DONNE AL ROGO
di Mariuccia Ciotta, (il manifesto, 25 febbraio 2006)
La chiave non è stata trovata subito. Il padrone della Kts Textile Mills di Chittagong, Bangladesh, l’aveva messa al sicuro, al contrario dei 500 operai del turno di notte che al sicuro non ci stavano affatto. Anche le finestre erano chiuse per impedire che qualcuno lasciasse il lavoro. Così ieri sono morti in 65 (bilancio provvisorio, centinaia i feriti), la maggioranza donne, ma l’odore di bruciato non è arrivato fino a noi, tanto che i Tg hanno ignorato la notizia nei titoli di testa. Quella fabbrica è lontana, dove sta Chittagong sulla cartina geografica? Così lontana anche per le condizioni disumane, ottocentesce, anti-sindacali in cui vivono i lavoratori che hanno visto i rotoli di stoffa sparsi qua e là avvampare per lo scoppio di un radiatore elettrico, e provocare un rogo improvviso, senza via di fuga, senza scampo. Erano le 5.30 del mattino e le fiamme si sono propagate rapidamente in tutto il fabbricato tanto che i vigili del fuoco dopo 12 ore parlavano di numerosi corpi da recuperare sotto le macerie. Molti operai sono rimasti bloccati da ondate di fuoco e di fumo, alcuni hanno sfondato le finestre e si sono gettati dal terzo piano. L’immagine del disastro riporta indietro fino al 1908 quando 129 operaie tessili - in sciopero per ottenere orari e condizioni decenti di lavoro - bruciarono nello stabilimento della Cotton di New York, chiuse a chiave dalla proprietà. E l’episodio, accaduto l’8 marzo, si vuole all’origine della Festa della donna. Una tragedia persa nell’immaginario che dà ancor di più un’aura da «leggenda» a quella successa ieri. Eppure abbiamo i loro abiti negli armadi. Sei miliardi di dollari annui, infatti, sono il fatturato dell’esportazione dei prodotti tessili del Bangladesh, dove le donne sono le più utilizzate e prendono stipendi più bassi degli uomini per turni massacranti, spesso di notte, sicurezza zero. Nell’aprile del 2005 più di 70 persone sono state schiacciate dal crollo di una fabbrica tessile illegale costruita abusivamente su un terrono paludoso a Palash Bari, distante pochi chilometri da Dacca. Nel 2000, 48 operai sono morti in un altro incendio sempre vicino alla capitale, l’uscita di sicurezza era chiusa. E il conto sale fino a 350 morti e 2500 feriti negli ultimi anni in quei baracconi che si chiamano «fabbriche delocalizzate», lontane. Vicinissime. È dietro l’angolo la Kts Textile Mills con i suoi marchi occidentali che troneggiano nelle nostre vetrine, e che non vogliono sapere delle ditte in franchising dove le porte sono chiuse. Non c’è né tempo né distanza che ci separi da Chittagong e dalle operaie prigioniere - fantasmi che ardono dietro finestre sbarrate - i cui nomi non sapremo mai. Di quella chiave che non si trova, qui, molti ne hanno una copia in tasca.