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Referendum

La legge 40, duemila anni fa. Una nota (del 2005) di don Enzo Mazzi - a cura di Federico La Sala

LA "SACRA FAMIGLIA" DELLA GERARCHIA CATTOLICO-ROMANA E’ ZOPPA E CIECA: IL FIGLIO HA PRESO IL POSTO DEL PADRE DI GESU’ E DEL "PADRE NOSTRO" ... E CONTINUA A "GIRARE" IL SUO FILM PREFERITO, "IL PADRINO".
domenica 23 ottobre 2011 di Federico La Sala
Ogni cultura ha le sue contraddizioni. Il cristianesimo non fa eccezione. Nato come movimento popolare messianico, di alternativa radicale ai poteri costituiti, in una insignificante provincia dell’impero, si è trovato dopo meno di tre secoli proiettato ai vertici del potere imperiale, riconosciuto come religione di stato di tutto l’impero. «È noto che il diritto penale romano ha accompagnato l’evoluzione del cristianesimo antico. Dapprima questo ultimo è stato vittima del diritto della (...)

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> La legge 40 --- I veri diritti di mamma e papà (di Michela Marzano) - Le nuove genitoriLITà (di Aldo Antonelli)

sabato 12 aprile 2014

I veri diritti di mamma e papà

di Michela Marzano (la Repubblica, 10.04.2014)


CON la decisione presa ieri dalla Consulta sulla fecondazione eterologa è caduto l’ultimo paletto imposto dalla tristemente celebre legge 40. Non si potrà più impedire la fecondazione a chi, per avere figli, ha bisogno di ricorrere a un dono di gameti (ovuli o sperma).

E NON si potranno quindi più discriminare alcune coppie sterili. Perché d’altronde focalizzarsi sui legami genetici esistenti o meno tra genitori e figli senza accettare l’evidenza del fatto che non è certo il patrimonio genetico che rende una donna “madre” o un uomo “padre”?

Come diceva lo scrittore francese Marcel Pagnol, quando un bimbo nasce, pesa tre o quattro chili. Poi cresce, e mette su i “chili amore” dei propri “ parents”, termine che in francese designa i “genitori sociali”, da non confondere con la parola “ géniteurs” che indica invece i “genitori biologici”. Ancora una volta, però, l’Italia è vittima di un provincialismo culturale che impedisce a molti di capire che la genetica non potrà mai spiegare la complessità dei legami familiari, e che le questioni “eticamente sensibili” dovrebbero essere affrontate con rigore e lucidità.

Ci si immagina che rendere possibile l’inseminazione eterologa significhi trasformare la maternità e la paternità in una sorta di marketing con compravendita di gameti. Si fantastica che il dono di gameti possa introdurre in una coppia il “fantasma dell’adulterio”. Si invoca il primato dell’interesse dei bambini rispetto a quelli degli adulti, ricordando il diritto dei figli a conoscere le proprie origini.

Nessuno di questi argomenti, però, è decisivo. Anzi. Basta analizzarli con serenità - guardando anche come gli altri paesi europei hanno affrontato la questione della fecondazione eterologa - per rendersi conto della loro inconsistenza.

Nel momento in cui si organizza il dono di gameti sulla base dei principi di gratuità e di anonimato, come accade ad esempio in Francia già dal 1994, vengono meno molti pericoli: non è la coppia che sceglie i donatori, ma i medici, che decidono sulla base di criteri strettamente sanitari; i donatori non vengono mai remunerati per il dono che fanno e non acquisiscono alcuna relazione giuridica parentale con i bambini; il dono è solo “dono di materiale genetico”, e non ha né “volto”, né “nome”.

Per quanto riguarda poi la questione delle origini, basterebbe ricordare la sentenza del 18 novembre 2013 della Corte Costituzionale, in cui si spiega come permettere ad un figlio di conoscere le proprie origini significhi permettergli di “accedere alla propria storia parentale”. Ma quando si parla di storia, non si parla certo di “codice genetico”, a meno di immaginare che il codice genetico ci racconti la storia dei nostri genitori. Quella storia che li ha portati a desiderarci o meno, a volerci crescere e darci o meno affetto, a trasmetterci o meno valori e principi.

Il caso dei bambini adottati, in questo senso, non ha niente a che vedere con quello dei bambini nati grazie ad un’inseminazione eterologa. Nell’adozione, c’è sempre la storia di un abbandono. Storia cui è sicuramente importante avere accesso, anche solo per poter fare il lutto di quest’abbandono. Ma quale abbandono ci sarebbe nel caso di chi è nato grazie ad un dono di gameti? La storia parentale, in questo caso, non è forse quella di chi, sterile, desiderava a tal punto avere un figlio che è ricorso ad un dono di gameti?

Chi si oppone con accanimento alla fecondazione eterologa forse dimentica (o fa finta di dimenticare) che non c’è bisogno di ricorrere alle tecniche procreative per trattare i figli come “oggetti” a propria disposizione. Basta desiderare un figlio per colmare un vuoto oppure perché i propri sogni e i propri desideri possano un giorno realizzarsi, per trasformare i figli in “cose”. E lo stesso vale per tante altre motivazioni che spingono ad avere un figlio, che si tratti del conformismo o del desiderio di avere una discendenza. Ma questo, appunto, vale sempre, non solo nel caso in cui si ricorra ad una fecondazione eterologa.

Diventare genitori è sempre complesso: si tratta di accogliere un’altra vita riconoscendola come “altro” rispetto a sé; significa aiutare a crescere chi dipende in tutto e per tutto da noi; significa amare incondizionatamente e senza ricatti. Poco importa, poi, se ci siano stati ostacoli o incidenti di percorso o se, per far nascere un figlio, ci sia stato bisogno di ricorrere ad un dono di gameti. Chi può anche solo immaginare che avere lo stesso patrimonio genetico dei propri genitori metta al riparo dalle difficoltà della vita?


LE NUOVE GENITORIALITA’

di Aldo Antonelli *

"La tecnica si è definitivamente installata nel cuore di questi due momenti cruciali (la nascita e la morte), e ne sta spostando il dominio dall’orizzonte della necessità e della storia evolutiva, a quella della volontà e della cultura"; così scriveva Aldo Schiavone su La Repubblica del 28 Luglio 2008.

E’ un bene o un male?

E’ una conquista di civiltà o un retromarcia nella preistoria della barbarie?

E’ un avanzamento del fronte morale che richiede un di più di maturazione e determinazione di coscienza o una ricaduta all’indietro, nel regno della dittatura selvaggia dell’istinto?

E’ dentro questi interrogativi che si gioca l’alternativa tra una morale naturalistica, legata non tanto alla natura in sé quanto ad una determinata “comprensione” della natura storicamente data, e un’etica della coscienza, impiantata negli orizzonti di amore e di responsabilità liberamente assunti all’interno di una scelta di fede.

La “morale” come precettistica non ha nulla a che fare con un’etica della responsabilità che interpella il “senso” delle cose e delle scelte e non l’“assenso” dei comportamenti. Nulla ha a che fare con una «Trascendenza etica che non si lascia catturare dall’ethos di un gruppo o di un popolo ma vi si conficca dentro come inquietudine e messa in discussione» (Carmine Di Sante).

I cattolici adulti, convinti che il vangelo non predica una morale ma apre ad una dimensione che sta oltre la morale, non possono barricarsi nella riduzione positivistica della morale che altro non è che la razionalizzazione - cioè la legittimazione nel quadro sociale - che l’individuo conferisce al proprio comportamento.

Non a caso il teologo belga Gabriel Ringlet, vicerettore dell’Università di Lovanio, ebbe ad affermare, a questo proposito, «i nostri contemporanei vogliono senso, ma rifiutano il pensiero normativo. E la Chiesa fa fatica a produrre senso senza produrre norme. Ecco la straordinaria conversione che le è chiesta».

Anche il Card. C. M. Martini riconosceva che "Il problema morale è il problema dell’orizzonte complessivo entro il quale ogni aspetto della vita e dell’attività umana deve trovare la sua giusta collocazione ed anche la misura di autonomia che gli compete. E la fede illumina tale orizzonte di significato, orientando così il conseguente discernimento pratico". (Cfr: Giovanni Bianchi: “Martini politico e la laicità dei cristiani”).

Di fronte alle nuove tecnologie di impianto e di fecondazione il problema della “genitorialità”, libero dalla dittatura della “fisicità genetica”, cresce e si apre a nuove prospettive, non più legate ai termini di “carne e di sangue” (per usare una forte espressione evangelica), ma strette in un rapporto di autentico amore. Non si capisce e pone seri problemi di coerenza evangelica questa difficoltà da parte dei cristiani ad accettare la fecondazione eterologa: proprio loro che, scrive san Giovanni all’inizio del suo Vangelo, «non da sangue né da volontà di carne... furono generati» (Giovanni 1,13). In questa prospettiva, noi cristiani, non solo non dovremmo sentirci a disagio ma dovremmo dare il nostro convinto e soddisfatto benvenuto.

Condividendo in toto l’interrogativo con il quale Michela Marzano, sulle pagine di Repubblica di ieri, chiudeva il suo bell’articolo: «Perché focalizzarsi sui legami genetici esistenti o meno tra genitori e figli senza accettare l’evidenza del fatto che non è certo il patrimonio genetico che rende una donna "madre" o un uomo "padre"?». E’ proprio vero: «Predicare la morale è facile - scriveva Schopenhauer in una lettera a Kant -; il difficile è fondarla»!

*

http://www.huffingtonpost.it/don-aldo-antonelli/eterologa-legge-40_b_5130160.html


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