. La fotografia non è soltanto la rappresentazione del reale indissolubilmente legata al suo apparato tecnico. E non è solo un’arte, da sempre ingiustamente considerata in rapporto o alla pittura o al cinema. La sua scoperta è coincisa con la più grande rivoluzione della percezione e della cognizione, una frattura culturale che ha profondamente modificato lo sguardo dell’uomo contemporaneo.
Il volume Filosofia della fotografia, curato da Maurizio Guerri e da Francesco Parisi, è un’utile antologia ragionata di alcuni tra i principali testi di teoria della fotografia, dagli esordi fino all’odierno dibattito d’ambito analitico: da Ernst Mach a Vilélm Flusser; da Walter Benjamin a George Didi-Huberman; da Roger Scruton a Marshall McLuhan; da Gregory Currie a Kendall Walton.
La prima grande questione filosofica riguarda il portato cognitivo della rappresentazione fotografica: «In che modo la macchina fotografica e i media che hanno sviluppato le potenzialità di riproducibilità tecnica delle immagini hanno mutato il nostro modo di guardare le cose?». L’inizio della storia della fotografia coincide con il momento in cui l’uomo contemporaneo ha conformato il proprio sguardo alle condizioni socioculturali e tecnologiche del suo tempo. Non esiste una rappresentazione visiva separata dalla tecnica ottica che l’ha prodotta.
Già Cartesio, facendo esperimenti con la camera oscura, riteneva che attraverso il dispositivo ottico si potesse oggettivare il mondo, offrendone una visione assoluta e sottratta al caos della percezione; ma l’uomo del ’900 ha imparato che l’obiettivo fotografico persegue un fine opposto, quello di trasferire e di moltiplicare lo sguardo soggettivo.
In un certo senso, come sottolinea Susan Sontag, la fotografia ha anche contribuito a "deplatonizzare" la visione occidentale di realtà: ha evidenziato l’importanza dell’immagine in quanto cosa tra le cose e non più, tradizionalmente, come copia di un originale.
L’altra grande questione filosofica riguarda il dibattito estetico sulla fotografia come arte; un’indagine che non può prescindere dal rapporto con la pittura, considerato che la valutazione delle immagini fotografiche si è molto spesso basata su criteri pensati per i dipinti.
Tuttavia, ciò che bisogna chiedersi è, al contrario, quanto la fotografia ha influito sulla pittura a partire dall’età dell’impressionismo, trasformando il modo di guardare e di trasporre la visione sulla tela. Una posizione come quella di Roger Scruton, che non considera le immagini fotografiche vera arte in quanto secondo lui verrebbero create senza alcun sostrato intenzionale, non è altro che l’eco di un assurdo atteggiamento critico che accompagna da sempre la storia della fotografia. Non solo è un’arte, ma un’arte unica nel suo genere, capace di dare scacco al tempo e alla storia.