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Giovanni Verga (1880). Veris-si-mo!!!

ROSSO MALPELO. UN’AZIONE E UN PROGETTO CONTRO L’INVISIBILITA’ DELLO SFRUTTAMENTO DEI MINORI. In collaborazione con Arci, Cgil e Cisl, Libera, AgiScuola e Mlal-Progetto Mondo, Pasquale Scimeca ha realizzato un film che dalla Sicilia arriverà fino in Bolivia - a cura di pfls -

mercoledì 14 marzo 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] il progetto Rosso Malpelo, non è solo un film. È un viaggio andata e ritorno: tutti i proventi ricavati dalle sale cinematografiche in cui verrà proiettato saranno destinati a due paesini della Bolivia, Atocha e Cotagaita. Due piccoli centri della regione del Potosì, una delle più povere della nazione sudamericana, dove molti bambini sono costretti a lavorare in miniera, e dove il tasso di scolarizzazione dei giovani tra i 5 e i 24 anni arriva solo al 40%. L’obiettivo è quello di (...)

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> ROSSO MALPELO. UN’AZIONE E UN PROGETTO ----- Bolivia. «le quattro contraddizioni della nostra rivoluzione» (di Alvaro Garcia Linera, un vicepresidente di fronte all’esercizio del potere).

lunedì 3 ottobre 2011

Un vicepresidente di fronte all’esercizio del potere

Bolivia, «le quattro contraddizioni della nostra rivoluzione»

-  (traduzione dal francese di José F. Padova)

-  Alvaro Garcia Linera (vice-presidente dello Stato plurinazionale della Bolivia - Autore di Pour une politique de l’égalité. Communauté et autonomie dans la Bolivie contemporaine [Per una politica dell’uguaglianza. Comunità e autonomia nella Bolivia contemporanea],Les Prairies ordinaires, Paris, 2008)

Lo scorso giugno il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale hanno lodato la «solida gestione macroeconomica» del governo boliviano. Qualche mese prima, nelle strade di La Paz erano risuonate le grida di manifestanti che esigevano una rivalutazione salariale. Alcuni segnalavano un ritorno al neo-liberismo sotto l’egida del presidente Evo Morales. Sarebbe finita la svolta a sinistra latino-americana simbolizzata in particolare dall’elezione nel 2005 di questo sindacalista contadino e indio?
-  In Bolivia il clientelismo non è stato sradicato; le nuove élite riproducono certe pecche dei loro predecessori e regolarmente scoppiano conflitti sociali. L’amministrazione Morales ha per questo tradito? Le attuali difficoltà non rivelano piuttosto tensioni proprie dei movimenti di trasformazione sociale?

Alvaro Garcia Linera propende per questa ultima ipotesi. Vice-presidente dello Stato plurinazionale di Bolivia, difende il bilancio del governo. Già guerrigliero, sociologo, autore di numerose opere, riflette sugli ostacoli al cambiamento. Questa dualità rende originale la sua testimonianza: sono rari gli intellettuali confrontati ai rigori che la realtà impone alle loro teorie; altrettanto rari i dirigenti politici che analizzano le implicazioni teoriche della loro azione. *

Dal 2000, anno delle prime mobilitazioni sociali di massa che denunciavano la privatizzazione dell’acqua, al 2009, data della rielezione del sindacalista contadino Evo Morales alla presidenza, la Bolivia ha conosciuto un conflitto sostanziale che ha opposto il popolo all’impero americano e ai suoi alleati della borghesia boliviana, legata al neo-liberismo.

L’elezione del 2009, dalla quale l’amministrazione Morales è uscita rafforzata (1), ha attenuato queste minacce dall’estero. Sono allora sorte nuove contraddizioni all’interno del blocco nazional-popolare (2), fra le diverse classi che conducono il processo di cambiamento, a proposito delle modalità del suo pilotaggio. Quattro di queste tensioni, secondarie in rapporto al conflitto centrale contro l’imperialismo, si pongono nondimeno nel cuore del processo rivoluzionario boliviano: da un lato ne minacciano il proseguimento, dall’altro permettono d’immaginare gli strumenti per passare alla fase ulteriore.

La prima tensione creatrice concerne il rapporto fra lo Stato e i movimenti sociali. La popolazione attende dal governo azioni sollecite, che forniscano risposte concrete alle sue necessità materiali. Mentre questo esige una centralizzazione efficiente nel prendere le decisioni, il nostro governo è costituito da rappresentanti di organizzazioni sociali indie, contadine, operaie e popolari, la cui dinamica peculiare richiede di «prendere tempo», il tempo del dibattito, della deliberazione e dell’analisi delle svariate proposte. Il funzionamento di questi movimenti implica ugualmente la riduzione del numero di partecipanti alla presa delle decisioni. Il governo del presidente Morales - un «governo dei movimenti sociali» - è il luogo dove si oppongono e devono essere risolte dinamiche contrastanti: concentrazione e decentralizzazione delle decisioni; monopolizzazione e socializzazione delle azioni esecutive; rapidità dei risultati e lentezza delle deliberazioni.

Per tentare di riassorbire questa contraddizione abbiamo portato avanti il concetto di «Stato integrale»: il momento in cui la società si appropria progressivamente dei processi di arbitrato, superando così il contrasto fra lo Stato (in quanto strumento per centralizzare le decisioni) e il movimento sociale (come meccanismo per decentralizzarle e democratizzarle).

Un obiettivo di questo genere non si prende in considerazione sul breve termine. Esso risulta da un movimento storico fatto di avanzate e di marce indietro, di squilibri che inclinano la lancetta talora da una parte, talora dall’altra, mettendo in gioco sia l’efficienza del governo, sia la democratizzazione delle decisioni. La lotta (e soltanto essa) permetterà di mantenere l’equilibrio fra i due poli durante il tempo necessario per la soluzione storica di questa contraddizione.

La seconda tensione creatrice oppone l’ampiezza del processo rivoluzionario - che deriva dalla crescente incorporazione di differenti gruppi sociali e dalla ricerca di larghe alleanze - e la necessità di consolidare la direzione india, contadina, operaia e popolare, che garantisce l’orientamento politico.

L’egemonia del blocco nazional-popolare esige la coesione delle classi lavoratrici e implica ugualmente l’irradiamento della loro leadership (storica, materiale, pedagogica e morale) sul resto della popolazione, allo scopo di assicurarne il sostegno.

Certamente vi sarà sempre un settore, riluttante all’egemonia india e popolare, che all’occasione agirà come cinghia di trasmissione dei poteri stranieri. Ma il consolidamento della direzione proletaria esige che l’insieme della società consideri come la sua situazione progredisce quando queste classi lavoratrici dirigono il Paese. Questa necessità costringe un potere di sinistra a tener conto di una parte dei bisogni dei suoi avversari.

Una terza tensione creatrice si è manifestata con molta intensità da un anno a questa parte. Essa proviene dal confronto fra l’interesse generale e quello, particolare, di un gruppo, di un settore o di un individuo, fra la lotta sociale, comune e comunista, e le conquiste individuali, settoriali e private.

Il lungo ciclo di mobilitazioni che ha preso avvio nel 2000, con la «guerra dell’acqua», all’inizio ha conosciuto dimensioni locali. Ma questo conflitto riguardava direttamente l’insieme del Paese, anch’esso minacciato dai progetti di privatizzazione dell’acqua. Vi fu, più tardi, la «guerra del gas», la lotta per un’Assemblea costituente e la costruzione di una democrazia plurinazionale [ndt.: comprensiva delle “nazioni” autoctone fino ad allora mai considerate]: altrettante rivendicazioni portate avanti in modo settoriale da indios e operai e che tuttavia toccavano l’insieme degli oppressi e perfino la nazione intera.

Interessi privati, interesse collettivo L’emergere di queste esigenze - identificate sulle barricate, in occasione dei blocchi stradali, nelle manifestazioni e nel corso delle insurrezioni popolari - ha permesso di costruire un programma di presa del potere capace di mobilitare e di unificare progressivamente la maggioranza del popolo boliviano. Dopo la vittoria, nel 2005, il governo si è consacrato a metterle in pratica. Vi fu innanzitutto l’Assemblea costituente che, per la prima volta nella storia, ha permesso che la Costituzione fosse stilata dai rappresentanti diretti di tutti i settori sociali del Paese. Poi abbiamo effettuato la nazionalizzazione delle grandi imprese, facilitando così la redistribuzione di una parte dell’eccedenza economica mediante i programmi Juancito Pinto, «pensione degna» e Juana Azurduy (4).

Se consideriamo il ciclo della mobilitazione come una curva ascendente che, secondo l’esperienza storica, si stabilizza e poi declina a poco a poco, constatiamo che la prima tappa - o fase ascendente - si caratterizza con la crescente aggregazione dei settori sociali, la costruzione di un programma generale e l’apparire, da parte delle classi «subalterne», di una volontà organizzata e concreta di prendere il potere.

La stabilizzazione della mobilitazione, nel punto più alto della curva, corrisponde contemporaneamente al momento della messa in opera dei primi obiettivi universali e a quello delle resistenze più forti dei gruppi sociali che appoggiano il potere neo-liberista uscente: tentativo di colpo di Stato, movimenti separatisti, ecc. (5). Si tratta della fase «giacobina» del processo che, portando il movimento sociale, convertito in potere dello Stato, a difendersi, crea nuove mobilitazioni e nuovi orizzonti di universalità della sua azione.

Dal secondo mandato di Morales, nel 2010, in poi, si evidenzia quindi una terza fase, declinante, della mobilitazione: quella caratterizzata dalla tensione all’interno del blocco nazional-popolare fra aspetti generali e particolari. Il superamento di questa contraddizione avverrà per il rafforzamento della portata universale del nostro progetto. Se al contrario prevalesse il particolarismo corporativo la perdita di dinamismo della rivoluzione segnerebbe il punto di partenza di una restaurazione conservatrice.

Questa tensione fra rivendicazioni universali e particolari all’interno del popolo è sempre esistita. D’altra parte è la peculiarità delle rivoluzioni: da soggetto frammentato e individualizzato - aspetto dominante - il popolo è progressivamente portato a costituirsi in un’istanza collettiva. Ma evidentemente noi affrontiamo una nuova fase della mobilitazione, come suggerisce il recente conflitto fra due frazioni della centrale operaia boliviana (COB) (6), l’una alleata al potere, l’altra non.

In aprile 2011 insegnanti di scuola media membri della COB si sono messi in sciopero, presentando come principale rivendicazione l’aumento dei salari. Eppure dopo il 2006 l’amministrazione Morales aveva aumentato del 12%, al netto dell’inflazione, il trattamento economico dei lavoratori della sanità e dell’istruzione. Nello stesso tempo altri settori della pubblica amministrazione (i ministeri, per esempio) si sono visti congelare i propri stipendi. Quelli del vice-presidente, dei ministri e dei sottosegretari sono stati a loro volta ridotti dal 30% fino al 60%. La riduzione è stata ancor più rilevante per il presidente [Morales]. Si può ben capire che i funzionari di sanità e istruzione pubblica reclamino nuovi aumenti, ma questi non possono provenire se non dalla crescita delle entrate del Paese.

La politica portata avanti dal presidente Morales mira in effetti a migliorare le condizioni di vita dei più impoveriti (7) e a centralizzare le risorse risultanti dalle nazionalizzazioni e dalle imprese di Stato. Si tratta di creare una base industriale nel campo degli idrocarburi, delle miniere, dell’agricoltura e dell’elettricità, in grado di produrre una ricchezza durevole e di utilizzare le risorse del Paese per migliorare la qualità della vita dei lavoratori, tanto nelle città quanto in campagna.

Rispondendo favorevolmente alle rivendicazioni salariali degli insegnanti si utilizzerebbero le risorse ottenute grazie alle nazionalizzazioni per migliorare i redditi solamente di alcuni settori del terziario. Si lascerebbe così da parte il resto del Paese, vale a dire la gran parte. D’altro lato si renderebbe più difficile una strategia d’industrializzazione (acquisto di macchinario o costruzione d’infrastrutture, per esempio), che permette di accrescere le ricchezze che il Paese produce... e di ridistribuirle.

Un’industrializzazione necessaria Approfittando di questa tensione all’interno del blocco nazional-popolare, la destra ha fornito ai manifestanti l’appoggio dei suoi mezzi di comunicazione: dirigenti sindacali che i giornalisti di spicco ancor ieri disprezzavano per la loro origine sociale divennero star televisive da un giorno all’altro.

«Governo dei movimenti sociali», cerchiamo di sottoporre al dibattito pubblico le differenze che esistono all’interno del blocco nazional-popolare. Cerchiamo di risolvere le tensioni fra tendenze corporative e universali con strumenti democratici, incoraggiando l’avanguardia (indios, contadini, lavoratori, operai e studenti) a brandire il vessillo dell’interesse comune, che non significa la cancellazione dell’individuo o dell’interesse privato, ma la sua esistenza ragionevole in un quadro più generale.

La quarta tensione creatrice emana dall’opposizione fra la necessità di trasformare le nostre materie prime (l’industrializzazione) e quella di rispettare la natura, il «vivere bene» [ndt.: vivir bien, traduzione spagnola dell’ancestrale concetto indio di “vita in totale armonia con la natura”, sumak kawsav in quechua e sumak qamaña in aymara - assunto nella nuova Costituzione boliviana] (8).

Ci si rimprovera di non aver effettuato una «vera» nazionalizzazione delle risorse naturali e di permettere che le transnazionali s’impadroniscano di una parte delle ricchezze del Paese (9). Ma fare a meno delle società straniere implicherebbe il dominio delle tecnologie di cui esse dispongono: quelle legate all’estrazione, ma anche alla trasformazione delle materie prime. Non è questo il caso. Non può quindi esservi nazionalizzazione totale delle risorse naturali senza la fase dell’industrializzazione. Pervenire ad avviare una simile dinamica riempirebbe le casse dello Stato, perché i beni manifatturati e i prodotti semifiniti includono un valore aggiunto superiore a quello delle materie prime non trasformate che noi oggi esportiamo. La fase d’industrializzazione favorisce d’altra parte il progresso tecnologico e procura un insieme di conoscenze scientifiche suscettibili di costituire un trampolino per nuove attività industriali, intensive per la tecnologia ma anche per la manodopera.

Avanzare su questa via non è semplice. Innanzitutto perché non abbiamo esperienza in questo settore, ciò che ci obbliga a imparare a mano a mano che avanziamo. Inoltre la modernizzazione industriale esige investimenti colossali: un’industria petrolchimica costa quasi un miliardo di dollari, una centrale termoelettrica fra 1 e 3 miliardi. Infine si tratta di un processo lungo: tre anni al minimo sono necessari per far funzionare i complessi industriali più piccoli, cinque o sei per quelli di media grandezza e dieci (almeno) per i più grandi.

Il governo ha preso la decisione di creare un’industria del gas, del litio (19), del ferro e di alcune riserve d’acqua. Certi intellettuali hanno interpretato questo processo di costruzione di imprese pubbliche come l’emergere di un capitalismo di Stato, contrario al consolidamento di una visione «comunitaria» e comunista (11). Ai nostri occhi il capitalismo di Stato degli anni ’50 ha posto le grandi imprese al servizio di clientele particolari: burocrazie, gruppi padronali, grandi proprietari terrieri, ecc. Al contrario, l’utilizzo delle eccedenze generate dall’industrializzazione, che ormai la Bolivia incoraggia, dà la priorità al valore d’uso e non già al valore di scambio (12): la soddisfazione dei bisogni prima di quella del profitto. È il caso dei servizi di base (acqua, elettricità, ecc.), elevati al livello dello Statuto dei diritti umani e quindi distribuiti perché giudicati necessari, e non redditizi. È anche il caso dell’acquisto di prodotti agricoli da parte dello Stato, che mira a garantire la sovranità alimentare del Paese e la disponibilità di derrate vendute a prezzi «giusti»: fissati in modo che i prodotti siano accessibili ai consumatori, essi non si evolvono in funzione dell’offerta e della domanda.

Il plusvalore proveniente dall’industrializzazione offre così allo Stato la possibilità di mettere in causa la logica capitalista dell’appropriazione privata. La creazione di tali ricchezze provoca tuttavia un insieme di effetti nefasti per l’ambiente, la Terra, le foreste, le montagne. E quando la natura si trova aggredita, gli esseri umani soffrono, in ultima istanza.

Ogni attività industriale comporta un costo ambientale. Ma il capitalismo ha messo in sottordine le forze della natura, ne ha abusato, mettendole al servizio dei guadagni privati, senza tenere conto del fatto che in questo modo distruggeva il nucleo riproduttivo della natura in sé. Noi dobbiamo evitare il destino al quale un simile corso ci conduce.

Le forze produttive del mondo rurale e l’etica professionale degli agricoltori mantengono sui nostri rapporti con la natura uno sguardo opposto alla logica capitalista e ci propongono di vedere la natura come parte di un organismo vivente, totale, al quale appartengono anche l’essere umano e la società. Secondo questa visione, l’utilizzo delle capacità produttive naturali deve farsi nel quadro di un atteggiamento rispettoso di questa totalità e della sua riproduzione.

«Umanizzare la natura e naturalizzare l’essere umano», prescriveva Karl Marx (13). È il senso del nostro progetto: utilizzare la scienza, la tecnologia e l’industria per produrre ricchezze - come fare altrimenti per costruire le strade, i centri di cure sanitarie, le scuole che ci mancano e per soddisfare le richieste della nostra società? - preservando allo stesso tempo la struttura fondamentale del nostro ambiente. Per noi ma anche per le generazioni future. Le tensioni creatrici che portano il blocco nazional-popolare al potere in Bolivia caratterizzano le dinamiche della trasformazione sociale: non sono forse le rivoluzioni flussi caotici d’iniziative collettive e sociali, slanci frammentati che s’incrociano, si affrontano, si sommano e si articolano per dividersi e re-incrociarsi di nuovo? Quanto a dire che nulla vi è definito in anticipo.

Note

-  (1) Lo scrutinio elettorale del dicembre 2009 segue a un periodo di destabilizzazione politica mirante a rendere fragile il presidente Morales, candidato a succedere a sé stesso: sollevazione della regione orientale di Media Luna, referendum revocatorio, tentativo di colpo di Stato, scontro con Washington. Tuttavia Morales vince l’elezione con il 64% dei voti, contro il 53% nel 2005.
-  (2) Questo raggruppa le diverse correnti che l’elezione di Morales porta al potere: sindacalismo marxista, movimento indio, movimenti contadini e nazionalismo rivoluzionario.
-  (3) L’espressione «governo dei movimenti sociali» suggerisce che, con l’elezione di Morales, sono i movimenti sociali (mobilitati dall’inizio degli anni 2000) che si appropriano del governo.
-  (4) Rispettivamente: programma di accesso all’istruzione mediante la distribuzione di «buoni» o voucher, dopo il 2006; versamento di un sussidio alle persone con più di 60 anni, dal 2007; programma di riduzione della mortalità infantile dal 2009.
-  (5) Su questo argomento leggere
-  (6) La principale centrale sindacale boliviana, fondata durante la rivoluzione del 1952.
-  (7) Secondo l’Annuario statistico dellA Commissione economica delle Nazioni Unite per l’America latina e i Caraibi il tasso di povertà è passato dal 63,9% al 54% della popolazione fra il 2004 e il 2007.
-  (8) Traduzione di sumak kawsav in quechua e sumak qamaña in aymara, un concetto iscritto nella Costituzione boliviana del 2009.
-  (9) Nel maggio 2006 il presidente Morales annuncia la «nazionalizzazione degli idrocarburi». Che tuttavia non è ancora completa: sottolineando il fatto che non dispone della tecnologia sufficiente per fare a meno di partner privati, lo Stato prende in controllo del 51% del capitale di tutti i gestori presenti sul suo territorio. D’altra parte rinegozia i contratti in modo da percepire l’82% dei redditi (tasse e royalties).
-  (10) La Bolivia dispone delle più importanti riserve di questo metallo, che entra specificamente nella composizione delle batterie elettriche.
-  (11) L’autore si riferisce a un gruppo d’intellettuali una parte dei quali ha pubblicato il 18 giugno 2011 un manifesto «Per il ricupero del processo di cambiamento per il popolo e con il popolo»
-  (12) Il valore d’uso descrive l’utilità concreta di un bene; il valore di scambio rimanda al valore commerciale di una merce.
-  (13) Karl Marx, Manuscrits de 1844, Editions sociales, Paris, 1972.

* Le Monde Diplomatique, settembre 2011, pagg. 18-19


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