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Memoria della liberazione e della libertà. "Meditate che questo è stato"(Primo Levi).

DEMOCRAZIA, BUONA EDUCAZIONE, E RISPETTO PER LA REPUBBLICA. LA LEZIONE DI TINA ANSELMI. «E’ stata quella lì a mettere sotto accusa i generali e i servizi segreti... Non ha avuto rispetto per nessuno»(Licio Gelli). A lei, alla partigiana Tina Alselmi, alla montanara testarda e limpida ... Un "pensiero" di Wladimiro Settimelli - a cura di pfls

Tina Anselmi: «Generale, lei deve rispetto alla Repubblica...»
mercoledì 18 giugno 2008 di Maria Paola Falchinelli
[...] per la parlamentare dc, quello, dopo tanti anni di vita politica anche come ministro, era l’incarico più gravoso e difficile che era stata chiamata ad assolvere. E aveva imparato che di lei, gli italiani potevano avere totalmente fiducia perché non avrebbe nascosto niente nei cassetti e non avrebbe protetto proprio nessuno, se non la democrazia e la Repubblica [...]
Forza ITALIA. Una nota di TINA ANSELMI

Tina Anselmi: «Generale, lei (...)

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> LA LEZIONE DI TINA ANSELMI. --- La critica alla Costituzione nata dalla Liberazione è ancora quella che si fa oggi per giustificare le riforme del governo. Parola per parola. La storia si ripete, almeno quella della P2.

giovedì 17 dicembre 2015

P2, se la storia si ripete

Licio Gelli. Il referente più importante della destra americana dopo la Liberazione. Quel giorno del 1988 a Villa Wanda, quando il Venerabile negava i rapporti con la banda neofascista di Tuti

di Sandra Bonsanti (il manifesto, 17.12.2015)

Era il 27 dicembre del 1947 e a Palazzo Giustiniani Enrico De Nicola, firma la Costituzione italiana. Accanto a lui, in piedi, Alcide De Gasperi e, fra i due, un giovane di 25 anni con una cartella in mano che contiene una copia della nostra Carta. E’, senza forse, il momento più sacro della nostra nascita come Repubblica democratica. Ma il giovane che assiste si chiama Francesco Cosentino, si iscriverà presto alla loggia P2 e con Licio Gelli, una decina di anni dopo la firma solenne di De Nicola, contribuirà alla stesura del “Piano di Rinascita”, documento programmatico della loggia segreta.

Ho sottoposto quella foto che compare su tutti i libri di storia a chi allora conobbe Cosentino: non c’è alcun dubbio, è proprio lui. Ed è questo un particolare tanto inquietante quanto sconosciuto e per niente studiato. Oggi che cerchiamo di fare bilanci sulla P2 io non ho ancora risposte. Se non quella che sin dall’inizio della nostra Repubblica c’era qualcosa che già si agitava nel sottobosco della politica. Tra i sostenitori della Costituzione, c’era già chi era pronto a tradirla con un progetto di «rivitalizzazione del sistema» e ritocchi costituzionali «successivi al restauro delle istituzioni fondamentali».

Questa foto che un giorno mi rendeva tanto fiera, mi pare oggi violentata dal dubbio. Non credo che la commissione P2 abbia sottolineato questo aspetto, ma forse non conosco tutti gli atti prodotti. In sostanza si potrebbe dire che la Repubblica italiana nacque già insidiata dall’interno, da subito. E alla luce di tutto il resto che sappiamo ormai della loggia di Gelli, dei progetti del Venerabile e dei suoi fratelli, verrebbe da concludere che non poteva che andare così, negli anni. E cioè il crearsi e il perpetrarsi di quella malattia che Norberto Bobbio aveva individuato dai primi giorni della scoperta degli elenchi: «Ciò che in un regime democratico è assolutamente inammissibile è l’esistenza di un potere invisibile, che agisce accanto a quello dello Stato, insieme dentro e contro, sotto certi aspetti concorrente, sotto altri connivente, che si avvale del segreto non proprio per abbatterlo ma neppure per servirlo. Se ne vale principalmente per aggirare o violare impunemente le leggi».

Come può difendersi la Repubblica? Si domandava Bobbio. E la sua era come sempre una risposta geniale: «L’unico modo di difendere le istituzioni democratiche è quello di fare quadrato attorno a coloro che non hanno mai avuto la tentazione di sprofondare nel sottosuolo per non farsi riconoscere. Sono molti, per fortuna, ma devono avere il coraggio ed agire di conseguenza».

Mi occupavo di lui da quindici anni almeno, ma non lo avevo mai visto né sentito. Dall’aprile del 1981, quando scoppiò la vicenda P2, era stato sempre in fuga o in prigione. Dunque, quel 21 aprile del 1988 eravamo i primi ad incontrarlo a Villa Wanda: dico noi perché erano due fotografi del Venerdì di Repubblica ad avere un appuntamento per un servizio. Io ero una sorpresa. Lasciai la redazione romana con Giampaolo Pansa che mi raccomandava: «Chiamalo Commendatore..!».

Disubbidii subito rivolgendomi a lui con un sonoro e quasi insultante «signor Gelli». «Ho bagnato di lacrime i suoi articoli», mi disse appena mi presentai. Mi accusava di non aver mai dato la sua versione dei fatti e io gli rispondevo forse un po’ aggressiva: «Ma lei perché è scappato? Di cosa aveva paura?».

Più trascorre il tempo e più mi rendo conto di quanta parte di storia italiana sia passata per Villa Wanda. E ora che lui è morto e Arezzo è diventata improvvisamente la città al centro della polemica politica italiana e si cerca di fare dei bilanci, non resta che ammettere una cosa molto semplice: Licio Gelli è stato il referente più importante degli accordi firmati all’indomani della Liberazione tra gli americani e gli alleati italiani.

L’Italia doveva assicurare una obbediente e efficace difesa dal blocco sovietico e soprattutto che il Pci fosse tenuto lontano dal governo del Paese. Gelli è stato l’alleato più fedele della destra americana e dei suoi servizi segreti. Questo ha comportato l’essere a conoscenza delle vicende più inquietanti e drammatiche della strategia della tensione e anche conoscere e proteggere alcuni responsabili di quei fatti. Inoltre Gelli ha avuto una conoscenza più che diretta di quali personaggi politici italiani sapessero e tacessero. Con ognuno di loro ha avuto per tanti decenni una sorta di patto del silenzio.

Comunque in quel colloquio mi resi conto che non avrebbe mai smentito la conoscenza dei capi politici della Dc, ma gli unici personaggi da cui era interessato a prendere le distanze erano i neofascisti toscani delle cellule di Mario Tuti e di Arezzo, che lui aveva invece incoraggiato e finanziato. Badava a ripetere: «Ma le pare che io che ho convocato tre generali dei carabinieri qui a casa mia, avrei perso del tempo con quei ragazzi?».

Ci si chiede in queste ore se sia veramente finita: se la storia della P2 si chiuda qua oppure no, se ci sia dell’altro, e altri personaggi ancora sconosciuti. Finita mi pare che non sia. Tanto più che ex piduisti, alcuni dei quali molto vicini al Venerabile, sono ancora vivi e vegeti e attivissimi. C’è ad esempio Luigi Bisignani che, giovane giornalista dell’Ansa andava ogni mattina all’hotel Excelsior a fare la rassegna stampa al Venerabile. Ci sono gli epigoni di quella “banda della Magliana”, incrocio fra servizi segreti e criminalità comune che vennero agli onori della cronaca con la fuga a Londra e la morte sotto il Ponte dei Frati Neri del banchiere piduista Roberto Calvi e che oggi spiccano nei racconti di Roma Capitale. E c’è la strana storia del generale Mario Mori che in uno dei processi siciliani per la trattativa tra Stato e Mafia è stato indicato come uno che reclutava adepti per la loggia P2.

Infine, difficile negare che restano in piedi alcuni progetti di quello che fu il “Piano di Rinascita” e che Gelli spiegò nei dettagli nella sua intervista al Maurizio Costanzo sul Corriere della Sera del 1980. La critica alla Costituzione nata dalla Liberazione è ancora quella che si fa oggi per giustificare le riforme del governo. Parola per parola. La storia si ripete, almeno quella della P2.


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