Foiba di Basovizza.
Una visita al monumento nazionale.
di Michele Zarrella *
O TU CHE IGNARO PASSI PER
QUESTO CARSO FORTE MA BUONO,
FERMATI!
SOSTA SU QUESTA GRANDE TOMBA!
È UN CALVARIO CON IL VERTICE SPROFONDATO
NELLE VISCERE DELLA TERRA.
QUI, NELLA PRIMAVERA DEL 1945,
FU CONSUMATO UN ORRENDO OLOCAUSTO.
A GUERRA FINITA! NELL’ABISSO FUMMO
PRECIPITATI A CENTINAIA,
CRIVELLATI DAL PIOMBO E STRAZIATI DALLE ROCCE.
NESSUNO CI POTRÀ MAI CONTARE!
L’AVIDITÀ DI CONQUISTA, ODIO E VENDETTA
CONGIURARONO E INFIERIRONO CONTRO DI NOI.
ESSERE ITALIANI ERA LA NOSTRA COLPA.
A GETTARCI NEL BARATRO TORME DI INVASORI,
CALATI NELLE NOSTRE TERRE
SOTTO L’INFLUSSO DI UNA MALEFICA STELLA VERMIGLIA.
PER VILTÀ GLI UOMINI NON CI HANNO RESO GIUSTIZIA.
CE L’HA RESA DIO ACCOGLIENDO
I NOSTRI SPIRITI PURIFICATI DA TANTO MARTIRIO.
O TU CHE, ORA NON PIÙ IGNARO
SCENDERAI DA QUESTO CARSO, RICORDA
E RACCONTA LA NOSTRA TRAGEDIA.
Quest’ultima frase segnata su una delle lapidi che si trovano nel monumento nazionale di Basovizza, mi spinge con risoluzione a scrivere la mia esperienza.
Sono stato una settimana in vacanza a Trieste e in Slovenia. Ho trascorso giorni di viaggi, visite, riposo e letture... Fra i tanti luoghi che ho visitato quello che più mi ha emozionato è stato il monumento nazionale della Foiba di Basovizza. Si trova a pochi minuti di auto da Trieste. Quando mia figlia Fabiana mi ha proposto la visita, non pensavo di vivere un’esperienza così profonda.
Poche indicazioni stradali lungo il viaggio. Arrivi percorrendo una strada stretta e parcheggi vicino ad un muro di pietre a faccia-vista alto circa un metro che recinta il monumento e il Centro di documentazione. Una sbarra di ferro blocca l’accesso alle auto, ma lascia libero un varco per i pedoni. È tutto semplicemente triste. È tutto semplicemente vero. È tutto semplicemente silenzioso.
Una scritta a caratteri cubitali ti accoglie:
ONORE E CRISTIANA PIETA’ A COLORO CHE QUI SONO CADUTI
IL LORO SACRIFICIO RICORDI AGLI UOMINI
LE VIE DELLA GIUSTIZIA E DELL’AMORE SULLE QUALI FIORISCE LA VERA PACE
e già essa ti immerge in sentimenti umani di pietà e compassione mettendo i brividi sulla pelle.
Un gran rispetto per quelle pietre e quella croce ti avvolge. Cammini sull’acciottolato sfuggente da cui spunta qualche piantina profumata tipica del luogo. Ne raccolgo un rametto per sentirne il profumo, poi lo porgo a Fabiana, che dopo averla annusata me la restituisce. Non è uguale al profumo delle nostre piantine selvatiche. Lì da sotto il ciottolato che copre tutta l’area spunta qualche piantina e qualche fiore a ricordarci che la vita è sempre più forte di chi la vuol sopprimere.
Poi cammini sul selciato e entri nel piccolo Centro di documentazione dove foto, didascalie ed un filmato con la testimonianza di un infoibato salvatosi per miracolo ti fanno raccapricciare e pensare sulla ferocia degli uomini.
Infoibato è colui che viene spinto nella foiba. La foiba è un crepaccio a forma di secchio che penetra nel suolo a profondità variabili che nel caso di Basovizza raggiunge i 256 metri. http://www.foibadibasovizza.it/in-breve.htm.
Nel suo racconto descrive come nottetempo, alla luce della luna, dopo essere stati spogliati e torturati venivano legati da un filo di ferro che avvolgeva le braccia posizionate e bloccate dietro la schiena, in modo da formare una catena di uomini che sotto la minaccia delle armi veniva portata sul cratere della foiba. Lì, legando il primo uomo ad un sasso, venivano spinti nel baratro in fondo al quale c’era dell’acqua. Mentre rotolavano, le pietre acuminate del Carso ne straziavano le carni già dilaniate dal ferro e dalle sevizie degli aguzzini. Chi non moriva subito era destinato ad ancor più atroci martiri.
Di fronte a tali azioni non ci sono parole atte a descrivere tutte le emozioni. Lo può solo la poesia.
ALTO DILANIA IL GRIDO DELLE FOIBE
SI TORCONO OMBRE, S’URTANO LE OSSA
CHE SGUARDO UMANO PLACHERA’ IL DELIRIO?
DIVELTI
I NOSTRI CUORI SPROFONDANO IN QUEL GORGO
E INDIFFERENTI ALLO STRAPIOMBO IRTO
MANSUETE SI INCONTRANO COLOMBE
(Lina Galli, 1958)
Suggerisco una visita.
Gesualdo, 3 luglio 2011
Michele Zarrella