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Referendum

La legge 40, duemila anni fa. Una nota (del 2005) di don Enzo Mazzi - a cura di Federico La Sala

LA "SACRA FAMIGLIA" DELLA GERARCHIA CATTOLICO-ROMANA E’ ZOPPA E CIECA: IL FIGLIO HA PRESO IL POSTO DEL PADRE DI GESU’ E DEL "PADRE NOSTRO" ... E CONTINUA A "GIRARE" IL SUO FILM PREFERITO, "IL PADRINO".
domenica 23 ottobre 2011 di Federico La Sala
Ogni cultura ha le sue contraddizioni. Il cristianesimo non fa eccezione. Nato come movimento popolare messianico, di alternativa radicale ai poteri costituiti, in una insignificante provincia dell’impero, si è trovato dopo meno di tre secoli proiettato ai vertici del potere imperiale, riconosciuto come religione di stato di tutto l’impero. «È noto che il diritto penale romano ha accompagnato l’evoluzione del cristianesimo antico. Dapprima questo ultimo è stato vittima del diritto della (...)

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> La legge 40, duemila anni fa - di don Enzo Mazzi. ---- La legge 40 è incostituzionale (di Maria Zegarelli) --- la Corte costituzionale ha dichiarato illegittime alcune delle norme più significative della legge (di Stefano Rodotà - Sconfitto lo Stato etico) -

giovedì 2 aprile 2009


-  La legge 40 è incostituzionale
-  La Consulta riapre il caso

-  La Corte boccia il limite di tre embrioni, che condanna le donne a stimolazioni ormonali ripetute
-  La sottosegretario Roccella: nuove linee guida. Il Pd: si rispetti la sentenza

-  La Corte costituzionale ha dichiarato la parziale incostituzionalità della legge 40.
-  Non si può fissare un limite di tre embrioni e non ci può essere un obbligo a impiantarli tutti contemporaneamente.

-  di Maria Zegarelli (l’Unità, 02.04.2009)

Parzialmente illegittima la legge 40 sulla Fecondazione assistita: la sentenza della Corte Costituzionale è arrivata ieri nel tardo pomeriggio, dopo un giorno e mezzo di camera di consiglio, e ha colpito il cuore stesso della legge.

L’INCOSTITUZIONALITÀ

Illegittimo l’articolo 14 al secondo comma, laddove prevede il limite dei tre embrioni e l’obbligo «a un unico e contemporaneo impianto». Incostituzionale anche il comma 3 «nella parte in cui non prevede che il trasferimento degli embrioni, da realizzare non appena possibile, debba essere effettuato senza pregiudizio della salute della donna». Inammissibili per difetto di rilevanza nei giudizi principali le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 6 comma 3 (l’irrevocabilità del consenso all’impianto da parte della donna) e dell’articolo 14 comma 1 e 4 (crioconservazione degli embrioni al di fuori di ipotesi limitate e divieto di riduzione embrionaria di gravidanze plurime).

I giudici dell’Alta Corte di fatto hanno riconosciuto che il medico non può prescindere dalla valutazione dello stato di salute della donna, mentre, abolendo l’obbligo dei tre embrioni e l’impianto contemporaneo degli stessi, «è possibile che abbia ammesso quel principio di eccezione alla regola avanzato dal giudice Delle Vergini, del tribunale di Firenze, - spiega l’avvocato Maria Paola Costantini che insieme alla professoressa Marilisa D’Amico rappresenta Miriam e Giovanni, i due pazienti che hanno presentato ricorso - secondo il quale la crioconservazione è ammessa in caso di pericolo per lo stato psico-fisico della donna».

Esultano per il risultato i ricorrenti: la World association reproductive medicine (Warm) presieduta da Severino Antinori e la Fondazione Hera di Catania, del professor Antonino Guglielmino i cui pazienti si sono rivolti al tribunale. «È una vittoria dei pazienti che da anni patiscono a causa di una legge sadica, ingiusta e priva di qualunque razionalità scientifica. La legge infatti - commenta Guglielmino - è stata concepita seguendo una sorta di modello punitivo per la donna, costretta a ripetuti e pesantissimi protocolli di stimolazione o a gravidanze plurigemellari creando situazioni di pericolo oltre che per la salute della madre anche per quella dei nascituri». Di grande «vittoria per lo stato di diritto e per lo Stato laico, che non deve essere soggetto a spinte religiose che impongono le leggi con una grave riduzione dei diritti civili», parla Antinori.

IL GOVERNO IN GUERRA

Sul piede di guerra il governo, con la sottosegretaria al Welfare Eugenia Roccella che avverte: «Sarà indispensabile emanare al più presto nuove linee guida che possano eliminare qualsiasi contraddizione». La blocca l’ex ministro alla Salute Livia Turco: «Proprio sulla base della stessa legge 40 le linee guida non hanno alcun potere interpretativo ma sono solo uno strumento tecnico». Il ministro Sandro Bondi parla di un grave «problema per la nostra democrazia, in quanto la sovranità del Parlamento viene intaccata parallelamente alla percezione della sparizione di autorità di garanzia», mentre Maurizio Gasparri imbraccia la spada di paladino della vita.

Il segretario del Pd Dario Franceschini ricorda che «le sentenze della Corte vanno sempre rispettate» e che «il pronunciamento della Corte non potrà che essere recepito dal nostro ordinamento». Non si stupisce della sentenza Anna Finocchiaro: «La Corte dichiara l’illegittimità di parti della legge che già nella discussione parlamentare erano apparsi irragionevoli. Adesso si deve rifuggire anche sul testamento biologico da posizioni ideologiche». È proprio questo che spaventa il Pdl.


Sconfitto lo stato etico

-  Sono cadute alcune tra le norme più odiose e fortemente simboliche della legge 40
-  È stata imboccata una strada che ripristina il rispetto dei diritti della persona

-  Forse i disinvolti e ideologici legislatori, che ci affliggono da anni con la loro pretesa di
-  imporre un’etica di Stato, cominceranno a rendersi conto che dovrebbero finalmente andare a lezione di Costituzione.

-  di Stefano Rodotà (la Repubblica, 02.04.2009)

La sentenza di ieri, con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato illegittime alcune delle norme più significative della legge sulla procreazione assistita, conferma un orientamento già ben visibile negli ultimi mesi, e che ha fatto nitidamente emergere un insieme di criteri che precludono ai legislatori di impadronirsi della vita delle persone. Quando, con mossa incauta, nel settembre scorso la maggioranza parlamentare aveva sollevato un conflitto di attribuzione nei confronti della magistratura, sostenendo che aveva invaso le competenze del legislatori con la sentenza sul caso di Eluana Englaro, i giudici costituzionali l’avevano rapidamente bacchettata, dichiarando inammissibile la loro iniziativa. E a fine dicembre, quando le polemiche su quel caso erano ancor più infuocate, hanno con forza affermato che l’autodeterminazione costituisce un diritto fondamentale della persona. Una linea chiarissima, che rendeva prevedibile la decisione di ieri.

Ora cadono alcune tra le norme più odiose e fortemente simboliche della legge 40. Quella che imponeva l’unico e contemporaneo impianto degli embrioni, comunque in numero non superiore a tre: viene così battuto un proibizionismo cieco e ingiustificato, che infatti aveva provocato le critiche dei medici che operano in questo settore E quella che, sempre in relazione all’impianto, non teneva conto della necessità di salvaguardare la salute della donna, violando così un fondamentale diritto della persona. E non è vero, come ha frettolosamente osservato qualche parlamentare del Popolo della libertà, che la Corte ha comunque salvato altri articoli della legge, che pure erano stati impugnati. Su questi articoli, infatti, i giudici non si sono pronunciati per una ragione procedurale, perché non riguardavano le questioni trattate nei giudizi in cui l’eccezione di costituzionalità era stata sollevata. Sarà, quindi, possibile riproporre quelle eccezioni nella occasione più opportuna.

È stata così imboccata una strada che ripristina la legalità costituzionale e il rispetto dei diritti della persona. E, come ha saggiamente osservato Carlo Flamigni, si creano anche le condizioni per arrivare ad un "provvedimento più saggio", ad una riforma della legge 40 che ci faccia tornare in sintonia con le legislazioni degli altri paesi e, soprattutto, che disciplini le tecniche di riproduzione assistita in modo da renderle il più possibile aderenti alle effettive esigenze delle donne. Ma, invece di cogliere l’occasione offerta dalla Corte per avviare una nuova riflessione comune in una materia così difficile, la cecità ideologica continua a tenere il campo. Dai lidi della maggioranza si grida alla deriva eugenetica, si torna a parlare di attentato alla sovranità del Parlamento, si riecheggiano i toni populisti di questi giorni intonando di nuovo la canzone dei giudici che si sostituiscono alla volontà del popolo.

Chi ragiona in questo modo (si fa per dire) mostra di ignorare la logica stessa del controllo di costituzionalità, finalizzato proprio a garantire che le leggi votate dai rappresentanti del popolo non violino i principi e le garanzie che, democraticamente, proprio il popolo si è dato attraverso l’Assemblea costituente, e la Costituzione frutto del suo lavoro. Il Parlamento, dunque, non è sciolto dal rispetto di questi principi, ma a questi deve sottostare. Nella Corte costituzionale i cittadini trovano così non il guardiano di una astratta legalità, ma il garante dei loro diritti e delle loro libertà. Garanzia tanto più importante quando si legifera sulla vita, perché il Parlamento non può espropriare le persone del potere di prendere in libertà le decisioni più intime. E non si può dire che siamo di fronte ad una inattesa prepotenza della Corte. Proprio durante la lunga discussione parlamentare sulla legge sulla procreazione assistita molti avevano messo in guardia contro il rischio di approvare norme incostituzionali, com’era evidentissimo considerando proprio il modo in cui la Corte aveva già affrontato in particolare il tema del diritto alla salute.

Se torneranno un minimo di ragione e di cultura della legalità, la sentenza di ieri potrà aiutare anche nel difficile esame del disegno di legge sul testamento biologico, di cui deve ora occuparsi la Camera. Quell’insieme di norme, infatti, è perfino più sgangherato, dal punto di vista della costituzionalità, della pur sgangheratissima legge sulla procreazione assistita. I legislatori, lo ripeto, apprendano le lezioni di costituzionalità che la Corte, legittimamente, impartisce.


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