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Al di là del "populismo lungo"...

BAYROU, PRODI, E LA "KOALITIONFAHIGKEIT". L’alternativa suggerita da Bayrou. Non l’uomo provvidenziale che congela divisioni fossilizzate, ma il politico che ingloba la contro-democrazia per curarne le patologie, esercitandosi nelle coalizioni con il diverso da sé e ridefinendo i futuri criteri di divisione. L’"analisi" di Barbara Spinelli - a cura di pfls

domenica 11 marzo 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] l’esempio Prodi seduca Bayrou. Centro-sinistra e Ulivo sono la risposta all’emergenza populista di Berlusconi e alla crisi della democrazia. Contrariamente a quel che si dice, non abbiamo in Italia un blocco governativo di sinistra, ma un blocco che oltre all’Unione comprende conservatori e sinistre estreme. Sia pur faticosamente, anche queste ultime hanno dimostrato capacità di coalizione: hanno digerito un pesante risanamento economico, accettato la missione in Libano, scoperto (...)

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> BAYROU, PRODI, E LA "KOALITIONFAHIGKEIT". L’alternativa suggerita da Bayrou. Non l’uomo provvidenziale che congela divisioni fossilizzate, ma il politico che ingloba la contro-democrazia per curarne le patologie, esercitandosi nelle coalizioni con il diverso da sé e ridefinendo i futuri criteri di divisione. L’"analisi" di Barbara Spinelli - a cura di pfls

martedì 24 aprile 2007

VERSO IL BALLOTTAGGIO

Il popolo di Bayrou: "Il nostro voto non si vende"

Corteggiato da Sarkozy e Ségolène, il centrista non vuole scegliere: siamo un partito, si va avanti

di DOMENICO QUIRICO, CORRISPONDENTE DA PARIGI *

Se li stanno già spartendo nel piatto, con appetito invidiabile e speculare arroganza. Gongola Najat Belkacem, la portavoce di Ségolène Royal: «Coloro che hanno votato Bayrou sono stati mossi nella scelta evidentemente dal rifiuto di Sarkozy e non vedo proprio come quella avversione si possa trasformare in un sostegno per lui al secondo turno». Insomma, è roba nostra. Dall’altra parte filosofeggia Alain Juppé, una delle colonne portanti dell’armata Sarkozy: «Da decenni lavoriamo a fianco dell’UDF e molti elettori di quel partito desiderano evidentemente continuare questo lavoro comune». In questo daffarìo spartitorio nessuno ha il minimo dubbio che quei sette milioni di francesi, chiave del ballottaggio, non siano dopo la provvisoria libera uscita già tornati a casa. E si fanno i conti dello scappa scappa, di quanto per cento che toccherà alla destra o alla sinistra. L’unico che si dichiara «un poco inquieto» è Michel Rocard, l’ex premier socialista, promottore dell’intesa socialisti-Bayrou: «Nel partito, ce qualcuno che preferisce una sconfitta onorevole ad una vittoria un po’ compromettente». Ovvero accettando l’alleanza con l’UDF.

Già, ma loro i protagonisti della rivoluzione arancione che si è fermata all’ultima barricata, che cosa ne pensano? Continueranno a restar fedeli all’onesto provinciale diventato notabile, un po’ Rastignac, amico di famiglia e genero ideale per tutte le mamme di Francia? Al momento del «sì ma» sono davvero così disposti a fare i portatori d’acqua per la vittoria di destra o sinistra? Alla sede della campagna di Bayrou in rue de l’Université, sono rimasti pochi segni della festa triste della notte, quando in strada hanno cercato volenterosamente a uso delle telecamere di gioire per lo «storico» risultato. Inutile nasconderlo, si smobilita. Dopo aver sondato i parlamentari domani Bayrou parlerà, per ribadire che la guerra continua e che i 7 milioni di voti serviranno per costruire un nuovo partito, per essere protagonisti già alle legislative di giugno. «Vogliamo continuare il movimento di rinnovamento della vita politica, i nostri voti non sono in vendita» assicura la sua direttrice di campagna Marielle de Sarnez. E’ un modo per confermare che Bayrou non darà alcuna indicazione.

C’è una dato singolare: i dirigenti dell’UDF aggeggiano i loro elettori come se fossero una massa di manovra ormai arruolata, trinceristi pronti a seguire il nuovo profeta della politica francese ovunque. E’ un abbaglio, anche se volesse Bayrou non potrebbe consegnare a Sarkozy o a Ségolène nessun assegno in bianco. Semplicemnte perché non controlla quel capitale di voti. Basta ascoltare gli elettori UDF. Ha ricettato gente mista, i «bobos» ma anche i poujadistes, i «contadini» a fianco degli intellettuali proeuropa. Ma la maggioranza asserraglia quelli che non amano l’autoritarismo di Sarkozy e di Ségolène. Un minuto dopo l’annuncio di quell’enorme ma inutile 18 per cento la stragrande maggioranza gli era già sfuggita. Bayrou era una faccia a cui avevano appiccicato una voglia, quella di scombinare un sistema politico cementificato dai soliti decideurs che si scambiano le parti, e volevano farlo senza precipitare nelle mani di Le Pen e degli estremi.

Bayrou ha perso, ergo meritava di perdere. Il sei maggio tanti tra loro resteranno a casa per non dover scegliere tra il populismo reazionario di Sarkozy e l’assistenzialismo mieloso di Ségolène. «Se dovessi proprio pronunciarmi - dice una ragazza - che sono più Ségo che Sarko, ma il sei maggio, no grazie, resterò a casa». E un giovane con la maglietta arancione e una frase di Hugo conferma: «Da mesi le tv, i giornali, tutti mi ordinano di votare per questi due. Ci abbiamo provato, è andata male, pazienza ci riproveremo tra cinque anni».

* La Stampa, 24/4/2007 (7:40)


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