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"DR. HOUSE". UN PERSONAGGIO E UN FENOMENO TELEVISIVO. La sua essenza: un "nerd", un pò come il "tenente Colombo".

Segnalazione del prof. Federico la Sala
sabato 20 gennaio 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] Un fenomeno televisivo che buca lo schermo, legato a un personaggio davvero atipico, rude, ironico e geniale alle prese con malattie improbabili, come rabbia, lupus, e perfino la peste. Per catturare la sua essenza in una sola parola si è detto che è un ’nerd’, termine inglese con cui viene definito chi mostra una forte predisposizione per la ricerca intellettuale, associata ad una intelligenza superiore alla media, ma al contempo è solitario e asociale [...] (...)

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domenica 2 settembre 2007

La (a-?)socialità di Dr. House

Written by

Francesco Giacomantonio *

Friday, 10 August 2007

È in uscita un libro di un collettivo filosofico (Biltris), che ha provato a sviluppare una filosofia di un personaggio considerato il caso televisivo della scorsa stagione, il Dr. House.

Il testo (La filosofia del Dr. House. Etica, logica ed epistemologia di un eroe televisivo, Ponte alle Grazie, Milano 2007), si diletta su tutta una serie di speculazioni filosofiche che riguardano modo di ragionare e la insolita morale del bizzarro dottore. Raccogliendo e completando questo esercizio, si potrebbe, dunque, far scendere in campo anche la filosofia sociale e la sociologia, per arricchire ulteriormente il quadro proposto.

Sin da una primissima osservazione del suo modo di vestire, di presentarsi, di comunicare, di parlare, di guardare, di camminare, House appare subito, soprattutto in un contesto medico ospedaliero, un individuo per il quale è difficile conferire una definizione e una collocazione sufficientemente chiara e distinta. Questo è vero sia dal punto di vista lampante della sua condotta etica, della sua logica e della sua visione di ragione, sia da quello della sua condotta sociale in cui tutti questi ambiti confluiscono e si sostanziano.

Che relazione ha House con il mondo, con gli altri esseri umani, con i colleghi? Che tipo di socialità esprime? Dovremmo parlare, stando a molti suoi comportamenti, di asocialità, misantropia? Un’analisi attenta sembra mostrare invero che House, più che negare la socialità si diverta costantemente a decostruirla, a smontarla a svelarne, con compiaciuta ironia, le sempre instabili, illusorie, immaginarie, e spesso utilitariste fondamenta.

Certamente House non mostra grande disponibilità ai rapporti interpersonali (si pensi alla sua riluttanza a svolgere l’attività di consulto ai pazienti), molti dei quali appaiono per lui, dal punto di vista puramente ontologico, un peso, forse perché lo costringono a guardare quei comportamenti umani miseri, deboli, odiosamente mediocri, finanche dolorosamente stolidi, dai quali egli si è emancipato, nei riguardi dei quali egli ormai è completamente disincantato, quasi in senso weberiano.

House, probabilmente, sfugge la socialità perché in essa non vede nulla che possa stimolarlo, rallegralo, dargli quel senso di pienezza che avverte invece cimentandosi nella soluzione dei casi difficili.

Perciò, posto molte volte alle strette di fronte agli obblighi sociali ricordatigli costantemente dalla Cuddy, dai suoi assistenti, da Wilson, egli sembra mettere in pratica tutto l’armamentario concettuale sviluppato dalla microsociologia contemporanea, dall’approccio drammaturgico di Goffman all’etnomedodologia di Garfinkel, all’analisi fenomenologia da Schutz a Berger.

In che modo? Per House, come per Goffman, il sociale, la socialità, le relazioni, sono una mera rappresentazione scenica o teatrale. Tutti gli uomini si trovano in frames, ossia in contesti. Il frame è appunto la cornice cognitiva e il contesto sociale di comprensione, che rende intelligibile un flusso di eventi, ponendovi intorno una cornice, inserendoli in un contesto interpretativo. Il self individuale in quest’ottica, esiste sia soltanto come un complesso di parti distinte, ciascuna delle quali è socialmente costruita, sia in un mondo che esiste anch’esso solo come un serie di costrutti incorniciati, nessuno dei quali ha una qualche pretesa alla realtà diversa da quella che il self conferisce ad esso. Il self è l’ultima garanzia che ciò che le persone fanno e gli eventi che a loro capitano sono ancorati al mondo. House attraverso le sue battute, fa slittare non solo i contesti semantici, ma anche quelli sociali che ad essi sono correlati. Così egli destabilizza continuamente i frames e, parallelamente, anche il senso di sé che gli individui hanno.

In tal senso House sviluppa anche una pratica etnometodologica, poiché utilizzando discorsi di senso comune, tanto con i pazienti quanto con i colleghi, porta alla luce i “codici”, spesso latenti o volutamente occultati, insiti nelle relazioni sociali tra gli individui o nei gruppi.

House galleggia fenomenologicamente nel sociale, perché rifiuta di assumere i ruoli precostituiti, sfugge (o cerca di sfuggire) a quella coazione a ripetere che Freud riteneva fosse il principio più forte che dominasse l’animo umano, tanto da sovrastare e finanche sostituire il principio del piacere. Ma proprio perché gli esseri umani sono in genere coattivi, House non può, non vuole, non ha motivo di relazionarsi a loro, perché egli è almeno parzialmente lontano dalla coazione a ripetere.

Dunque, vi è in lui una certa originalità. È comune nei contesti moderni e metropolitani per gli uomini darsi una connotazione, uno stile molto marcato e distinto; normalmente, questa operazione, come osservava con lucida acutezza Simmel, non è fine a sé stessa: la specificazione della propria individualità è necessaria per farsi riconoscere e trovare, quindi, persone simili con cui aggregarsi. Non così per House: la sua personalità assai specifica contiene certamente uno stile marcato, ma tale stile non ha alcuna finalità relazionale esplicita: egli è cosi fondamentalmente per sé stesso, non per gli altri.

Il modo in cui House vive la socialità a monte del disagio che spesso provoca negli interlocutori, gli conferisce, tuttavia, la straordinaria capacità di approcciarsi alla diversità nelle sue forme concrete più varie (bambini, anziani, donne).

Il suo indugiare in svaghi come serie televisive, moto, videogames, gli dà l’opportunità di avvicinarsi ai bambini quasi come fosse egli stesso ancora tale. Il suo vivere ai margini del sociale lo aiuta a interpretare i motivi più profondi che possono stare dietro le patologie degli anziani.

E, rispetto alle donne, riesce a mantenere un distacco sentimentale, iperbolizzando la dimensione sessuale e sollevandola sempre istrionicamente, dinanzi a una scollatura, un tacco, una gonna seducente, una forma sottolineata, una postura equivoca. House si riafferma come soggetto nei contesti sociali della tarda modernità, rifiutando di sparire in quelle pratiche disciplinari che Foucault scovava quasi paranoicamente nelle scienze, nelle istituzioni, nelle scuole, negli ospedali (appunto) e nelle dimensioni della medicalizzazione. House ha paura che i discorsi sociali effettivamente occultino la sua soggettività e la riafferma attraverso il momento dell’eccedenza, dell’inaudito. Di fronte ai limiti della scienza reagisce con una soggettività ancora più scientifica, di fronte a un’etica medica limitata dalle regole del contesto sociale in cui essa si costituisce, reagisce con un’etica fondata sulla socialità che egli intrattiene con sé stesso. Perché House ha una ricca socialità con sé stesso, perché considera sé stesso un ottimo interlocutore, forse il migliore. Tanto da porsi in un episodio come arbitro che giudica sé stesso e Dio mentre analizza un caso.

Aristotele ammoniva che solo un Dio o una bestia possono vivere al di fuori della polis, ovvero al di fuori di un contesto di socialità. Se House, o persone come lui, siano un Dio o una bestia, non è questa la sede per indagare la questione. Forse solo Dio (quello vero) sa quanto abbiamo bisogno di persone così. Gli uomini, invece, non sanno e possono solo chiederselo. Il che è già un buon viatico per non essere bestie.

Francesco Giacomantonio, Dottore di ricerca in Filosofie e teorie sociali contemporanee, Università di Bari


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