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Eu-ropa!!!

FOIBE: GIORNO DEL RICORDO. MEMORIE E VERITA’!!! «Non dobbiamo tacere, assumendoci la responsabilità di aver negato o teso ad ignorare la verità per pregiudiziali ideologiche e cecità politica» (Il Presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano) - a cura del prof. Federico La Sala

sabato 10 febbraio 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] «La disumana ferocia delle foibe fu una delle barbarie del secolo scorso, in cui si intrecciarono in Europa cultura e barbarie. Non bisogna mai smarrire consapevolezza di ciò - ha sottolineato - nel valorizzare i tratti più nobili della nostra tradizione storica e nel consolidare i lineamenti di civiltà, di pace, di libertà, di tolleranza, di solidarietà della nuova Europa che stiamo costruendo da oltre 50 anni, e che è nata dal rifiuto dei nazionalismi aggressivi e oppressivi, da (...)

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> FOIBE: GIORNO DEL RICORDO. MEMORIE E VERITA’!!! ---- Pahor riapre la polemica sulle foibe. Lo scrittore triestino-sloveno pone il problema delle responsabilità per la pulizia etnica. La proposta di Predrag Matvejevic ... I fascisti inventarono le fosse poi le vittime furono italiane. Sarebbe meglio che il giorno del ricordo si trasformasse in quello dei ricordi.

domenica 27 aprile 2008

Il caso

-  Lo scrittore triestino-sloveno pone il problema delle responsabilità per la pulizia etnica

-  Pahor riapre la polemica sulle foibe
-  «Silenzi sugli eccidi del Duce: potrei dire no a un’onorificenza della Repubblica»

-  L’iniziativa. Un appello per conferirgli dopo la Legion d’Onore una menzione speciale al premio Strega

di Marisa Fumagalli (Corriere della Sera, 27.04.08)

TRIESTE - La reazione «politicamente scorretta» di un grande vecchio della letteratura di confine, scoperto e acclamato in tempi troppo recenti, resuscita i fantasmi del passato e crea un «caso imprevisto », mettendo perfino in imbarazzo le istituzioni.

Succede, dunque, che Boris Pahor, nato a Trieste nel 1913, sloveno ma di cittadinanza italiana («me la imposero, durante la dittatura di Mussolini»), sulla cresta dell’onda perché il suo libro Necropoli, scritto quarant’anni fa nella lingua madre, è stato tradotto, rivelandoci l’esperienza più drammatica della sua vita (la detenzione nel lager nazista di Natweller- Struthof) oltre alle sue qualità di letterato, abbia quasi preventivamente rifiutato una proposta di onorificenza. «Stenterei ad accettarla - ha detto - da un presidente della Repubblica che ricorda soltanto le barbarie commesse dagli sloveni alla fine della Seconda guerra mondiale, ma non cita le precedenti atrocità dell’Italia fascista contro di noi». L’amarezza di Pahor nasce dal fatto che il capo dello Stato, nel Giorno del ricordo del 2007 ed anche nel febbraio scorso, non citò «le fucilazioni degli ostaggi sloveni e i crimini dei campi di concentramento italiani». Sottacendo così una parte di storia.

«Il suo mi sembra un giudizio eccessivo, uno sguardo troppo stretto sulle parole di Napolitano», commenta, con un certo disagio, colui che ha avuto l’idea di premiare Pahor. È il sottosegretario (uscente) agli Interni, Ettore Rosato (Pd), che, durante la cerimonia del 25 Aprile, alla Risiera di San Sabba, ha pensato di compiere un bel gesto annunciando l’iter per il riconoscimento onorifico. Aggiunge: «Il Giorno del ricordo è dedicato alle foibe, su quella tragedia mise l’accento il Presidente. Di antifascismo si è parlato tante volte». E il sindaco di Trieste, Roberto Dipiazza (Pdl), pur apprezzando lo spirito libero di Pahor, «intellettuale onesto», invita a superare il passato, forte del processo di pacificazione tra sloveni e italiani.

Il grande vecchio è d’accordo, ma nel merito della polemica non arretra di un millimetro. «Qui, nella Venezia Giulia, il clima, certo, è rasserenato - osserva -. Ciò mi sta bene. Ma la storia è storia. E non è accettabile che il capo dello Stato pronunci, come ha fatto, a proposito della tragedia delle foibe, parole che rievocano "i delinquenti sanguinari slavi" senza dar conto dell’oppressione fascista, della barbarie etnica, che la precedettero. Inoltre - continua - Napolitano sa bene che i comunisti italiani, allora, erano complici. Che furono loro a dare ai partigiani jugoslavi i nomi di coloro che andavano eliminati ».

Espressioni forti, nette. «Non posso distruggere metà della mia gioventù», riflette Pahor. Poi torna sulle ombre del passato che, oggi, la politica tenta di dissipare: «Ricordo bene quando, tempo fa, vennero a Trieste Luciano Violante e Gianfranco Fini. Si misero d’accordo, nel non attaccarsi a vicenda... Comunque sia, le mie condizioni per un’eventuale onorificenza sono queste: dev’essere citato non solo il mio libro Necropoli, ma anche le altre opere letterarie. Il rogo nel porto, per esempio. Dove si raccontano i crimini fascisti. Chiedo - conclude - che l’espressione crimini fascisti venga scritta, nero su bianco».

Arriverà o no per Pahor il cavalierato della Repubblica? Vedremo. Candidato al Nobel, lo scrittore triestino l’anno scorso fu insignito della Legion d’Onore di Francia, Paese dove, da tempo, è una celebrità. Ora è il suo momento italiano: per lui si prospetta un’altra onorificenza. Elido Fazi, editore di Necropoli, ha promosso una raccolta di firme, affinché gli venga attribuita, nell’ambito dello Strega, la «menzione d’onore». Il premio non potrebbe vincerlo. Il regolamento prevede che le opere in concorso siano scritte in lingua italiana.

***

Alle origini della tragedia

I fascisti inventarono le fosse poi le vittime furono italiane

La proposta

Sarebbe meglio che il giorno del ricordo si trasformasse in quello dei ricordi

di Predrag Matvejevic (Corriere della Sera, 27.04.08)

Ho scritto sulle vittime delle foibe anni fa in ex Jugoslavia, quando se ne parlava poco in Italia. Ero criticato. Ho avuto modo di sostenere gli esuli italiani dell’Istria e della Dalmazia (detti con un neologismo caratteristico «esodati »). L’ho fatto prima e dopo aver lasciato il mio paese natio e scelto, a Roma, una via «fra asilo ed esilio».

Condivido il cordoglio italiano, nazionale e umano, per le vittime innocenti, espresso giustamente e senza ambiguità dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Sì, le foibe sono un crimine grave. Sì, la stragrande maggioranza di queste vittime furono proprio gli italiani. Ma per la dignità di un dolore corale bisogna dire che questo delitto è stato preparato e anticipato anche da altri, che non sono sempre meno colpevoli degli esecutori dell’«infoibamento».

La tragica vicenda è infatti cominciata prima, non lontano dai luoghi dove sono stati poi compiuti quei crimini atroci. Il 20 settembre del 1920 Benito Mussolini tiene un discorso a Pola (e non è stata certo casuale la scelta della località). E in quell’occasione dichiara: «Per realizzare il sogno mediterraneo bisogna che l’Adriatico, che è un nostro golfo, sia in mani nostre; di fronte ad una razza come la slava, inferiore e barbara». Ecco come entra in scena il razzismo, accompagnato dalla «pulizia etnica». Gli slavi perdono il diritto che prima, al tempo dell’Austria, avevano, di servirsi della loro lingua nella scuola e sulla stampa, il diritto della predica in chiesa e persino quello della scritta sulla lapide nei cimiteri. Si cambiano massicciamente i loro nomi, si cancellano le origini, li si costringe a emigrare...

Ed è appunto in un contesto del genere che si sente pronunciare, forse per la prima volta, la minaccia della «foiba». È il ministro fascista dei Lavori pubblici Giuseppe Caboldi Gigli, che si era affibbiato da solo il nome vittorioso di «Giulio Italico», a scrivere già nel 1927: «La musa istriana ha chiamato Foiba degno posto di sepoltura per chi nella provincia d’Istria minaccia le caratteristiche nazionali dell’Istria» (da Gerarchia, IX, 1927). Affermazione alla quale lo stesso ministro aggiungerà anche i versi di una canzonetta dialettale già in giro: A Pola xe l’Arena, la Foiba xe a Pisin.

Le foibe sono dunque un’invenzione fascista. E dalla teoria si è passati alla pratica. L’ebreo Raffaello Camerini, che si trovava ai «lavori coatti» in questa zona durante la Seconda guerra mondiale testimonia nel giornale triestino Il Piccolo (5 novembre 2001): «Sono stati i fascisti i primi che hanno scoperto le foibe ove far sparire i loro avversari». La vicenda «con esito letale per tutti» che racconta questo testimone, cittadino italiano, fa venire brividi.

Le camicie nere hanno eseguito numerose fucilazioni di massa e di singoli individui. Tutta una gioventù ne rimase falciata in Dalmazia, in Slovenia, in Montenegro. A ciò bisogna aggiungere una catena di campi di concentramento, di varia dimensione, dall’isoletta di Mamula all’estremo sud dell’Adriatico, fino ad Arbe, di fronte a Fiume. Spesso si transitava in questi luoghi per raggiungere la risiera di San Sabba a Trieste e, in certi casi, si finiva anche ad Auschwitz e soprattutto a Dachau. I partigiani non erano protetti in nessun Paese dalla Convenzione di Ginevra e pertanto i prigionieri venivano immediatamente sterminati come cani. E così molti giunsero alla fine delle guerra accaniti: «infoibarono » gli innocenti, non solo d’origine italiana. Singole persone esacerbate, di quelle che avevano perduto la famiglia e la casa, i fratelli e i compagni, eseguirono i crimini in prima persona e per proprio conto. La Jugoslavia di Tito non voleva che se ne parlasse. Abbiamo comunque cercato di parlarne. Purtroppo, oggi ne parlano a loro modo soprattutto i nostri ultranazionalisti, una specie di «neo-missini » slavi.

Ho sempre pensato che non bisognerebbe costruire i futuri rapporti in questa zona sui cadaveri seminati dagli uni e dagli altri, bensì su altre esperienze. Ad esempio culturali... Non mi sembra giusto proclamare solo un «giorno del ricordo», sarebbe meglio il giorno dei ricordi. Aggiungo infine che capisco bene Boris Pahor. Lui, da slavo e sloveno, come anche Zoran Music, un caro amico defunto, grandissimo pittore ad un tempo sloveno e veneziano, ci sono stati nei campi di sterminio fascisti...

(traduzione di Silvio Ferrari)


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