Confronti

OVADIA - BRANDUARDI - BATTIATO: confronto su musica e spirito - le perle di Federico La Sala

martedì 28 marzo 2006.
 

OVADIA - BRANDUARDI - BATTIATO

IL DIBATTITO* Tre artisti contemporanei a confronto sull’arcano rapporto tra suoni e spiritualità, sul mistero di una forma d’arte da sempre ritenuta privilegiata nell’accesso al trascendente. Punto di incontro con il divino, oltre i confini delle culture e delle confessioni religiose. Ovadia: Ma la creazione fu una teofonia

MUSICA PER UNIRE LE RELIGIONI di Moni Ovadia (Avvenire, 26.03.2006)

La Toràh racconta che l’universo è stato creato dalla parola del Santo Benedetto: «Disse luce e luce fu». Lo strumento della creazione è la voce dell’Onnipotente. La creazione è dunque un fenomeno acustico così come in seguito lo sarà la rivelazione ad Abramo prima, a tutto il popolo ebraico poi, nel deserto del Sinai: «Avete udito una voce, solo una voce». Non c’è teofania nel monoteismo ebraico ma "teofonia". Dio si manifesta con una voce ed è la sua parola parlata che consente sia la creazione, sia la rivelazione. Che differenza c’è fra la parola scritta che custodisce il patto e la legge, e quella parlata che crea e rivela? La risposta è semplice anche se non evidente: il suono, il canto. Il canto conferisce dunque statuto generativo alla parola. I maestri della Cabala, la mistica ebraica, osservano che la prima parola della Torah, «in principio» - bereshit in ebraico - contiene uno straordinario anagramma: taev shir, "voluttà di un canto". Si può poeticamente affermare con i cabalisti, che il mondo è stato creato per la voluttà di un canto. I cabalisti ci segnalano anche che l’ultima parola del pentateuco, la legge biblica, israel, contiene un ulteriore potente anagramma: shir el, "canto a Dio". Come una culla, il canto culla la legge. Il canto è lo strumento principe della comunicazione interiore, il canto è la prima gemmazione della nostra identità quando appariamo alla luce uscendo dal ventre materno. Ancora non vediamo, non sentiamo, eppure già cantiamo, urliamo il nostro hinneni, il nostro "eccomi" e, vagito dopo vagito, vocalizzo dopo vocalizzo, sillaba dopo sillaba, conquistiamo la lingua mettendoci in cammino per il canto. In seguito perderemo la grazia di quel canto interiore perché saremo imprigionat i in un contesto di apprendimento burocratico e rigidamente normativo. La cantoralità ebraica, khazanuth, una delle grandi arti della spiritualità monoteista, ci consente di riprendere il viaggio nei territori profondi dell’animus umano dove si manifes tano le pulsioni primarie a costruire senso nelle proprie emozioni e nelle strutture profonde del sentimento. Per questo lo strumento interpretativo più importante del cantore è la kavanàh, la partecipazione, l’adesione al canto come dialogo intimo con l’urgenza del divino in presenza come in assenza. È possibile oggi un’interiorità del canto che riesca ad avere la forza di esprimersi in presenza come in assenza del divino? Esiste un’espressione capace di coniugare l’urgenza di interiorità che sorge dall’essere umano ininterrottamente aggredito dalla volgarità e dalla protervia di una quotidianità consumista e che pretende di fare anche della spiritualità un uso gastronomico? Io come migliaia di altri fortunati, ho incontrato una voce prodigiosa che mi ha ammaestrato come essere umano e come modesto cantore. Quella di cui parlo è una voce di oggi, è il sublime canto di una suora libanese. Il suo nome è soeur Marie Keyrouz. Il suo repertorio più sconvolgente è la liturgia cristiana nel canone bizantino. Le sue lingue sono il greco e l’arabo. Ma è quando intona il suo canto in arabo che tocca l’assoluto e trascende persino il significato e le coordinate specifiche della propria religione per accedere al senso puro. Per questa ragione, un ebreo agnostico come me, ricono sce in questa sorella maronita un maestro di spiritualità, di pace e di canto. Ogni essere umano ha in sé un enigma mistico che si rivela quando una voce sorgiva tocca le profondità della sua origine.

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Branduardi

ASCOLTARE BACH, RAPITI VERSO L’ALTO

dii Angelo Branduardi (Avvenire, 26.03.2006)

La musica, come la conosciamo noi in Occidente, oggi è come il rumore del traffico: ci accorgiamo che esiste solo quando smette. Eppure, decine di migliaia di anni fa, quando la musica è nata, era strettamente legata alla spiritualità. I primi musicisti erano sciamani. Persone elette capaci di comunicare «col sopra». In parte, lo sono ancora adesso. Anche se le culture hanno avuto sviluppi musicali diversissimi. Nessuno, per esempio, in Africa va a sentire una «Messa da requiem» se non c’è un morto. Per loro - e per tante altre culture extraeuropee - la musica è strettamente legata alla quotidianità. Ne è un’espressione profonda. Non "solo" compagnia o divertimento. E neppure "solo" arte. Questo cambiamento nella cultura europea risale a 150 anni fa. Prima con Mozart e poi con Beethoven la musica si è allontanata dalla vita di tutti giorni per diventare arte. Eppure, ed è questa la vera forza della musica, non ha smesso di produrre capolavori carichi di spiritualità. An zi: in particolare, la musica sacra europea ha toccato vette altissime, che hanno travalicato i confini umani. Quando ascolto Bach e perfino certe pagine di Wagner, che viene considerato da molti un pagano, mi vengono le lacrime agli occhi. Mi sento investito e letteralmente portato via. Provo il senso dell\’oltre. Non sono più qui ed ora, ma da un’altra parte e in un altro momento. Detta così, forse, è affascinante. Ma sentire la musica è un fatto estremamente individuale. È fatta dall’individuo per l’individuo. Per calarsi in quell’«albero vuoto» che sono Mozart e Bach ci vuole un educazione all’ascolto. Solo così si riesce a cogliere la trascendenza pura che emanano certe loro composizioni. In quelle pagine - a seconda dei momenti e degli stati d’animo - colgo diversi livelli di lettura, in parte persino inconsci. Ci trovo Dio ovviamente, ma anche il cosmo, il Mistero, il Tutto. Che forse sono la stessa cosa. Perché in fondo il punto d’arrivo di qualunque musica spirituale è lo stesso, anche se noi lo chiamiamo con nomi diversi. Per questo io non ho dubbi: la musica sacra è la più bella musica che ci sia mai stata in Occidente. Peccato che oggi solo Arvo Pärt riesca a dire cose ancora straordinarie con la musica sacra. Il vero problema, però, è un altro. Non so se possa essere la Forma a unire le tre grandi religioni, ma sicuramente è difficile che la musica possa fornire un dialogo reale con chi - appartenendo ad altre culture - non è in grado di ascoltarla. Con tutto il rispetto credo che ad un islamico, anche moderato, di Bach non gliene freghi niente. Mentre qualunque occidentale mediamente curioso possa ascoltare musiche della tradizione islamica. Pensare che questo dialogo sia possibile attraverso la musica è - nel migliore dei casi - una speranza, non certo una certezza. Non sono pessimista, ma realista. Al punto da credere che perfino la cosiddetta musica leggera, che ormai è diventata un rumore ripetitivo, abbia in sé una potenza enorme. Se solo non si limitasse a cercare il facile consenso radiofonico potrebbe essere espressione viva della nostra vita reale e persino trascendere il quotidiano. Certo, anche Bach ha composto musica «per campare». Ma ha saputo poi toccare vette inimmaginabili. Nel nostro tempo, invece, sembra che i musicisti «sciamani», capaci di comunicare col trascendente, non riescano più ad elevare l’anima. Propria e altrui.


Battiato

VICINI AL SILENZIO, VICINI A DIO di Massimo Iondini (Avvenire, 26.03.2006)

Di mistici tratterà il suo terzo film, di cui stavolta comporrà anche la colonna sonora. «Niente è come sembra è il titolo che ho in mente: sarà nel contempo il mio nuovo lavoro da regista e da musicista» sintetizza Franco Battiato. Ma sarà soprattutto la sintesi di un cammino, quello terreno dell’uomo, fatto di domande urgenti e ineludibili sul senso ultimo dell’esistenza. Musica, la sua, e spiritualità: che messaggio vuole lanciare, Battiato? «Che c’è molto cammino personale da compiere quaggiù per arrivare alla propria meta. Soprattutto per noi occidentali sempre più immersi nel rumore e nella confusione. A questo film sto lavorando da un paio di mesi assieme all\’amico filosofo Manlio Sgalambro. Si immagini un dialogo teologico tra un ateo, un dubitante e un credente. Ed è nel credente che io mi identifico, in colui che fa un cammino esperienziale verso l’assoluto e il divino». Aiutato dalla musica? «Film a parte, la musica è per sua natura anzitutto urgenza di trascendenza, ancor più delle altre forme d’arte, in virtù della sua immediatezza. Purtroppo oggi è espressa malamente, è troppo banalizzata. E tra i giovani, in particolare, noto che non c’è una benché minima cultura musicale. Colpa anche della scuola che ha fallito il suo obiettivo, ammesso che l’avesse». Ma perché l’uomo d’oggi non riesce più a vivere ed esprimere pienamente l’intrinseca ricchezza della vera musica? «Io in 42 anni di attività musicale non ho mai sentito crisi o saturazione. Ogni mattina ascolto mezz’ora di musica classica che mi manda in visibilio. La musica è dunque ben viva, basta saperla far risuonare dentro di noi con tutta la sua carica primigenia. È che oggi manca a sempre più gente il contatto diretto con la natura. L’uomo lontano dalla natura s’imbarbarisce e si convince di poter essere senza pudore il delinquente che in potenza è. E quando ostenta la sua distanza dal creato dà libero sfogo al peggio di sé». Ma anche la cultura, edificio totalmente umano, può essere una fonte a cui attingere alimento spirituale... «L’arte veramente ispirata, musica in testa, e certa letteratura di maestri di spiritualità sono capisaldi dell’umanità. Guai a percepirli come lontani e inattuali soltanto perché non contemporanei. Sono invece una sicurezza e un conforto nel nostro spingerci avanti nella conoscenza e nell’esperienza di Dio e della verità». Quale cultura musicale si è storicamente avvicinata di più alle sommità dell’anima? «La musica occidentale ha avuto una folgorante ascesa dello sviluppo delle forme che altre tradizioni musicali non hanno avuto. Ma io sento più spirituale certa musica tibetana». Per quale motivo? «Perché la musica che si avvicina al silenzio è quella più vicina a Dio. Certo, anche la musica occidentale ha raggiunto delle vette quasi divine, ma soprattutto grazie a dei geni assoluti come Bach e non in virtù della sua forma e della sua radice culturale». Quali sarebbero i limiti "spirituali" della nostra musica? «La musica occidentale tende ad aggiungere suoni e voci, ma per toccare alte vette di spiritualità si deve togliere, sottrarre, sfiorando così la musicale eloquenza del silenzio. Anticamera del divino».


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L’APPUNTAMENTO

Mercoledì a Milano Bicocca

Franco Battiato, Angelo Branduardi e Moni Ovadia sono ospiti dell incontro «Musica e spiritualità. Itinerario attraverso le tradizioni musicali di ebraismo, cristianesimo e islam», che si tiene mercoledì 29 marzo a Milano, presso l’Università di Milano Bicocca. I tre si esibiranno accompagnati dal Trio Sharg Uldusù e dal Coro Russia Cristiana. Nel corso dell’incontro sono previsti anche gli interventi di Marcello Fontanesi, rettore dell’Università, Daniela Benelli, assessore alla cultura della provincia di Milano, Paolo Branca, arabista dell’Università Cattolica di Milano, Elio Franzini, docente di estetica all’Università statale di Milano, Garbiel Mandel Kahn, vicario generale per l’Italia della confraternita sufi Jerrahy Halveti.


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