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Messaggio evangelico e fondamentalismo teocratico

Il cristianesimo non è un "cattolicismo" né un "platonismo per il popolo"!!! Caro Ratzinger, caro Bertone, caro Ruini, caro Bagnasco ... i "dico" come l’incesto e la pedofilia??!! L’Episcopato italiano lo state portando su una strada sempre più stretta e piena di rischi!!! Un "commento" di Eugenio Scalfari ... e di Mons. Gianfranco Ravasi - a cura di pfls

lunedì 2 aprile 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] La "Nota" della Cei e le successive dichiarazioni del successore di Ruini parlano esplicitamente dell’obbligo dei parlamentari cattolici di conformarsi alle indicazioni della Chiesa ed escludono che si possa invocare in materia il principio della libertà di coscienza. Rivolgersi in questo modo a membri del governo e del Parlamento è aberrante e profondamente offensivo per i destinatari e per le istituzioni da essi rappresentate. Chi è stato eletto dal popolo ha come solo punto di (...)

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> Il cristianesimo non è un "cattolicismo" né un "platonismo per il popolo"!!! Caro Ratzinger, caro Bertone, caro Ruini, caro Bagnasco ... i "dico" come l’incesto e la pedofilia??!! L’Episcopato italiano lo state portando su una strada sempre più stretta e piena di rischi!!! Un "commento" di Eugenio Scalfari ... e di Mons. Gianfranco Ravasi - a cura di pfls

lunedì 2 aprile 2007

VIA CRUCIS - VENERDI’ SANTO: Quest’anno l’autore delle meditazioni è il biblista Gianfranco Ravasi (fls)


Dal dolore alla gioia: perché cercare tra i morti colui che è vivo? *

In principio era la gioia e la bellezza colorava delle sue tinte l’intera creazione. Dio aveva fatto ogni cosa buona (cf. Gn 1,31), nella sua infinita bontà voleva rendere felice ogni creatura. Lo aveva promesso: «Sarai custode del creato, sarà tua la terra e godrai dei suoi frutti». La vita era bellezza da gustare fino in fondo.

In principio Dio e l’uomo erano faccia a faccia, in perfetta armonia, poi, infranto il patto da parte dell’uomo, il dolore sembra aver offeso ogni attesa e mortificato la promessa. È diventato il luogo dove Dio è alle spalle, mentre l’uomo raccoglie la domanda sul senso della sua condizione: «Perché?». Bestemmia e preghiera, insieme, nello stesso luogo. E insieme si risolvono quel sentirsi abbandonati da un cielo avvertito contrario e quel desiderare di essere salvati da quello stesso cielo contro cui si protesta. La protesta e la fede, insieme, nella stessa esperienza: «Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?» (Mc 15,34). «Mostrami il tuo volto e io sarò salvo» (Sal 79). «Anche se tua madre si dimenticasse di te...» (Is 49,15), è la risposta di Dio, che risuona come provocazione al dolore che non trova ragioni. Eppure Dio è davvero la Madre che non ci abbandona, il Padre misericordioso che accoglie commosso i figli perduti.

«Andate...» (Mt 28,19), ed annunciate al mondo che non siete più soli. Questa è la bella notizia che il Vangelo ci annuncia, mostrandoci il volto della tenerezza di Dio, un Dio con noi, un Dio che attende l’uomo, ogni uomo, per fare festa. Il cristianesimo è la proclamazione di questa festa e se perde la forza rivoluzionaria della bella notizia, diventa altro. Se la descrizione dell’uomo sofferente e la denuncia del male non sono accompagnate dall’annuncio pasquale della gloria finale, della gioia e della pace, vana sarebbe la nostra fede! (cf. 1 Cor 15,12). Un improprio concetto di mortificazione, che si ferma al dolore della croce, senza gridare la vittoria di Cristo, ha finito con l’esaltare la sofferenza come se fosse la via migliore di purificazione, quasi come se Dio gradisse il dolore dell’uomo. No, io sono ateo di un Dio che gode del pianto di una madre che ha perso un figlio, della fame che uccide i bambini, delle piaghe dell’uomo crocifisso nelle corsie di un ospedale.

La perfetta letizia non è il dolore, ma il conforto di una fede che ci sostiene, ci rassicura, perché chi crede nel Dio cristiano sa che là dove la sua sofferenza diventa protesta, a protestare con lui c’è il Padre che in Cristo ha sgridato ogni dolore e ogni morte: «Vieni fuori!» (Gv 11,43). Così il Figlio di Dio, compagno dell’uomo, commosso, turbato, dopo aver pianto (cf. Gv 11,33), gridò sulla tomba dell’amico Lazzaro per rovesciare il suo destino e quello dell’intera umanità.

Il cristianesimo è lotta gioiosa combattuta con le armi della carità contro lo strapotere di chi offende la giustizia, la speranza, la compagnia. È scegliere di schierarsi con gli ultimi, là dove il Maestro si lascia incontrare: nella fame di chi ha fame, nella sete di chi ha sete, nel dolore di chi soffre (cf. Mt 25,35), non perché ami indossare l’abito della sconfitta ma per strapparlo e ricucirlo con la forza della compassione e dell’amore. No, Cristo non gode della nostra sofferenza: Egli è risorto per sconfiggere il dolore e la morte penetrati nel cuore della storia, perché l’uomo, ancora presuntuoso, immaturo, fragile come un adolescente e ignaro dell’amore del Padre, gli ha voltato le spalle.

La gioia, solo la gioia, come l’angelo annunciò alla nascita del Salvatore (cf. Lc 2,10), è lo statuto ontologico del cristiano che, senza ignorare che è possibile l’esperienza del limite e della tribolazione, sa che il Maestro ha vinto.

È strano che non sia questa la grande gioia gridata dai tetti! Sarà un caso, ma spesso le nostre liturgie, le nostre assemblee, le nostre preghiere sono tristi, aperte più alla commiserazione, alla enumerazione del male, che alla formidabile vittoria del Risorto. Sarà un caso che il luogo per eccellenza del pellegrinaggio cristiano, memoria dell’avvenimento che ha cambiato il mondo, sia ricordato più come la basilica del Santo sepolcro che come quella della Resurrezione. Eppure, piangere un morto non è una buona nuova! Perché cercare tra i morti colui che è vivo? (Lc 24,5).

* Avvenire, 01.04.2007


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