Ogni cultura ha le sue contraddizioni. Il cristianesimo non fa eccezione. Nato come movimento popolare messianico, di alternativa radicale ai poteri costituiti, in una insignificante provincia dell’impero, si è trovato dopo meno di tre secoli proiettato ai vertici del potere imperiale, riconosciuto come religione di stato di tutto l’impero. «È noto che il diritto penale romano ha accompagnato l’evoluzione del cristianesimo antico. Dapprima questo ultimo è stato vittima del diritto della spada (le persecuzioni); poi i cristiani, certo non senza discussioni, si appellarono al “braccio secolare” contro i pagani, contro i barbari, contro gli eretici.
Il decreto dell’imperatore Teodosio del 27 febbraio 380, per citare il documento più emblematico dell’epoca, stabilisce che “solo chi segue papa Damaso (366-384) può attribuirsi il nome di cristiano cattolico”. Gli altri incorrono “già su questa terra nel nostro (dell’imperatore) castigo, secondo la decisione che noi abbiamo tratto dall’ispirazione celeste”. Se dunque nell’antichità vi è stato un legame indissolubile tra “natura, uomo, Dio, ethos, religione”, per essere fedeli alla storia, si sarebbe dovuto collegarvi anche il diritto e il diritto nella sua forma coercitiva e penale». Ha scritto queste cose qualche anno fa, nel 1999, addirittura un cardinale membro della Congregazione per la Dottrina della Fede presieduta dal card. Ratzinger, il card. Pierre Eyt, delfino dello stesso Ratzinger, oltre che arcivescovo di Bordeaux. Le ha scritte sul quotidiano cattolico francese La Croix in aperta polemica con la “parzialità” ideologica di Ratzinger, il quale parlava, e parla, di cristianesimo come verità e amore ma si dimenticava (e si dimentica?) del cristianesimo come potere e potere coercitivo. Il cristianesimo ha in sé i segni di una tale complessità storica, è segnato dalle orme del suo cammino nei secoli impresse nella sua identità profonda.
C’è nel cristianesimo ben visibile il potere, la ricchezza, l’inflessibilità. Ma ha mantenuto anche quell’ansia profetica di un “mondo nuovo”, radicalmente nuovo, che Gesù e i suoi seguaci, uomini e donne del popolo, pescatori poveri ed emarginati, chiamavano “Regno di Dio”.
Quest’anima del non-potere, della esclusione, non è mai stata completamente affogata dall’onda lunga della ricchezza e del potere. M’introduco in un ambito teologico un po’ complesso che però i cattolici dovrebbero sempre tenere presente. La profezia biblica, cioè la Parola di Dio, non solo non è ideologica, ma ha in sé un principio perfettamente opposto all’ideologia: il principio della incessante ricerca umana.
La Bibbia assume la storia nella sua complessità, assume le dinamiche che hanno spinto e spingono l’umanità ad approfondire consapevolezze, a ricercare strategie e soluzioni per affrontare, in contesti differenti, il grande tema della vita.
È proprio l’opposto della legge 40. Basta pensare all’esperienza di Abramo, il padre di tutti i credenti. Apriamo il Libro della Genesi al Cap. 16 e troviamo una profezia per noi sconcertante. È un racconto mitico, come tanti altri della Bibbia, ma proprio per questo è particolarmente significativo perché assume le imperfezioni della condizione umana come strumento di salvezza: «Sara, moglie di Abramo, non gli aveva dato figli. Avendo però una schiava egiziana chiamata Agar, Sara disse ad Abramo: “Ecco, il Signore mi ha impedito di aver prole; unisciti alla mia schiava: forse da lei potrò avere figli”. Abramo ascoltò la voce di Sara. Così, al termine di dieci anni da quando Abramo abitava nel paese di Canaan, Sara prese Agar l’egiziana, sua schiava e la diede in moglie ad Abramo, suo marito. Egli si unì ad Agar, che restò incinta. ... L’angelo del Signore andò incontro ad Agar presso una sorgente d’acqua nel dserto, la sorgente sulla strada di Sur, e le disse: “Moltiplicherò la tua discendenza e non si potrà,contarla per la sua moltitudine”. Soggiunse poi l’angelo del Signore: “Ecco, sei incinta: partorirai un figlio e lo chiamerai Ismaele, perché il Signore ha ascoltato la tua afflizione”. Agar chiamò il Signore, che le aveva parlato: “Tu sei il Dio della visione”.
Questa profezia sulla procreazione non è la sola. Un altro racconto biblico mitico è la discendenza di Gesù da un figlio d’incesto: Fares. «Giuda (uno dei dodici figli di Giacobbe, antenato fondamentale della genealogia di Gesù) prese una moglie per il suo primogenito Er, la quale si chiamava Tamar. Ma Er, primogenito di Giuda, si rese odioso al Signore e il Signore lo fece morire. Allora Giuda disse a Onan (il suo secondo figlio): “Unisciti alla moglie del fratello, compi verso di lei il dovere di cognato e assicura così una posterità per il fratello”. Ma Onan sapeva che la prole non sarebbe stata considerata come sua; ogni volta che si univa alla moglie del fratello, disperdeva per terra, per non dare una posterità al fratello. Ciò che egli faceva non fu gradito al Signore, il quale fece morire anche lui. Allora Giuda disse alla nuora Tamar: “Ritorna a casa da tuo padre come vedova fin quando il mio figlio Sela (il figlio più piccolo) sarà cresciuto”. Perché pensava: “Che non muoia anche questo come i suoi fratelli!”. Cos ì Tamar se ne andò e ritornò alla casa del padre». Passano anni ma Giuda non rispetta il diritto di Tamar di avere figli. Allora Tamar escogita un piano ingegnoso: si traveste da prostituta, adesca Giuda e resta incinta. Quando Giuda scopre che Tamar è incinta intima di farla bruciare. Ma Tamar gli dimostra con segni precisi che il bimbo che porta in seno è figlio di lui. Allora Giuda esce con questa affermazione “Ella è più giusta di me”. Il figlio di Tamar e di Giuda sarà chiamato Fares e da lui è fatto discendere David e quindi Gesù.
Le storie di Agar e di Tamar sono presentate dalla Bibbia come esemplari, profetiche, ma non come dogmi. Non è teorizzato l’uso delle schiave in sostituzione di mogli sterili né l’incesto per dar prole ai mariti che muoiono senza figli. Il principio che viene esaltato è l’evoluzione continua e senza fine del cammino umano. È il cammino umano in quanto evoluzione che viene assunto da Dio e animato dal didentro.
E così dovrebbe essere oggi nei confronti della ricerca attuale sulla procreazione la vita. Ma la profezia più significativa e ardita è il concepimento di Gesù da parte di Maria sua madre. Non entro nella problematica riguardante il significato storico del concepimento verginale di Gesù. Se il racconto sia metaforico o reale. Voglio solo rilevare che gli autori dei Vangeli esaltano il diritto di Maria di avere un figlio al di fuori delle norme che a quel tempo regolavano la procreazione.
Maria concepisce Gesù con una fecondazione fuori dalle norme. Si potrebbe dire che se ci fosse stata la legge 40 Gesù non sarebbe mai nato. Con parole forse più convincenti dice queste stesse cose quel cardinale Eyt che ho già citato sopra, nella conclusione del suo intervento su La Croix, in contraddittorio appunto col card. Ratzinger: «Il tempo che viviamo è segnato da un’evoluzione profonda della coscienza morale e giuridica. Questa evoluzione non potrebbe apportarci qualcosa di nuovo e di più chiaro, qualcosa che si configuri come una “razionalità” diversa da quella dell’antichità e del Medioevo?
Su questi temi, che pongono degli interrogativi profondi, la riflessione della chiesa non può rinchiudersi nell’evocazione di un’età dell’oro, sempre discutibile. Non possiamo, al contrario, mettere un po’ più alla prova alcune nostre concezioni e pratiche di fronte alla provocazione della razionalità e della sensibilità di oggi e verosimilmente di domani?».
Cari pastori e laici cattolici, la nostra Chiesa può affrontare la prova del cammino umano nella fase attuale con un po’ più di fiducia nelle donne e negli uomini, come invita a fare il card. Eyt, piuttosto che con divieti, leggi, inviti a disertare il confronto delle urne?
di Enzo Mazzi* (L’Unità, 04.06.2005, pp. 1/24)
*(sacerdote)
Sul tema, nel sito, si cfr.:
MICHELANGELO E LA SISTINA (1512-2012). I PROFETI INSIEME ALLE SIBILLE PER LA CHIESA UN GROSSO PROBLEMA ....
DOPO 500 ANNI, PER IL CARDINALE RAVASI LA PRESENZA DELLE SIBILLE NELLA SISTINA E’ ANCORA L’ELEMENTO PIU’ CURIOSO.
Il diritto “incoercibile” di avere figli
di Vladimiro Zagrebelsky (La Stampa, 11.06.2014)
Incoercibile. Un diritto incoercibile. Con un aggettivo inusuale se posto accanto al sostantivo diritto, la Corte Costituzionale ha felicemente colto l’essenza della questione. La scelta di una coppia di formare una famiglia con figli è incoercibile. Incoercibile in diritto, ma prima ancora nella realtà.
Una coppia assolutamente sterile o infertile, che decide di sottoporsi alla lunga, onerosa, penosa trafila della procreazione medicalmente assistita, dimostra una volontà (una rivendicazione del proprio diritto) che nessun legislatore può contrastare.
Non può il legislatore, come ha detto la Corte Costituzionale, perché la Costituzione lo vieta, ma non può ancora prima perché quella coppia cercherà ogni via possibile per realizzare la sua scelta di vita privata e famigliare. Infatti il legislatore italiano, vietando la fecondazione con gameti estranei alla coppia, aveva dovuto prendere atto che il divieto che imponeva sarebbe stato facilmente aggirato, semplicemente varcando il confine e recandosi in una delle tante cliniche che si trovano sui siti internet. Ipocrisia: qui te lo vieto, vai a farlo fuori. Ipocrisia tanto più intollerabile quando pretende di muovere da esigenze etiche.
La Corte Costituzionale ha ricondotto la determinazione di una coppia di ricorrere alla fecondazione eterologa alla fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi riguardo alla sfera privata e famigliare: una libertà che deriva dalla Costituzione, dalla Convenzione europea dei diritti umani, dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e discende dal rispetto dovuto alla dignità umana. In più in questa materia entra in discorso anche il diritto alla salute della coppia, che non è la sola salute fisica.
La Corte analiticamente ha dimostrato che la sua sentenza, che rende possibile alle coppie di sesso diverso la fecondazione anche eterologa, non lascia vuoti di disciplina, ma ha comunque avvertito che spetta alla saggezza del legislatore eventualmente provvedere.
Dopo che con la legge 40 del 2004 il legislatore italiano aveva abbandonato ogni saggezza, sostituendola con l’arroganza di chi crede, sol perché dispone di una maggioranza in Parlamento, di poter comprimere senza ragione i diritti e le libertà fondamentali delle persone, il richiamo alla saggezza è importante.
In materia il primo dato di saggezza è il senso del limite, che anche la legge trova nel rispetto della libertà delle persone. Tra queste, come stabiliscono i trattati internazionali che l’Italia ha sottoscritto, c’è anche quella di avvalersi del progresso della scienza e delle conquiste della medicina, che rendono ora possibile realizzare il diritto di dar vita a un figlio, anche quando un tempo ciò sarebbe stato impossibile.
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“Avere un figlio non è un diritto da ricchi”
Fecondazione, le motivazioni della Consulta sull’eterologa e le 9mila coppie in attesa
Il medico: “La politica resti fuori”
di Chiara Paolin (il Fatto, 11.06.2014)
La sentenza della Corte Costituzionale sulla inseminazione eterologa è stata pubblicata ieri sera, e da oggi diventa legge per chi non riesce ad avere un bimbo con i materiali biologici della coppia e deve quindi cercare un donatore di sperma o - più frequentemente - una donatrice di ovulo.
La Corte ha detto cose semplici. Primo: tutti hanno diritto a farsi una famiglia. Secondo: genitori sono gli adulti che si occupano di un figlio, per esempio adottivo, perciò il fattore biologico non conta. Terzo: chi soffre di sterilità deve poter contare sulle tecniche più avanzate senza alcuna distinzione di classe sociale, perché avere un bimbo non può essere roba da ricchi.
“Questo è l’aspetto che mi piace di più” dice Carlo Bulletti, capo dell’Unità operativa di fisiopatologia della riproduzione dell’Asl Romagna, a Cattolica. Un centro pubblico d’eccellenza, che vuole offrire a costi accessibili le sue cure: “Adesso cambia tutto, perché il dispositivo chiarisce un punto fondamentale: non c’è un vuoto normativo, l’impianto delle leggi sul trapianto di organi sono già sufficienti a normare la materia. L’unico vero rischio è che si metta di mezzo la politica”.
IN EFFETTI Eugenia Roccella, deputato Ncd, ha subito bollato come incompleta la sentenza: “Sarà possibile la donazione di gameti tra consanguinei, per esempio tra sorelle o tra madre e figlia? Se vale l’accostamento con l’adozione, non è logico che il figlio avuto con l’eterologa abbia diritto a conoscere le proprie origini, come quello adottato?”. Il medico Bulletti scuote la testa: “Per fissare i dati minimi della questione, come i limiti di età dei donatori o la quantità di materiale da donare (soprattutto per le donne), basta una semplice valutazione di merito adattando i nostri protocolli a quelli già in uso in Europa. Se invece i partiti volessero aprire una battaglia sulle regole si tornerebbe immediatamente al Medioevo che abbiamo appena lasciato”.
“Ora il ministero della Salute aggiorni le linee guida previste dalla legge 40 e ferme dal 2008, e convochi un tavolo con le società scientifiche, con le organizzazioni civiche e le associazioni di pazienti infertili per costruire indicazioni minime necessarie” aggiunge Maria Paola Costantini, referente nazionale per la Pma di Cittadinanzattiva. Intanto le associazioni dei centri fertilità informano che già 9mila coppie italiane sono in lista d’attesa per valutare l’eterologa. In concreto, ogni struttura reagirà a modo proprio: non essendoci più divieti derivanti dalla Legge 40 sarà possibile impostare percorsi diversi.
MOLTI GIURANO di avere a disposizione gameti femminili utili a tentare l’inseminazione con una semplice donazione spermatica del maschio. “Non è semplicissimo - frena Bulletti -, perché il materiale crioconservato non ha passato tutti i controlli utili alla fecondazione eterologa. Naturalmente se le donatrici e i donatori si presentassero nei centri fertilità spontaneamente potremmo procedere subito, ma il meccanismo è impegnativo, perciò servirà un ulteriore passaggio tecnico per avviare in modo seriale la cura”.
Le ipotesi più semplici sono l’egg-sharing (chi riceve gli ovuli in “omaggio” paga la stimolazione della donatrice, dividendo con lei gli ovuli stessi) o l’indennizzo, cioè una somma di denaro offerta alla donatrice per il tempo e le cure dedicate alla donazione (oggi in Gran Bretagna l’indennizzo si aggira sui 700 euro).
I veri diritti di mamma e papà
di Michela Marzano (la Repubblica, 10.04.2014)
CON la decisione presa ieri dalla Consulta sulla fecondazione eterologa è caduto l’ultimo paletto imposto dalla tristemente celebre legge 40. Non si potrà più impedire la fecondazione a chi, per avere figli, ha bisogno di ricorrere a un dono di gameti (ovuli o sperma).
E NON si potranno quindi più discriminare alcune coppie sterili. Perché d’altronde focalizzarsi sui legami genetici esistenti o meno tra genitori e figli senza accettare l’evidenza del fatto che non è certo il patrimonio genetico che rende una donna “madre” o un uomo “padre”?
Come diceva lo scrittore francese Marcel Pagnol, quando un bimbo nasce, pesa tre o quattro chili. Poi cresce, e mette su i “chili amore” dei propri “ parents”, termine che in francese designa i “genitori sociali”, da non confondere con la parola “ géniteurs” che indica invece i “genitori biologici”. Ancora una volta, però, l’Italia è vittima di un provincialismo culturale che impedisce a molti di capire che la genetica non potrà mai spiegare la complessità dei legami familiari, e che le questioni “eticamente sensibili” dovrebbero essere affrontate con rigore e lucidità.
Ci si immagina che rendere possibile l’inseminazione eterologa significhi trasformare la maternità e la paternità in una sorta di marketing con compravendita di gameti. Si fantastica che il dono di gameti possa introdurre in una coppia il “fantasma dell’adulterio”. Si invoca il primato dell’interesse dei bambini rispetto a quelli degli adulti, ricordando il diritto dei figli a conoscere le proprie origini.
Nessuno di questi argomenti, però, è decisivo. Anzi. Basta analizzarli con serenità - guardando anche come gli altri paesi europei hanno affrontato la questione della fecondazione eterologa - per rendersi conto della loro inconsistenza.
Nel momento in cui si organizza il dono di gameti sulla base dei principi di gratuità e di anonimato, come accade ad esempio in Francia già dal 1994, vengono meno molti pericoli: non è la coppia che sceglie i donatori, ma i medici, che decidono sulla base di criteri strettamente sanitari; i donatori non vengono mai remunerati per il dono che fanno e non acquisiscono alcuna relazione giuridica parentale con i bambini; il dono è solo “dono di materiale genetico”, e non ha né “volto”, né “nome”.
Per quanto riguarda poi la questione delle origini, basterebbe ricordare la sentenza del 18 novembre 2013 della Corte Costituzionale, in cui si spiega come permettere ad un figlio di conoscere le proprie origini significhi permettergli di “accedere alla propria storia parentale”. Ma quando si parla di storia, non si parla certo di “codice genetico”, a meno di immaginare che il codice genetico ci racconti la storia dei nostri genitori. Quella storia che li ha portati a desiderarci o meno, a volerci crescere e darci o meno affetto, a trasmetterci o meno valori e principi.
Il caso dei bambini adottati, in questo senso, non ha niente a che vedere con quello dei bambini nati grazie ad un’inseminazione eterologa. Nell’adozione, c’è sempre la storia di un abbandono. Storia cui è sicuramente importante avere accesso, anche solo per poter fare il lutto di quest’abbandono. Ma quale abbandono ci sarebbe nel caso di chi è nato grazie ad un dono di gameti? La storia parentale, in questo caso, non è forse quella di chi, sterile, desiderava a tal punto avere un figlio che è ricorso ad un dono di gameti?
Chi si oppone con accanimento alla fecondazione eterologa forse dimentica (o fa finta di dimenticare) che non c’è bisogno di ricorrere alle tecniche procreative per trattare i figli come “oggetti” a propria disposizione. Basta desiderare un figlio per colmare un vuoto oppure perché i propri sogni e i propri desideri possano un giorno realizzarsi, per trasformare i figli in “cose”. E lo stesso vale per tante altre motivazioni che spingono ad avere un figlio, che si tratti del conformismo o del desiderio di avere una discendenza. Ma questo, appunto, vale sempre, non solo nel caso in cui si ricorra ad una fecondazione eterologa.
Diventare genitori è sempre complesso: si tratta di accogliere un’altra vita riconoscendola come “altro” rispetto a sé; significa aiutare a crescere chi dipende in tutto e per tutto da noi; significa amare incondizionatamente e senza ricatti. Poco importa, poi, se ci siano stati ostacoli o incidenti di percorso o se, per far nascere un figlio, ci sia stato bisogno di ricorrere ad un dono di gameti. Chi può anche solo immaginare che avere lo stesso patrimonio genetico dei propri genitori metta al riparo dalle difficoltà della vita?
LE NUOVE GENITORIALITA’
di Aldo Antonelli *
"La tecnica si è definitivamente installata nel cuore di questi due momenti cruciali (la nascita e la morte), e ne sta spostando il dominio dall’orizzonte della necessità e della storia evolutiva, a quella della volontà e della cultura"; così scriveva Aldo Schiavone su La Repubblica del 28 Luglio 2008.
E’ un bene o un male?
E’ una conquista di civiltà o un retromarcia nella preistoria della barbarie?
E’ un avanzamento del fronte morale che richiede un di più di maturazione e determinazione di coscienza o una ricaduta all’indietro, nel regno della dittatura selvaggia dell’istinto?
E’ dentro questi interrogativi che si gioca l’alternativa tra una morale naturalistica, legata non tanto alla natura in sé quanto ad una determinata “comprensione” della natura storicamente data, e un’etica della coscienza, impiantata negli orizzonti di amore e di responsabilità liberamente assunti all’interno di una scelta di fede.
La “morale” come precettistica non ha nulla a che fare con un’etica della responsabilità che interpella il “senso” delle cose e delle scelte e non l’“assenso” dei comportamenti. Nulla ha a che fare con una «Trascendenza etica che non si lascia catturare dall’ethos di un gruppo o di un popolo ma vi si conficca dentro come inquietudine e messa in discussione» (Carmine Di Sante).
I cattolici adulti, convinti che il vangelo non predica una morale ma apre ad una dimensione che sta oltre la morale, non possono barricarsi nella riduzione positivistica della morale che altro non è che la razionalizzazione - cioè la legittimazione nel quadro sociale - che l’individuo conferisce al proprio comportamento.
Non a caso il teologo belga Gabriel Ringlet, vicerettore dell’Università di Lovanio, ebbe ad affermare, a questo proposito, «i nostri contemporanei vogliono senso, ma rifiutano il pensiero normativo. E la Chiesa fa fatica a produrre senso senza produrre norme. Ecco la straordinaria conversione che le è chiesta».
Anche il Card. C. M. Martini riconosceva che "Il problema morale è il problema dell’orizzonte complessivo entro il quale ogni aspetto della vita e dell’attività umana deve trovare la sua giusta collocazione ed anche la misura di autonomia che gli compete. E la fede illumina tale orizzonte di significato, orientando così il conseguente discernimento pratico". (Cfr: Giovanni Bianchi: “Martini politico e la laicità dei cristiani”).
Di fronte alle nuove tecnologie di impianto e di fecondazione il problema della “genitorialità”, libero dalla dittatura della “fisicità genetica”, cresce e si apre a nuove prospettive, non più legate ai termini di “carne e di sangue” (per usare una forte espressione evangelica), ma strette in un rapporto di autentico amore. Non si capisce e pone seri problemi di coerenza evangelica questa difficoltà da parte dei cristiani ad accettare la fecondazione eterologa: proprio loro che, scrive san Giovanni all’inizio del suo Vangelo, «non da sangue né da volontà di carne... furono generati» (Giovanni 1,13). In questa prospettiva, noi cristiani, non solo non dovremmo sentirci a disagio ma dovremmo dare il nostro convinto e soddisfatto benvenuto.
Condividendo in toto l’interrogativo con il quale Michela Marzano, sulle pagine di Repubblica di ieri, chiudeva il suo bell’articolo: «Perché focalizzarsi sui legami genetici esistenti o meno tra genitori e figli senza accettare l’evidenza del fatto che non è certo il patrimonio genetico che rende una donna "madre" o un uomo "padre"?». E’ proprio vero: «Predicare la morale è facile - scriveva Schopenhauer in una lettera a Kant -; il difficile è fondarla»!
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http://www.huffingtonpost.it/don-aldo-antonelli/eterologa-legge-40_b_5130160.html
Giustamente
La legge 40 non c’è più. Il resto sono chiacchiere
di Bruno Tinti (il Fatto, 11.04.2014)
LA CORTE costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità del divieto di fecondazione eterologa (l. 40/2004). Ora una coppia che non può avere figli può utilizzare lo sperma o l’ov u l o di una terza persona. Fino adesso non si poteva: i poveretti erano costretti ad andare all’estero, Spagna, Svizzera, Olanda etc. Naturalmente non sempre un solo viaggio era sufficiente: come avviene nei rapporti naturali, non è detto che all’accoppiamento segua la gravidanza. E così spesso i viaggi della speranza diventavano numerosi. Con l’ovvia discriminazione di chi non aveva adeguate possibilità economiche. Si trattava di una norma assurda: razionalmente prima che eticamente.
1) Il ministro Lorenzin ha subito detto che l’incostituzionalità della legge non significa che da domani la fecondazione eterologa sarà a disposizione di tutti. “È un fenomeno complesso da regolamentare, ci deve pensare il Parlamento”. Evidentemente costei ignora il principio fondamentale secondo cui ciò che non è esplicitamente proibito è lecito. Il divieto è caduto perché incostituzionale; il Parlamento certamente non può riproporlo; chi vuole servirsi di seme od ovuli di estranei alla coppia non ha più ostacoli.
2) Sempre Lorenzin: “Dobbiamo regolamentare l’anonimato dei donatori”. E perché? Supponiamo che una coppia infertile si rivolga a un amico o un’amica e gli chieda di donare seme od ovuli. Chi glielo impedirà? E chi potrà vietargli di recarsi con il prodotto presso una clinica e chiedere la fecondazione? Il divieto non c’è più. Ed è ovvio che, in casi come questi, l’identità del donatore è pacifica.
3) “Si deve vietare il commercio di sperma o di ovuli”. E perché? Se una coppia si rivolge a un estraneo e chiede, dietro compenso, di donare quanto necessario, chi glielo può impedire? E poi; se non si può impedire l’accoppiamento “naturale” con un estraneo che fecondi la donna non fertile e ciò gratuitamente o dietro pagamento (la cosa non è vietata e non costituisce reato); se analogamente può coinvolgersi una estranea (anche se la cosa è un po’ più complessa). Perché non dovrebbe essere lecito evitare una situazione penosa, sotto il profilo sentimentale, sostituendo all’accoppiamento mercenario la donazione, sempre mercenaria?
4) Il divieto continua a sussistere per le coppie fertili, anche se portatrici di malattie genetiche che sconsigliano di generare. E per le coppie omosessuali. Il che è veramente ridicolo.
CERTO, entrambi i coniugi possono essere portatori di dette malattie; e allora l’unica soluzione è l’adozione. Ma perché vietare la fecondazione eterologa se solo uno della coppia è malato? Tanto più in quanto, per riprendere l’esempio appena esposto, nulla impedisce un accoppiamento naturale con un estraneo da parte del coniuge non malato al solo scopo di procreare, gratuitamente o a pagamento che sia. E ciò vale naturalmente anche per le coppie omosessuali.
Insomma, ipocriti e bigotti impongono leggi impietose; e speculano sui naturali sentimenti di chi non vuole accettare la pur occasionale relazione del partner con un estraneo, evento che non sarebbe in loro potere impedire, vietando la soluzione di una fecondazione eterologa artificiale, alternativa che sarebbe invece emozionalmente accettabile. È così che privano tante sfortunate persone dei loro diritti. Ci vorranno altri 10 anni perché questa gente sia finalmente messa in condizioni di non nuocere?
Dai giudici costituzionali solo semplice buonsenso
di Carlo Flamigni (l’Unità, 10.04.2014)
CREDO CHE LA COSA PIÙ IMPORTANTE ACCADUTA IN EUROPANEGLI ULTIMI ANNI, almeno per quanto riguarda i problemi della bioetica e del biodiritto, sia una sollecitazione arrivata proprio al nostro Paese, dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo (Cedu) a proposito delle donazioni di gameti. In una prima sentenza, del 1°aprile 2010, una Camera della I Sezione della Cedu aveva affermato che il dispositivo della legge austriaca che vietava la donazione di gameti femminili violava l’articolo 14 della Cedu stessa, in combinato disposto con l’articolo 8.
La sentenza criticava poi in modo molto severo le motivazioni addotte dall’Austria per giustificare le proprie scelte in materia di donazione di gameti. La sentenza ha trovato, come era naturale, forte opposizione ed è stata sottoposta al giudizio della Grande Chambre per una revisione; nel giudizio definitivo, il Collegio l’ha ribaltata ricordando anzitutto che la normativa europea non si schiera su questi temi e lascia agli stati membri un ampio margine di discrezionalità.
Inoltre, l’ingerenza della legge nelle libere scelte delle coppie appare giustificata, sempre secondo la Grande Chambre, anche in una società democratica, in quanto persegue lo scopo legittimo di proteggere la salute, la morale, i diritti e la libertà di tutti i cittadini. In definitiva secondo la Corte il margine di discrezionalità del quale deve disporre ogni singolo paese non può che essere ampio, ferma restando la necessità di un armonioso equilibrio tra gli interessi dello Stato e quelli dei cittadini e in particolare di quei cittadini che sono particolarmente toccati dalle scelte che lo Stato decide di compiere.
La sentenza si conclude però con una affermazione che molti commentatori hanno ritenuto qualunquista, ma che in realtà ha un contenuto fortemente innovatore: in materia di Pma il diritto è in costante evoluzione (ma il riferimento è chiaramente fatto a tutte le innovazioni che conseguono al progresso della scienza) sia perché la ricerca scientifica in questo campo è in rapido sviluppo, sia perché cambia continuamente la capacità della morale di senso comune di accettare le nuove proposte che la scienza continuamente le sottopone e tutto ciò richiede una attenzione permanente da parte degli Stati contraenti.
Queste conclusioni rappresentano un chiaro invito ai Governi a considerare in modo sistematico l’evoluzione della coscienza sociale relativamente ai temi della vita riproduttiva, per potere adeguare le normative vigenti a questi mutamenti, considerati molto probabili e costanti, oltre che in chiaro rapporto con i progressi delle scienze mediche e con l’efficacia della divulgazione operata in questi settori. Solo per confermare la rapidità con la quale si modificano morale e normative in questo campo, ricordo che nel gennaio del 2014 la Corte Costituzionale austriaca ha giudicato illegittima la proibizione della ovodonazione, dando in effetti ragione alle decisioni prese dalla sezione della Cedu, quelle successivamente contraddette dalla Grande Chambre.
Tutto ciò conferma una cosa che i laici hanno sempre sostenuto: la norma etica si struttura soprattutto per l’influenza di una generale disposizione della coscienza collettiva, che definisco per semplicità morale di senso comune, che si forma dentro ognuno di noi per molteplici influenze e che, pur essendo generalmente restia ad accettare anche le più elementari proposte di cambiamento, si modifica in rapporto a quelle che vengono definite «le intuizioni dei vantaggi che possono derivare dalle conoscenze possibili». Tutto ciò naturalmente avviene solo se è possibile trovare, in queste nuove conoscenze, indicazioni attendibili e comprensibili sui miglioramenti che ne deriveranno e garanzie nei confronti dei presumibili rischi.
Deve dunque cessare da subito - e la sentenza della nostra Consulta lo conferma - l’incomprensibile divario e la inaccettabile contraddizione tra il senso morale della nostra società e le norme giuridiche approvate dal Parlamento, norme troppo spesso suggerite da una morale religiosa ossificata, rigida e incapace di adattarsi al mondo moderno.
Adesso però ci sono cose che debbono essere affrontate con animo sgombro da risentimenti e da preoccupazioni assurde. La prima riguarda il fatto che la donazione di gameti deve tornare ad essere, nel nostro Paese, oblativa e non può essere affidata ad alcun tipo di commercio. Dovranno essere affrontati poi alcuni temi di rilevante interesse, come quello dell’opportunità di preparare un semplice protocollo che consenta di selezionare in modo semplice e non punitivo le coppie richiedenti, di affrontare il problema dell’età dei candidati a questa genitorialità e di discutere il problema del segreto, cioè se garantire al figlio la conoscenza della propria origine genetica (o in alternativa di affidare ai genitori la scelta di dargli o no accesso a questa informazione).
Merita certamente una analisi anche il problema della richiesta di donazioni di gameti e di embrioni che certamente arriverà da parte di donne sole e di coppie omosessuali e lo stesso deve riguardare il problema del dono del grembo (come si vede non dell’affitto dell’utero, che cosa completamente diversa).
Penso che se esiste ancora un po’ di logica nei nostri parlamentari queste questioni debbano essere affrontate, in prima battuta, dal Comitato Nazionale per la Bioetica il quale, tra l’altro (anche se nessuno se ne è accorto ) è stato creato proprio per occasioni come questa. E se posso permettere di dare un consiglio alle persone religiose che trovano scandalosa questa decisione, vorrei ricordare loro che modificare la dottrina tenendo conto dello spirito del tempo non è alito del demonio, è solo semplice buonsenso.
Paletti e sentenze, quel che resta di una brutta norma
Bocciati anche gli articoli correlati
Resta ancora in piedi il divieto alle coppie fertili con patologie genetiche
di Franca Stella (l’Unità, 10.04.2014)
Il divieto di fecondazione eterologa è incostituzionale. Lo ha deciso la Consulta in merito alla parte della legge 40 del 2004 sulla procreazione assistita in cui si vieta di ricorrere alla donazione di gameti (ovociti o spermatozoi) esterni alla coppia per concepire un figlio. Cade, dunque, il «paletto» più impopolare imposto dalla discussa normativa italiana. Bocciati anche gli articoli correlati al divieto come l’articolo 12 comma 1 che puniva «chiunque a qualsiasi titolo utilizza a fini procreativi gameti di soggetti estranei alla coppia richiedente » con una sanzione amministrativa da 300mila a 600mila euro. Per la seconda volta la Corte era stata chiamata a giudicare il divieto di fecondazione eterologa. Nel maggio 2012 i giudici decisero di restituire gli atti ai tribunali rimettenti, per valutare la questione alla luce della sopravvenuta sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo sulla stessa tematica.
Ieri la nuova decisione. In dieci anni la legge 40 è stata rivista alla luce di 20 sentenze da parte di vari tribunali. Per la senatrice Pd Anna Finocchiaro «è venuto il momento di ridare la parola al legislatore». Anche perché rispetto al testo del 2004, molto è cambiato. Vediamo cosa:
a) Limitazioni all’analisi dell’embrione: non previsto dalla legge ma inserito nelle Linee guida del ministero della Salute del 2004. Nel 2008 il Tar elimina la limitazione alla sola analisi osservazionale
b) Divieto di produzione di più di tre embrioni: è stato eliminato dalla sentenza della Corte Costituzionale nel 2009.
c) Obbligo di contemporaneo impianto di tutti gli embrioni prodotti: è stato eliminato dalla sentenza della Consulat nel 2009.
d) Limitazione della deroga al divieto di crioconservazione degli embrioni: previsto per i soli casi di «grave e documentata causa di forza maggiore relativo allo stato di salute della donna non prevedibile al momento della fecondazione è stato modificato dalla Corte costituzionale 2009 che ha chiarito che «il trasferimento degli embrioni, da realizzare non appena possibile, deve essere effettuato senza pregiudizio della salute della donna».
e) Divieto di soppressione degli embrioni: è previsto dall’articolo 14 comma 1 della legge ed è tuttora in vigore.
f) Divieto di diagnosi preimpianto per le sole coppie infertili portatrici di malattie genetiche: è da considerare non sussistente sia in relazione all’annullamento delle Linee guida ministeriali che introducevano la sola possibilità di analisi osservazionale dell’embrione (sentenza del Tar Lazio del 2008) sia in virtù della giurisprudenza consolidata (13 tra sentenze e ordinanze dei Tribunali italiani).
g) Divieto di accesso alle coppie fertili ma portatrici di patologie genetiche: è previsto dall’art. 5, che consente l’accesso alla Pma solo per i soggetti con problemi di infertilità e sterilità: questione ancora aperta, mail cui divieto è stato ritenuto illegittimo da 4 sentenze di tribunali italiani (Salerno e Roma) nonché dalla pronuncia definitiva di condanna della Corte europea per i diritti dell’uomo del 29 agosto 2012 emessa nei confronti dell’Italia. La decisione europea è stata eseguita nel 2013 dopo autorizzazione del tribunale di Roma. La questione è oggi davanti alla Corte costituzionale.
h) Divieto di utilizzo degli embrioni perla ricerca scientifica e quindi possibilità di donazione degli embrioni da parte di una coppia: è una questione in attesa di udienza davanti alla Corte costituzionale. La questione sarà affrontata anche dalla Corte europea per i diritti dell’uomo il prossimo 18 giugno.
i) Divieto di revoca del consenso alla procedura di procreazione assistita se non prima della fecondazione dell’ovulo, previsto dall’art. 6 comma3. La questione è ancora aperta ma è stata sollevata in più occasioni nei tribunali.
l) Divieto di accesso alla procreazione medicalmente assistita per single e coppie dello stesso sesso: la norma è tuttora in vigore.
m) Divieto di surrogazione di maternità è tuttora in vigore.
n) Divieto di accesso alla fecondazione in vitro nel caso uno dei componenti della coppia sia deceduto previsto dall’art. 5: ancora in vigore
o) Possibilità di donazione degli embrioni: non prevista dalla legge ma il divieto è implicito. Sono state presentate diverse proposte di legge, non ancora in discussione.
p) Procreazione assistita per la preservazione della fertilità attraverso la crioconservazione dei gameti, in caso di cure che potrebbero danneggiare la possibilità di generare un figlio: ammessa implicitamente sia per il soggetto maschile che quello femminile, ma non in virtù della legge 40 che vieta la crioconservazione dei gameti e che consente l’accesso solo a coppie conviventi o sposate.
Legge 40, l’ultima bocciatura dell’Europa
Respinto il ricorso dell’Italia.
“Deve permettere la fecondazione assistita alle coppie fertili”
di Caterina Pasolini (la Repubblica, 12.02.2013)
STRASBURGO - L’Europa boccia ancora una volta la legge sulla fecondazione assistita, e anche il governo italiano che aveva provato a cambiare le carte in tavola. La Corte europea dei diritti umani ha infatti deciso di non accettare il ricorso, presentato l’ultimo giorno utile in gran segreto a novembre, con il quale l’Italia ha chiesto il riesame della sentenza con cui la stessa Corte ad agosto aveva cassato la legge 40. Definendola senza mezzi termini «incoerente col sistema legislativo e che viola il diritto alla la vita privata e familiare».
Col nuovo no dei giudici, la sentenza è diventata esecutiva e quindi la legge italiana dovrà adeguarsi alla carta europea e prevedere l’accesso alle tecniche di fecondazione assistita a tutte le coppie fertili che possono trasmettere malattie genetiche ai loro figli. E che fino ad oggi erano escluse dalle tecniche e dall’assistenza a meno di non appellarsi ogni volta ai tribunali.
Come Anna e Marco, portatori di fibrosi cistica che si erano rivolti alla Corte di Strasburgo chiedendo giustizia, sentendosi discriminati da un paese dove «con la mia malattia mi lasciano abortire ma non mi fanno fare la diagnosi pre impianto che potrebbe far nascere un bambino sano ed impedire il dramma di un aborto» aveva raccontato la donna.
Proprio per questo motivo la Corte ad agosto aveva sancito «l’incoerenza del sistema legislativo italiano in materia di diagnosi preimpianto «visto che con una legge, la 194 consente l’aborto per la patologia, e con un’altra, la 40, vieta accertamenti che potrebbero evitarlo». Un sistema legislativo, aveva aggiunto, «che viola il diritto al rispetto della vita privata e familiare », condannando l’Italia a pagare 15mila euro di danni morali agli aspiranti genitori.
La decisione della Corte ha provocato immediate reazioni in Italia, soprattutto contando che più di 80 parlamentari avevano scritto al ministro della Salute Balduzzi per invitarlo a non presentare ricorso. «Sono stati risolti i dubbi del ministro, Strasburgo boccia il suo ricorso, la legge 40 è da riscrivere» twitta il senatore Marino del Pd mentre Palagiano dell’Idv si augura che «il nuovo parlamento abbia il coraggio di riscrivere la legge garantendo alle donne italiane gli stessi diritti che nel resto del mondo». Questa è una vittoria importante per le donne ma il governo ha perso un’altra occasione per far bella figura, rinunciando a proporre il vergognoso ricorso».
Conosce bene le donne che lottano per avere un figlio Filomena Gallo, presidente dell’Associazione Coscioni, legale di tante coppie come l’avvocato Niccolo Paoletti, difensore della coppia che ha vinto a Strasburgo. «Questa è una vittoria della cultura laica, oggi è stata eliminata una dolorosa discriminazione nell’accesso alle cure ed è un motivo di gioia per tutti quelli che dopo anni di sofferenze sognano di avere un bambino che possa avere un vita possibile, nonostante le malattie di cui sono portatori sani. È un passo avanti nell’uguaglianza: sino ad oggi la legge 40 valeva solo per le coppie sterili o i portatori di patologie virali, come hiv ed epatite. Adesso quello che resta da fare è la battaglia perché la diagnosi pre-impianto sia possibile nelle strutture pubbliche, come prevede la sentenza di Cagliari di novembre, o al massimo su convenzione. Perché la tutela della salute, il sogno di un figlio non malato non deve essere un lusso da ricchi».
Una legge incompatibile con i diritti
di Vladimiro Zagrebelsky (La Stampa, 29.08.2012)
La legge italiana che disciplina l’utilizzo delle procedure mediche di fecondazione assistita e più particolarmente le limitazioni che essa impone, sono oggetto di critiche e polemiche fin dalla sua approvazione nel 2004. Critiche e polemiche che riguardano sia la legge in sé, sia le linee guida emanate dal ministero della Salute per specificarne, integrarne e aggiornarne le previsioni. Come si ricorda un referendum parzialmente abrogativo venne fatto fallire nel 2005 con il non raggiungimento del quorum di votanti.
E’ recente la decisione dalla Corte Costituzionale di restituire ai giudici che l’avevano prospettata, la questione di costituzionalità del divieto di ricorso alla fecondazione con ovocita o gamete di persona esterna alla coppia (la fecondazione eterologa). La questione verrà certo riproposta e la Corte Costituzionale deciderà. In passato, nel 2009, la stessa Corte aveva dichiarato incostituzionale perché irragionevole e in contrasto con il diritto fondamentale della donna alla salute, la limitazione a tre degli embrioni da impiantare contemporaneamente, senza possibilità di produrne un maggior numero da utilizzare nel caso che il primo impianto non avesse avuto esito positivo.
Ora è un diverso aspetto della regolamentazione, che una diversa Corte ritiene incompatibile con i diritti fondamentali della persona. Ancora una volta si tratta dell’irragionevolezza di un impedimento posto dalla legge italiana all’accesso a una tecnica che è frutto del progresso medico. In proposito va ricordato che il Patto internazionale dei diritti economici e sociali delle Nazioni Unite, riconosce a tutti la possibilità di «godere dei benefici del progresso scientifico e delle sue applicazioni». Limiti e condizioni sono possibili, ma, come per tutte le deroghe a diritti fondamentali, essi devono essere ristretti al minimo indispensabile per la tutela di altri diritti fondamentali confliggenti.
La Corte europea dei diritti dell’uomo ha deciso il ricorso di una coppia italiana protagonista (e vittima) di una vicenda esemplare dell’irragionevolezza della legge, che li esclude dalla possibilità di utilizzare le tecniche di fecondazione medicalmente assistita. I due ricorrenti avevano generato una figlia malata di mucoviscidosi. Fu così che essi appresero di essere entrambi portatori sani di quella malattia. Nel corso di una successiva gravidanza, la diagnosi prenatale rivelò che il feto era anch’esso malato. Ricorrendo alla legge sull’interruzione volontaria della gravidanza, essi procedettero all’aborto. Poiché tuttavia desideravano un secondo figlio e naturalmente volevano evitare che fosse malato, richiesero di procedere alla fecondazione artificiale, per conoscere lo stato dell’embrione prima di impiantarlo, escludere quello malato e utilizzare quello sano.
La legge che disciplina la materia limita il ricorso alla fecondazione medicalmente assistita al solo caso in cui la coppia è sterile o infertile. Le linee guida ministeriali del 2008 hanno ritenuto che sia assimilabile al caso d’infertilità maschile quello in cui l’uomo sia portatore delle malattie sessualmente trasmissibili derivanti da infezione da Hiv o da Epatite B e C. Ma non hanno considerato altre situazioni di genitori malati. E così alla coppia restò negata la possibilità di superare l’infermità e dar corso, con la fecondazione medicalmente assistita, a una gravidanza che si sarebbe conclusa con la nascita di un bimbo sano.
La Corte europea ha rilevato che la legge italiana nel caso in cui la diagnosi prenatale riveli che il feto è portatore di anomalie o malformazioni, consente di procedere all’interruzione della gravidanza. In effetti proprio a ciò aveva fatto ricorso la coppia, nella gravidanza successiva alla nascita della figlia malata. Vi è dunque, secondo la Corte, un’evidente irragionevolezza della disciplina, che, permettendo l’aborto e invece proibendo l’inseminazione medica con i soli embrioni sani, autorizza il più (e il più penoso), mentre nega il meno (e meno grave).
La Corte ha così rifiutato gli argomenti del governo italiano, che sosteneva che la legge tende a proteggere la dignità e libertà di coscienza dei medici e a evitare possibili derive eugenetiche. Argomenti contraddetti dal fatto che la legge consente di procedere all’aborto in casi come quello esaminato dalla Corte. In più ha pesato il fatto che la grande maggioranza dei Paesi europei consente la fecondazione medicalmente assistita per prevenire la trasmissione di malattie genetiche (solo l’Italia e l’Austria la vietano e la Svizzera ha in corso un progetto di legge per ammetterla). Irragionevole nel sistema legislativo italiano e ingiustificato nel quadro della tendenza europea, il divieto ha inciso senza ragione sul diritto della coppia al rispetto delle scelte di vita personale e familiare, garantito dalla Convenzione europea dei diritti umani.
La sentenza non è definitiva. Il governo italiano può chiederne il riesame da parte della Grande Camera della Corte europea. Se diverrà definitiva, sarà vincolante per l’Italia, una modifica della legge sarà inevitabile e saranno inapplicabili le linee guida ministeriali. La Corte Costituzionale ha già più volte detto che la conformità alla Convenzione europea dei diritti umani, «nella interpretazione datane dalla Corte europea», è condizione della costituzionalità delle leggi nazionali.
Una revisione della legge potrebbe convincere il legislatore ad abbandonare l’ambizione di disciplinare il dettaglio, con ammissioni ed esclusioni particolari che inevitabilmente creano disparità irragionevoli. Questa è una materia in cui occorrerebbe lasciar spazio alle scelte individuali (in questo caso quella di non rinunciare a procreare un figlio, un figlio sano) e alla responsabilità dei medici nel fare il miglior uso possibile del frutto della ricerca e dell’avanzamento delle conoscenze e possibilità umane. La Corte Costituzionale ha già ripetutamente posto l’accento sui limiti che alla discrezionalità legislativa pongono le acquisizioni scientifiche e sperimentali, che sono in continua evoluzione e sulle quali si fonda l’arte medica: sicché, in materia di pratica terapeutica, la regola di fondo deve essere la autonomia e la responsabilità del medico, che, con il consenso del paziente, opera le necessarie scelte professionali.
di Stefano Rodotà (la Repubblica, 29.08.2012)
PEZZO dopo pezzo la terribile legge sulla procreazione assistita, la più ideologica tra quelle approvate durante la sciagurata stagione politica che abbiamo alle spalle, viene demolita dai giudici italiani e europei. Ieri è intervenuta la Corte europea dei diritti dell’uomo con una sentenza che ha ritenuto illegittimo il divieto di accesso alla diagnosi preimpianto da parte delle coppie fertili di portatori sani di malattie genetiche. Si tratta di una decisione di grandissimo rilievo per diverse ragioni, che saranno meglio chiarite quando ne sarà nota la motivazione. Viene eliminata una irragionevole discriminazione tra le coppie sterili o infertili, che già possono effettuare la diagnosi grazie ad un intervento della nostra Corte costituzionale, e quelle fertili. Viene rilevata una violazione dell’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che tutela la vita privata e familiare. Viene constatata una contraddizione interna al sistema giuridico italiano, che permette l’aborto terapeutico proprio nei casi in cui una diagnosi preimpianto avrebbe potuto evitare quel concepimento. Viene messo in evidenza il rischio per la salute della madre, quando viene obbligata ad affrontare una gravidanza con il timore che alla persona che nascerà potrà essere trasmessa una malattia genetica (è questo il caso della coppia che si era rivolta alla Corte di Strasburgo perché, dopo aver avuto una bambina affetta da fibrosi cistica e dopo un aborto determinato dall’accertamento che nel feto era presente la stessa malattia, intendeva ricorrere alla diagnosi preimpianto per procreare in condizioni di tranquillità).
È bene sapere che tutte queste obiezioni erano state più volte avanzate nella discussione italiana già prima che la legge 40 venisse approvata, senza che la maggioranza di centrodestra sentisse il bisogno di una riflessione, condannando così la legge al destino che poi ha conosciuto, al suo progressivo smantellamento. La Corte costituzionale, già nel 2010, aveva dichiarato illegittime le norme che indicavano in tre il numero massimo degli embrioni da creare e accompagnavano questo divieto con l’obbligo del loro impianto. Vale la pena di ricordare quel che allora scrissero i nostri giudici: “la giurisprudenza costituzionale ha ripetutamente posto l’accento sui limiti che alla discrezionalità legislativa pongono le acquisizioni scientifiche e sperimentali, che sono in continua evoluzione e sulle quali si fonda l’arte medica; sicché, in materia di pratica terapeutica, la regola di fondo deve essere la autonomia e la responsabilità del medico che, con il consenso del paziente, opera le necessarie scelte professionali” (così la sentenza n. 151 del 2010). Le pretese del legislatore-scienziato, che vuol definire quali siano le tecniche ammissibili, e del legislatore-medico, che vuol stabilire se e come curare, vennero esplicitamente dichiarate illegittime.
La sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo si colloca lungo questa linea. Quando si parla del rispetto della vita privata e familiare, si vuol dire che in materie come questa la competenza a decidere spetta alle persone interessate. Quando si sottolineano contraddizioni e forzature normative, si fa emergere la realtà di un contesto nel quale le persone sono obbligate a compiere scelte rischiose proprio là dove dovrebbe essere massima la certezza, come accade tutte le volte che si affrontano le questioni della vita. Vi sono due diritti da rispettare, quello all’autodeterminazione e quello alla salute, non a caso definiti “fondamentali”. Di questi diritti nessuno può essere espropriato. Questo ci dicono i giudici, che non compiono improprie invasioni di campo, ma adempiono al compito di riportare a ragione e Costituzione le normative che investono il governo dell’esistenza. Né si può parlare di una deriva verso una eugenetica “liberale”, proprio perché si è di fronte ad una specifica questione, che riguarda gravi patologie.
Ma la sentenza della Corte di Strasburgo è una mossa che apre una complessa partita politica e istituzionale. Saranno necessari passaggi tecnici per far sì che tutte le coppie a rischio di trasmissione di malattie genetiche possano effettivamente accedere alla diagnosi preimpianto. Passaggi che potranno essere ritardati dal fatto che il governo ha tre mesi per impugnare la decisione davanti alla “Grande Chambre” di Strasburgo. Questa impugnativa è invocata dai responsabili di questo disastro legislativo e umano. Il ministro Balduzzi, prudentemente, parla della necessità di attendere le motivazioni della sentenza: Ma può il Governo scegliere una sorta di accanimento terapeutico per una legge di cui restano soltanto brandelli, di cui le giurisdizioni europea e italiana hanno ripetutamente messo in evidenza le innegabili violazioni della legalità costituzionale?
Questa sarebbe, invece, la buona occasione per uscire finalmente dalle forzature ideologiche. In primo luogo, allora, bisogna prendere atto, come buona politica e buon diritto vorrebbero, che bisogna riscrivere la legge davvero sotto la dettatura, non dei giudici, ma delle indicazioni costituzionali, obbedendo alla logica dei diritti fondamentali. Ma, in tempi di carte d’intenti e di programmi elettorali, sarebbe proprio il caso di abbandonare fondamentalismi e strumentalizzazioni. Il dissennato conflitto intorno ai “valori non negoziabili” dovrebbe lasciare il posto ad una attitudine capace di riconoscere che vi sono materie nelle quali l’intervento del legislatore deve essere in primo luogo rispettoso della libertà delle persone e della loro dignità, che non possono essere sacrificate a nessuna imposizione esterna.
Le parole di un cristianesimo ribelle
di Riccardo Chiari (il manifesto, 23 ottobre 2011)
Come ogni domenica, anche oggi l’appuntamento della Comunità dell’Isolotto è alle 10.30, alle «Baracche» in via degli Aceri 1. «Fra le altre cose - anticipa Carlo Consigli - socializzeremo l’assenza di Enzo, e la continuità della sua presenza». Nel solco di quella esperienza comunitaria che Enzo Mazzi considerava essenziale. Come una bussola che lo ha guidato per una intera esistenza. Di cui ha fatto dono, non solo metaforico, alle donne e agli uomini della comunità. Con loro non potrà più camminare insieme. Grazie a loro, e ai tantissimi che di settimana in settimana, anno dopo anno, hanno socializzato negli appuntamenti comunitari della domenica, Enzo Mazzi continuerà ad esserci.
Per sua espressa volontà, la morte non doveva essere una notizia. L’ennesimo rifiuto della «caratterizzazione personalistica» che l’ex parroco del quartiere popolare e operaio dell’Isolotto aveva abiurato, fin dagli albori della Comunità. «Ma il manifesto era importante per Enzo», riconosce Consigli. Perché l’eretico quotidiano comunista era per lui un altro luogo dove comunicare con gli altri i temi delle riflessioni comunitarie della domenica. Riflessioni che, negli anni, sarebbero finite anche sulle pagine fiorentine di altri quotidiani. Perché affrontavano questioni, fossero l’acqua bene comune oppure la democrazia in fabbrica, insieme locali e globali.
Anche in questi ultimi mesi, quando già la malattia ne fiaccava il corpo ma non lo spirito, a Enzo Mazzi non erano sfuggiti avvenimenti come il «Se non ora, quando?» del 13 febbraio. Affrontato così: «Le donne che si riprendono le piazze si riprendono anche per se stesse e per tutti noi il potere sulla sacralità della natura, dei corpi, della sessualità e, mettendo un po’ di enfasi, sulla sacralità di tutto l’esistente. «Se non ora, quando?». Poi erano arrivate altre riflessioni critiche, di fronte al tentativo di considerare anche Primo Maggio «una festa da sacrificare all’orgia del consumo». Infine, lo scorso 28 agosto sul manifesto, l’ultimo graffio: «Per la strategia liberista la gente deve scordare il suo passato sociale, e non avere altro ideale e identità che la religione del danaro».
Sempre nel segno delle comunità cristiane di base di cui all’Isolotto, insieme a Sergio Gomiti e Paolo Caciolli, era stato precursore. Raccontate in quel «Cristianesimo Ribelle», edito tre anni fa per "manifesto libri", dove tirava le fila di quella spinta profonda che da 43 anni ha portato molti credenti a mettere in discussione le gerarchie ecclesiastiche e i nessi tra chiesa e potere. Trovando nelle comunità un luogo-laboratorio dove socializzare riflessioni ed esperienze.
Un testimone profondo del nostro tempo
di redazione (il manifesto, 23 ottobre 2011
Nonostante la sua età, 84 anni passati, Enzo Mazzi conservava nel cuore tutte le caratteristiche della gioventù. Era tra le persone più aperte al futuro, disponibili e coraggiose che il manifesto ha avuto la possibilità di incontrare sulla sua strada. Per noi è stato un privilegio averlo avuto tra i nostri principali collaboratori. Perché il nostro piccolo e fragile strumento quotidiano è stato anche il giornale di Enzo. Sulle nostre pagine ha tracciato un sentiero unico, spesso in assoluta solitudine.
Per un cammino che veniva da lontano, dagli stessi giorni del ’68 che portarono alla nascita della Comunità dell’Isolotto a Firenze e all’esperienza in tutta Italia delle Comunità cristiane di base. Quelle realtà che per la prima volta rivendicavano dal basso una nuova possibilità del Concilio, trovando quasi sempre la contrapposizione autoritaria del potere temporale della Chiesa. Mi piace ricordare che sta per uscire per la ManifestoLibri un libro da lui curato con un suo saggio introduttivo proprio sulla storia del processo all’Isolotto.
Enzo Mazzi è stato un profondo testimone del nostro tempo, rimesso alle volontà collettive ma forte nell’individualità delle scelte e della presa di parola.
La natura del suo dichiarato impegno si è sempre accompagnata ad uno stile alto nella scrittura, capace di attraversare l’oscurità delle verità rivelate per illuminare, per svelare. Sia che si trattasse di rivendicare quello che chiamava «proto-Vangelo», un Gesù terreno, per un nuovo mondo possibile ben lontano dalla fissità simbolica dell’«oggetto» crocefisso, sia nell’intervenire contro la violenza del doppio potere, della Chiesa e del governo, come nel caso dell’accanimento contro il corpo di Eluana Englaro. Oppure quando sottolineava la possibilità di un processo reale alle responsabilità del papa per la tragedia e il crimine della pedofilia. O ancora quando denunciava il dominio del sacro, presente sia nei vecchi - e rinnovati dalla liturgia - processi di santificazione, come nelle nuove e moderne mitologie delle merci.
I suoi consigli, il suo conforto, la sua scrittura che si confronta nel divenire dei giorni, davvero ci mancheranno. Addio Enzo.
Riparliamo di legge 40
Fecondazione assistita, rompiamo il silenzio
di Maurizio Mori (l’Unità, 02.07.2011)
La legge 40/2004 e il fallimento del successivo referendum hanno cancellato dalla rubrica culturale italiana il tema della fecondazione assistita. Prima al riguardo c’era curiosità e interesse per le novità in questo ambito e le nuove opportunità venivano considerate e discusse. Da dopo il referendum non se ne parla più. Si è come dimenticato che la fecondazione assistita allarga i confini della riproduzione e rende possibile nuove pratiche e opportunità, come quella di rendere evitabili molte malattie o di avere gravidanze post-menopausa o anche di dare figli agli omosessuali.
A tale proposito, è facile prevedere che la recente legalizzazione dei matrimoni omosessuali nello Stato di New York avrà effetti sulla vita sociale di tutto il mondo occidentale compreso quello dell’ammissione di nuove forme di riproduzione assistita. È chiaro infatti che gli omosessuali vogliono avere figli grazie alle nuove tecniche riproduttive.
In un mondo che cambia, discute, evolve, anche l’Italia dovrà prima o poi rivedere radicalmente la legge 40/2004 che ha regolato in modo restrittivo la fecondazione assistita, provocando disastri gravissimi. Molte coppie hanno rinunciato ad avere figli, mentre altre per averli sono dovute andare all’estero con disagi notevoli e talvolta anche con guai seri. Ma gli effetti deleteri della legge 40 non riguardano solo il piano pratico, quello che tocca la vita della gente direttamente, ma si estendono anche e forse soprattutto sul piano teorico e filosofico, che determina il quadro delle nostre scelte di fondo.
È urgente riprendere il discorso culturale sulla fecondazione assistita per cercare di sanare i disastri inflitti dalla legge 40 e dalle altre vicende. Oramai sul piano pratico la legge è già stata in gran parte smantellata dalla corte Costituzionale e bisogna riconoscere alla Magistratura di fare molto per l’ammodernamento del Paese.
Qualcos’altro può venire dall’Europa, ma altrettanto importante è il lavoro culturale per rilanciare l’idea che la libertà riproduttiva è un diritto fondamentale della persona e che avere figli è qualcosa che dipende da tale diritto. Questo può poi essere integrato e sostenuto dal diritto alla salute in alcuni casi specifici ma la scelta di ricorrere alla fecondazione assistita non può diventare un mero capitolo dell’assistenza sanitaria. Oggi in Italia per avere un figlio grazie all’assistenza medica un cittadino deve andare prima dal giudice e poi, se mai, dall’operatore sanitario. Bisogna che l’opzione di fecondazione assistita sia riconosciuta come libertà di scelta garantita da un diritto fondamentale del cittadino a prescindere dall’orientamento sessuale.
Ignazio Marino: «Si riapra la discussione sulla legge 40»
La scelta degli accademici svedesi riaccende i riflettori sulla norma in vigore nel nostro paese dal 2004 che pone una serie di ostacoli alla possibilità offerta dalla scienza e dalla medicina
di Federica Fantozzi (l’Unità, 05.10.2010)
Merci da Sophie, felicidades da Diego, congratulations da Yuan e Xinwen. Anche dall’Italia: «Grazie Mr. Edwards, se abbiamo ancora una piccola speranza di diventare genitori è solo grazie a lei». Firmato: «Una coppia infertile».
La scelta svedese di premiare lo scienziato inglese Robert Edwards, padre putativo di oltre 4 milioni di bambini nati grazie alla fecondazione in vetro negli ultimi trent’anni, suscita entusiasmo. Non nel Vaticano. E nel nostro Paese è perplessa parte del mondo cattolico, dall’Associazione Scienza & Vita al sottosegretario Roccella.
Così, l’attribuzione del Premio Nobel riapre il dibattito sulla Legge 40 che regola la fecondazione assistita. Forse, un segno del destino. Nel 1968, quando il progetto partì a Cambridge, si parlò di scandalo e atto contro natura, si predisse un fallimento, si faticò a reperire i finanziamenti. Oggi, lo si definisce all’unanimità progresso.
In Italia la Legge 40, è stata approvata dopo un braccio di ferro politico nel 2004 ed è sopravvissuta a un referendum che vide in prima linea la Cei allora guidata da Ruini. È una delle più controverse e restrittive nel settore. Vieta la fecondazione eterologa, la donazione di ovociti, il ricorso da parte di single e gay. Circa 10mila coppie all’anno hanno scelto il «turismo riproduttivo» rivolgendosi ad accoglienti strutture svizzere, spagnole, belghe, slovacche.
Come previsto da molti medici, la Legge 40 è già stata sconfessata in sede giudiziaria. Nel 2009 la Corte Costituzionale ha bocciato il divieto di crioconservazione dell’embrione e abolito il correlato limite di tre embrioni da impiantare insieme. Norma pericolosa, hanno ritenuto i giudici, per la salute della donna e del feto. Maggiore potere decisionale spetta ai medici, spesso impegnati a seguire gravidanze multiple, a rischio, in età non giovanissima. Irrisolta la cruciale questione della diagnosi preimpianto che consente di individuare malattie genetiche o ereditarie: il divieto è stato bocciato da Tar e tribunali di merito, ma servono nuove linee guida.
Ieri è stato Ignazio Marino, presidente della commissione parlamentare d’inchiesta su Ssn a riaprire le danze: «Se sono normali i controlli prima di una gravidanza per individuare eventuali malattie, perché in uno Stato laico non dovrebbe essere normale, con lo stesso obiettivo, la diagnosi preimpianto? Interveniamo prima dei tribunali». La Radicale Donatella Poretti invita «moralisti e bigotti» a riflettere su una scienza che «amplia la libertà di scelta delle persone». E Rita Levi Montalcini plaude a «un premio ben meritato per un lavoro scientifico di fondamentale importanza per il progresso della biomedicina».
Il Nobel all’uomo che ha favorito la vita
di Maurizio Mori (l’Unità, 05.10.2010)
Una bella notizia, il Nobel a Bob Edwards. Lo scienziato inglese che dagli anni ’60 del secolo scorso si è impegnato nel mettere a punto la fecondazione in vitro con trasferimento di embrione: una tecnica che ha cambiato il modo di attuare la riproduzione umana e dato una svolta agli studi sull’embrione. Il Nobel non solo corona una vita dedita alla ricerca di un grande studioso di notevole spessore culturale, ma soprattutto è il sigillo dato dal mondo scientifico alla bontà della fecondazione assistita: la scienza riconosce che l’ampliamento del controllo umano della riproduzione è qualcosa di buono per l’umanità, di meritevole della massima onorificenza per uno scienziato.
Di fronte a un simile riconoscimento a dir poco impallidiscono le critiche mosse da alcune religioni alla nuova tecnica, accusata essere contraria alla “vita” e alla “dignità della procreazione”. Non si capisce proprio in che senso si possa dire che sia contraria alla vita una tecnica che ha consentito la nascita di ormai oltre 4.000.000 di bambini. Si dovrebbe dire al contrario che è una tecnica che favorisce la vita e consente alle persone di avere figli anche quando la natura non li dispensa più.
Ancora più difficile è capire perché dovrebbe essere contrario alla “dignità della procreazione” ricorrere all’assistenza tecnica per avere figli. Forse lo si può dire solo assumendo la “naturalità” come criterio normativo, supponendo che la natura sia buona e dimenticando come invece in realtà sia spesso avara e matrigna. Fortuna che l’uomo grazie alla scienza e alla tecnica riesce a rendere il mondo meno duro e più agevole.
Solo inveterati pregiudizi antiscientifici possono far pensare il contrario. Il Nobel a Edwards deve essere anche uno stimolo a ripensare l’etica e la politica sulla fecondazione assistita. In Italia, sfruttando abilmente lo sgomento generato da alcuni casi eclatanti di fecondazione assistita si è detto che c’era una preoccupante deregulation (il Far West), e si è approvata una legge liberticida che non solo penalizza un numero alto di cittadini nell’impegno di avere figli, ma ha fatto anche arretrare l’intera riflessione bioetica, favorendo ‘idea che la scienza comporti una sorta di “eccesso” da reprimere.
Oggi questo clima conservatore informa il disegno di legge Calabrò sul fine della vita che ci riporta a prima degli anni ’50, e aleggia come uno spettro sulla campagna elettorale che molti danno per imminente. Il premio Nobel a Edwards ci ricorda che la scienza è vettore di progresso morale e che molte delle remore diffuse sono frutto di pregiudizi e tabù. Invece di chiedere perdono per gli errori tra qualche anno, come già hanno fatto su altri temi, è bene chi i critici della scienza si ravvedano da ora, evitando inutili sofferenze.
La legge 40 è incostituzionale
La Consulta riapre il caso
La Corte boccia il limite di tre embrioni, che condanna le donne a stimolazioni ormonali ripetute
La sottosegretario Roccella: nuove linee guida. Il Pd: si rispetti la sentenza
La Corte costituzionale ha dichiarato la parziale incostituzionalità della legge 40.
Non si può fissare un limite di tre embrioni e non ci può essere un obbligo a impiantarli tutti contemporaneamente.
di Maria Zegarelli (l’Unità, 02.04.2009)
Parzialmente illegittima la legge 40 sulla Fecondazione assistita: la sentenza della Corte Costituzionale è arrivata ieri nel tardo pomeriggio, dopo un giorno e mezzo di camera di consiglio, e ha colpito il cuore stesso della legge.
L’INCOSTITUZIONALITÀ
Illegittimo l’articolo 14 al secondo comma, laddove prevede il limite dei tre embrioni e l’obbligo «a un unico e contemporaneo impianto». Incostituzionale anche il comma 3 «nella parte in cui non prevede che il trasferimento degli embrioni, da realizzare non appena possibile, debba essere effettuato senza pregiudizio della salute della donna». Inammissibili per difetto di rilevanza nei giudizi principali le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 6 comma 3 (l’irrevocabilità del consenso all’impianto da parte della donna) e dell’articolo 14 comma 1 e 4 (crioconservazione degli embrioni al di fuori di ipotesi limitate e divieto di riduzione embrionaria di gravidanze plurime).
I giudici dell’Alta Corte di fatto hanno riconosciuto che il medico non può prescindere dalla valutazione dello stato di salute della donna, mentre, abolendo l’obbligo dei tre embrioni e l’impianto contemporaneo degli stessi, «è possibile che abbia ammesso quel principio di eccezione alla regola avanzato dal giudice Delle Vergini, del tribunale di Firenze, - spiega l’avvocato Maria Paola Costantini che insieme alla professoressa Marilisa D’Amico rappresenta Miriam e Giovanni, i due pazienti che hanno presentato ricorso - secondo il quale la crioconservazione è ammessa in caso di pericolo per lo stato psico-fisico della donna».
Esultano per il risultato i ricorrenti: la World association reproductive medicine (Warm) presieduta da Severino Antinori e la Fondazione Hera di Catania, del professor Antonino Guglielmino i cui pazienti si sono rivolti al tribunale. «È una vittoria dei pazienti che da anni patiscono a causa di una legge sadica, ingiusta e priva di qualunque razionalità scientifica. La legge infatti - commenta Guglielmino - è stata concepita seguendo una sorta di modello punitivo per la donna, costretta a ripetuti e pesantissimi protocolli di stimolazione o a gravidanze plurigemellari creando situazioni di pericolo oltre che per la salute della madre anche per quella dei nascituri». Di grande «vittoria per lo stato di diritto e per lo Stato laico, che non deve essere soggetto a spinte religiose che impongono le leggi con una grave riduzione dei diritti civili», parla Antinori.
IL GOVERNO IN GUERRA
Sul piede di guerra il governo, con la sottosegretaria al Welfare Eugenia Roccella che avverte: «Sarà indispensabile emanare al più presto nuove linee guida che possano eliminare qualsiasi contraddizione». La blocca l’ex ministro alla Salute Livia Turco: «Proprio sulla base della stessa legge 40 le linee guida non hanno alcun potere interpretativo ma sono solo uno strumento tecnico». Il ministro Sandro Bondi parla di un grave «problema per la nostra democrazia, in quanto la sovranità del Parlamento viene intaccata parallelamente alla percezione della sparizione di autorità di garanzia», mentre Maurizio Gasparri imbraccia la spada di paladino della vita.
Il segretario del Pd Dario Franceschini ricorda che «le sentenze della Corte vanno sempre rispettate» e che «il pronunciamento della Corte non potrà che essere recepito dal nostro ordinamento». Non si stupisce della sentenza Anna Finocchiaro: «La Corte dichiara l’illegittimità di parti della legge che già nella discussione parlamentare erano apparsi irragionevoli. Adesso si deve rifuggire anche sul testamento biologico da posizioni ideologiche». È proprio questo che spaventa il Pdl.
Sconfitto lo stato etico
Sono cadute alcune tra le norme più odiose e fortemente simboliche della legge 40
È stata imboccata una strada che ripristina il rispetto dei diritti della persona
Forse i disinvolti e ideologici legislatori, che ci affliggono da anni con la loro pretesa di
imporre un’etica di Stato, cominceranno a rendersi conto che dovrebbero finalmente andare a lezione di Costituzione.
di Stefano Rodotà (la Repubblica, 02.04.2009)
La sentenza di ieri, con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato illegittime alcune delle norme più significative della legge sulla procreazione assistita, conferma un orientamento già ben visibile negli ultimi mesi, e che ha fatto nitidamente emergere un insieme di criteri che precludono ai legislatori di impadronirsi della vita delle persone. Quando, con mossa incauta, nel settembre scorso la maggioranza parlamentare aveva sollevato un conflitto di attribuzione nei confronti della magistratura, sostenendo che aveva invaso le competenze del legislatori con la sentenza sul caso di Eluana Englaro, i giudici costituzionali l’avevano rapidamente bacchettata, dichiarando inammissibile la loro iniziativa. E a fine dicembre, quando le polemiche su quel caso erano ancor più infuocate, hanno con forza affermato che l’autodeterminazione costituisce un diritto fondamentale della persona. Una linea chiarissima, che rendeva prevedibile la decisione di ieri.
Ora cadono alcune tra le norme più odiose e fortemente simboliche della legge 40. Quella che imponeva l’unico e contemporaneo impianto degli embrioni, comunque in numero non superiore a tre: viene così battuto un proibizionismo cieco e ingiustificato, che infatti aveva provocato le critiche dei medici che operano in questo settore E quella che, sempre in relazione all’impianto, non teneva conto della necessità di salvaguardare la salute della donna, violando così un fondamentale diritto della persona. E non è vero, come ha frettolosamente osservato qualche parlamentare del Popolo della libertà, che la Corte ha comunque salvato altri articoli della legge, che pure erano stati impugnati. Su questi articoli, infatti, i giudici non si sono pronunciati per una ragione procedurale, perché non riguardavano le questioni trattate nei giudizi in cui l’eccezione di costituzionalità era stata sollevata. Sarà, quindi, possibile riproporre quelle eccezioni nella occasione più opportuna.
È stata così imboccata una strada che ripristina la legalità costituzionale e il rispetto dei diritti della persona. E, come ha saggiamente osservato Carlo Flamigni, si creano anche le condizioni per arrivare ad un "provvedimento più saggio", ad una riforma della legge 40 che ci faccia tornare in sintonia con le legislazioni degli altri paesi e, soprattutto, che disciplini le tecniche di riproduzione assistita in modo da renderle il più possibile aderenti alle effettive esigenze delle donne. Ma, invece di cogliere l’occasione offerta dalla Corte per avviare una nuova riflessione comune in una materia così difficile, la cecità ideologica continua a tenere il campo. Dai lidi della maggioranza si grida alla deriva eugenetica, si torna a parlare di attentato alla sovranità del Parlamento, si riecheggiano i toni populisti di questi giorni intonando di nuovo la canzone dei giudici che si sostituiscono alla volontà del popolo.
Chi ragiona in questo modo (si fa per dire) mostra di ignorare la logica stessa del controllo di costituzionalità, finalizzato proprio a garantire che le leggi votate dai rappresentanti del popolo non violino i principi e le garanzie che, democraticamente, proprio il popolo si è dato attraverso l’Assemblea costituente, e la Costituzione frutto del suo lavoro. Il Parlamento, dunque, non è sciolto dal rispetto di questi principi, ma a questi deve sottostare. Nella Corte costituzionale i cittadini trovano così non il guardiano di una astratta legalità, ma il garante dei loro diritti e delle loro libertà. Garanzia tanto più importante quando si legifera sulla vita, perché il Parlamento non può espropriare le persone del potere di prendere in libertà le decisioni più intime. E non si può dire che siamo di fronte ad una inattesa prepotenza della Corte. Proprio durante la lunga discussione parlamentare sulla legge sulla procreazione assistita molti avevano messo in guardia contro il rischio di approvare norme incostituzionali, com’era evidentissimo considerando proprio il modo in cui la Corte aveva già affrontato in particolare il tema del diritto alla salute.
Se torneranno un minimo di ragione e di cultura della legalità, la sentenza di ieri potrà aiutare anche nel difficile esame del disegno di legge sul testamento biologico, di cui deve ora occuparsi la Camera. Quell’insieme di norme, infatti, è perfino più sgangherato, dal punto di vista della costituzionalità, della pur sgangheratissima legge sulla procreazione assistita. I legislatori, lo ripeto, apprendano le lezioni di costituzionalità che la Corte, legittimamente, impartisce.
Le ipocrisie sull’amore
di LUCE IRIGARAY (la Repubblica, 16 settembre 2008)
Cercando nel dizionario Robert l’etimologia della parola "prostituire" o "prostituirsi", ho scoperto che il suo primo senso e’: esporre in pubblico cose che richiedono un po’ di riservatezza, un po’ di discrezione. Il significato della parola anzitutto conosciuto da noi oggi e’, infatti, piu’ tardo, cioe’ il suo riferimento alla prostituzione del corpo per rapporti sessuali con una, o generalmente parecchie persone, in cambio di denaro.
Stranamente, il primo senso della parola dovrebbe svanire quando si tratta di sessualita’. Anche se e’ per natura pubblica, la prostituzione dovrebbe allora rimanere invisibile. Ma come una cosa pubblica puo’ esercitarsi in modo nascosto? Questo e’ il paradosso legato alla prostituzione: esiste a condizione che non si sappia e che non si veda che esiste. Di conseguenza, e’ cacciata da tutti i luoghi pubblici in cui si potrebbe sapere o vedere che si esercita: le case di tolleranza, le strade, eccetera. Non c’e’ nulla di strano in tale contraddizione.
La prostituzione partecipa della sorte riservata alla sessualita’ nella nostra cultura: esiste a patto che non si sappia, che non si manifesti in quanto tale. Nulla nei programmi scolastici tiene conto della necessaria educazione sessuale dei bambini, dei ragazzi e adolescenti. I programmi scolastici si fermano a insegnamenti relativi agli organi di riproduzione senza abbordare la questione dell’attrazione sessuale e delle vie per condividere il desiderio a un livello corporeo.
L’istruzione si limita a descrizioni naturaliste degli organi sessuali da una parte, e dall’altra all’esposizione delle sventure amorose vissute dai personaggi della nostra letteratura. Si puo’ capire che i ragazzi cerchino presso le prostitute un’educazione un po’ piu’ adeguata a cio’ che provano. Sfortunatamente, visto il disprezzo della sessualita’ nella nostra tradizione, e pure l’etica della stessa prostituzione, questi maschi in cerca di educazione sessuale ricadono in rapporti sessuali piuttosto naturalisti, senza desiderio ne’ amore, che si svolgono in luoghi spesso sordidi e in cambio di denaro.
Una simile iniziazione alla sessualita’ non favorisce gli abbracci amorosi futuri fra amanti; e’ piuttosto incitamento a mostrare le proprie capacita’ in un rapporto venale fondato su una certa schiavitu’. Questo non contribuisce allo sviluppo della personalita’ del ragazzo, in particolare nella sua dimensione affettiva e relazionale, per la quale ha tanto bisogno di un’istruzione appropriata.
La ragazza, da parte sua, non ha quasi mai l’opportunita’ di un’iniziazione sessuale scelta da lei. Diviene il piu’ delle volte una sorta di prostituta involontaria, anche nello stesso matrimonio, e l’attrazione sessuale che prova si fa sogno sentimentale in attesa di qualche principe o signore, forse estraneo alla nostra vita terrena. Si possono immaginare i problemi e le delusioni dei primi abbracci amorosi.
Ora l’attrazione sessuale e’ cio’ che ci puo’ facilitare il passaggio dai bisogni individuali legati alla sopravvivenza a una condivisione con l’altro. E’ cio’ che ci puo’ aiutare a trascendere il nostro corpo come materia attraverso il desiderio, un desiderio che fa da ponte e mediazione tra corpo e anima, e anche fra l’altro e noi stessi. Questa spiritualizzazione del corpo e dell’amore carnale e’ resa impossibile per mancanza di una cultura della sessualita’, per la sua repressione e riduzione a un bisogno, sessuale e perfino procreativo, che non ha piu’ nulla di propriamente umano.
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Fonte: NONVIOLENZA. FEMMINILE PLURALE.
Supplemento settimanale del giovedi’ de "La nonviolenza e’ in cammino"
Numero 218 del 6 novembre 2008
Sull’argomento, si cfr (cliccare sul rosso per leggere l’articolo ->):
Proviamo a rileggere il famoso racconto delle donne amate da Abramo Hagar e Sarah, quella difficile diversità
di CONCETTA MELCHIORRE
Esisteva già allora la pratica che oggi definiamo «utero in affitto» in un tempo in cui la sterilità era considerata una vera e propria maledizione e la colpa era sempre della donna *
VENERDÌ 29 GIUGNO 2007
IL racconto di Sarah e Ha-gar prende le mosse dalla sterilità di Sarah: Dio aveva già promesso sia ad Abramo sia a Sarah una discendenza numerosa («Farò di te un popolo numeroso, una grande nazione» - Genesi 12, 2) ed essi avevano risposto con fede pur sapendo non solo che Sarah era vecchia ma che era stata sterile anche da giovane. A questo punto del racconto (cap. 16 della Genesi) Sarah e Abramo incominciarono a dubitare della promessa di Dio; in loro nacque il dubbio che Dio non avrebbe adempiuto più la sua promessa, che non avrebbero avuto nessun figlio e cercarono di risolvere in modo umano le sterilità di Sarah utilizzando Hagar.
Nella società in cui vivevano Sarah e Abramo la sterilità e la mancanza di figli era considerata un disonore e un dramma per cui Sarah sicuramente avrà sofferto tantissimo per quella che, per le leggi patriarcali dell’epoca, costituiva una grave mancanza, dato che l’avere una discendenza era ritenuta una delle principali benedizioni divine. Sarah certamente era stata vittima quando suo marito aveva preso la decisione di lasciare la sua terra per seguire la promessa che Dio gli aveva fatto (cap. 12). Abramo dunque aveva ubbidito alla promessa di Dio ma aveva costretto praticamente a partire anche Sarah senza prima discutere con lei delle decisioni che voleva prendere e che riguardavano la vita e il futuro di entrambi. Ancora di più Sarah era stata vittima delle leggi del patriarcato dell’epoca (secondo le quali una moglie era una proprietà del marito, il quale poteva sbarazzarsene come più gradiva) quando Abramo, in Egitto, dove si era recato con la moglie a causa di una grave carestia che si era abbattuta su Canaan (Genesi 12, 10), non esitò a far passare sua moglie per sua sorella, temendo che il faraone la volesse per sé, e quindi potesse ucciderlo, liberandosi così di un marito scomodo. In quel momento Sarah era veramente diventata un oggetto da comprare o da vendere ad altri a proprio piacimento.
Eppure Sarah, «matriarca» e madre della fede, e soprattutto vittima di soprusi perpetuati dei maschi, non esitò a sfruttare Hagar, una sua schiava, per avere un figlio; non esitò a trattare una donna, un essere umano come lei e del suo stesso sesso, come una madre a prestito, un utero in affitto (come si vede, questa è una pratica molto antica, tanto più che era perfettamente legale in quell’epoca storica: una pratica che non prevedeva solo l’atto sessuale con il marito della propria padrona per poter concepire l’erede, ma prevedeva anche che il padrone e la schiava trascorressero un periodo di tempo insieme e i figli che la schiava avrebbe partorito sarebbero stati considerati figli legittimi della coppia padronale; in questo caso il figlio di Hagar e Abramo sarebbe stato considerato figlio legittimo di Sarah e del suo legittimo consorte Abramo).
Fin qui il Dio di cui si parla è un Dio che sembra essere dalla parte dei potenti, dalla parte degli oppressori che possono «utilizzare» gli oppressi a proprio piacimento, perché considerati inferiori ad altri esseri umani; nel caso di Hagar l’inferiorità deriva dal fatto che essa era non ebrea (egiziana), schiava e donna. Per questo motivo Hagar divenne una persona sfruttata nel corpo e nella sua esistenza, una donna che sarebbe stata costretta a concepire un bambino che poi le sarebbe stato tolto.
In realtà questi passi mettono in luce anche l’opposizione alla tentazione di considerare Dio come la divinità degli oppressori perché nel momento stesso in cui Hagar scoprì di essere incinta incominciò a ribellarsi: guardò la sua padrona dall’alto in basso e Sarah, per gelosia, si rivolse ad Abramo il quale, dando ragione a sua moglie, offrì a Sarah la possibilità di fuggire. Presso una sorgente Hagar incontrò «l’angelo del Signore» che le ordinò di ritornare da Sarah e le promise che anche suo figlio, che avrebbe dovuto chiamare Ismaele, avrebbe avuto una numerosa discendenza.
Dopo la nascita di Ismaele e in seguito di Isacco, Sarah, gelosa che Ismaele potesse insidiare l’eredità di suo figlio Isacco, essendo sempre Ismaele il figlio primogenito di Abramo, chiese a suo marito di mandare via Hagar e Ismaele. Hagar e Ismaele si incamminarono nel deserto e Hagar era ormai rassegnata al peggio; ma Dio ascoltò il grido di Ismaele (così come in seguito avrebbe ascoltato le grida degli schiavi ebrei sotto l’oppressione egiziana) e intervenne per salvarli. Dio, il Dio che «abbatte le gerarchie razziste, economiche, sessiste» (AaVv., Riletture bibliche al femminile, Claudiana, p. 23) salvò Hagar e suo figlio e ripetè ad Hagar la promessa di una grande discendenza per mezzo di Ismaele. Non è un caso che molte teologhe e credenti afroamericane si siano identificate in Hagar per la comune esperienza e violenza che sia loro sia le loro antenate hanno dovuto subire da parte degli uomini bianchi ma anche, seppur forse in misura minore, dalle donne bianche. Ma hanno pure considerato favorevolmente il comportamento di Dio, che rende libera Hagar la schiava e la fa divenire capostipite, pure lei insieme ad Abramo, di una moltitudine di persone, anch’esse benedette da Dio come la discendenza di Isacco. Forse esse stesse trovano la forza di ribellarsi alla violenza razzista leggendo della ribellione di quell’umile schiava. Esse inoltre hanno guardato con sospetto Sarah, sprezzante nei confronti di Hagar e di suo figlio, che sarebbe pronta a lasciarli morire di fame e di sete nel deserto.
In questa strana storia, dove Sarah diventa da vittima dell’oppressione patriarcale carnefice della sua schiava, che però ottiene ascolto e giustizia presso Dio, ha fatto giu- stamente notare Marie-The-rese Wacker che Hagar, in modo sorprendente, «viene collocata in una posizione simile a quella di Abramo: come Abramo per il figlio Isacco, anche Hagar deve sopportare la minaccia di morte per suo figlio (...) e Dio stesso per entrambi provvederà per la loro salvezza» (Riletture bibliche..., p. 22). Hagar, la schiava forse egiziana, e Abramo, padre di Israele, vengono posti sullo stesso piano da Dio «che ha rovesciato dal trono i potenti, ha rialzato da terra gli oppressi» (Luca, 1, 52).
Per concludere, la storia di Ismaele e di sua madre sembra raccontata secondo il punto di vista di Hagar, la schiava liberata e di suo figlio, piuttosto che dalla parte di Sarah e Abramo, che vengono rappresentati come persone «cattive» perché Dio è il dio di quanti sono abbandonati nel deserto, di coloro che sono emarginati, di coloro che non vivono nei palazzi o nelle regge, ma in umili capanne, come del resto lo stesso Gesù non è re nato in una grande reggia ma in una caverna, un re alla rovescia che è, come suo padre, dalla parte degli oppressi e non dei dominatori.
Il presente articolo è tratto da Riforma - SETTIMANALE DELLE CHIESE EVANGELICHE BATTISTE, METODISTE, VALDESI Anno 143 - numero 26 - 29 giugno 2007. Ringraziamo la redazione di Riforma (per contatti: www.riforma.it) per averci messo a disposizione questo testo
* Il Dialogo, Giovedì, 05 luglio 2007