Fango sulle istituzioni
Come Voleva Gelli
di Tina Anselmi (la Repubblica, 30 gennaio 2008)
Caro direttore,
sono stata una moderata, non certo per la forza della mia passione civile, quanto per i modi in cui ho fatto politica e i luoghi della mia collocazione politica: ho sempre militato nella Dc e di quel partito sono stata a lungo parlamentare.
Mi rivolgo pertanto a quei moderati che hanno a cuore come me le sorti dell’Italia, che rispettano le istituzioni e le regole democratiche e che sovente ho sentito dichiararsi discepoli di Alcide De Gasperi.
Non metto in dubbio la loro buona fede allorché li vedo non solo chiedere a gran voce, con la forza del loro potere di parlamentari, elezioni subito; ma li vedo già scendere in campagna elettorale in un momento tanto delicato, in cui gli stessi presidenti del Senato e della Camera hanno ribadito che questo è il tempo della riflessione, del silenzio, del lavoro del capo dello Stato.
Mi rendo conto - pur con un notevole sforzo di immaginazione e andando contro quello che è il mio modo di intendere la politica e di considerare gli avversari mai nemici e mai indegni di rispetto - che solo il loro desiderio di mettersi al più presto al servizio del Paese, di tornare a governare per "salvare" l’Italia, li abbia portati a brindare in Senato alla fine di un governo, pur sempre eletto democraticamente dalla maggioranza dei cittadini e delle cittadine di cui faccio parte anch’io.
Tuttavia, da moderata e da cattolica - educata negli ideali di Dossetti e di De Gasperi a rispettare, a difendere la laicità dello Stato e a legare strettamente l’onestà dei comportamenti all’operato politico - mi rivolgo ai tanti che ho visto maturare e crescere nelle file del mio partito, e a tutte le donne e agli uomini di buona volontà che vorranno ascoltare le mie parole. E, aggiungo, da partigiana.
Come potrei non fare riferimento a quella mia intensa, dolorosa, forte, esperienza, di giovane staffetta partigiana, in questi giorni del 2008, in cui si celebrano i sessant’anni della nostra Carta Costituzionale? Permettetemi di ricordarvi, quale testimone di quei lontani anni del primo dopoguerra, che rispettare la Costituzione non vuol dire solo rispettarne i contenuti, ma rendere omaggio ai tanti che hanno concorso a elaborarla, a quelle donne e a quegli uomini, quegli italiani, che sacrificarono la loro vita per la democrazia. Vuol dire non dimenticare le tante vittime civili, i tanti giovani e meno giovani morti in una guerra scatenata dalla follia di onnipotenza della Germania di Hitler e delle tante nazioni, tra cui ahimé l’Italia fascista di Mussolini, che combatterono al suo fianco.
Purtroppo ciò che ho visto, ho analizzato, ho capito, durante gli anni del mio lavoro quale presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sulla loggia massonica P2 di Licio Gelli, mi spinge a vedere nella attuale crisi politica una grave situazione di emergenza democratica. Mi rendo conto che gli anni di Gelli e dei suoi compagni oggi appaiano lontani, ma quanto lontani?
Ebbene, insisto, e aggiungo che la parte del progetto di Gelli legato al discredito delle istituzioni democratiche, attuato dall’interno delle medesime e dalla loro esasperata conflittualità - che molti ultimi avvenimenti testimoniano - rischia di giungere all’atto conclusivo.
Immaginate quali guasti potrebbe arrecare al tessuto connettivo del nostro Paese una campagna elettorale - e ne abbiamo già visto un anticipo - vissuta all’insegna della selvaggia contrapposizione tra i due poli, della violenza verbale, degli insulti, di altro fango gettato sulle nostre istituzioni.
Anch’io ho vissuto la stagione infelice di tangentopoli, e in quegli anni mi sono battuta a viso scoperto perché non si cadesse nel facile qualunquismo del: così fan tutti.
Vorrei pregare le persone per bene di ribellarsi a questo luogo comune scellerato: chi ha le mani pulite, chi ha la coscienza a posto, pretende, ottiene, i distinguo.
Concludo con una frase di Jacques Maritain: «Non si può costruire una democrazia se non c’è amicizia».
Sul tema, nel sito, si cfr.:
“Io, partigiana tra i piduisti”
intervista a Tina Anselmi
a cura di Enzo Biagi
in “il Fatto Quotidiano” del 28 novembre 2013 (intervista a “Linea diretta” in onda su Rai 1 il 20 marzo 1985)
Signora Anselmi, come è maturata la sua decisione di combattere la dittatura di Mussolini?
L’aver scoperto nel mio Paese e in quelli vicini cos’era la dittatura e che cosa il fascismo e il nazismo volevano portare nella nostra società. Un giorno a scuola mi obbligarono ad andare a vedere dei ragazzi che erano stati presi come ostaggi ed erano stati impiccati. Avevo 16 anni e ho incontrato la morte barbara e disumana, lì ho capito che non potevo rimanere indifferente perché nessuno di noi era più padrone della propria vita, dovevamo fare qualcosa per cambiare in meglio le cose, così, con alcuni compagni, decidemmo che fatti simili non dovevano più accadere.
I ragazzi di oggi sanno cosa vuol dire regime?
Credo poco. Molte volte mi sento dire dai ragazzi, dopo che abbiamo fatto insieme una conversazione o un dibattito dove si è parlato della mia esperienza di staffetta: “Perché queste cose non ce le avete dette prima, perché non ci avete fatto scoprire che se non prendevate in mano il Paese voi giovani, allora diciottenni, ventenni, non vi sarebbe stato un futuro per noi?”. Allora gli italiani commisero l’errore di non ribellarsi subito al dittatore, oggi di pensare che il ventennio non possa mai più tornare.
La prima donna ministro
Signora Anselmi lei è stata la prima donna ministro, ha cominciato al lavoro e poi è passata alla sanità. Quando ha iniziato a fare politica pensava di avere tanto successo?
No, assolutamente. Ho cominciato quando c’era da rischiare facendo la partigiana, poi via via si sono aperte altre occasioni e altre possibilità.
Sono i partiti che non favoriscono l’entrata delle donne in politica o sono le donne che non si danno abbastanza da fare?
C’è una certa difficoltà a convincere le donne a entrare attivamente nella politica, questa difficoltà è dovuta anche alla durezza della selezione, alla durezza dell’impegno politico, alle difficoltà che le donne trovano nei meccanismi interni dei partiti, non tanto per potersi candidare, ma soprattutto per poter riuscire a essere elette. Questo è il vero problema. C’è anche una certa resistenza nelle stesse donne a dare la preferenza a un’altra donna, anche se poi, parlando in termini generali, la donna riconosce che ce ne vorrebbero di più in politica perché la politica possa essere fatta in modo migliore. Le donne, dottor Biagi, visto che abbiamo parlato di Resistenza, di guerra partigiana, sono state fondamentali, non lo dice solo la storia, lo dicono i militari che sono vissuti al loro fianco.
È vero che i peggiori nemici si hanno nel proprio partito?
Credo di sì.
La commissione sulla Loggia P2
Lei ha presieduto la commissione sulla Loggia P2, che è al centro di polemiche durissime. Montanelli ha scritto: “In mano alla signora Anselmi resta solo il cicaleccio di portineria”. Vuol dirmi un po’ di questi pettegolezzi?
Non credo che quello che abbiamo fatto si possa ridurre a pettegolezzo: è l’esperienza più dura della mia vita politica.
Pensa che gli aderenti alla P2 volessero abbattere lo Stato, modificarlo secondo i loro modelli o fare degli affari e proteggere le loro carriere?
Probabilmente alcuni hanno aderito alla P2 per essere garantiti nella loro carriera, qualcuno per fare affari, ma la Loggia di Gelli non è una combriccola di malaffare, perché è presente nei servizi segreti e negli organi di informazione.
Può riassumere quelli che sono i risultati dell’inchiesta sulla P2.
Sì, certo, anche perché il Parlamento quando ne discuteremo, giudicherà anche sulla base della documentazione che abbiamo allegato alle dichiarazioni. Mi auguro che condivida il giudizio che la Commissione, a larghissima maggioranza, ha dato. La P2 è un pericolo per le istituzioni democratiche avendo occupato dall’interno centri di potere essenziali della vita del nostro Paese, al fine di deviare, di condizionare la vita politica del nostro Paese. Quando un Paese non vive nella trasparenza delle istituzioni è un Paese che rischia la condanna di non essere democratico e di avere il cittadino senza potere. Diceva John Kennedy: “Fin quando un solo cittadino si sentirà inutile quel Paese non avrà democrazia”. Bisogna che la democrazia mobiliti tutti, donne e uomini. La mia valutazione, che è stata quella della Commissione, è che c’è del torbido da togliere, ci sono delle ombre che vanno eliminate. La P2 è è evidentemente che gli obiettivi erano politici. Questo fa della P2 non solo uno scandalo, ma un fenomeno che deve essere guardato con più attenzione e responsabilità.
Avete riscontrato difficoltà?
La Commissione ha incontrato grandi difficoltà. Mi auguro che attorno al nostro lavoro tacciano le polemiche e vi sia una mobilitazione per andare oltre alla nostra indagine, che proprio a causa delle polemiche e delle resistenze politiche, non è riuscita, secondo il mio modesto parere, a chiarire tutto. Ci sono stati dei silenzi che non dovevamo subire.
Secondo lei chi erano le figure dominanti in quella associazione?
Le figure dominanti sono quelle che hanno composto il gruppo di comando: Gelli, Ortolani e altri personaggi, che rappresentano alcuni di quei silenzi di cui ho detto prima, la loro versione sulla vicenda non l’abbiamo potuta raccogliere, ma come la relazione ha detto, dietro a questi uomini c’erano certamente altre persone che si sono servite di loro.
Chi è Licio Gelli?
Un avventuriero che è riuscito ad accumulare una grande ricchezza, potere, amicizie molto solidali. Un abile direttore generale, soprattutto in tema di pubbliche relazioni, non gli darei altre responsabilità.
Perché si è sentita la necessità di rendere pubblici gli elenchi di tutti i massoni delle logge coperte?
Questa è stata una decisione presa all’unanimità dalla Commissione. Lo si è fatto, prevedendo la pubblicazione alla fine dei lavori, per due motivi: il primo perché non venisse mescolato questo secondo elenco con quello con i nominativi degli appartenenti alla P2; il secondo perché l’articolo 18 della Costituzione vieta la formazione di società segrete. La Commissione ha ritenuto doveroso segnalare la loro esistenza al Parlamento per rispetto della Costituzione. Lei sa che due mesi fa c’è stata una sentenza delle sezioni riunite della Corte di Cassazione che ha dichiarato illegittima l’appartenenza a logge segrete richiamandosi proprio all’articolo 18 e non solo alla legge di scioglimento della P2?
Quello che io trovo strano, nella vicenda P2, è che siano stati coinvolti dei politici del suo partito, questo vale anche per i comunisti e i socialisti, per i loro principi, per le affermazioni di fede in particolare per i democristiani, perché stare nella massoneria e contemporaneamente dall’altra parte lo ritengo una grande contraddizione.
Infatti, c’è un articolo dello statuto della Dc che dichiara inconciliabile l’appartenenza al partito con l’appartenenza alla massoneria.
Comunque si è usato un trattamento diverso per i politici coinvolti rispetto agli altri.
Bisognerebbe chiederlo ai responsabili dei singoli partiti. Per quanto riguarda la nostra Commissione, noi abbiamo usato un trattamento per certi aspetti più severo nei confronti dei politici, perché sono stati sentiti in seduta pubblica, per il loro ruolo prima di tutto devono rispondere al Paese.
Cosa pensa della fuga di Licio Gelli?
È la dimostrazione del potere che ha la P2, nonostante che qualcuno abbia tentato di minimizzarlo. Gelli e la P2 sono ancora forti, godono di troppe solidarietà, troppe complicità e la fuga dimostra che c’è chi ha interesse che Gelli non parli. La fuga gli ha permesso di sottrarsi alla Commissione oltre all’autorità giudiziaria.
Aldo Moro, Enrico Berlinguer e il partito
Il politico per lei esemplare è Aldo Moro e di Berlinguer, ha detto, conserva il ricordo di un largo sorriso. Vedeva qualcosa in comune tra questi due personaggi?
Qualcosa in comune certamente: la severità e la serietà con cui svolgevano i loro compiti, la passione per il loro Paese. Persone che hanno cercato sempre di legare il loro partito alla storia delle masse popolari del nostro paese cercando di dare a esse un potere effettivo nelle istituzioni democratiche.
Le critiche la feriscono? Lei si è trovata al centro di tante discussioni in questo ultimo periodo.
Mi feriscono quando le critiche sono chiaramente faziose e non motivate, quando invece sono motivate, naturalmente ci rifletto perché sono convinta che nella critica può esserci un elemento di verità.
Oggi bisogna ancora resistere?
Bisogna sempre resistere, non bisogna mai dimenticare che la libertà è una conquista di ogni giorno. Senza la libertà non può esserci democrazia, e quando accade significa che i cittadini non si assumono la responsabilità. La grandezza della Resistenza è stata nel fatto che essa ha reso ognuno responsabile e questo ha portato alla libertà.
DOSSIER E RICATTI
Inchiesta «P4», arrestato Luigi Bisignani
Il faccendiere alla detenzione domiciliare.
La Procura
di Napoli «indagini di ampio respiro»
MILANO - È stato arrestato il faccendiere Luigi Bisignani, nell’ambito dell’inchiesta sulla cosiddetta P4. Già iscritto alla Loggia P2, condannato a tre anni e 4 mesi nel processo Enimont, e coinvolto nell’inchiesta Why Not del pm Luigi De Magistris, a Bisignani vengono contestati ricatti, corruzione e concussione. La richiesta di detenzione ai domiciliari, oltre che per Bisignani, è stata fatta anche nei confronti del senatore Pdl ed ex magistrato Alfonso Papa. In questo caso la richiesta di arresto è stata inoltrata al Parlamento. Indagato anche un carabiniere.
APPALTI GESTITI DALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO - Sin dai tempi di Craxi ritenuto uno degli uomini più potenti d’Italia, Bisignani è stato arrestato in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare su richiesta della Procura di Napoli nell’ambito dell’inchiesta sulla P4. Tra i filoni d’indagine ci sono anche gli appalti gestiti dalla presidenza del Consiglio.
DOSSIER E RICATTI - L’indagine, condotta dai pm della Procura di Napoli Francesco Curcio e Henry John Woodcock, cerca di fare luce su un sistema informativo parallelo, quella che per i magistrati potrebbe essere una vera e propria associazione per delinquere finalizzata alla gestione di notizie riservate, appalti e nomine, in un misto, secondo l’accusa, di dossier e ricatti, anche attraverso interferenze su organi costituzionali. Oltre alla gestione di notizie riservate, l’inchiesta intende chiarire ogni aspetto in merito, appunto, ad appalti, nomine e finanziamenti. Nelle ultime settimane sono stati ascoltati come testimoni numerosi parlamentari e vertici istituzionali, compresi quelli dei servizi segreti tra cui il generale Adriano Santini presidente dell’Aise (Agenzia per le informazioni e la sicurezza esterna)
LA PROCURA: «INDAGINI DI AMPIO RESPIRO» - La Procura di Napoli definisce l’inchiesta sulla cosidetta P4 come «di ampio respiro». In una nota a firma del procuratore aggiunto Franco Greco, coordinatore della sezione reati contro la Pubblica amministrazione si spiega: «Il nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Napoli ha eseguito un’ordinanza custodia cautelare emessa dal Gip per il reato di favoreggiamento personale nei confronti del dirigente e consulente aziendale Luigi Bisignani. Le indagini da cui è derivata la misura cautelare agli arresti domiciliari - spiega Greco -, inseribili in contesto investigativo di ampio respiro e che ha interessato numerose persone, hanno riguardato l’illecita acquisizione di notizie e di informazioni, anche coperte da segreto, alcune delle quali inerenti a procedimenti penali in corso nonché di altri dati sensibili o personali al fine di consentire a soggetti inquisiti di eludere le indagini giudiziarie ovvero per ottenere favori o altre utilità»
Fiorenza Sarzanini
* Corriere della Sera, 15 giugno 2011
P2 ieri come oggi il piano (riuscito) del venerabile Licio Gelli
Una rete di “amici degli amici” piazzati nei luoghi che contano, da governo e Parlamento a giornali e televisione
di Maurizio Chierici (il Fatto, 12.06.2011)
TRENT’ANNI FA LA SCOPERTA DELLA P2 cambia la storia d’Italia, almeno lo si sperava. Era l’Italia dei democristiani, dei comunisti, dei socialisti e dei fascisti aggrappati alla nostalgia dei giorni neri. Trent’anni dopo viviamo nel Paese dei post fascisti, post comunisti, post democristiani, post socialisti, non ancora dei post piduisti perché gli uomini della P2 restano impegnati a realizzare il programma disegnato da Licio Gelli: regressione della democrazia agli statuti regi con oligarchie che svuotano la Carta costituzionale. La storia lontana accompagna coi suoi veleni i nostri giorni; storia che si nasconde ai ragazzi chiamati a disegnare il futuro. Dimenticata dai libri di scuola, dibattiti della politica e grandi pagine del passato richiamate nelle rievocazioni tv con l’impegno di oscurare la memoria che imbarazza. I protagonisti cresciuti all’ombra di Gelli minimizzano, irridono, ripiegandola in un evo da cancellare. Ecco perché ricordiamo come è cominciata e come continua e quali sono le radici della crisi che angoscia la speranza delle generazioni rese inconsapevoli da un sistema che si regge sul silenzio.
IL TERREMOTO DEL BANCO AMBROSIANO
Quel 21 maggio 1981, giovedì, un terremoto sveglia Milano. Sette protagonisti dell’alta finanza finiscono nelle prigioni di Lodi: da Roberto Calvi, Banco Ambrosiano, a Carlo Bonomi a Mario Valeri Manera. Coinvolta anche la Banca Cattolica del Veneto ma Massimo Spada, presidente decaduto, è un vecchio malato e il procuratore Gerardo D’Ambrosio concede gli arresti domiciliari. Hanno trafugato all’estero capitali importanti attorno alla trama del finto rapimento d iMichele Sindona e dell’assassinio del dottor Giorgio Ambrosoli, eroe borghese che scavava negli affari della mafia e della loggia P2. Reazione della Borsa “composta“, nessun trasalimento.
La speculazione sapeva delle segrete cose e aveva metabolizzato in tempo le manette. Ma é l’informazione a fare i conti. I piani di Gelli prevedono la sparizione della Rai in favore di un’egemonia privata; pianificano una catena fedeledigiornaliguidatidalCorrieredellaSera.Alla grande notizia il Corriere dedica il grande titolo e l’articolo di fondo. Un po’ sotto racconta dell’ordine di cattura che insegue Gelli. Nei suoi cassetti nascondeva documenti protetti dal segreto di Stato come il rapporto-Cossiga sullo scandalo Eni-Petromin. Quali mani glielo hanno passato? E perché?
L’avvenimento che fa tremare il governo di Arnaldo Forlani (democristiano) lo racconta Antonio Padellaro, ma la direzione del Corriere sembra distratta: titolino a una sola colonna: “Nella notte, dopo una giornata di dubbi e ripensamenti, il presidente del Consiglio decide di rendere di dominio pubblico gli elenchi sulla loggia P2 trasmessi al governo dai giudici milanesi. Si tratta di uomini politici, industriali, alti burocrati, alti militari, giornalisti: tutti hanno subito smentito”. Forlani resiste da settimane: se i nomi escono il suo governo cade, troppi amici coinvolti. Inventa una commissione di tre saggi ai quali affidare “il delicato compito di accertare eventuali responsabilità”. Ma l’inquietudine attraversa i partiti di governo e alla fine Forlani si arrende alle richieste della sinistra che ha mano libera perché nessun comunista risulta affratellato a Gelli.
Le pagine interne del Corriere annunciano il vertice dei leader di maggioranza per decidere l’opportunità delle dimissioni di ministri e militari che brillano nell’elenco fatale. Subito, Silvano Labriola, presidente dei deputati socialisti, prova a mettere i cerotti: promuove un’iniziativa per denunciare “l’uso arbitrario dei poteri da parte dei magistrati inquirenti”. I furori contro la magistratura, che poi ritroveremo con Silvio Berlusconi, cominciano così. La scelta del Corriere di nascondere fin dove possibile l’identità dei protagonisti è l’ultima difesa di un giornale con editore,direttore,unpo’difirme,nell’elencodei 963 affiliati.
Lo racconta il giornalista Raffaele Fiengo: presiedeva il comitato di redazione - la rappresentanza sindacale interna al giornale - sbalordito dalla rivelazione che sgualcisce la credibilità del primo quotidiano d’ Italia: “Non potevamo non pubblicare i nomi anche se nell’elenco c’erano il direttore Franco Di Bella, amministratori e proprietà, Maurizio Costanzo e Roberto Gervaso: insomma, tanti”. Il titolo insinua il dubbio della disperazione:“PresuntalistadellaLoggiaP2”.Ma per i lettori quasi impossibile leggerne i nomi. Caratteri formica, invisibili. Pagina grigia, righe gremite.
La presenza di Di Bella crea agitazione e fino all’ultimo momento non si sa se il giornale andrà in edicola. Palazzo Chigi diffonde l’elenco a un’ora impossibile per rimpicciolire l’effetto tv nelle notizie della notte, tentativo di limitare i danni che certe voci delCorriereprovanoarilanciare: “Se non ci fosse il nome del direttore sarebbe meglio...”. Accanto ad ogni protagonista dell’azienda, la smentita: Angelo Rizzoli, editore, “si duole di essere al centro di un gioco al massacro”. Di Bella ripete che “30 anni di giornalismo pulito alla luce del sole cancellano da soli qualsiasi militanza in oscure e segrete logge”. E poi l’indignazione dei personaggi legati alla casa editrice: Maurizio Costanzo, Paolo Mosca. Arriva da Roma il disprezzo di Fabrizio Cicchito, ala radicale della sinistra lombardiana del Psi: “Il gioco al massacro prosegue”. Spiegando e implorando comprensione, un po’ alla volta si arrendono.
Maurizio Costanzo confessa il piduismo in tv a Giampaolo Pansa. Gelli ancora non gli perdona di aver picconato il muro della fratellanza. Se il povero Corriere sospira, gli altri giornali raccontano senza riverenze: Repubblica, l’Espresso, il Panorama di Lambertio Sechi e La Stampa, che affida a Luca Giurato (oggi show man televisivo) lo sconvolgimento di Via Solferino. Indro Montanelli sfuma: “Una volta ho incontrato Gelli accompagnato da un amico. Cercavo finanziamenti per il Giornale. Impressione modesta, magliaro inaffidabile. Mediocre, un po’ ridicolo.Nonpuò avere immaginato un intrigodi questa dimensione, sempre che la dimensione venga confermata“. Forse è proprio Gelli ad accostarlo a Berlusconi. Le fantasie si perdono nel caos delle ipotesi. Montanelli sembra non sapere del Forlani che per due mesi prova a nascondere i nomi: “Li ha voluti pubblicare battendo i pugni sul tavolo e dobbiamo essergliene grati”. Dedica un’intera pagina all’intervistaalmaestronascostotraArgentinaed Uruguay (ma forse era solo a Ginevra). La firma è di Renzo Trionfera, massone non piduista.
FORSE DUEMILA AFFILIATI
Venerabile ricercato che attacca: “La lista è falsa”, e in un certo senso ha ragione. Perché la commissione di Tina Anselmi raccoglie testimonianze che raddoppiano il gruppo degli affiliati, forse duemila, forse di più: purtroppo il nuovo elenco non si trova. Chissà chi lo ha fatto sparire. Le parole di Gelli attraversano le abitudini politiche degli ultimi 30 anni: veri colpevoli i magistrati che inventano crimini inesistenti. Se altri si lasciano andare, Berlusconi non si arrende. Querela due giornali che parlano della militanza P2. Giura il falso in tribunale e la Corte d’appello di Venezia “ritiene che le sue dichiarazioni non rispondano a realtà”. Non si è arruolato(comegiura)pocoprimadelsequestro delle liste per dare una mano all’amico Gervaso in difficoltà al Corriere della Sera. Gervaso passeggiava nei corridoi di Via Solferino a braccetto dell’editore col passo sorridente di un vicerè.
Berlusconi chiede di far parte della P2 appena comincia il ’78. La ricevuta dell’iscrizione prova un primo versamento di 100 mila lire. Poco dopo comincia a scrivere sul grande giornale. Gli articoli arrivano alla direzione con titolo e sommario e l’ordine di una collocazione di rispetto. Appena Di Bella se ne va e il presidente Sandro Pertini impone ad Alberto Cavallari di diventare direttore per “restituire al Corriere la dignità che merita”, Cavallari proibisce la collaborazione di ogni piduista: pulizia non facile con, negli uffici accanto, editore e amministratore delegato, Bruno Tassan Din, cuore di tenebra della loggia, sempre al loro posto, mentre una strana ribellione accende una parte della redazione. Il redattore Vittorio Feltri, portavoce dei craxiani, arringa le assemblee invitando alla rivolta. Appena Cavallari è costretto a lasciare e le redini passano a Piero Ostellino, torna la firma di Berlusconi nelle pagine dell’economia. Comincia a nascere l’Italia che elezioni e referendum di questi giorni provano a mandare in pensione.
Mino Pecorelli, (tessera P2) annota nel diario le visite a Milano2 assieme a Gelli e Umberto Ortolani, finanziere della loggia. Ricorda l’ospitalità squisita del Cavaliere. Diventa “il pasticciere“ per i dolci che accolgono gli ospiti. Li accompagna nei parcheggi sotterranei dove langue Telemilano. “Se avessi le possibilità potrei fare concorrenza alla Rai...”. Lo interrompe Ortolani: “Per i capitali non è un problema: sono in Svizzera“. Pecorelli è il giornalista che ondeggia tra servizi e logge segrete. Viene assassinato in redazione mentre preparava un dossier dedicato a Giulio Andreotti. La sentenza della corte di Venezia condanna il Cavaliere per falsa testimonianza. Ma un’amnistia cancella la pena, fedina penale immacolata e nel ’94 può diventare presidente del Consiglio.
"Quella mano della P2 e i mandanti mai trovati"
Ciampi: "Dimenticata la relazione Anselmi"
di Giorgio Battistini (la Repubblica, 03.08.2009)
ROMA - «Ricordo perfettamente», dice Carlo Azeglio Ciampi, presidente della Repubblica nel settennato precedente a quello di Giorgio Napolitano. «Ricordo quei giorni del ‘93. Ero da poco stato eletto presidente del Consiglio in un momento non facile. C’era un clima molto teso dopo le bombe di Firenze, Milano, Roma. Quando presi la parola sul palco per ricordare la bomba alla stazione di Bologna di oltre un decennio prima cominciò la contestazione».
Fischi, grida, che cos’altro?
«Ostilità varie, diffuse. Che però si placarono quasi subito. E partì un applauso non a me ma all’istituzione che rappresentavo: la presidenza del Consiglio».
Ieri però a Bologna il clima era ben diverso. Spazientito dal rito delle celebrazioni, dalla passerella delle autorità che sfilano davanti alla tv. Un’insofferenza che ricordava i cupi funerali all’indomani della strage, poche bare sul sagrato di san Petronio, Pertini che appoggia il braccio su quello del sindaco Zangheri, i fischi in piazza per Craxi e Cossiga. Stesso clima?
«No, qualcosa è cambiato. La gente che protesta chiede la verità su una vicenda che tanto dolore ha provocato. Io capisco quel desiderio di conoscere la verità»
Per quella strage tra gli altri è stato condannato in tribunale a Bologna un alto funzionario dello Stato imputato di depistaggio delle indagini. Lo Stato depistava lo Stato? Ma allora hanno ragione quelli che hanno parlato, per la lunga tragedia italiana che ha insanguinato parte del dopoguerra, di "guerra civile a bassa intensità"?
«Non sono in grado di entrare nei particolari delle indagini. Quella cerimonia è capitata in un periodo davvero speciale. Ricordo l’entusiasmo del ‘93 per l’accordo sul costo del lavoro. Poi la lunga serie di attentati in nottata. Ero a Santa Severa, rientrai con urgenza a Roma, di notte. Accadevano strane cose. Io parlavo al telefono con un mio collaboratore a Roma e cadeva la linea. Poi trovarono a Palazzo Chigi il mio apparecchio manomesso, mancava una piastra. Al largo dalla mia casa di Santa Severa, a pochi chilometri da Roma incrociavano strane imbarcazioni. Mi fu detto che erano mafiosi allarmati dalla legge che istituiva per loro il carcere duro. Chissà, forse lo volevano morbido, il carcere».
C’era uno strano clima in quei giorni, strane voci, timori diffusi...
«E forse anche qualcosa di più. Alle otto di mattina del giorno dopo il ministro dell’Interno Nicola Mancino e io riferivamo in Parlamento. Poco dopo ci fu l’anniversario della strage di Bologna. Una celebrazione sotto la canicola. Quando cominciai a parlare la piazza iniziò a rumoreggiare. Poi ci fu l’applauso per gli scomparsi. Più tardi incontrai i familiari delle vittime».
Avvertiva anche lei l’ombra di qualcosa, di qualcuno nei palazzi del potere che remava contro l’Italia?
«Certo anch’io mi chiedo come mai la grande, lunga complessa inchiesta della commissione parlamentare sulla loggia P2 guidata da Tina Anselmi a Palazzo San Macuto abbia avuto così poco seguito. Ricordo quei giorni, ricordo che l’onorevole Anselmi era davvero sconvolta. Mi chiamò alla Banca d’Italia (ero ancora governatore) e mi disse "lei non sa quel che sta venendo a galla". Lei, la Anselmi, il suo dovere lo compì. Non credo però che molti uomini della comunicazione siano andati a fondo a leggere quelle carte. Il procuratore Vigna sapeva quel che faceva».
In quasi trent’anni ancora non si sa nulla dei mandanti. Né si sospetta nulla?
«La violenza purtroppo era ed è diffusa in Europa. Penso alla Spagna, alla Grecia. Anche adesso la violenza continua a manifestarsi, talvolta si prendono gli esecutori, quasi mai i mandanti nell’ombra. Penso all’indagine dei giudici Vigna e Chelazzi (purtroppo scomparso) nel ‘93-’94: avevano trovato gli esecutori, ma non i mandanti. Ricordo però che di mezzo c’era spesso la mafia che si batteva per modificare la legge sul carcere duro».
Che cosa le è rimasto di quei giorni, a distanza di tanto tempo?
«E’ una materia vissuta molto dolorosamente e con grande partecipazione, mentre resta forte il desiderio di conoscere tutta la verità. In quelle settimane davvero si temeva anche un colpo di Stato. I treni non funzionavano, i telefoni erano spesso scollegati. Lo ammetto: io temetti il peggio dopo tre o quattro ore a Palazzo Chigi col telefono isolato. Di quelle giornate, quel che ricordo ancora molto bene furono i sospetti diffusi di collegamento con la P2».
Marini: "Piccolo margine di successo"
Pressing su Forza Italia: "Ascolti le forze sociali"
Conslusa la seconda giornata di consultazioni. Appello del presidente del Senato: "Forza Italia ascolti quello che chiede la società civile". Udc: "Governo solo se ci stanno tutti". Verdi e Pdci: "Sì alla stessa maggioranza di Prodi". Bertinotti: "Sinistra unita alle urne". E’ sempre muro contro muro. Ma domani sfilano davanti a Marini le associazioni di industria, commercio e sindacati
21:07 Napolitano: "Italia agitata e confusa"
21:04 Il calendario di domani a palazzo Giustiniani
Il primo incontro sarà con i rappresentanti delle imprese.Marini vedrà insieme Confindustria, Confcommercio, Confcooperative, Confagricoltura, Confartigianato, Cna, Confesercenti, Legacoop e Casartigiani. Alle 10,30 toccherà a Cgil, Cisl e Uil. Alle 11,30 ci sarà il colloquio con il Comitato per il Referendum, alle 12,15 quello con l’Ugl e infine, alle 12,30, l’incontro con il Comitato per la legge elettorale.
20:56 Calderoli: "Paradosso consultazioni con parti sociali"
Il vicepresidente leghista del Senato Roberto Calderoli attacca le scelta del presidente Marini: "Siamo arrivati al paradosso massimo. Che le parti sociali vengano consultate per dare vita ad un governo del Paese è veramente incredibile, tanto più che questi al governo ci sono sempre stati". La Lega ha deciso di disertare i colloqui
* Fonte: la Repubblica, 01.02.2008 (parziale).
In caso di scioglimento anticipato delle Camere, le segreterie dei partiti
continuano a ricevere i rimborsi elettorali della XV legislatura, quella attuale
Il voto anticipato regala
300 milioni alle casse dei partiti
La legge destina 50 milioni all’anno ai partiti per ciascuna delle due Camere
Una norma del febbraio 2006 non interrompe l’erogazione anche se finisce il mandato
di CLAUDIA FUSANI *
ROMA - Sciogliere adesso le Camere e andare a votare significa regalare 300 milioni di euro ai partiti, cento milioni all’anno per i prossimi tre anni, fino al 2011, scadenza naturale della XV legislatura. Viene in mente "Lascia o raddoppia?", il gioco a quiz con cui gli italiani cominciarono a vincere soldi in tv nella seconda metà degli anni Cinquanta. Solo che stavolta i beneficiari sono i partiti e chi ci rimette è lo Stato, cioè i cittadini.
Il gioco, se così si può chiamare, è molto semplice: ogni anno i partiti si dividono, a seconda dei voti che hanno ricevuto, una torta di circa 50 milioni di euro che vanno sotto la voce rimborsi elettorali. Cinquanta milioni per ognuno dei cinque anni di legislatura. Una volta, secondo logica, se la legislatura finiva il rimborso veniva interrotto per lasciare il posto a quello nuovo che comunque sarebbe arrivato.
Invece nel febbraio 2006, ancora in sella il governo Berlusconi, interviene una piccolissima modifica che garantisce "l’erogazione del rimborso elettorale anche in caso di scioglimento delle Camere". Significa che i partiti rappresentati nel prossimo Parlamento - molti dei quali assolutamente identici - prenderanno due volte il rimborso elettorale. Succederà sicuramente a Forza Italia e al Pd che sommerà i rimborsi "vecchi" dell’Ulivo e quelli "nuovi" del Partito democratico. Forse anche in questo banalissimo calcolo di cassa sta una delle ragioni della volontà di tornare al voto. Votare conviene.
Da 800 lire a 1 euro. La "guida" in questo viaggio nello spreco è Silvana Mura, deputata dell’Italia dei Valori e tesoriera del partito che per ben due volte, nella Finanziaria votata nel dicembre 2006 e in quella approvata a dicembre scorso, ha provato a cambiare le cose. Rimbalzando nel muro di gomma degli stessi partiti. Mani pulite e il successivo referendum avevano abolito nel 1993 il finanziamento pubblico ai partiti che nel 1999 rispunta fuori sotto la dizione "rimborso elettorale". Fin qui niente di strano. Anzi, civilmente corretto visto che i partiti sono al servizio dei cittadini ed è giusto che abbiamo un rimborso per le loro spese.
Il rimborso viene quantificato in 800 lire per ogni voto ogni anno. L’arrivo dell’euro fa raddoppiare i prezzi di frutta e pane ma anche il rimborso ai partiti che nel 2002 - governo Berlusconi - da 800 lire passa a 1 euro tondo per ogni voto. Nessuno dice niente. I rimborsi scattano per le elezioni europee, Camera e Senato e regionali. Con i ritmi elettorali che ci sono in Italia praticamente è un rimborso continuo che puntuale compare ogni anno nei bilanci di Camera e Senato.
Doppio scandalo. Gli "scandali", così li chiama l’onorevole Mura, in questa pratica tutta italiana sono almeno due. Il primo: "Il fondo dei rimborsi elettorali è una cifra fissa calcolata non in base a chi va effettivamente alle urne ma sul numero degli aventi diritto". Uno spreco nello spreco che vale qualche milione di euro. Il fondo annuale, tanto per la Camera tanto per il Senato, è pari a 49 milioni e 964 mila 574 euro. Ma il numero delle persone che vota non corrisponde mai agli aventi diritto e il numero degli aventi diritto per il Senato è inferiore a quello della Camera. Qualche esempio. Nel 2006 per la Camera ha votato l’83% degli aventi diritto. Se il rimborso fosse reale, cioè solo per chi ha votato, sarebbe stato pari a 41 milioni e 789 mila euro, "un risparmio", secondo i conti di Silvana Mura, di "otto milioni di euro all’anno". Per il Senato ha votato il 76% degli aventi diritto, pari a 38 milioni di euro circa con un risparmio di 11 milioni all’anno.
Il secondo scandalo. E’ quello che scatta nel caso di scioglimento anticipato delle camere. Fino al 2006 il rimborso veniva interrotto se si andava al voto. Più che logico visto che con la nuova legislatura scatta quello nuovo. Nel febbraio 2006, secondo governo Berlusconi, la norma viene così modificata: "In caso di scioglimento della Camere l’erogazione del rimborso è comunque effettuata". Una riga che vale qualche centinaia di milioni di euro. "Abbiamo provato - spiega Silvana Mura - a cambiare e a sostituire la parola "effettuata" con "interrotta" ma non ci siamo riusciti". E’ impossibile perché il credito è vincolato. Come se uno accendesse un mutuo su quel rimborso: poi non puoi più rinunciarci perché vincolato.
Così vanno le cose. "Una generosa liquidazione dovuta a una norma scandalosa che incentiva la fine anticipata della legislatura" dice Silvana Mura. Che accusa: "I partiti hanno trovato il modo di guadagnare anche sulle crisi di governo".
Il resoconto della Gazzetta Ufficiale documenta che Forza Italia prenderà comunque 12 milioni l’anno fino al 2011 oltre a quelli che incasserà per il rimborso della XVI legislatura, la prossima. L’Ulivo ne prenderà circa 16 a cui potrà aggiungere i milioni che riceverà il neonato Pd. Chissà se nelle consultazioni si è parlato di questo inedito "Lascia o raddoppia?".
* la Repubblica, 1 febbraio 2008.
Crisi, terzo giorno dei consultazioni
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Oggi Franco Marini vede le parti sociali: industriali, commercinati, sindacati e referendari.
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"Chiunque dovesse vincere le elezioni consideri la prossima legislatura come costituente. La società civile manda un messaggio alla politica: quello di mettere al centro l’interesse dell’Italia - dice Luca Cordero di Montezemolo dopo l’incontro con Marini - Se per lunedì o martedì non dovessero esserci le condizioni, non bisogna perdere tempo: si facciano le elezioni il giorno dopo"
10:19 Cusumano: "Continuo il mio cammino"
"La mia presenza qui è il segno di un cammino iniziato il giorno del voto sulla fiducia al governo Prodi a Palazzo Madama. Un cammino che si concretizzerà con il coinvolgimento dei tanti amici siciliani che liberamente sceglieranno di seguirmi nel progetto del partito democratico". Così il senatore Nuccio Cusumano, espulso dall’Udeur dopo avere votato, in contrasto con i colleghi di partito, la fiducia al governo Prodi ha commentato la sua presenza al convegno organizzato a Palermo dal Pd "La Sicilia nuova è passione, lavoro e legalità".
09:54 Via all’incontro con Montezemolo
Iniziato l’incontro tra il presidente incaricato Franco Marini e i nove leader delle Associazioni imprenditoriali firmatarie del ’Manifesto per la governabilita. A guidare il gruppo è il presidente di Viale dell’Astronomia Luca Cordero di Montezemolo.
09:11 Pezzotta: "Imprenditoria a servizio del Paese"
"Mi chiedo e chiedo se personaggi importanti della borghesia illuminata e dell’imprenditoria globalizzata possano continuare a rimanere assenti dalla vicenda civile e pubblica del nostro Paese" dice Savino Pezzotta (ex leader Cisl e promotore del progetto Officina).
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