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Eremos e parresia

DICO, PACS, FAMIGLIE, POSSUMUS, NON POSSUMUS... EPITTETO, DIONISO, E IL CROCIFISSO. UN "CANTO" DI FIDUCIA E DI SPERANZA: UNA SPLENDIDA "ANALISI" DI BARBARA SPINELLI - a cura di pfls.

domenica 11 febbraio 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] Nel Nuovo Testamento non appare un vocabolo che corrisponda al termine famiglia, anche se Gesù esalta l’unità indissolubile di quel che Dio unisce. La famiglia, la madre, il padre: Gesù ordina di trascenderli se si vuol avvicinare il regno di Dio. Il matrimonio è un’invenzione grandiosa ma la Chiesa «ha, magari inconsapevolmente, contribuito al suo sgretolamento [..]

La fatica della solitudine
di Barbara Spinelli (La (...)

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> DICO, PACS, FAMIGLIE, POSSUMUS, NON POSSUMUS... EPITTETO, DIONISO, E IL CROCIFISSO.

sabato 24 febbraio 2007

I Dico dell’anno 400

di Gian Carlo Caselli *

Scherza coi fanti e lascia stare i santi. So bene che queste parole sono un condensato di prudenza e saggezza. So anche che in un clima di forte tensione su «Pacs», «Dico» e «unioni di fatto» (caratterizzato da ferme prese di posizione d’Oltretevere e preoccupate reazioni dei difensori della laicità dello Stato) affrontare temi così arroventati con propositi di leggerezza e distacco - senza indossare questa o quell’altra armatura - può essere rischioso per le tante suscettibilità in agguato. Tutto vero. Per cui fin da subito mi pento e mi dolgo se mi permetto di dire che non so se esista davvero una lobby contro la famiglia nel riconoscere le coppie di fatto.

Ma se mai esistesse, la si potrebbe ricollegare ad un autorevole precedente storico.

Un singolare precedente: quasi un cavallo di Troia in terra... fidelium. Perché si tratta del canone di un Concilio. Per la precisione il canone 17 del primo Concilio di Toledo (anno 400 d.C.) Dunque, un precedente da sgranare tanto d’occhi, da non crederci: perché sono stati addirittura dei Vescovi in Concilio a stabilirlo.

Nel canone 17 del primo Concilio di Toledo si legge: «Si quis habens uxorem fidelis concubinam habeat, non communicet: ceterum is qui non habet uxorem et pro uxore concubinam habeat, a communione non repellatur, tantum ut unius mulieris, aut uxoris aut concubinae, ut ei placuerit, sit conjunctione contentus; alias vero vivens abijciatur donec desinat et per poenitentiam revertatur». È un latino facile. In sostanza dice che la convivenza sessuale è lecita soltanto quando sia con una sola donna. Ma precisa che la convivenza sessuale con una sola donna è consentita (e perciò non comporta scomunica) non solo quando si tratta di «moglie», ma anche quando si tratta di «concubina tenuta come fosse moglie». In altre parole, per la Chiesa del 400 c’erano alcune unioni di fatto, non costituenti matrimonio, considerate legittime perché sostanzialmente assimilabili al matrimonio.

Impossibile, ovviamente, trarne insegnamenti vincolanti o anche solo utili per la stagione che stiamo oggi vivendo in Italia. Dopo milleseicento e passa anni tutto cambia. Uomini, leggi, canoni, principi, rapporti fra Stato e Chiesa, dottrine e prassi. La «flessibilità» di una quindicina di secoli fa potrebbe oggi apparire semplicemente anacronistica. Ma ricordarla si può. E chissà che non possa contribuire - anche solo per un attimo - a svelenire il dibattito, preferendo ai toni da guerra di religione quelli di un più pacato confronto. Magari ironizzando sul fatto che in Spagna un po’ di «zapaterismo» - si direbbe - sembra aleggiare già nell’anno 400. Addirittura in un Concilio.

* l’Unità, Pubblicato il: 24.02.07, Modificato il: 24.02.07 alle ore 10.09


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