Memoria della liberazione e della libertà. "Meditate che questo è stato"(Primo Levi).

DEMOCRAZIA, BUONA EDUCAZIONE, E RISPETTO PER LA REPUBBLICA. LA LEZIONE DI TINA ANSELMI. «E’ stata quella lì a mettere sotto accusa i generali e i servizi segreti... Non ha avuto rispetto per nessuno»(Licio Gelli). A lei, alla partigiana Tina Alselmi, alla montanara testarda e limpida ... Un "pensiero" di Wladimiro Settimelli - a cura di pfls

Tina Anselmi: «Generale, lei deve rispetto alla Repubblica...»
mercoledì 18 giugno 2008.
 


Tina Anselmi: «Generale, lei deve rispetto alla Repubblica...»

di Wladimiro Settimelli *

Con voce calma e limpida aveva alzato una mano, guardando fisso l’uomo che, in piedi, girava e rigirava intorno ad una domanda . Per Tina Anselmi, era chiaro che non voleva e non intendeva rispondere. Lei allora, con aria grave aveva detto: «Signor generale, si vergogni. Lei è tenuto, per rispetto alle istituzioni, a rispondere alla domanda che lo ha fatto. E’ un soldato della Repubblica italiana e noi qui rappresentiamo proprio la Repubblica. Si ritenga agli arresti e si accomodi fuori di qui. I carabinieri lo accompagnino nell’altra stanza a riflettere. Quando deciderà di rispondere sarà di nuovo libero».

Nell’aula di Palazzo San Macuto dove si svolgevano le audizioni della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla P2, per qualche minuto si era fatto un gran silenzio. Noi cronisti, al piano di sotto, collegati con la Tv a circuito chiuso, eravamo subito schizzati via per avvertire i giornali. La Anselmi, quel giorno, aveva arrestato un generale che stava mentendo e non voleva dire la verità su certe operazioni dei servizi segreti in rapporto a Licio Gelli.

Quell’inchiesta difficile, dura e clamorosa, faceva venire a galla farabutti, mestatori, ladroni e spioni che avevano attentato alla democrazia, orientando la vita politica in senso reazionario e golpista. La guida: massoneria e servizi segreti deviati, uomini politici senza ritegno e senza vergogna, generali e ammiragli felloni, capi dei servizi di sicurezza, industriali, banchieri, giornalisti, alti magistrati che operavano in base al «piano di rinascita democratica» messo insieme da Gelli.

Ecco: a lei, alla partigiana Tina Alselmi, alla montanara testarda e limpida, era stata affidata l’inchiesta su tutto quel fango fatto di miliardi e di «poteri forti», di spie e di uomini pubblici arroganti e prevaricatori, anche del suo stesso partito. Lei aveva accettato l’incarico con l’intenzione di andare fino in fondo, in nome del popolo italiano e della democrazia.

Cosi’, il cronista, per più di due anni, si era trovato ad incontrare la Anselmi mattina e sera, all’ora di pranzo e alla fine della giornata. L’aveva anche cercata per telefono mille volte per chidere notizie o chiarimenti o l’aveva incontrata nei corridoi di Palazzo San Macuto. Così, piano, piano, aveva finito per conoscerla un po’, soltanto un po’. Ma aveva imparato che per la parlamentare dc, quello, dopo tanti anni di vita politica anche come ministro, era l’incarico più gravoso e difficile che era stata chiamata ad assolvere. E aveva imparato che di lei, gli italiani potevano avere totalmente fiducia perché non avrebbe nascosto niente nei cassetti e non avrebbe protetto proprio nessuno, se non la democrazia e la Repubblica. Sarebbe, in quei due anni generiskapoteket.com, diventata la nemica principale di Licio Gelli e dei suoi tirapiedi e avrebbe chiesto alla magistratura di intervenire ogni volta che fosse stato necessario. Avrebbe chiamato a spiegare quello che era accaduto, chiunque, anche a costo di farsi tantissimi nemici. E in quei due anni se ne sarebbe fatti di nemici. Eccome. Alla fine l’avrebbero messa da parte anche i suoi. Così è stato, ma lei non ha mai protestato, non si è fatta mai avanti e non ha chiesto nulla. E’ tornata tranquillamente alle sue montagne, ai nipoti, agli amici ai colleghi di partito locali. Tutti quelli che, insomma, le hanno sempre voluto bene.

Non si lasciava facilmente andare ai racconti dei segreti che stava piano piano tirando fuori. Tanto-diceva - io non ho da far carriera da nessuna parte e non cerco pubblicità. Un giorno, nel corridoio di San Macuto, le avevo chiesto di raccontare come era diventata partigiana. Lei, con un sorriso mesto e a bassa voce aveva risposto: «Non era stata una scelta difficile. Vede, un giorno, tutta la mia classe di ragazzine era stata portata, in centro, sulla piazza per vedere qualcosa. Non sapevamo che cosa.

I “repubblichini” andavano avanti e indietro e ci accompagnavano. Arrivammo nello slargo e vedemmo. O se vedemmo. A ogni albero c’erano dei ragazzi appesi per il collo. Impiccati. Erano partigiani. La mia compagna di banco mi teneva la mano, in silenzio. Poi, aveva cominciato a urlare ed era corsa verso uno degli alberi, alzando le braccia come per afferrare qualcosa. L’impiccato di quell’albero era il suo fratello maggiore. Non ho mai dimenticato quella mattina, quella scena e tutto quell’orrore. Da allora diventai partigiana e ogni giorno portavo i messaggi, le armi, le comunicazioni segrete. Sono qui a San Macuto anche per quei ragazzi».

Il racconto era finito e la Anselmi aveva già raggiunto le scale... Licio Gelli l’ha sempre considerata la sua nemica più terribile. Non voleva mai neanche pronunciarne il nome. Diceva: «E’ stata quella lì a mettere sotto accusa i generali e i servizi segreti... Non ha avuto rispetto per nessuno». Non sapeva che complimento stava facendo a quella donna rude e massiccia che veniva dalle montagne. Chiusa, ma anche ironica e autoironica, al punto di ridere lei stessa dei suoi modi bruschi e poco complimentosi. Era duro occuparsi ogni giorno di Calvi, Pazienza, di Gino Birindelli, Pietro Longo, Vito Miceli, Angelo Rizzoli Fabrizio Cicchitto, Silvio Berlusconi, Massimo De Carolis, Giuseppe Santovio, Maletti, Umberto Federico D’Amato e tutti gli altri. Ed era duro per lei occuparsi dei suoi colleghi di partito coinvolti in storie non certo pulite.

Come credente, diventava serissima, quando si imbatteva nei conti all’estero del Vaticano o nelle manovre di monsignor Marcinkus. Ma andava avanti. Certo che andava avanti. Un giorno l’ho vista felice, raggiante. In Piazza Montecitorio, davanti alla Camera, un gruppo di turisti italiani l’avevano riconosciuta e si erano messi ad applaudirla gridando: «Tina vai avanti, vai avanti. Non ti fermare». Conservava con cura ogni messaggio di solidarietà che riceveva. E anche le lettere anonime piene di insulti.

Nella relazioni finale della Commissione parlamentare d’inchiesta, a proposito di Berlusconi, che allora non era nessuno, ma comunque risultava iscritto alla P2, aveva scritto :«Ma come ha fatto questo signore ad ottenere, senza offrire in cambio nessuna garanzia concreta, decine di miliardi di fido dal Monte dei Paschi?». Gli uomini di Gelli nella grande banca, questa era la verità, avevano davvero lavorato bene.

* l’Unità, Pubblicato il: 25.03.07, Modificato il: 25.03.07 alle ore 15.05



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