Bayrou a lezione da Prodi
di BARBARA SPINELLI 11/3/2007
Quando la socialdemocrazia tedesca decise di divenire forza di governo, alla fine degli Anni Cinquanta, fu la capacità di coalizione il cruciale banco di prova cui decise di sottoporsi, non solo muovendosi in modo diverso dal passato ma ripensando i propri programmi, lo sguardo sulla società, l’attitudine ad ascoltare voci differenti dalla propria. Il congresso di Bad Godesberg nel ’59 fu la scoperta e l’approfondimento di questa capacità, cui venne dato il nome di Koalitionsfähigkeit.
La metamorfosi, che ebbe come protagonista Herbert Wehner, passò con difficoltà nel partito ma divenne evento fondatore: la Grande Coalizione, nell’autunno ’66, nacque da quella scelta e fu lo strumento attraverso il quale la sinistra, dopo ripetute sconfitte, poté prima governare con la Democrazia cristiana, poi divenire - già nel 1969 - forza egemone di un’aggregazione alternativa alla Dc. Il bipolarismo compiuto che da allora regna in Germania ebbe bisogno di quel tirocinio preparatorio, per metter radici. La capacità di coalizzarsi con forze non appartenenti al proprio campo irrobustì alla lunga il campo stesso, anziché impoverirlo e sopprimere l’alternanza tra fronti contrapposti.
Un fenomeno simile sta accadendo in Francia, da quando François Bayrou ha cominciato a salire nei sondaggi come uomo-ponte fra destra e sinistra. Qui abbiamo due blocchi che già hanno governato (il socialista-comunista, il gollista-liberale) e dunque formalmente il bipolarismo vive. Ma la loro Koalitionsfähigkeit è lungi dall’essere acquisita. I socialisti hanno una cultura delle coalizioni solo rivolta a sinistra, pur essendo oggi assai moderati: lo slogan «nessun nemico a sinistra», teorizzato nel primo Novecento dai radicali francesi, è rimasto immutato con Mitterrand, Jospin, Ségolène Royal.
Quanto ai gollisti di Sarkozy, essi sono ossessionati da Le Pen, con cui non vogliono allearsi ma i cui elettori intendono conquistare.
Bayrou rompe le abitudini, e lancia alla Francia una sfida del tutto nuova: ai cittadini come ai partiti chiede di apprendere l’arte di coalizzarsi col diverso. Nell’immediato, il suo progetto prevede un’intesa destra-sinistra, magari temporanea per non impedire future alternanze. Nella sostanza, e nel lungo periodo, la ginnastica mentale che propone consiste nella capacità virtuale d’ogni raggruppamento di cooperare sia a destra sia a sinistra, per svecchiare il profilo dell’una come dell’altra e restituire al paese un bipolarismo rinvigorito. Come Wehner a suo tempo, egli sembra convinto che governare durevolmente si possa alla sola condizione di imparare simili virtù di elastica resilienza e rifondazione.
All’origine di questa metamorfosi del pensiero francese non ci sono le ripetute sconfitte d’un partito, come in Germania negli Anni 50-60. Oggi sono più vaste malattie della democrazia rappresentativa - e delle famiglie di destra e sinistra - a esigere il cambiamento. Il caso francese quindi ci riguarda, nascendo da un male diffuso e annoso. La tesi di Bayrou è che sinistre e destre sono divenute impotenti, non essendo più in grado di rappresentare la società e di predisporre mutazioni importanti assieme a essa. Le proposte fatte da ambedue non tengono conto dello svanire della sovranità nazionale assoluta - tuttora un mostro sacro in Francia - e sono accomunate da illusioni completamente irrealistiche. Da questo punto di vista né Sarkozy né Ségolène Royal sono innovatori, nonostante si presentino come figure provvidenziali e originali (il primo perché volitivo di carattere, la seconda perché donna femminista).
Ambedue le forze sono divenute impotenti a causa della loro chiusura e inattitudine all’ascolto. L’esempio più clamoroso, che Bayrou cita sempre, è quello di Chirac: avendo raccolto nel 2002 una maggioranza immensa ma artificiale (82,2 per cento), egli non ebbe l’accortezza di aprire ai socialisti che l’avevano votato per evitare Le Pen. Quel che sinistre e destre non vedono, che non sanno ascoltare, è la trasformazione vistosa della società e della stessa democrazia rappresentativa. Una trasformazione che in Francia ha generato autentici tracolli: l’eliminazione del candidato socialista e la sua sostituzione con Le Pen nel 2002; il no caotico all’Europa nel maggio 2005; i tumulti nelle periferie nel novembre 2005: tutti eventi che hanno disvelato l’atrofia del bipolarismo classico e gli svantaggi delle reciproche impermeabilità. La scelta di divenire specchi fedeli della società non ha addomesticato quest’ultima ma l’ha ulteriormente frammentata, estremizzata. Entrambe le forze sono apparse lontane dal popolo, sorde, ed entrambe hanno reagito senza mutare abitudini di pensiero anche quando si rifugiavano nel populismo. Un populismo ormai radicato, non solo in Francia.
L’Italia aveva dato il via, negli Anni 90, con Mani Pulite, al crollo dei vecchi partiti e all’impolitica alternativa di Berlusconi. A questo «populismo lungo», il politologo Rosanvallon dà il nome di contro-democrazia. Una contro-democrazia che di per sé è la naturale risposta al frantumarsi dei partiti, delle visioni sociali d’insieme. Il cittadino non più affiliato a grandi organizzazioni partecipa alla cosa pubblica votando, ma anche fabbricandosi vari poteri indiretti.
Contro-democrazia è quando si reagisce alla crisi delle democrazie rappresentative con una democrazia negativa: aumentando il potere di sorveglianza, di veto, di giudizio istantaneo su ogni politica, breve e non. Chi reagisce è un cittadino niente affatto passivo, che interviene con metodi classici (il voto) e non classici (piazza o rivendicazioni identitarie, giudici o stampa), ma che imboccando tale strada ha perso la visione d’insieme dell’interesse pubblico e ogni volontà che non sia d’impedimento. Il populismo e l’antipolitica sono patologie della contro-democrazia: il potere vigilante diventa delegittimazione costante, il veto blocca le politiche anziché suscitarle, il giudizio diventa sistematica distruttività (Pierre Rosanvallon, La contre-démocratie, Seuil 2006).
Di qui la necessità di infrangere le barriere: di «scomporre le linee», dicono i francesi citando Baudelaire. Di evitare che la frammentazione favorisca paradossalmente chi inventa di sana pianta un popolo uno, indiviso: il populista, appunto, secondo il quale qualsiasi avversario che non rappresenti l’Uno è subito illegittimo. Di qui l’alternativa suggerita da Bayrou: non l’uomo provvidenziale che congela divisioni fossilizzate, ma il politico che ingloba la contro-democrazia per curarne le patologie, esercitandosi nelle coalizioni con il diverso da sé e ridefinendo i futuri criteri di divisione.
In Italia quest’apprendimento è in corso ed è significativo che l’esempio Prodi seduca Bayrou. Centro-sinistra e Ulivo sono la risposta all’emergenza populista di Berlusconi e alla crisi della democrazia. Contrariamente a quel che si dice, non abbiamo in Italia un blocco governativo di sinistra, ma un blocco che oltre all’Unione comprende conservatori e sinistre estreme. Sia pur faticosamente, anche queste ultime hanno dimostrato capacità di coalizione: hanno digerito un pesante risanamento economico, accettato la missione in Libano, scoperto l’Europa. Divenire capaci di coalizioni e dunque di governare presuppone nei due blocchi la preservazione di un programma minimo cui non si rinuncia: a sinistra possono essere i diritti della persona, il lavoro non precario, o la laicità e autonomia della politica; il multilateralismo o un’Europa autonoma dall’America. Bayrou, ad esempio, promette modifiche profonde (l’abbandono dell’illusione nazionale di De Gaulle, un’Europa federale fatta da un’avanguardia di Stati) ma al tempo stesso è fermo nel preservare alcuni valori: il modello d’integrazione repubblicana, la laicità, la valorizzazione di servitori dello Stato come gli insegnanti.
Ma, soprattutto, egli propone di assorbire la contro-democrazia: di darle un ordine, una voce, per evitare che sfoci nella malattia dell’impolitica populista. Da questo punto di vista, Bayrou non è centrista come son centristi alcuni italiani. Non dice che la mutazione avverrà solo a opera d’una famiglia centrale. Dice che avverrà solo se si incorpora la contro-democrazia, espressione della nuova società della diffidenza cresciuta sulla chiusura reciproca di tutti i partiti, compresi i centristi. Dice che devono cambiare non solo metodi ma programmi: cosa non ancora avvenuta nelle forze centriste. I centristi italiani ad esempio non hanno ancora appreso la Koalitionsfähigkeit ad ampio raggio. Sembrano interessati a un’aristocrazia chiusa, autosufficiente, come proposto da Antonio Polito e Nicola Rossi in una lettera a Follini pubblicata l’8 marzo sul Corriere della Sera. Follini sembra più lungimirante. Nella risposta, il 9 marzo sul Corriere, sostiene che un ponte fra destra e sinistra è preferibile a un tetto su nuove compatte famiglie. È il ponte che educa alla Koalitionsfähigkeit, all’ascolto e rispetto del diverso, e che aiuterà a ricreare una bipolare architettura fatta di famiglie, case, tetti meno pericolanti.
Alain Touraine: Bayrou non si legherà a nessuno
di Gianni Marsilli *
Alain Touraine, uomo di sinistra, grande sociologo e acuto osservatore della vita politica francese ed europea, cerca ragioni di ottimismo in vista del secondo turno, ma ha molte difficoltà a trovarne. «Vede, a sangue freddo c’è una prima constatazione da fare. Il risultato del secondo turno tradizionalmente dipende in larga misura dal risultato del primo. E corre l’obbligo di constatare che il vantaggio di Nicolas Sarkozy è alquanto consistente. È penetrato inoltre in profondità nel blocco di consensi del Fronte nazionale, e sarà difficile che gli elettori lepenisti, quel 10 e passa per cento che sono rimasti fedeli al loro leader, neghino il loro voto a Sarkozy. Lo so, è già accaduto nella storia che i voti di Le Pen si riportassero a sinistra, in odio a Chirac. Ma stavolta no, non credo proprio. Sarkozy ha fatto opera di convinzione e di conquista. Si presenta come rappresentante di una destra senza ambiguità, com’era invece quella di Chirac. Destra dura, talvolta anche inquietante, ma destra franca. Non c’è niente da fare: Sarkozy è largamente in testa. Ciò detto, vi sono non poche incognite.
Esiste per esempio una riserva di voti di nome Bayrou, pari al 18,55%. Non è questa, forse, la chiave di volta del secondo turno?
«Non mi farei grandi illusioni. Bayrou si trova in una posizione che è al contempo molto chiara e di grande imbarazzo. La sua idea, il suo progetto è chiaro ed esplicito: diventare presidente della Repubblica la prossima volta, nel 2012. Per tagliare questo traguardo, ha bisogno di una forza politica propria, autonoma e robusta. Vuole e deve trasformare radicalmente l’Udf, il suo partito. Non vedo come possa avere interesse, oggi, a legarsi all’uno o all’altra dei contendenti. È un’ipotesi che va contro tutta la sua strategia. Deve, nei fatti, creare un nuovo partito e nel contempo allargare le basi del suo consenso, e deve farlo da solo».
Scusi l’ingenuità, ma perché non nel quadro di un’alleanza di centrosinistra?
«Per diverse ragioni. La prima è che, in questa fase tra i due turni, e non solo, non si sa quel che vuol fare Ségolène Royal. Aveva iniziato con promettenti accenti riformisti, aveva messo in causa le 35 ore, aveva detto di voler rivalutare lo spirito d’impresa, e anche sulla questione europea era stata positiva. Poi si è fermata, e adesso non si sa dove sia. Forse l’hanno duramente richiamata all’ordine dentro il partito, non so. Ma è abbastanza evidente che adesso si trova in mezzo ad un guado, sul piano delle idee e della proposta politica».
E questa esitazione potrebbe costarle l’appoggio di Bayrou?
«In questo momento sì. Anche se Bayrou, come ho detto, ha mille altre validissime ragioni per non legarsi al carro di nessuno».
Più tardi, forse?
«Non lo escludo. Anche perché per Bayrou la corsa di questa primavera non è finita, tutt’altro. Deve preparare il terzo e quarto turno, vale a dire le due tornate delle legislative di giugno. Per lui è vitale trasformare in seggi parlamentari il grande potenziale che ha raccolto domenica. E in quella sede, perché no, potranno nascere alleanze e desistenze, non lo escludo. Ma saranno puntuali, nulla a che fare con un centrosinistra organico, niente a che vedere con la grande alleanza che aveva chiesto Michel Rocard. Del resto giustamente, anche se la proposta non aveva gambe per camminare»
Ma gli accordi di desistenza l’Udf li ha sempre fatti piuttosto con l’Ump.
«Appunto, un’altra ragione per Bayrou di giocare per sé stesso, caso per caso. Anche perché dio solo sa che cosa accadrà dentro il partito socialista nell’ipotesi, che io considero probabile, che Ségolène venga battuta».
Crisi d’epoca, quella socialista?
«Altroché. Segnalo inoltre, sempre a proposito di quella certa ambiguità misteriosa di Ségolène, che non poco elettorato che definirei "colto", borghesia intellettuale, insegnanti, professionisti che sono il bacino d’utenza principale del partito socialista, domenica scorsa ha votato Bayrou. E non credo sia un colpo di testa. È un’insoddisfazione di fondo verso il Ps, un modo di dire basta alla sinistra che ha rappresentato fin qui. Quella tribunizia, che non traduce le parole in fatti: Blum che non interviene in Spagna, Guy Mollet che invece interviene in Algeria, Mitterrand che già nell’82 si adegua al rigore monetario ed economico»
Ségolène però ha voluto innovare, ascoltare i cittadini...
«È vero, ma non ha portato fino in fondo questo processo di trasformazione. Certo, vi sono state forti resistenze nel partito. Ma forse anche dentro di lei»
Eppure c’era da anni materia di riflessione e bisogno di far chiarezza.
«Non si riflette, dentro il Ps. Non si è riflettuto dopo il 2002, né dopo il 2005. Niente di niente. E c’è non poca gente che, una volta bocciata Ségolène al secondo turno, pensa ad una crisi violenta del partito, una resa dei conti dalla quale non si capisce ancora come si uscirà. Son cose che Bayrou sa benissimo, e anche per questo escluderei che sia interessato, adesso, ad un centrosinistra o ad una grande coalizione»
* l’Unità, Pubblicato il: 24.04.07, Modificato il: 24.04.07 alle ore 10.20
VERSO IL BALLOTTAGGIO
Il popolo di Bayrou: "Il nostro voto non si vende"
Corteggiato da Sarkozy e Ségolène, il centrista non vuole scegliere: siamo un partito, si va avanti
di DOMENICO QUIRICO, CORRISPONDENTE DA PARIGI *
Se li stanno già spartendo nel piatto, con appetito invidiabile e speculare arroganza. Gongola Najat Belkacem, la portavoce di Ségolène Royal: «Coloro che hanno votato Bayrou sono stati mossi nella scelta evidentemente dal rifiuto di Sarkozy e non vedo proprio come quella avversione si possa trasformare in un sostegno per lui al secondo turno». Insomma, è roba nostra. Dall’altra parte filosofeggia Alain Juppé, una delle colonne portanti dell’armata Sarkozy: «Da decenni lavoriamo a fianco dell’UDF e molti elettori di quel partito desiderano evidentemente continuare questo lavoro comune». In questo daffarìo spartitorio nessuno ha il minimo dubbio che quei sette milioni di francesi, chiave del ballottaggio, non siano dopo la provvisoria libera uscita già tornati a casa. E si fanno i conti dello scappa scappa, di quanto per cento che toccherà alla destra o alla sinistra. L’unico che si dichiara «un poco inquieto» è Michel Rocard, l’ex premier socialista, promottore dell’intesa socialisti-Bayrou: «Nel partito, ce qualcuno che preferisce una sconfitta onorevole ad una vittoria un po’ compromettente». Ovvero accettando l’alleanza con l’UDF.
Già, ma loro i protagonisti della rivoluzione arancione che si è fermata all’ultima barricata, che cosa ne pensano? Continueranno a restar fedeli all’onesto provinciale diventato notabile, un po’ Rastignac, amico di famiglia e genero ideale per tutte le mamme di Francia? Al momento del «sì ma» sono davvero così disposti a fare i portatori d’acqua per la vittoria di destra o sinistra? Alla sede della campagna di Bayrou in rue de l’Université, sono rimasti pochi segni della festa triste della notte, quando in strada hanno cercato volenterosamente a uso delle telecamere di gioire per lo «storico» risultato. Inutile nasconderlo, si smobilita. Dopo aver sondato i parlamentari domani Bayrou parlerà, per ribadire che la guerra continua e che i 7 milioni di voti serviranno per costruire un nuovo partito, per essere protagonisti già alle legislative di giugno. «Vogliamo continuare il movimento di rinnovamento della vita politica, i nostri voti non sono in vendita» assicura la sua direttrice di campagna Marielle de Sarnez. E’ un modo per confermare che Bayrou non darà alcuna indicazione.
C’è una dato singolare: i dirigenti dell’UDF aggeggiano i loro elettori come se fossero una massa di manovra ormai arruolata, trinceristi pronti a seguire il nuovo profeta della politica francese ovunque. E’ un abbaglio, anche se volesse Bayrou non potrebbe consegnare a Sarkozy o a Ségolène nessun assegno in bianco. Semplicemnte perché non controlla quel capitale di voti. Basta ascoltare gli elettori UDF. Ha ricettato gente mista, i «bobos» ma anche i poujadistes, i «contadini» a fianco degli intellettuali proeuropa. Ma la maggioranza asserraglia quelli che non amano l’autoritarismo di Sarkozy e di Ségolène. Un minuto dopo l’annuncio di quell’enorme ma inutile 18 per cento la stragrande maggioranza gli era già sfuggita. Bayrou era una faccia a cui avevano appiccicato una voglia, quella di scombinare un sistema politico cementificato dai soliti decideurs che si scambiano le parti, e volevano farlo senza precipitare nelle mani di Le Pen e degli estremi.
Bayrou ha perso, ergo meritava di perdere. Il sei maggio tanti tra loro resteranno a casa per non dover scegliere tra il populismo reazionario di Sarkozy e l’assistenzialismo mieloso di Ségolène. «Se dovessi proprio pronunciarmi - dice una ragazza - che sono più Ségo che Sarko, ma il sei maggio, no grazie, resterò a casa». E un giovane con la maglietta arancione e una frase di Hugo conferma: «Da mesi le tv, i giornali, tutti mi ordinano di votare per questi due. Ci abbiamo provato, è andata male, pazienza ci riproveremo tra cinque anni».
* La Stampa, 24/4/2007 (7:40)
REPORTAGE Bayrou, l’attacco finale
Una giornata col “terzo uomo” delle presidenziali francesi che a una settimana dal primo turno totalizza il 17% delle intenzioni di voto.
di ARIADNA MATAMOROS DA CAFE BABEL *
PARIGI. Il treno 1725 è sul punto di partire. Regna la tranquillità nella Gare de l’Est di Parigi. Dieci minuti prima della partenza del treno, la figura di François Bayrou si intravede da lontano e i fotografi si posizionano. Proprio come una stella del cinema, il leader centrista - che potrebbe arrivare al secondo turno delle Presidenziali - concede i suoi migliori sorrisi e scambia strette di mano a conosciuti e non. Sale sul treno, sbaglia vagone, scende. Finalmente Bayrou trova il suo posto. Il treno parte, destinazione: Reims, nel nord est della Francia.
Durante il percorso, Bayrou si mostra disponibile e concede interviste alla stampa. Il discorso del candidato dell’Unione per la Democrazia Francese non è cambiato molto dall’inizio della sua campagna elettorale. Proveniente da una famiglia di agricoltori della provincia di Béarn (ai piedi dei Pirenei), si dichiara «l’unico capace di unire la Francia. Proponendosi come l’alternativa al duopolio bipolare tra Ps (Partito Socialista) e Ump (Unione per un Movimento popolare), Bayrou pensa che la società politica francese abbia bisogno di un "elettrochoc". All’arrivo, tanto clamore solletica la curiosità di molti viaggiatori della stazione di Reims. Alcune ragazze chiedono: «Chi è? Chi è?», rispondo: «Bayrou». Nessuna reazione. «Uno dei candidati alle presidenziali», spiego. Dopo la puntualizzazione le giovani ridono eccitate e si dirigono verso il candidato per gridargli che ha uno dei risvolti del pantalone fuori posto. E magicamente Bayrou lo aggiusta.
«Sono più a sinistra dei socialisti»
Il percorso del candidato all’Eliseo ha inizio, destinazione Mairie (“municipio”, ndr). Lì gli operai dell’azienda di ricambi per auto “Chausson Outillage” aspettano Bayrou per parlargli del fallimento dell’impresa. Dopo quattro chiacchiere, il leader centrista accetta di modificare il suo itinerario per spostarsi a vedere la fabbrica. Forse perché Ségolène Royal l’ha visitata la settimana precedente? All’arrivo, inizia il tour degli impianti sotto l’attento sguardo del candidato. Un lavoratore dell’azienda mi si avvicina e gli domando se questa visita influenzerà in qualche modo il suo voto. «Vedremo» risponde. «E Sarkozy verrà?», chiedo. «Non credo che si degnerà di venire, non ne sente la necessità», conclude con un sorriso.
Sebbene venga considerato il candidato più a favore dell’Ue, durante la campagna elettorale Bayrou ha preso le distanze dall’Europa battendo maggiormente sul ruolo dello Stato Nazionale. Per fare fronte alla globalizzazione, secondo il candidato di centro, “l’Ue deve proteggere le nostre aziende” dai due giganti emergenti, India e Cina. Non tutti sono d’accordo con il suo discorso. «Qui non facciamo politica, abbiamo un problema reale», sussurra un lavoratore di “Chausson Outillage” ad un giornalista.
Dopo le parole a favore dei sindacati, il viaggio continua. Prossima fermata: conferenza stampa alla “Brasserie Flo”. All’arrivo, un giovane rompe il silenzio: «Hai scelto un bel posticino: sei proprio di destra», grida a Bayrou, riferendosi al lusso del ristorante. Il candidato sorride e tenta di avvicinarsi al giovane il quale, prima che Bayrou arrivi a parlargli, monta in bicicletta, inizia a pedalare e se ne va. Fine dell’incidente. Durante questi giorni di dura campagna elettorale, Bayrou minimizza la sua discesa nei sondaggi di voto, dopo l’impennata all’inizio di marzo. «C’è un solo sondaggio che conta: il giorno in cui i francesi voteranno» dichiara. Di fronte alle domande, Bayrou dà il titolo ai giornalisti: «Su alcuni argomenti sono più di sinistra del Partito Socialista». Per spiegare la sua affermazione, ricorda che è stato l’unico candidato ad opporsi alla privatizzazione delle autostrade francesi, mentre il Ps non ha fatto nulla per impedirlo.
Centrista sexy
Dalla raffinata Brasserie Flo alla sobria zona industriale dove Bayrou terminerà la sua lunghissima giornata. Non si vedono molte auto e i giornalisti si domandano se il padiglione che l’Udf ha sistemato per il candidato resterà vuoto. E invece l’arancione svetta dovunque. All’interno dell’edificio quasi 3000 simpatizzanti del partito aspettano ansiosi François Bayrou. I giovani dell’Udf indossano magliette con la scritta “centrista sexy”. Tra grida ed applausi, Bayrou si rivolge al suo uditorio con frasi che suonano familiari ai giornalisti che poco prima hanno assistito alla conferenza stampa. «La società francese ha bisogno di cambiare. L’immigrazione non è la causa di tutti i nostri mali, ne è la conseguenza». Dal «rimanere uniti» al “no” francese alla Costituzione, passando per il surriscaldamento del pianeta e il principio che «lo Stato non può pagare tutto per intero»: Bayrou ripercorre tutti gli argomenti con un discorso serrato.
Dopo il bagno di folla, la giornata a Reims si conclude, ma la campagna elettorale entra in dirittura finale. Dopo la pubblicazione del suo libro Projet d’espoir (Progetto di speranza ndr), martedì 3 marzo ha presentato il suo programma elettorale in conferenza stampa. «Confido in un finale a sorpresa», dichiara Bayrou. Intanto, i francesi si domandano che tipo di governo avranno se Bayrou verrà eletto. Centro-destra o centro-sinistra? «Si devono creare nuove alleanze con una maggioranza di centro», non si stanca di ripetere il “terzo uomo”. Ma cosa vuol dire? Qualora il candidato venisse eletto, per governare, dovrà poi ottenere una maggioranza alle Politiche di giugno. Agli elettori poi di giudicare se l’“alternativa” sarà assicurata.
* La Stampa, 19/4/2007 (19:51) -