IL COMMENTO
I cento chiodi in mano ai vescovi
di EUGENIO SCALFARI *
Dobbiamo purtroppo tornare per l’ennesima volta su un tema che continua ad essere fragorosamente riproposto dalle gerarchie ecclesiastiche: quello cioè dei Dico, della tutela della famiglia, del rapporto tra l’Episcopato e il laicato cattolico politicamente impegnato. È di ieri la più recente dichiarazione del presidente dell’Episcopato, monsignor Bagnasco, secondo il quale se si dice sì ai Dico seguendo i criteri dell’opinione pubblica e non quelli etici, diventa poi difficile motivare un no alla pedofilia e all’incesto. Il capo della Cei richiama così ancora una volta i parlamentari cattolici all’obbligo religioso e morale di schierarsi contro le convivenze di fatto e in particolare contro quelle tra coppie omosessuali.
Ad attutire l’effetto di così sconvolgenti "esortazioni" si fa notare da chi cerca di costruire un ponte tra la posizione clericale e quella laica che la "Nota" emanata dalla Cei non prevede sanzioni specifiche contro i parlamentari cattolici che non obbediranno alle ingiunzioni dei Vescovi. Tutto cioè verrebbe lasciato alla consapevole decisione dei singoli. Comprendiamo le buone intenzioni dei "pontieri" che però non trovano conferma nei testi e nei comportamenti.
La "Nota" della Cei e le successive dichiarazioni del successore di Ruini parlano esplicitamente dell’obbligo dei parlamentari cattolici di conformarsi alle indicazioni della Chiesa ed escludono che si possa invocare in materia il principio della libertà di coscienza. Rivolgersi in questo modo a membri del governo e del Parlamento è aberrante e profondamente offensivo per i destinatari e per le istituzioni da essi rappresentate. Chi è stato eletto dal popolo ha come solo punto di riferimento la Costituzione. Volergli imporre un obbligo di obbedienza ad un potere religioso è il massimo dell’ingerenza ipotizzabile. Affiora (l’abbiamo già scritto altre volte ma dobbiamo purtroppo ripeterci) un fondamentalismo teocratico che snatura la missione stessa della Chiesa. L’Episcopato italiano si sta muovendo su una strada sempre più stretta e piena di rischi.
Ieri in parecchi cinema di Roma è stato proiettato il film di Olmi intitolato "Centochiodi". Il regista non ha mai nascosto i suoi sentimenti di cristiano e di cattolico; proprio per questo assume maggior rilievo un film che denuncia la povertà spirituale di una Chiesa sempre più lontana dai sentimenti di fratellanza dei "semplici" e dall’amore verso il prossimo.
Nelle sale dove il film è stato proiettato ci sono stati alla fine applausi corali da parte del pubblico. Non era mai accaduto per un film di carattere religioso e mai con significati polemici nei confronti d’una Chiesa che ragiona sempre più sulla base dei dogmi e dei divieti. L’Episcopato italiano rifletta con serietà sulla via che ha intrapreso, densa di rischi e di pericolose tentazioni.
Ma veniamo alla situazione politica. I berlusconiani del centrodestra non si erano ancora riavuti dal voto con il quale il Senato aveva approvato il decreto sul rifinanziamento delle missioni militari all’estero, quando gli è arrivato il secondo schiaffo sull’altra guancia con il voto che approva il decreto Bersani sulle liberalizzazioni.
Due fatti che vanno molto al di là dei contenuti specifici. Nel primo i "berluscones" hanno votato contro le attese degli alleati atlantici e in particolare degli Stati Uniti d’America; nel secondo contro i principi liberali che hanno sempre posto alla base della loro vocazione politica anche se non hanno mai fatto un solo passo concreto su quell’impervia strada. La pulsione di dare una spallata al governo ha così travolto ogni comportamento ragionevole e ogni mediazione utile dal loro stesso punto di vista. Come non bastasse, sono perfino riusciti a spaccare in due la vecchia "Casa delle libertà" che ormai non esiste più neanche formalmente. Ha ragione il senatore di Forza Italia, Lino Jannuzzi, che motivando il suo "sì" al decreto sul rifinanziamento della missione in Afghanistan ha previsto uno "tsunami" che tra breve tempo si abbatterà sull’arcipelago berlusconiano.
Adesso la parola d’ordine nel centrodestra è quella di minimizzare e ricucire. Ma le spinte centrifughe sono già all’opera e stavolta non sarà facile riassorbire. Soprattutto se la congiuntura economica europea manterrà un andamento positivo e se le ricadute sull’economia e sulla finanza saranno intercettate dal nostro governo con interventi adeguati.
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Il Tesoro conta di disporre nel corso di quest’esercizio d’un surplus di circa tre miliardi di euro. Il tema all’ordine del giorno è la loro più appropriata destinazione. Tra le varie alternative possibili campeggia quella di elevare il livello minimo delle pensioni che attualmente è inferiore ai 500 euro mensili. Affinché l’operazione sia percepibile sembra necessario destinarvi almeno metà del "tesoretto". L’altra metà potrebbe essere utilizzata ad una prima rete di ammortizzatori sociali con specifica attenzione ai lavoratori precari.
Quanto alla riforma delle pensioni è ragionevole supporre che i tavoli di confronto che saranno aperti nei prossimi giorni vedranno l’inizio d’un negoziato che si concluderà verosimilmente in autunno. Ma prima di quella data bisognerà comunque aver chiuso le divergenze sul contratto del pubblico impiego, senza di che i sindacati darebbero il via allo sciopero generale del settore.
Ammettiamo come fondata ipotesi che tutti gli obiettivi fin qui indicati siano realizzati. In tal caso è possibile prevedere un recupero di consenso nei confronti d’un governo che del resto non ha alternative né nelle famose larghe intese né in un governo tecnico. Il presidente Napolitano del resto ha già dichiarato quest’aspetto istituzionale proprio all’indomani del voto sulle missioni italiane all’estero: il compito di questo governo è quello di governare procedendo con gli opportuni aggiornamenti all’attuazione del programma. Così avverrà, almeno fino alle elezioni europee del 2009 e forse fino alla fine della legislatura nel 2011.
Non si possono tuttavia eludere gli effetti che la nascita dell’opposizione "costruttiva" dell’Udc di Casini avrà anche sui rapporti all’interno del centrosinistra. In particolare tra la sinistra riformista e quella radicale. La questione delle due sinistre è stata volutamente drammatizzata da tutti coloro che mitizzano la necessità d’un grande centro o almeno di un centrosinistra intenzionato a marginalizzare la sua ala radicale avvalendosi dell’appoggio dell’Udc su una serie di obiettivi specifici, soprattutto nel campo delle riforme economiche liberali e liberiste.
Ma è una questione malposta per almeno due ragioni. La prima è una ragione strutturale: il nostro è un paese di diseguaglianze crescenti per quanto riguarda la distribuzione del reddito, il possesso della ricchezza, la precarietà del lavoro, la disoccupazione giovanile in gran parte concentrata nelle regioni meridionali. Su questi temi e sulla loro priorità non c’è divisione alcuna tra riformisti e radicali, tra Fassino e Rifondazione. Tanto meno tra Ds e Margherita.
La seconda ragione sta nel rafforzamento politico di Prodi dopo il doppio voto al Senato sulla politica estera e sulle liberalizzazioni. Un Prodi politicamente più forte può negoziare appoggi specifici con Casini senza allentare l’intesa organica con Rifondazione. Giordano (e Bertinotti) sono perfettamente consapevoli di questa situazione e a quanto sembra sono disponibili a fare la loro parte.
Non sarà certo una navigazione tranquilla. D’altra parte, dopo dieci mesi di governo, si è ormai passati dalla fase di stallo a quella di movimento con i rischi ma anche i vantaggi che essa comporta.
* la Repubblica, 1 aprile 2007
Sul tema, nel sito, si cfr.:
VIA CRUCIS - VENERDI’ SANTO: Quest’anno l’autore delle meditazioni è il biblista Gianfranco Ravasi (fls)
In principio era la gioia e la bellezza colorava delle sue tinte l’intera creazione. Dio aveva fatto ogni cosa buona (cf. Gn 1,31), nella sua infinita bontà voleva rendere felice ogni creatura. Lo aveva promesso: «Sarai custode del creato, sarà tua la terra e godrai dei suoi frutti». La vita era bellezza da gustare fino in fondo.
In principio Dio e l’uomo erano faccia a faccia, in perfetta armonia, poi, infranto il patto da parte dell’uomo, il dolore sembra aver offeso ogni attesa e mortificato la promessa. È diventato il luogo dove Dio è alle spalle, mentre l’uomo raccoglie la domanda sul senso della sua condizione: «Perché?». Bestemmia e preghiera, insieme, nello stesso luogo. E insieme si risolvono quel sentirsi abbandonati da un cielo avvertito contrario e quel desiderare di essere salvati da quello stesso cielo contro cui si protesta. La protesta e la fede, insieme, nella stessa esperienza: «Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?» (Mc 15,34). «Mostrami il tuo volto e io sarò salvo» (Sal 79). «Anche se tua madre si dimenticasse di te...» (Is 49,15), è la risposta di Dio, che risuona come provocazione al dolore che non trova ragioni. Eppure Dio è davvero la Madre che non ci abbandona, il Padre misericordioso che accoglie commosso i figli perduti.
«Andate...» (Mt 28,19), ed annunciate al mondo che non siete più soli. Questa è la bella notizia che il Vangelo ci annuncia, mostrandoci il volto della tenerezza di Dio, un Dio con noi, un Dio che attende l’uomo, ogni uomo, per fare festa. Il cristianesimo è la proclamazione di questa festa e se perde la forza rivoluzionaria della bella notizia, diventa altro. Se la descrizione dell’uomo sofferente e la denuncia del male non sono accompagnate dall’annuncio pasquale della gloria finale, della gioia e della pace, vana sarebbe la nostra fede! (cf. 1 Cor 15,12). Un improprio concetto di mortificazione, che si ferma al dolore della croce, senza gridare la vittoria di Cristo, ha finito con l’esaltare la sofferenza come se fosse la via migliore di purificazione, quasi come se Dio gradisse il dolore dell’uomo. No, io sono ateo di un Dio che gode del pianto di una madre che ha perso un figlio, della fame che uccide i bambini, delle piaghe dell’uomo crocifisso nelle corsie di un ospedale.
La perfetta letizia non è il dolore, ma il conforto di una fede che ci sostiene, ci rassicura, perché chi crede nel Dio cristiano sa che là dove la sua sofferenza diventa protesta, a protestare con lui c’è il Padre che in Cristo ha sgridato ogni dolore e ogni morte: «Vieni fuori!» (Gv 11,43). Così il Figlio di Dio, compagno dell’uomo, commosso, turbato, dopo aver pianto (cf. Gv 11,33), gridò sulla tomba dell’amico Lazzaro per rovesciare il suo destino e quello dell’intera umanità.
Il cristianesimo è lotta gioiosa combattuta con le armi della carità contro lo strapotere di chi offende la giustizia, la speranza, la compagnia. È scegliere di schierarsi con gli ultimi, là dove il Maestro si lascia incontrare: nella fame di chi ha fame, nella sete di chi ha sete, nel dolore di chi soffre (cf. Mt 25,35), non perché ami indossare l’abito della sconfitta ma per strapparlo e ricucirlo con la forza della compassione e dell’amore. No, Cristo non gode della nostra sofferenza: Egli è risorto per sconfiggere il dolore e la morte penetrati nel cuore della storia, perché l’uomo, ancora presuntuoso, immaturo, fragile come un adolescente e ignaro dell’amore del Padre, gli ha voltato le spalle.
La gioia, solo la gioia, come l’angelo annunciò alla nascita del Salvatore (cf. Lc 2,10), è lo statuto ontologico del cristiano che, senza ignorare che è possibile l’esperienza del limite e della tribolazione, sa che il Maestro ha vinto.
È strano che non sia questa la grande gioia gridata dai tetti! Sarà un caso, ma spesso le nostre liturgie, le nostre assemblee, le nostre preghiere sono tristi, aperte più alla commiserazione, alla enumerazione del male, che alla formidabile vittoria del Risorto. Sarà un caso che il luogo per eccellenza del pellegrinaggio cristiano, memoria dell’avvenimento che ha cambiato il mondo, sia ricordato più come la basilica del Santo sepolcro che come quella della Resurrezione. Eppure, piangere un morto non è una buona nuova! Perché cercare tra i morti colui che è vivo? (Lc 24,5).
* Avvenire, 01.04.2007
Intervista a: ROSA RUSSO IERVOLINO
Per il sindaco di Napoli «le famiglie si difendono costruendo asili, non intervenendo nelle decisioni del Parlamento»
«Certi vescovi io li manderei a fare i missionari»
di Marco Bucciantini (l’Unità, 01.03.2007)
«Ringrazio il Padreterno, in cui credo, perché sono “costretta” ad occuparmi dei problemi concreti delle famiglie, e non ho tempo da perdere in discussioni su quale sia la vera famiglia...»
Sindaco Iervolino, anche i vescovi credono in Dio. E non hanno dubbi: di famiglia ce n’è una sola. Inquadrare per legge altri tipi di convivenza significa iniziare scivolare su un crinale pericoloso, fino a sprofondare nella pedofilia o nell’incesto, già permessi in Olanda e Germania.
«Come si fa ad ascoltare queste cose? Non meritano commento. Non vi do modo di titolare: la vecchia cattolica contro i vescovi. Non facciamo il fronte anti-chiesa. È un consiglio strategico: i toni accesi non chiamano toni altrettanto accesi. Sono profondamente convinta della laicità dello Stato, non la considero minacciata dalle parole dei vescovi. L’altro giorno, intervenendo ad un convegno, De Mita ha detto: la Chiesa ha il dovere di testimoniare ciò in cui crede. Noi abbiamo il dovere di scegliere quello che è il bene massimo per la comunità concretamente possibile da raggiungere. E agire di conseguenza».
Qual è il bene massimo raggiungibile?
«Trovare una casa alle famiglie, alle coppie. Tutte le coppie. Questo significa difendere le famiglie. A Napoli abbiamo problemi di edilizia popolare, che va rilanciata. E siamo senza territorio per costruire, è tutto sfruttato, la densità abitativa è già massima». Trovata una casa, c’è da mandare i figli all’asilo. «Prima che diventasse sindaco Bassolino qui nemmeno esistevano. Ne ho trovati 17, adesso sono 25 e alla fine del mio mandato ne vorrei lasciare 50. Per un milione di abitanti sono pochi».
E quando i bambini crescono?
«Vanno per la strada, si perdono, sono inghiottiti dal traffico di droga, diventano corrieri. E noi sindaci siamo senza soldi per rafforzare l’assistenza sociale. Mi piacerebbe che qualcuno battagliasse con noi su questo fronte...».
Invece per i vescovi la minaccia per le famiglie sono i Dico...
«Questi vescovi che parlano così li manderei tutti in missione, a rendersi conto dei guai che tormentano la gente».
Come si argina l’attacco della Cei?
«Sostenendo il ruolo delle Istituzioni, lo Stato dove un Parlamento può e deve lavorare per trovare le soluzioni. L’ho detto alla Moratti, scesa in piazza a Milano per chiedere sicurezza. Le leggi non si fanno con i cortei. Con i Dico-day, con i family-day si combina poco».
Perché la Chiesa ha inasprito i toni, in un crescendo che nemmeno il cambio di guardia alla Cei ha rallentato?
«E che ne so? Chiedete a loro. Ognuno adotta il proprio stile. Io vado avanti, credo nello Stato laico, nella libertà di coscienza dei cattolici».
Da “vecchia cattolica” non prova imbarazzo?
«È un secolo che ci sentiamo in difficoltà. La mia generazione è quella del Concilio. Con Tina Anselmi, Maria Eletta Martini, Sergio Mattarella siamo finiti sotto accusa per aver fatto una scelta di sinistra, per noi l’unica coerente con i i principi di giustizia che un cristiano deve perseguire».
E adesso cosa insegue un sindaco cattolico?
«Sono qui, di sabato sera, a studiare il bilancio. È un’impresa. Ne dico una: il tribunale dei minori affida ai sindaci i bambini allontanati dai genitori che non possono crescerli, o perché in carcere, o coinvolti in problemi di droga o persi in altri guai. Le case-famiglia che si occupano di questi figli per conto dell’amministrazione le ho potute pagare fino al 2005. Sono 15 mesi che non abbiamo una lira da dare loro, ma i bambini che hanno in affidamento devono mangiare tutti i giorni...».