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Gioacchino da Fiore

LA POLONIA E IL VESCOVO SPIA, LA CADUTA DEL MURO DI BERLINO, GORBACIOV, E WOJTYLA. UNIONE SOVIETICA E CHIESA CATTOLICA: UNA SOMIGLIANZA CATASTROFICA E UN NODO NON ANCORA SCIOLTO !!! TUTTA L’ "ANALISI" IN UNA VIGNETTA DI "LE MONDE", RIPRESA DA "CUORE", DEL 1989 !!!

giovedì 11 gennaio 2007 di Maria Paola Falchinelli

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> CADUTA DEL MURO !!! UNIONE SOVIETICA E CHIESA CATTOLICA: UNA SOMIGLIANZA PERICOLOSA E CATASTROFICA. L’ "ANALISI" IN UNA VIGNETTA DI "LE MONDE", RIPRESA DA "CUORE", DEL 1989 !!!

lunedì 8 gennaio 2007

Autogol in cattedrale

di ENZO BETTIZA (La Stampa, 8/1/2007)

Non è facile comprendere lo scandalo più grave che sia mai scoppiato, dopo l’89, nel pur tumultuoso universo ex comunista dell’Europa centrorientale: le dimissioni con cui l’appena nominato arcivescovo di Varsavia ha completato in ventiquattr’ore l’inaudita ammissione di essere stato per due decenni una spia al servizio della polizia comunista.

Si pensi per un attimo alla vertiginosa profondità dello scandalo. La cattolicissima Polonia, la terra martire delle fosse di Katyn, patria di Solidarnosc e di Karol Wojtyla, antagonista di prima linea del comunismo russo, che ha rischiato di esibire stabilmente alla sommità della propria Chiesa un primate un tempo legato ai servizi controllati dall’oppressore straniero: servizi, per dirla fino in fondo, che facevano capo al Kgb moscovita, alla Lubjanka di Andropov, dove con ogni probabilità era stato premeditato il piano per l’assassinio del combattivo pontefice polacco. Non si conosce comunque la natura dei danni causati, negli anni, dalle attività occulte del prelato che aveva perfino seguito un corso di addestramento clandestino per spie. Ci sono innocentisti che oggi lo difendono e altrettanti colpevolisti che lo condannano.

Ma il punto non è soltanto la quantità di male che monsignor Wielgus può aver provocato nel passato alla Chiesa e ai dissidenti che ne popolavano le trincee anticomuniste. Il punto essenziale della questione lo ha bene individuato lo storico Bronislaw Geremek, personaggio di punta della rivoluzione democratica di Solidarnosc, il quale ha detto: «In un Paese dove la Chiesa è sempre stata punto di riferimento morale e costitutivo della tradizione nazionale, il caso Wielgus crea ribrezzo e sconvolge. Non solo perché egli ha collaborato a lungo con i vecchi servizi, ma anche perché ha negato la verità fino all’ultimo». Come dire: il semplice fatto di essere stato una spia con tanto di nome in codice, perdipiù confessa, avrebbe dovuto suggerire al porporato di rifiutare l’alto incarico alla guida della diocesi di Varsavia che, all’epoca del primate Wyszynski, fu un glorioso simbolo di resistenza contro il colonialismo russo. O, quanto meno, il cardinale, incalzato dalle rivelazioni sulla sua doppia vita, il cardinale che aveva mentito fino alla vigilia della solenne investitura nella cattedrale, avrebbe dovuto invertire i tempi della rinuncia: prima dimettersi e poi confessare. Non lasciare insomma il minimo margine di dubbio sull’ipotesi che un cardinale, una volta emendatosi in pubblico del peccato di «tradimento», potesse restare perdonato e inamovibile al vertice della più importante diocesi di Polonia.

Probabilmente il Vaticano sapeva tutto ma esitava a intervenire. L’impressione è che il pontefice tedesco abbia cercato d’immischiarsi il meno possibile nelle strane decisioni della gelosa gerarchia polacca, al cui interno si cerca di occultare tra silenzi misericordiosi e rimozioni pietose la mole di smarrimenti che coinvolse una parte del clero ai tempi della dittatura comunista. Può darsi inoltre che l’atavico realismo politico del Vaticano, il quale ha spesso usato verso le prigioniere e vulnerabili Chiese dell’Est pesi e misure alternate, ora sostenendo ora frenando presuli crociati come Wyszynski, Mindszenty, Stepinac, abbia indotto il papa a socchiudere un occhio sul passato di Wielgus lasciando ai cattolici polacchi di risolvere tra loro uno scandalo che, al dilà del fatto religioso, va assumendo i contorni incontrollabili di una dirompente patologia nazionale. In un contesto tanto delicato, per non dire esplosivo, l’ideale per Ratzinger era quello di accettare le dimissioni di Wielgus anziché imporle e così è avvenuto.

La prudenza della Santa Sede la si spiega ancor meglio sullo sfondo dell’incalzante crisi politica e psicologica che, da un anno a questa parte, sta alterando l’identità europea e democratica della Polonia. Il grande tema, pieno d’insidie, che da qualche tempo agita gli animi dei polacchi è infatti: chiudere pietosamente le piaghe del passato comunista o riaprirle inquisitoriamente? I gemelli Kaczynski, uno capo dello Stato e l’altro del governo, ambedue populisti di destra e ipernazionalisti, danno l’impressione di voler spingere il Paese alla deriva e ai margini dell’Europa. Essi soffiano sulle braci dell’ancestrale antisemistismo polacco e sostengono l’Istituto della memoria nazionale che, a colpi di dossier più o meno autentici o del tutto apocrifi, estratti da archivi segreti, sta intossicando il clima della convivenza nazionale. Si va diffondendo un clima di caccia alle streghe in una società ammorbata da decenni di comunismo dove, purtroppo, come dimostra il caso dell’arcivescovo spia, le streghe ci sono e sono tante e annidate perfino nella Chiesa «più cattolica del mondo». Il rimbombo mediatico, tra cui spicca per fanatismo e volgarità l’emittente nazionalclericale e filogovernativa di Radio Marija, s’interessa sempre meno ai parametri di Maastricht e sempre più ai fantasmi della Vistola: la cattiva memoria del tempo che fu tende a sostituirsi al presente e a ingoiarlo.

Tutto questo comunque non relativizza e non sminuisce la gravità dello scandalo dell’arcivescovo dimissionario, lo colloca però in un quadro ambientale quanto mai inquinato e ambiguo. L’atmosfera da inquisizione, che sta avvelenando la Polonia gemellocratica dei Kaczynski, avrebbe dovuto semmai suggerire alla Chiesa di prendere per tempo le distanze che non ha preso nei confronti di un porporato bugiardo e già da alcune settimane seriamente indiziato. Esporre alla berlina dell’autodenuncia e alla costrizione delle dimissioni il successore del primate Glemp, dopo due giorni dalla nomina episcopale, è stata la svista peggiore che l’orgogliosa gerarchia polacca potesse commettere.


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