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Gioacchino da Fiore

LA POLONIA E IL VESCOVO SPIA, LA CADUTA DEL MURO DI BERLINO, GORBACIOV, E WOJTYLA. UNIONE SOVIETICA E CHIESA CATTOLICA: UNA SOMIGLIANZA CATASTROFICA E UN NODO NON ANCORA SCIOLTO !!! TUTTA L’ "ANALISI" IN UNA VIGNETTA DI "LE MONDE", RIPRESA DA "CUORE", DEL 1989 !!!

giovedì 11 gennaio 2007 di Maria Paola Falchinelli

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> CADUTA DEL MURO !!! UNIONE SOVIETICA E CHIESA CATTOLICA: UNA SOMIGLIANZA PERICOLOSA E CATASTROFICA. L’ "ANALISI" IN UNA VIGNETTA DI "LE MONDE", RIPRESA DA "CUORE", DEL 1989 !!!

mercoledì 25 aprile 2007

Addio all’uomo che fermò i tank golpisti

di Adriano Guerra *

Anche perché si usa non parlare troppo male dei morti è possibile che le critiche, spesso pesanti, che sono state per tanto tempo indirizzate a Eltsin, vengano messe per qualche giorno da parte. Non che si tratti di critiche immeritate. Il nome di Eltsin è, e rimarrà irrimediabilmente, legato ai costi tremendi che milioni di russi hanno pagato per una liquidazione, quella dello dello Stato-proprietario sovietico, avvenuta attraverso una gigantesca «appropriazione indebita» compiuta da alcune migliaia di persone ai danni della popolazione. E tra queste migliaia di persone vi erano in prima fila anche i familiari e gli amici del nuovo capo del Cremlino.

Né c’era e c’è solo questo. Si pensi alle responsabilità che è giusto attribuire ad Eltin, oltreché ad un gruppo di deputati golpisti, per l’assalto alla sede del Parlamento del settembre 1993. E ancora si pensi a come è nata la prima guerra di Cecenia. Non è stato insomma per caso che Eltsin ha potuto lasciare il Cremlino solo dopo aver raggiunto con Putin, il successore da lui scelto, un patto che gli si garantiva l’impunità. Detto questo va però anche aggiunto che quel che nessuno ha potuto e può negare ad Eltsin è il merito di essere stato il fondatore sulle ceneri dell’Urss dello Stato russo, e di uno Stato russo che per la prima volta nella storia si presentava spogliato o quasi dall’impero. L’immagine che di lui resterà sarà probabilmente quella, dunque, che lo vede nell’agosto del 1991 arringare il popolo di Mosca dal carro armato mandato a far fuoco contro il parlamento russo dai colpisti che avevano bloccato e imprigionato in Crimea il Presidente dell’Urss Gorbaciov. Eltsin e Gorbaciov dunque. Due destini, due linee che si incontrano e si separano, per incontrarsi di nuovo e subito separarsi nel quadro confuso e drammatico di un processo di implosione che non ha precedenti.

Entrambi,i due Presidenti, ritengono all’inizio che il sistema sovietico sia ancora riformabile. Gorbaciov pensa alla Nep di Lenin, ad una serie di «riforme radicali» che investendo l’economia e il sistema politico, possano permettere al Paese di uscire dalla crisi nella continuità coll’ ottobre 1917. Gorbaciov pensa che lo strumento su cui puntare per portare avanti la perestrojka, come «rivoluzione nella rivoluzione», sia il partito e punta sui piccoli passi, sulla necessità di salvaguardare l’intesa con i «conservatori» del partito perché senza di essi - pensa - il fallimento è sicuro. È su questo punto che si scontra con Eltsin, col populismo radicale e il «giustizialismo», ma anche con lo straordinario intuito politico di quest’ultimo. Lo scontro è durissimo e apparentemente la vittoria sembra arridere a Gorbaciov che batte e umilia il rivale davanti ai quadri del partito di Mosca. Si tratta però di una vittoria di breve durata.

Sorretto da una valanga di voti Eltsin diventa infatti Presidente della Repubblica federativa russa e dà immediatamente battaglia a Gorbaciov. Alla base del suo successo c’è una lucida visione della natura della crisi che aveva investito l’Unione sovietica e i fatti gli daranno ragione. In quel decisivo agosto del 1991 si vide chiaramente che l’Unione sovietica come Stato unitario non esisteva più. Non c’era più a Mosca un potere centrale in grado di governare o anche solo di tenere in piedi il Paese. Il progetto di riforma che, con un ritardo che doveva rivelarsi fatale, Gorbaciov aveva approntato per bloccare le spinte centrifughe, venne bloccato prima ancora che dalle varie repubbliche ormai avviate verso l’indipendenza, dagli stessi golpisti del Pcus. Quando questi ultimi misero agli arresti Gorbaciov dopo aver cercato, invano, di conquistarne l’appoggio, non ci fu un solo strumento o organo istituzionale dello Stato sovietico - il partito, il Soviet Supremo, l’Armata rossa, la polizia politica - che si mosse in difesa del potere centrale e della linea della perestrojka. A muoversi è stato solo, col suo Presidente, il Soviet supremo della Russia. E quando Eltsin il successivo 8 dicembre 1991 firmò coi presidenti dell’Ucraina e della Bielorussia il documento che sanciva la fine dell’Unione sovietica come Stato sovrano, non fece che stendere l’atto notarile col quale si prendeva atto della realtà.

Il giudizio che si deve dare su Eltsin uomo di Stato non può certo fermarsi ai momenti che riguardano il ruolo decisivo da lui ricoperto nei mesi della convulsa fase finale del crollo dell’Urss. Per quel che riguarda il periodo successivo si è già detto della necessità di tener conto del carattere del tutto inedito della situazione e dei compiti che il primo Presidente della Russia si è trovato a dover affrontare. Il quadro politico-culturale era in quel 1991 estremamente complesso. Si parlava della necessità di riconoscere il «pluralismo degli interessi e delle idee» ma non di pluripartitismo (anche se partiti e gruppi politici di ogni sorta nascevano a centinaia). Il «mercato» era visto come qualcosa che avrebbe dovuto rientrare entro la formula del «socialismo di mercato». Del tutta aperta era la questione della stessa «identità» dello Stato russo e della sua collocazione ( «occidentale» o «euroasiatica»?).

Altrettanto contradditorie erano inevitabilmente in questo quadro le proposte avanzate che riguardavano la politica verso gli altri Stati indipendenti nati dal crollo dell’Urss (il «vicino estero» come veniva un poco ambiguamente chiamato) nonché verso i Paesi occidentali. E tutto questo nel pieno di una crisi economica per cui la nuova Russia era costretta a rivolgersi all’Occidente per chiedere prima ancora che riconoscimenti politici e prestiti, continue dilazioni nei pagamento del debito dell’Urss e aiuti in derrate alimentari.

Tenendo conto di questo - nonché di quel che si è detto all’inizio parlando del dilagare della corruzione e del ruolo negativo giocato dal «populismo» di Eltsin - è possibile provare ad elencare alcuni dei risultati che è giusto attribuire al primo presidente della Russia: le basi di uno Stato «normale» sono state create e, coi loro limiti, si tratta di basi democratiche basate su una Costituzione, sul pluripartitismo, sul voto elettorale libero, sull’assegnazione di spazi assai ampi (eccessivi, come si è poi visto) di autonomia alle Repubbliche e ai territori della Federazione, su una politica estera di pace aperta verso Occidente. Si tratta di basi certo ancora limitate, e va detto. Va detto anche però che oggi è la politica di Putin a colpire queste basi.

* l’Unita. Pubblicato il: 24.04.07, Modificato il: 24.04.07 alle ore 10.19


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