Musica

Gang: «Dalla terra sale forte un canto di speranza» - selezione di Federico La Sala

lunedì 5 giugno 2006.
 

di Giorgio Maimone (Il Sole-24 Ore, 02.06.2006)

La cultura contadina è stata per millenni una cultura legata alle stagioni, a una scansione del tempo ciclica e non storica. Nella storia è entrata da poco tempo, forse un cinquantennio, poco più, poco meno... E quell’essere stati fuori dalla storia non va perduto, non va dimenticato poiché molto c’è in quella cultura che oggi va ripreso e rivalutato».

Ed è proprio quello che fanno i Gang in questo disco che segna il loro “ritorno” discografico dopo un periodo di silenzio durato sei anni. Riportare al cento dell’attenzione e della musica il mondo contadino.

Facendo un parallelo nemmeno troppo azzardato, è un ‘operazione simile a quanto fatto da Bruce Springsteen dall’altra parte dell’oceano con “We shall overcome”, dedicato alle canzone di Pete Seeger, ma più in generale alla canzone tradizionale americana.

I Fratelli Severini compiono un percorso analogo, ma compiendo un periplo all’interno del proprio repertorio e scegliendo 4 canzoni del passato che affrontano temi contadini, due estere (dal repertorio di Victor Jara e di Woody Guthrie), una dal patrimonio popolare italiano (“Saluteremo il signor padrone”, cantata un tempo da Giovanna Daffini, la nostra prima cantautrice) e scrivendo cinque inediti attorno allo stesso tema.

Per far questo scelgono come “compagno di strada” e nume tutelare addirittura Gandhi: "La civiltà, nel senso reale del termine, consiste non nella moltiplicazione ma nella intenzionale e volontaria riduzione dei bisogni. Solo questo porta alla vera felicità e appagamento" è la frase del Mahatma che apre il libretto del disco.

Ne discende un disco rigoroso e prestigioso, fatto delle luci e delle ombre delle colline marchigiane: “Morbide, come onde di un mare in quiete, a volte anche malinconiche. Casa mia. Colline che oggi non sono più quelle fatte da padre Dio o da madre Natura, perché a renderle così (come la mia anima) c’è stato e c’è ancora tanto lavoro. Quello degli uomini della terra, i contadini".

Un disco di sole e terra, ma anche di riflessioni più pacate che sembrano accompagnare gli uomini, quando, a sera, tornano dal lavoro dei campi e riscoprono il piacere delle chiacchiere attorno al fuoco, del bicchiere di vino con gli amici, delle storie antiche raccontate per non farle scomparire, per tenere viva la tradizione orale.

Così i Gang in questo disco tengono vive tradizioni e storie, rinnovandole e riscrivendole, con il cuore nella tradizione ed i piedi saldamente piantati in un mondo rock che pure a loro appartiene. Loro nati alla musica sulla scia dei Clash, del punk e poi del folk rock e ora approdati a un morbido country che sa di campagna.

Dodici canzoni, almeno quattro da ricordare per forza: “A Maria”, che narra la storia di “Maria Santiloni Cavatassi è nata nel novembre del ’28 a Comunanza in provincia di Ascoli Piceno. La sua era una famiglia di mezzadri.Tutta la vita di Maria è una testimonianza del cammino per la conquista della dignità da parte del mondo contadino. Dall’appoggio alla Resistenza all’organizzazione del Sindacato nelle campagne marchigiane e non solo. La storia di Maria è parte importante della storia del grande ’Umanesimo di razza contadina’ e della lunga marcia che si chiama emancipazione". Sfiora il capolavoro la intensissima “4 maggio 1944 - In memoria” che racconta la storia di una strage nazifascista nelle vicinanze di Pesaro”. Da brividi.

"This land is your land" è di Woody Guthrie ma è anche la la chiamata a raccolta di quanto di meglio di rock, il folk e il combat rock hanno proposto negli ultimi anni: cantano in questa canzone, assieme a Marino Severini, Stefano "Cisco" Bellotti, Graziano Romani, Paolo Archetti Maestri e altri. Vale a dire pezzi di Modena City Ramblers, di Yo Yo Mundi, di Del Sangre, dei Tupamaros, dei Marmaja, del Ned Ludd, dei Rocking Chairs, dei Miami The Groovers e dei Ratoblanco. Esaltante il mood che ne emerge: una sorta di "we are the world in salsa de noantri".

Infine “Il lavoro per il pane”, lenta, recitata, sofferta e finale: è la canzone che più rimanda il messaggio di Gandhi già accennato sopra. Ma tutto il disco è da ascoltare, per capire quali sono i suoni della terra e degli uomini che ci vivono e lavorano attorno.


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