Inviare un messaggio

In risposta a:
Memoria della liberazione e della libertà. "Meditate che questo è stato"(Primo Levi).

DEMOCRAZIA, BUONA EDUCAZIONE, E RISPETTO PER LA REPUBBLICA. LA LEZIONE DI TINA ANSELMI. «E’ stata quella lì a mettere sotto accusa i generali e i servizi segreti... Non ha avuto rispetto per nessuno»(Licio Gelli). A lei, alla partigiana Tina Alselmi, alla montanara testarda e limpida ... Un "pensiero" di Wladimiro Settimelli - a cura di pfls

Tina Anselmi: «Generale, lei deve rispetto alla Repubblica...»
mercoledì 18 giugno 2008 di Maria Paola Falchinelli
[...] per la parlamentare dc, quello, dopo tanti anni di vita politica anche come ministro, era l’incarico più gravoso e difficile che era stata chiamata ad assolvere. E aveva imparato che di lei, gli italiani potevano avere totalmente fiducia perché non avrebbe nascosto niente nei cassetti e non avrebbe protetto proprio nessuno, se non la democrazia e la Repubblica [...]
Forza ITALIA. Una nota di TINA ANSELMI

Tina Anselmi: «Generale, lei (...)

In risposta a:

> DEMOCRAZIA, BUONA EDUCAZIONE, E RISPETTO PER LA REPUBBLICA. -- L’integrità scomoda di Tina Anselmi (di Chiara Saraceno) - Un’amica e una compagna (di Luciana Castellina)

mercoledì 2 novembre 2016

L’integrità scomoda di Tina Anselmi

La Commissione sulla P2 le costò l’isolamento e l’ostracismo da parte del suo partito per l’inflessibilità con cui la condusse

di Chiara Saraceno (la Repubblica, 02.11.2016)

ORA che Tina Anselmi è morta tutti si ricordano di lei e ne esaltano la figura politica ed umana, il ruolo importante che ha avuto nella costruzione della democrazia italiana fin dalla sua origine, con la Resistenza, e successivamente con il lavoro nel sindacato e poi, da politica e ministra, con il sostegno attivo alla parità tra le donne e gli uomini, al diritto alla salute tramite l’istituzione del servizio sanitario nazionale. E, ancora, come presidente della Commissione di indagine sulla P2, che le costò l’isolamento e poi l’ostracismo da parte del suo partito per l’inflessibile integrità con cui la condusse e la tenacia con cui continuò a chiedere che se ne traessero le conseguenze sul piano giudiziario e politico. Quell’ostracismo che prima la fece emarginare dalla politica e poi è diventato un lungo oblio.

Per molti, troppi anni ci si è dimenticati di lei, ben prima che la malattia la costringesse a chiudere i suoi ponti con il mondo. È vero che ad ogni elezione presidenziale, a partire dal 1992, qualche gruppo della società civile ha fatto il suo nome come possibile candidata. Ma è sempre rimasta una cosa puramente simbolica, senza alcuna eco, e tanto meno sostegno, non solo nei partiti, a partire dal suo e dai suoi colleghi di un tempo tuttora ben insediati nei gangli del potere, ma anche nei giornali e nei media e in parte anche nel movimento delle donne.

Non veniva neppure nominata quando si evocava ritualmente quel gruppo di persone che si amava definire “riserva della nazione” - tutti rigorosamente del sesso “giusto”, anche se non tutti avevano e hanno un curriculum umano e politico dello suo spessore. Non l’hanno fatta neppure senatrice a vita, cosa che io, che non sono mai stata democristiana, trovo personalmente non solo una ingiustizia, ma uno scandalo nei confronti di una persona alla quale la democrazia italiana è molto debitrice e che avrebbe più che meritato di occupare un ruolo designato per chi ha “illustrato la patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario”. Non l’avrà illustrato in campo scientifico, artistico o letterario, ma sociale sicuramente sì.

Non ci hanno pensato né Ciampi né Napolitano, i due presidenti che avrebbero potuto farlo e dai quali ci si sarebbe aspettati la sensibilità necessaria per deciderlo. Rimane il sospetto che non lo abbiano fatto perché era non solo una donna, caratteristica che nel nostro Paese continua ad essere una debolezza quando si tratta di trovare figure rappresentative, ma perché la sua storia politica, proprio per le sue caratteristiche di autonomia e integrità, la rendeva scomoda. Meglio lasciarla nell’oblio.

La sua rimozione dalla narrazione pubblica è talmente riuscita che, quando Elsa Fornero venne designata ministra del Lavoro nel governo Monti, molti, anche nei media, parlarono di prima donna a capo di quel dicastero, dimenticando che c’era stata, molti anni prima, appunto Anselmi, in un periodo altrettanto difficile e quando non era affatto scontato per una donna trattare da pari a pari con i colleghi di governo, con i rappresentanti sindacali e delle imprese.

La riparazione, parziale, a questo lungo oblio è avvenuta solo pochi mesi fa, quando le è stato dedicato un francobollo. Chissà che cosa avrebbe detto, quando era ancora lucida e piena di ironia, di questa monumentalizzazione ex post e quando ormai era fuori gioco, lei che ancora pochi anni fa aveva ammonito: «Lo ripeto sempre, a cominciare dalle mie nipotine, che nessuna vittoria è irreversibile. Dopo aver vinto possiamo anche perdere. Negli anni Sessanta e nei primi anni Settanta noi donne impegnate in politica e nei movimenti femminili e femministi, noi parlamentari con responsabilità nei partiti e nel governo eravamo ancora pioniere. Questa parola fa pensare che in seguito saremmo diventate più numerose e avremmo contato di più. Purtroppo, certe speranze sembrano non aver dato i frutti che avevano in serbo». Aggiungo che per lei «contare di più» non significava solo “esserci”, ma lavorare per migliorare la qualità sia della vita delle persone sia della democrazia.


Un’amica e una compagna

Tina Anselmi partigiana

di Luciana Castellina (il manifesto, 02.11.2016)

Un’epoca in cui l’organizzazione giovanile democristiana era fortemente influenzata dalla sua corrente di sinistra e fra noi giovani comunisti e loro ci si annusava sospettosi ma anche interessati. Ho ancora fra le foto che conservo in un pannello sulla mia scrivania quella di una cena - a Trento - in occasione del loro congresso cui io avevo assistito come «ospite» per conto della nostra federazione.

Siamo ambedue giovanissime, Tina solo due anni più di me, abbastanza per aver partecipato in prima persona alla Resistenza nel suo trevigiano, con il nome di battaglia Gabriella. Entrò nelle sue file - mi raccontò - dopo aver assistito all’ assassinio di 31 partigiani. Diventammo quasi amiche, io credo che ci siamo sentite in qualche modo «compagne», se a questa parola si dà il significato dovuto e che tutt’ora io le do: non la comune appartenenza ad una organizzazione, ma a un comune sentire. Perché così è stato con Tina.

Un giorno la invitai a pranzo a casa e la presentai a mia figlia che aveva pochissimi anni. Quando le dissi che era democristiana Lucrezia mi guardò inorridita: dei democristiani lei aveva sempre sentito dire il peggio e non capiva come fosse possibile che una di loro mettesse piede a casa nostra e conversasse con me come una persona normale. Io e Tina, dello sguardo scandalizzato e perplesso di mia figlia ridemmo di cuore, Lucrezia rimase invece a lungo diffidente.

Poi lei diventò deputata, mentre io rimasi a lungo militante delle organizzazioni povere della sinistra: la Fgci, l’Udi, poi il manifesto. La cosa aveva riflessi ferroviari: la incontravo spesso, nel mio girovagare, alla stazione di Padova e lei mi diceva: «Vien, vien, che tiro zo un leto». E così venivo ospitata nel suo vagon-lit , evitando lo scomodissimo sedile dello scompartimento cui il mio biglietto mi destinava.

Non voglio dire qui che tutti i dc erano come Tina. Purtroppo no. Lei è stata una persona davvero speciale, ma che aveva comunque un tratto analogo a quello di un settore di quel maledetto partito che tanto abbiamo - e giustamente - combattuto. Una sua ala popolare e in qualche modo anticapitalista. No, non ho certo nostalgia della Dc, né del compromesso storico, che purtroppo fu un’intesa con ben altra Dc. (Ma forse anche voi lettori vi ricorderete che Luigi Pintor per molti anni metteva sempre un postscriptum ai suoi editoriali, per dire, sconsolato: «Moriremo democristiani». All’ultimo, ricordo, aveva aggiunto: «Magari»).

Anche se i miei ricordi personali di Tina sono precedenti al suo ingresso nei governi Andreotti, vorrei aggiungere che sono stata molto contenta quando è diventata ministro. Come capo del dicastero della sanità, Tina contribuì infatti non poco a dare esito positivo alla lunga lotta per l’istituzione in Italia del Servizio sanitario nazionale.

Se posso aggiungere una considerazione che si riferisce ad una questione politica calda, il referendum costituzionale (cosa che di solito non si fa nel contesto di una commemorazione funebre) vorrei aggiungere che quella vittoria popolare, fu possibile, come altre in quegli anni - statuto dei lavoratori, divorzio, aborto, ecc. - perché c’erano spazi per l’espressione dei conflitti e canali affinché trovassero riflesso nelle istituzioni.

La forza dell’opposizione sociale, accompagnata alla presenza di una forte minoranza in parlamento a quella strettamente legata ai movimenti di lotta, consentì quella dialettica democratica che sfociò in compromessi anche molto avanzati (e che non a caso oggi siamo qui a difendere coi denti). Alla democrazia - e dunque alla società - non serve un esecutivo reso efficiente dall’assenza di intralci - ma un conflitto tanto forte da imporre un dialogo. Certo il dialogo con Tina è stato altra cosa che quello con Andreotti. Ma lei era una «compagna».


Questo forum è moderato a priori: il tuo contributo apparirà solo dopo essere stato approvato da un amministratore del sito.

Titolo:

Testo del messaggio:
(Per creare dei paragrafi separati, lascia semplicemente delle linee vuote)

Link ipertestuale (opzionale)
(Se il tuo messaggio si riferisce ad un articolo pubblicato sul Web o ad una pagina contenente maggiori informazioni, indica di seguito il titolo della pagina ed il suo indirizzo URL.)
Titolo:

URL:

Chi sei? (opzionale)
Nome (o pseudonimo):

Indirizzo email: