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Missione: spaccare l’Italia!!! - di Furio Colombo - selezione a cura del prof. Federico La Sala

sabato 25 marzo 2006.
 

MISSIONE: SPACCARE

di Furio Colombo (www.unita.it, 25.03.2006)

Non è vero che non c’è un programma elettorale del gruppo Berlusconi. C’è, ed è così semplice e radicale che si riassume in una sola parola: spaccare. Non c’è spazio per la discussione se sia o no naturale o possibile o sensato impegnarsi a distruggere prima di lasciare il potere. E non importa neppure chiedersi: ma che senso ha spaccare tutto prima del tempo? Potrebbe anche vincere. So benissimo che evoco un incubo scrivendo questa frase, «potrebbe anche vincere». Ma per un momento devo cercare di constatare i fatti e di capirli prima di giudicarli.

Dunque il presidente del Consiglio in carica - che in una sciagurata ipotesi potrebbe anche essere il prossimo presidente del Consiglio italiano - si dedica con impegno e furore a spaccare tutto ciò che conta e che è fondamentale in un Paese: coesione, fiducia, senso di cittadinanza, associazioni di grande rilievo sociale (agli industriali, i sindacati) rapporti internazionali, confronto di un intero Paese con i pericoli del mondo (terrorismo), alleanze e legami fondamentali (per esempio con gli Stati Uniti). Fa tutto ciò con grande rilievo pubblico, nel modo più visibile e non più smentibile. Fa venire il pubblico finto ad applaudire. Decreta espulsioni e condanne. Attrae non solo l’attenzione degli italiani, ma anche la testimonianza attonita dei governi e delle istituzioni europei e quella, anche più attonita, della stampa americana.

Dovunque esistono destra e sinistra, anche se la destra di Berlusconi, che va dal monopolio alla rendita, dal controllo totale delle informazioni alla abolizione del falso in bilancio, e si allarga fra il condono di ogni regola capitalistica e l’altra destra, dei nuovi alleati francamente fascisti, è difficile da definire. Ma non esistono precedenti, in normali Paesi democratici, di qualcuno che spacca e divide e accusa e attacca dovunque scorge anche un vago elemento di dissenso. E lascia polvere e macerie persino dove dice e sostiene che governerà ancora.

Tutti noi cittadini siamo tuttora stupiti da ciò che è successo alla assemblea della Confindustria di Vicenza , la più violenta - e solo apparentemente incontrollata - scenata in pubblico che sia mai accaduta al di fuori di situazioni di dittatura. Un lavoro degno di Lukashenko, il contestato dittatore della Bielorussia. Ma Lukashenko è amico di Putin che è amico di Berlusconi, e può darsi che i tre, esperti di strangolamento della libertà, si siano scambiati consigli.

Ma l’impegno accanito, il lavoro intenso di una mattina per spaccare la Confindustria, un lavoro che evidentemente non gli era riuscito dietro le quinte, è il seguito, ma anche l’annuncio, di una politica vigorosamente distruttiva, che non è solo prerogativa del capo, ma viene richiesta, momento per momento, a ciascun dipendente del gruppo Berlusconi. *** Come molti lettori ricorderanno, il primo impegno di questo governo privato è stato di spaccare l’opposizione, tentando di separare pattuglie di sottomessi da coloro che, secondo il dettato sacro in ogni democrazia, erano decisi a tenergli testa. Di volta in volta ha inventato liste di cattivi. Ha aizzato la stampa di regime ad attaccare, preferibilmente con la calunnia o l’accusa gratuita («stampa omicida»), chi si ostinava a raccontare le cose.

È giusto che i lettori sappiano che la «stampa omicida», benché chiamata in causa mille volte «per avere inventato accuse al solo scopo di denigrare il governo», e dunque l’Italia, per avere ricordato, quando era indispensabile farlo, la Loggia massonica P2, i legami di mafia, per aver riferito con esattezza su processi e condanne, non ha, al momento, una sola querela per avere detto o narrato il falso. Ci sono decine di querele di chi si ritiene offeso (Bossi non vuole essere chiamato «razzista», ma basterà chiedere al giudice di convocare il teste Borghezio, o l’apposita commissione del Parlamento europeo). Ma nessuno ha potuto dire «non è vero». Mai. Ma l’operazione di spaccatura è cominciata presto. Ricordate quanto a lungo e con quanto impegno Berlusconi, conferenza stampa dopo conferenza stampa, ha nominato e accusato questo giornale per «educare» gli altri giornalisti e ammonirli a non sognarsi di criticarlo?

Certo nessuno di noi dimentica che Berlusconi ha iniziato la sua carriera di «liberale» con il licenziamento di Biagi e Santoro, colpevoli di «attività criminosa», a cui è seguita una lunga serie che è giunta fino a Sabina Guzzanti. E alla fine si arriva alla minaccia in diretta (non una svista, l’esemplarità conta molto in questa strategia distruttiva) a Lucia Annunziata come modo per dire a tutti «state attenti qui non c’è posto per chi mi tiene testa».

Ricordate con quanto puntigliosa ripetitività i giornali di proprietà della famiglia Berlusconi sono tornati sulla accusa di contiguità al terrorismo, sul fatto che le parole con cui una opposizione critica un governo (parole senza le quali non esiste democrazia) in realtà - dicono loro - armano mani di assassini e richiedono (ci è stato detto proprio così) di aumentare la scorta, dopo ogni titolo «terrorista» dell’Unità, titolo tratto, il più delle volte, dalla stampa internazionale?

A questo si sono aggiunte lunghe e ripetute azioni di calunnia, durate anni e riprese costantemente da scrupolose persone di servizio del giornalismo, al fine di dire chiaro agli altri colleghi: «Se noi siamo in grado di sputtanare persone che hanno la reputazione di tutta una vita, vedete bene che siamo in grado di colpire chiunque». È questione di controllo delle informazioni, non di verità dei fatti, che a loro certo non importa.

Ricordate gli insulti dedicati dal premier agli inviati dell’Unità che osavano rivolgergli domande, il riferimento (prediletto fra il personale di servizio post fascista) delle banche off shore in cui avrebbe trafficato chi scrive questo articolo? Ricordate le presunte «cinquecento minacce» dell’Unità alla illustre persona di Silvio Berlusconi da parte dell’Unità (altro aumento del personale di scorta) anche allo scopo di avvisare gli inserzionisti pubblicitari di stare alla larga da chi osa fare opposizione?

Alla fine, come ha dimostrato l’editoriale del Corriere della Sera che - nella tradizione del New York Times e del Washington Post - ha dato una chiara indicazione di voto il mai interrotto tentativo di spaccare i frammenti di informazione libera, e più ancora di isolare e fare apparire indegni i giornalisti oppositori, non è riuscito a regola di regime come progettato. Certo ha devastato il sistema di informazioni italiano, già vastamente oscurato dal possesso e controllo delle televisioni. Intanto era al lavoro il progetto di spaccare i sindacati. Il breve periodo in cui è sembrato riuscire il trucco del «Patto per l’Italia» ha fatto pensare a un successo.

Arduo però sfidare il rapporto con la realtà e il contatto con l’opinione pubblica dei grandi sindacati popolari. Possono essere più o meno a sinistra, più o meno all’opposizione. Ma hanno fiuto per la truffa e le affermazioni false. E tutti si sono allontanati per tempo, nonostante l\’intenso fuoco di sbarramento contro il loro tornare insieme.

Al momento giusto, cioè estremo, quando la crescita zero inchioda un governo incapace alla sua responsabilità, restano due mosse immensamente distruttive, dannose e costose fino al limite estremo per l’Italia. Però - pensa il gruppo Berlusconi - che cosa importa l’Italia se la mossa può darci un beneficio?

Parte, dunque, con un finto e violento attacco di nervi, la campagna per dividere e spaccare la Confindustria. Niente è più normale di una grande e autorevole associazione di imprese in cui i titolari hanno interessi comuni ma anche visioni diverse. Al diavolo gli interessi, spacchiamoli sulla politica. È probabile che il gioco non sia riuscito, non nel modo totalmente distruttivo pianificato dal gruppo Berlusconi. Però l’attacco improvviso, grossolano e violento di un presidente del Consiglio a un singolo imprenditore, che aveva osato tenergli testa anche nel sacrario della sua trasmissione prediletta «Porta a Porta», appare in tutta la sua desolante gravità: Berlusconi può farlo. Lo ha fatto. E l’imprenditore attaccato, denigrato, insultato in pubblico, si è dimesso, come se fosse lui il colpevole. In tal modo il gruppo Berlusconi ha dimostrato - costi quello che costi alla reputazione del Paese - che non c’è poi tanta differenza fra un giornalista senza protettori e un ind ustriale nel pieno del suo successo. Chi osa tenere testa paga. *** Questa oscura pagina della storia italiana continua. Adesso, in ogni occasione, intervista, talk show, dichiarazione ufficiale o confidenza al cronista, Berlusconi e il suo ministro dell’Economia Tremonti fanno sapere che «i capitali se ne vanno».

Dicono che in Italia l’eventualità della alternanza democratica tra l’imprenditore fallito come governante Berlusconi e l’economista noto nel mondo Romano Prodi, che ha già governato bene in Italia e in Europa, sta portando alla fuga dei capitali, un atteggiamento che neppure Chavez del Venezuela oserebbe adottare nelle sue colorite campagne di denigrazione degli avversari.

L’annuncio, infatti, è capace di produrre conseguenze di immenso danno che potranno continuare a lungo. I capitali fuggono dalla crescita zero di Berlusconi? In fuga per la paura dei cosacchi di Prodi? Un guasto grave al Paese è assicurato comunque. Berlusconi non sa se vincerà e teme seriamente di non farcela. Ma spacca il Paese nel punto sensibile, proclamando che gli investitori del mondo decidono di fuggire. Se un simile disastro può servire a dargli una mano, perché no? Spaccare, distruggere, lasciare macerie è diventato il suo marchio di fabbrica. Così ha fatto nella scuola, nella sanità, nelle leggi sul lavoro, nella così detta riforma della giustizia, nella amputazione della Costituzione e della legge elettorale.

Perché non dovrebbe continuare? Invece delle opere pubbliche che non sono mai cominciate, ricordiamo l’esortazione del suo ministro delle Infrastrutture «a convivere con la mafia» (cioè con gli assassini di Falcone e Borsellino). Dopo un brutto e pericoloso periodo della vita italiana, ci resteranno soltanto le scenografie di cartone di Pratica di Mare. È stato il luogo in cui Berlusconi, attraverso i sette telegiornali che controlla, ha imposto agli italiani di credere che, per merito suo, Putin era entrato nel G8, nella Nato, in Europa, e l’America era diventata il miglior amico della Russia. Subito dopo è scoppiata la «Rivoluzione Arancione», ovvero la liberazione della Ucraina, sostenuta dagli Usa contro il Gaulaiter di Putin. E oggi - sempre con l’aiuto degli Usa - si ribella la Bielorussia contro il despota Lukashenko, già collega di Putin al Kgb. I vecchi amici si ritrovano e, come dice un proverbio americano, «non si può mentire a tutti per tutto il tempo». *** Vi sembra troppo? Eppure non basta. Quello di Berlusconi è l’unico governo al mondo - democratico o non democratico - che prima delle elezioni denuncia il rischio, anzi la probabilità di brogli. Altrove sarebbe una seria offesa al ministro dell’Interno, di cui gli italiani hanno rispetto. Ma Berlusconi non si fa intimidire e, se può spaccare, spacca. Anche la fiducia, anche il rispetto. Tratta il suo Paese come una tormentata Repubblica africana. Reclama brogli che - come governo - ha il compito e il dovere, ma anche i mezzi, di impedire. E come il leader braccato di una di quelle repubbliche, l’autore del danno corre negli Stati Uniti per far sapere che l’Italia è un Paese pericoloso, in modo che gli Usa avvertano gli americani di non venire in Italia.

Che cosa importa che l’Italia non è un Paese pericoloso se non per gli ingorghi di traffico che si formano a Roma il mercoledì, giorno dell’udienza generale del Papa? Che cosa importa il turismo? Da noi provvede il capo del governo a bloccarlo.

Sembra incredibile, sembra raro che una sola persona, con un cattivo governo, possa far tanto danno al suo Paese. Eppure resta l’ansia e il dubbio che non sia tutto. Se questo è ciò che finora è accaduto - e che non si può smentire - è ragionevole l’ansia e il dubbio che nei giorni che restano da oggi al voto ci saranno altri tentativi di far male al Paese. Risorse e cattive intenzioni non gli mancano.


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