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Ritorno al futuro ... omaggio a Soren Kierkegaard e a Walter Benjamin!!!

Leonida: "300"!!! Nelle sale il film di Zack Snyder. "ERAN TRECENTO ERAN GIOVANI E FORTI" ... E FURONO CAPACI DI FERMARE L’AVANZATA DELLA "MALAVITA" E DELLA "MALA EDUCACION" MONDIALE (dei "piani alti" e dei "piani bassi" della società del XXI sec. d. C. - non dei mediorientali, degli arabi o ... dei persiani)!!! - a cura di pfls

sabato 24 marzo 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] al suo arrivo nelle sale italiane, 300 - attuale campione d’incassi negli Usa - è già preceduto da una bella scia di polemiche. La prima riguarda, appunto, la fedeltà storica dell’opera, il suo modo di raccontare la mitica battaglia che si svolse, nel 480 avanti Cristo, tra un manipolo di (trecento) spartani guidati dal loro re, Leonida, e le decine di migliaia di soldati dell’imperatore persiano Serse, deciso a conquistare anche la Grecia. Su questo punto, come già detto, la (...)

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> Leonida: "300"!!! Nelle sale il film di Zack Snyder. "ERAN TRECENTO ERAN GIOVANI E FORTI" (PISACANE) ... E FURONO CAPACI DI FERMARE L’AVANZATA DELLA "MALAVITA" E DELLA "MALA EDUCACION" MONDIALE (dei "piani alti" e dei "piani bassi" della società del XXI sec. d. C. - non dei mediorientali, degli arabi o ... dei persiani)!!! - a cura di pfls

giovedì 19 aprile 2007

La potenza aritmetica dell’eguaglianza

Finalmente tradotto da Meltemi «La mésentente» del filosofo Jacques Ranciére. La politica come sovversione del principio geometrico del governo Una critica della logica identitaria della democrazia che si arresta sulla soglia di una genealogia conflittuale dell’«individuo politico»

di Filippo Del Lucchese (il manifesto, 17.04.2007)

Forse tutto è cominciato così. Come nel racconto di Plutarco, in cui la falange spartana avanza, solenne e terrificante, al passo ritmato dal flauto dell’auleta. Oppure come nel racconto di Erodoto, dove gli ateniesi a Maratona, inferiori di numero, si lanciano di corsa contro i barbari. Forse sono in preda alla follia, pensano questi, ma al momento dello scontro, la nuova tattica militare si rivela in tutta la sua efficacia. Il peana intonato all’unisono, il battere delle lance sugli scudi, la disciplina e la coesione che danno alla falange quasi un solo corpo e una sola mente: per i Greci, in precedenza, il solo nome dei Medi era motivo di terrore, ma la falange cambia tutto e inaugura una nuova storia, insieme politica e militare.

Tra il VII e il VI secolo avanti Cristo, le città greche attraversano crisi profonde, con uno sviluppo economico e sociale che coinvolge strati sempre più ampi della popolazione. La trasformazione degli eserciti rispecchia - e produce - enormi mutamenti. Al combattimento individuale e al duello «eroico» si sostituisce progressivamente la tattica di gruppo, fino all’integrazione della massa dei contadini nella falange. È l’introduzione dello scudo a doppia impugnatura che, sul piano tecnico, rende possibile questo nuovo tipo di combattimento, democratico e orizzontale. Un modello «aritmetico», dove ogni oplita si equivale, proteggendo con metà dello scudo se stesso e con l’altra metà il compagno al proprio fianco. Si realizza così una formidabile «macchina» popolare da combattimento, al tempo stesso militare e politica.

Forse tutto è cominciato così anche per la filosofia, che fino a quel momento si era occupata prevalentemente dell’«Essere» e dell’«Esistere» e che ora inizia a riflettere sull’uomo e sulla vita in comune. Ma qual è il motivo, contingente e fattuale, che almeno da Platone in avanti impone la politica come oggetto di riflessione specificamente filosofico? Questa la domanda da cui parte Jacques Rancière, nel suo Il disaccordo. Politica e filosofia (Meltemi, pp. 150, € 16, introduzione e traduzione di Beatrice Magni). Pubblicato nel 1995 e finalmente tradotto in italiano, questo testo è una delle riflessioni più importanti sul rapporto tra filosofia e politica attualmente in circolazione. Benvenuta, dunque, la scelta di Meltemi.

La police dei manganelli

Normalista alla rue d’Ulm e allievo di Louis Althusser, Rancière ha preso parte al seminario che ha dato vita a Leggere il Capitale (recentemente ripubblicato con una nuova tradizione da Mimesis). Il suo rapporto con il marxismo, specialmente istituzionale, è sempre stato difficile, fino alla rottura con Althusser all’indomani dell’esplosione «popolare» del maggio francese. E proprio a comprendere e approfondire la categoria di «popolo» Rancière si dedica negli anni successivi. Si impegna, cioè, nel far emergere - più dagli archivi che dalle alte sfere della teoria - quel tipo particolare di intelligenza, collettiva e singolare, che attraversa almeno dall’inizio del XIX secolo la classe operaia. Giunge così - da filosofo - a elaborare una contro-filosofia, interessata più a personaggi minori se non oscuri, come l’utopista Etienne Cabet, il filosofo-operaio Gabriel Gauny, il maestro Joseph Jacotot, che a Platone, Aristotele o Marx.

Proprio sugli autori maggiori del pensiero occidentale, invece, Rancière torna ne Il disaccordo, che rappresenta la sintesi più compiuta della sua critica contro-filosofica alla filosofia politica. Ciò che indichiamo, nel linguaggio comune, col nome di politica - sostiene Rancière - comprende in realtà due logiche diverse e contrapposte. La prima, propriamente filosofico-politica, è una logica dell’ordine, della suddivisione e dell’organizzazione del sensibile, cioè degli spazi di visibilità riservati a ciascun individuo. Sulla scorta di Michael Foucault, ma distinguendo la propria riflessione da quella sul biopotere, Rancière propone di chiamare police questa logica. Non solo la bassa polizia, quella dei manganelli di Genova e delle torture di Bolzaneto per intenderci, ma una logica più complessiva che assegna a ognuno gli spazi di visibilità, concedendo i titoli del riconoscimento e della partecipazione alla sfera della politica.

A questa divisione e ripartizione del sensibile, è necessario opporre una logica diversa, che Rancière definisce appunto politica. La logica, cioè, che contesta quell’ordine, che lo mette in crisi, che ne mina i fondamenti, presupposti naturali ed eterni, rivelando la contingenza su cui si fonda. La filosofia politica, in questo quadro, è ridotta all’attività che tenta continuamente di definire, fondare e giustificare l’ordine della police e dal cui sfondo emerge, rovesciato e aggressivo, il logos popolare.

Rancière indica il crinale fra uguaglianza e disuguaglianza, elaborato nei suoi precedenti studi sulla «filosofia-plebea» o sul «maestro-ignorante», come l’elemento di partizione tra queste due logiche contrapposte. Non si tratta di una premessa ontologica da costruire, ma di una pura fattualità da constatare e su cui scegliere da che parte stare: o dalla parte della filosofia politica, interessata alla divisione fra uomini e donne, fra greci e barbari, fra liberi e schiavi, fra ricchi e poveri, oppure dalla parte della politica, come principio polemico che contesta quell’ordine, sgretolandone gli stessi fondamenti.

Differenze nella contingenza

La politica, dunque, è l’affermazione di una radicale uguaglianza che mette in crisi qualsiasi organizzazione dei rapporti individuali basata sull’ineguaglianza. Si tratta di un principio «aritmetico», orizzontale, radicalmente democratico. Di una democrazia, però, intesa non come una forma di governo tra le altre, ma come logica conflittuale che mette in crisi ogni forma di governo in quanto police. L’uguaglianza implicita nel conteggio dei voti dell’assemblea (i «sassolini» nell’urna, al posto delle decisioni prese dai «migliori», autorizzati dalla propria virtù, che si pretende naturale) o l’uguaglianza degli opliti nella falange esprimono al meglio il principio aritmetico. Tutta la storia della filosofia politica, di contro, potrebbe esser letta come il tentativo di costruire un principio «geometrico», di stabilire un valore «ponderato», di ripartire gli spazi dell’azione, ma soprattutto del visibile e del non visto, dell’udibile e dell’inaudito, sulla base di una differenza contingente ma pretesa naturale.

Ora, secondo Rancière, la crisi che la politica determina, ogni volta che mette in crisi quell’ordine, non deriva da un’ignoranza reciproca delle parti. Non si tratta, cioè, di una méconnaissance ma, appunto, di una mésentente. Non si tratta neanche del semplice scontro di due visioni diverse all’interno della stessa problematica, di due posizioni in contrasto per l’allocazione di risorse o la gestione della cosa pubblica. Ecco perché la traduzione italiana del titolo con il termine «disaccordo» è fuorviante per la comprensione del concetto. Definito dal suo autore come una «situazione di parola», il concetto di mésentente suggerisce che il conflitto fra le due logiche si gioca innanzitutto in una dimensione linguistico-immaginativa piuttosto che in quella razionale-decisionale del reciproco accordo o disaccordo.

Il «disaccordo», si legge a nell’edizione italiana, è la situazione in cui «uno degli interlocutori sente e nello stesso tempo non ascolta (ma nell’originale leggiamo: entend et n’entend pas) ciò che l’altro dice». Ora, nella situazione di parola descritta da Rancière, gli interlocutori non soltanto ascoltano, ma comunicano tra loro, come Auguste Blanqui e il suo giudice o come Jeanne Deroin e gli «universalisti» francesi, negli esempi portati dall’autore. Comunicano, senza però che l’ordine della police riesca a comprendere l’istanza politica in tutta la sua radicalità. La més-entente, quindi, è anche e innanzitutto un’incomprensione, una mancanza di intesa, cioè un corto circuito linguistico-immaginativo piuttosto che razionale o decisionale.

Sarebbe stato meglio conservare la radice latina di «intendere», nel doppio senso di comprendere e di volere. Il neologismo «disintesa» ad esempio, peraltro molto più vicino all’originale francese, avrebbe contribuito a rendere il concetto meno ambiguo in italiano (una scelta simile è stata fatta, coniando il neologismo dischiusura per tradurre la déclosion di Jean-Luc Nancy). Avrebbe consentito, inoltre, di mettere in evidenza il carattere esterno dell’elemento polemico alla sfera della razionalità politica costituita, entro la quale si costruisce l’accordo e il consenso e, al di fuori della quale, si ha solo animalità o mostruosità: non è un caso che il termine mésentente sia registrato per la prima volta in un dizionario pubblicato nel 1848, l’annus mirabilis in cui un fantasma si aggirava, terrorizzandola, per l’Europa.

Il soggetto mancante

Ma quand’è, per Rancière, che si dà la «politica»? Affermare semplicemente che si ha politica ogni qual volta si interrompe la logica della police - si dirà - è uno strumento ben poco affilato da un punto di vista teorico. Riflettendo ai «margini del politico» (è il titolo di un altro suo volume), Rancière dichiara apertamente di essere interessato più alla definizione di un modello interpretativo che alla costruzione di una vera e propria teoria politica. Ritiene, ad esempio, che la categoria di moltitudine non offra alcun elemento nuovo per la costruzione di un soggetto politico all’altezza della police del tempo presente. Lo sforzo, allora, è tanto quello di distinguere la police dalle forme contemporanee della sovranità (Agamben) quanto quello di non ridurre la «politica» a ciò che egli ritiene essere soltanto un vitalismo di matrice deleuziano-spinozista (Negri-Hardt). Si tratta tuttavia di un capitolo mancante de Il disaccordo, che Rancière ha cercato di sviluppare nei lavori successivi.

In questo libro, al contrario, l’analisi si ferma qui. La politica è affare di soggettivazione, sostiene Rancière, e mai di identità (il libro interveniva all’interno dei dibattiti sull’identità alla metà del decennio scorso e nella tragica attualità degli stermini identitari che segnavano ancora una volta la storia dell’Europa). Il soggetto politico, inoltre, non è mai un gruppo definito e non è mai dato prima della sua relazione conflittuale con la logica della police. In una parola, non è una moltitudine che preesiste all’Impero. Se è felice, da un lato, il tentativo di caratterizzare se non un’ontologia, almeno una «politica» della relazione conflittuale, dall’altro la sua ricostruzione attraverso la categoria di «soggetto» lascia molte cose in sospeso.

Genealogia della politica

Come interpretare, in questo senso, l’affermazione di Rancière per cui il «prototipo» della soggettivazione politica è «formalmente l’ ego sum, l’ ego existo cartesiano»? È ragionevole, infatti, ricondurre proprio alla distinzione cartesiana e alla gerarchia stabilita fra res cogitans e res extensa l’origine della police degli affetti o del «buon uso» delle passioni. La politica, a quell’altezza, si determina come un’istanza che, prima ancora di mettere in discussione il potere sovrano (la moltitudine contro lo stato), mette in crisi l’idea stessa di soggetto.

La contro-filosofia di Rancière, dunque, più che fermarsi alle porte di una critica allo Stato (come gli rimprovera Alain Badiou), si arresta forse proprio sulla soglia di una genealogia conflittuale dell’individuo politico. La plebe sull’Aventino - uno degli esempi magistralmente ricostruiti in questo libro, attraverso la «teatralizzazione» del racconto di Pierre-Simon Ballanche (1829) - impone la propria presenza ai nobili, che non riescono a intenderla. Menenio, nel racconto di Ballanche, non è tanto un traditore, quanto un illuso, perché crede di comprendere le parole della plebe, laddove questa, secondo la logica «poliziesca», può al massimo emettere dei suoni e mai un logos compiuto. Ma, si potrebbe aggiungere oltre l’acuta analisi di Rancière: da dove traeva la plebe quella potenza e dunque quel diritto di ritrarsi, mostrando così un diverso spazio del visibile e dell’udibile? Non certo dalla «coscienza» di una soggettivazione, ma da un nuovo rapporto di forze e da un mutamento della struttura politica e militare che attraverso il conflitto era riuscita a imporre. È il rifiuto di accettare l’arruolamento nella guerra contro gli Equi che permette a questa concitata multitudo di prendere la parola.

Perché la politica si impone, a un certo punto, come un oggetto di riflessione per il pensiero greco? Perché la pratica del demos, politica e militare, costringe la filosofia a rielaborare i meccanismi di esclusione e di divisione del sensibile. Si tratta dunque di una rivendicazione - autonoma - di una nuova norma e di una nuova parola, che accompagna e ridefinisce costantemente il corso della storia. Il concetto di mésentente - vera e propria «falange teorica» contro la filosofia - coglie pienamente la natura polemica della politica.


Jacques Ranciére

Un filosofo oltre l’ordine geometrico del potere

Jacques Rancière (1940) è professore emerito di filosofia all’Università di Paris VIII-St. Denis. Inizia la sua attività lavorando con Louis Althusser, da cui prende le distanze dopo il maggio ’68 e con cui «fa i conti» nel volume «La Leçon d’Althusser» (1974). Fra le sue opere segnaliamo: «La nuit des prolétaires: Archives du rêve ouvrier» (1981), «La chair des mots: Politiques de l’écriture» (1998), «La haine de la Démocratie» (2005). In italiano è già stato pubblicato «Le parole della storia» (Il Saggiatore, 1994), «Mallarmé o la politica della sirena» (Clueb, 2000) e «La favola cinematografica» (Ets, 2006). A lui è dedicato il volume collettivo «La philosophie deplacée. Autour de Jacques Rancière» (2006).


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