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Memoria dell’"Alleanza di fuoco"

A QUANDO L’AFRICA? Joseph Ki-Zerbo (Toma, Alto Volta, 1922 - Ouagadougou, Burkina Faso, 2006). Il più grande storico dell’"Africa nera" nel ricordo di Eugenio Melandri - a cura di pfls

«La coscienza è la responsabilità. È la guida che governa il focolare incandescente dello spirito umano».
sabato 31 marzo 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] Un uomo che ha creduto fino in fondo all’unita’ africana. "Un proverbio burkinabe’ dice: ’i legni bruciano solo quando stanno vicini’. Noi ora siamo divisi e nessun paese da solo puo’ farcela ad uscire dalla crisi. Dobbiamo unirci per accendere il fuoco. Solo allora potremo dare un colore nuovo all’arcobaleno".
[...]
Wikipedia

EUGENIO MELANDRI RICORDA JOSEPH KI-ZERBO * (...)

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> A QUANDO L’AFRICA? ---- Un brano della traduzione dell’Orfeo nero di Jean-Paul Sartre.

martedì 15 dicembre 2009

Un brano della traduzione del celebre saggio del filosofo francese

Il problema della razza e l’Orfeo nero di Sartre

Separati dalle lingue, dalla politica e dalla storia dei loro colonizzatori, i neri hanno in comune una memoria collettiva

di Jean-Paul Sartre (la Repubblica, 15.12.2009)

Pubblichiamo alcune pagine di "Orfeo nero", il famoso saggio del 1948 di ripubblicato da Marinotti

Nei secoli della schiavitù il nero ha bevuto il calice dell’amarezza fino alla feccia; e la schiavitù è un fatto passato che né i nostri autori né i loro padri hanno conosciuto direttamente. Ma resta sempre un enorme incubo dal quale neppure i più giovani sanno se si sono completamente risvegliati. Da un capo all’altro della terra i neri, separati dalle lingue, dalla politica e dalla storia dei loro colonizzatori, hanno in comune una memoria collettiva (...)

Così quando il nero si volge alla sua esperienza fondamentale, questa si rivela a un tratto a due dimensioni: si tratta, contemporaneamente, di una comprensione intuitiva della condizione umana e della memoria ancora vivida di un passato storico. (...)

Il nero, grazie al semplice approfondimento della sua memoria di antico schiavo, afferma che il dolore è il destino degli uomini e che proprio per questo il dolore non ne è meno immeritato. Egli rigetta con orrore il marasma cristiano, il piacere triste, l’umiltà masochista e tutti gli inviti tendenziosi alla rassegnazione; vive l’assurdità della sofferenza nella sua purezza, nella sua ingiustizia e nella sua gratuità e vi scopre questa verità misconosciuta o mascherata dal cristianesimo: la sofferenza ha in se stessa il suo proprio rifiuto; è essenzialmente il rifiuto di soffrire, è il volto in ombra della negatività, si apre alla rivolta e alla libertà. (...)

Strana e decisiva svolta: la razza si è trasformata in storicità, il Presente nero esplode e si inserisce nel tempo, la Negritudine si inserisce con il suo Passato e il suo Futuro nella Storia Universale, non è più uno stato neppure un atteggiamento esistenziale, è un Divenire; il contributo nero all’evoluzione dell’Umanità non è più un sapore, un gusto, un ritmo, una autenticità, un insieme di istinti primitivi: è un’impresa datata, una costruzione paziente, un futuro. È in nome delle qualità etniche che il nero, proprio adesso, rivendica il suo posto al sole; ora è sulla sua missione che fonda il suo diritto alla vita; e questa missione, proprio come quella del proletariato, gli viene dalla sua situazione storica: perché egli, più di ogni altro, ha sofferto dello sfruttamento capitalistico, più di ogni altro, ha appreso il senso della rivolta e l’amore della libertà. Ed essendo il più oppresso, egli persegue necessariamente la liberazione di tutti, quando lavora per la propria libertà.

Ma possiamo, dopo tutto ciò, credere ancora all’omogeneità interiore della negritudine? E come dire cosa essa sia? Ora è una innocenza perduta, che è esistita solo in un lontano passato, e ora una presenza che si realizzerà solo nell’ambito della Città futura. Ora si contrae in un attimo di fusione panteistica con la Natura ed ora si estende fino a coincidere con l’intera storia dell’Umanità; ora è un atteggiamento esistenziale ed ora sembra un obiettivo delle tradizioni nero-africane. La si riscopre? La si crea?

Per il nero autentico si tratta di vedere se il suo comportamento deriva dalla sua essenza come le conseguenze derivano da un principio, oppure si è negri allo stesso modo in cui il fedele di una religione è credente, ossia nel timore e nel tremore, nell’angoscia, nel rimorso continuo di non essere mai abbastanza ciò che si vorrebbe essere? Si tratta di un dato di fatto o di valore? Dell’oggetto di una intuizione empirica o di un concetto morale? Si tratta di una conquista della riflessione o se la riflessione l’avvelena? Se essa non mai autentica che nell’irriflesso e nell’immediato? Si tratta della spiegazione sistematica dell’anima nera o di un Archetipo platonico al quale ci si può avvicinare indefinitamente senza però mai raggiungerlo? E’ per i neri, come il nostro buon senso di ingegneri, la cosa al mondo meglio distribuita? O discende in alcuni come una grazia e sceglie essa sola i suoi eletti?

Certamente si risponderà che la negritudine è tutto questo e molte ben altre cose ancora.

© 2009 Christian Marinotti Edizioni (traduzione e cura di Santo Arcoleo)


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