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Eu-ropa!!!

FOIBE: GIORNO DEL RICORDO. MEMORIE E VERITA’!!! «Non dobbiamo tacere, assumendoci la responsabilità di aver negato o teso ad ignorare la verità per pregiudiziali ideologiche e cecità politica» (Il Presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano) - a cura del prof. Federico La Sala

sabato 10 febbraio 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] «La disumana ferocia delle foibe fu una delle barbarie del secolo scorso, in cui si intrecciarono in Europa cultura e barbarie. Non bisogna mai smarrire consapevolezza di ciò - ha sottolineato - nel valorizzare i tratti più nobili della nostra tradizione storica e nel consolidare i lineamenti di civiltà, di pace, di libertà, di tolleranza, di solidarietà della nuova Europa che stiamo costruendo da oltre 50 anni, e che è nata dal rifiuto dei nazionalismi aggressivi e oppressivi, da (...)

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Qualche riflessione

martedì 8 gennaio 2013

Le ricerche della studiosa hanno, innegabilmente, messo in evidenza certe lacune, certi iati nella documentazione storica, e, di conseguenza, alcune forzature presenti, indiscutibilmente, nella riflessione storiografica, nella ricostruzione, se vogliamo nella mitizzazione ideologica e identitaria, riguardanti le foibe.

La Cernigoi non può essere liquidata come "negazionista". E’ forse, in assoluto, la ricercatrice più attenta ed informata sulle foibe. Del resto, i "revisionisti" (da una parte e dall’altra) sono i soli che avvertano l’esigenza di frugare nella polvere degli archivi. Gli storici ufficiali, che nulla hanno da rivedere, preferiscono evitare questa spesso ingrata ed avara fatica. Il revisionismo è, proprio per questo, una costante necessità del lavoro storiografico, anzi di ogni ricerca culturale.

Ma, a ben vedere, nemmeno coloro che sono stati bollati e censurati (e in alcuni paesi incarncerati) come "negazionisti" dell’Olocausto (Faurisson, Mattogno, per non citare che i principali) "negano" che siano esistiti i lager, i crematori, le deportazioni, e, nel complesso, la persecuzione antiebraica. Essi sostengono che tale persecuzione fosse finalizzata non allo sterminio, ma alla deportazione verso Est ("soluzione finale territoriale"). Certo, le modalità disumane in cui tale deportazione fu compiuta fecero sì che essa portasse alla morte (per freddo, fame, tifo, sfinimento) di svariate centinaia di migliaia di persone: cinque milioni per Hilberg, quattro per Reitlinger, un numero impossibile da precisare per Arno Mayer (e ho citato solo storici ufficiali). Per citare quest’ultimo, "le fonti per lo studio delle camere a gas sono rare e inaffidabili"; e non aggiungo altro.

Jean-Claude Pressac, massimo studioso di Auschwitz, nella sua ultima intervista giunse addirittura alla conclusione che, a proposito della Shoah, non si potesse più parlare di genocidio, e che "tutto ciò che era stato inventato intorno a sofferenze troppo reali" fosse "destinato alle pattumiere della storia".

La Cernigoi ha buon gioco nel rilevare le lacune della documentazione, la mancanza di testimonianze relative alle riesumazioni e alle sepolture. Ma le si potrebbe obiettare che svariate ricerche, svariati scavi (compiuti sia durante le inchieste post-belliche dell’autorità sovietica, sia in tempi più recenti) non hanno rilevato tracce significative delle immense fosse comuni che (a Treblinka, a Belzec, a Chelmno, a Sobibor) dovrebbero contenere i resti di un milione e mezzo di cadaveri.

Si dice che, in mancanza di un riscontro documentario, di una prova oggettiva, è necessario prestar fede alle testimonianze (peraltro, abbiamo testimonianze giurate relative a camere a gas in lager che oggi la storiografia ufficiale riconosce esserne stati privi; e tutto si può dire, ma non che il Rapporto Gerstein, principale fonte sulle camere a gas, sia, nelle sue diverse stesure, immune da assurdità e contraddizioni, a meno che non si voglia credere - per non addurre che un esempio - che venti persone potessero essere stipate in un metro quadrato).

Ma non si vede perché lo stesso valore non debba essere riconosciuto alle testimonianze per quanto riguarda le foibe. Del resto, si può essere davvero certi che esse siano state perlustrate fino in fondo? E’ possibile raggiungere il fondo di quelle cavità carsiche, così irregolari e scoscese? Il vuoto abissale ed insondabile delle foibe è quasi un simbolo del vuoto stesso, dell’oscurità stessa della conoscenza storica, soprattutto qualora essa debba misurarsi con l’immensità sconfinata della tragedia e del male.

Non ci sono prove autoptiche delle torture subite dagli infoibati. Ma, se è per questo, le autopsie eseguite sui cadaveri di Stuthof, che si presumeva fossero stati gasati, non rivelarono traccia di gasazione. Né sono state trovate tracce di acido cianidrico nelle camere a gas di Auschwitz. Bisogna credere alle testimonianze, evidentemente, nell’uno come nell’altro caso. La testimonianza umana deve prevalere sul dato scientifico. La storia è fatta dall’uomo, e solo dall’uomo può essere compresa e autenticata. "Verum ipsum factum".

Infine, quando si precisa che l’accanimento dei comunisti era rivolto contro una classe sociale, non contro un’etnia, non vi è il rischio di legittimare, o di considerare meno gravi, implicitamente, una cieca violenza, un cieco odio, di matrice ideologica? Non si tratta pur sempre di vite umane annientate, di innocenti che hanno sofferto solo per la condizione della loro nascita, come per un’involontaria colpa prenatale?

Quando si parla di pericolo comunista, di odio bolscevico, si fa riferimento, purtroppo, ad una realtà che non appartiene solo al passato. Dai Gulag della Corea del Nord ai laogai cinesi, l’annientamento del "nemico di classe" si perpetua. Si dice che si deve conoscere il passato per evitare che certi errori si ripetano. Il problema è che, a Yodok, quegli errori, e quegli orrori, ora, mentre parliamo, si ripetono, sotto gli occhi del mondo, che tace. Ed è inutile fingere di ignorare che il Partito Comunista Italiano mantenne cordiali relazioni con gli analoghi partiti di varie parti del mondo, i quali si macchiavano di atrocità non troppo dissimili da quelle naziste.

Poco importa che il criterio fosse classista, e non razziale. Persone innocenti soffrivano e morivano. L’odio di classe non è meno grave e meno atroce di quello razziale; a meno che non si voglia subordinare l’individuo, con la sua umanità fragile e dolente, all’ipostasi ideologica di una definizione categoriale. Il che denoterebbe mancanza di umanità, oltre che di senso storico.


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