Di Sergio Romano (Corriere della Sera 14/5/06)
Ciò che mi ha maggiormente colpito nello scandalo del football è il sentimento, molto comune, che certi intrighi e imbrogli non siano casi isolati, ma indice di un malcostume diffuso. Insomma, siamo indignati, scandalizzati e arrabbiati, ma non sorpresi. Se queste impressioni sono fondate (e temo lo siano), la vicenda è più grave di quanto non sembri. Questo non è un semplice scandalo, come possono accaderne anche nei Paesi meglio governati. È la dimostrazione, soprattutto dopo le vicende bancarie degli scorsi mesi, che Tangentopoli e i 14 anni passati dall’arresto di Mario Chiesa non hanno intaccato le cattive abitudini di alcuni settori della società. Pensavamo che le indagini di Mani pulite avrebbero avuto ricadute positive per tutta la vita nazionale. Credevamo che la proliferazione dei codici etici nella prima metà degli anni Novanta fosse qualcosa di più di uno dei tanti esercizi in cui il Paese rivela i suoi vizi peggiori: retorica, ipocrisia, conformismo. Ma scopriamo che le cattive abitudini, in certi ambienti, non sono cambiate. Quanto più una corporazione è potente, corteggiata e adulata dal Paese e dalla politica, tanto più sembra convinta di poter violare la legge e aggirare le regole. Non è lo scandalo che preoccupa: è la combinazione di cinismo, sentimento d’impunità e indifferenza a qualsiasi principio morale che traspare dalla vicenda. Di chi è la colpa? Dei controllori che non controllano? Di una classe dirigente amorale? Di una opinione pubblica in cui l’indignazione è sporadica, sussultoria, inconstante? Nello scandalo del football vi è un altro aspetto inquietante. Quando scoppiò Tangentopoli la reazione della magistratura fu, a dir poco, anomala. I procuratori si impadronirono del circuito mediatico e lo alimentarono con fughe, interviste, indiscrezioni. Le procure cominciarono a contendersi la materia delle indagini. Alcuni magistrati si abituarono a vivere nel cerchio di luce dei riflettori e dettero l’impressione di amare il loro nuovo ruolo. Mi dissi allora che queste anomalie erano forse giustificate da una esigenza: aprire un varco, grazie al consenso della pubblica opinione, nel muro di cinismo e di omertà che copriva il rapporto tra la politica e gli affari. Ma i magistrati avrebbero dovuto essere i primi a rendersi conto che bisognava tornare, dopo la «libera uscita» di quel momento eccezionale, alle antiche virtù del mestiere: il silenzio, la discrezione e una forte distanza di sicurezza dal mondo della politica. Ciò che sta accadendo in questi giorni sembra dimostrare che lo stile di Mani pulite sopravvive. Siamo letteralmente sommersi da notizie di cui ignoriamo la paternità. E stiamo assistendo a una competizione fra le procure che ricorda gli anni di Tangentopoli. Esiste una istituzione che può affrontare autorevolmente questo problema: il Consiglio superiore della magistratura. Ma la sua maggiore preoccupazione in questi anni è stata quella di rivendicare l’indipendenza della magistratura. È giusto. Ma non sarebbe altrettanto giusto chiedersi, almeno in qualche caso, quale uso si faccia di tale indipendenza? Ancora una osservazione. I risultati di questo grande clamore giudiziario sono inevitabilmente inferiori alle attese: qualche condanna cassata in appello, qualche detenzione cautelativa seguita da proscioglimento, qualche archiviazione. E così, dopo avere suscitato una appassionata sete di giustizia, la magistratura alimenta un’altra ricorrente patologia italiana: la sindrome dell’insabbiamento. E nuoce, in ultima analisi, a se stessa.
ONORE A CHI HA AVUTO CORAGGIO ... PRIMA, NON DOPO: VIVA LA COSTITUZIONE, VIVA L’ ITALIA!!!
Scandalo calcio, intervista a Narducci: "Ora pulizia, chi sa parli" "La giustizia sportiva non basta, serve il codice penale"
IL PM:"ALTRI CAMPIONATI NEL MIRINO E’ COME COMBATTERE LA CAMORRA" di DARIO DEL PORTO (www.repubblica.it, 14.05.2006)
NAPOLI - "Non è più sufficiente andare in televisione per dire che tutti erano a conoscenza di quanto sta emergendo dall’inchiesta della Procura di Napoli. Chi sa qualcosa, deve trovare il coraggio di venire a raccontarlo ai magistrati. Per il mondo del calcio questa è un’occasione irripetibile, come fu Tangentopoli per la politica". Ha indagato per oltre dieci anni sulla camorra più potente della città. I clan, hanno raccontato due pentiti, volevano ucciderlo sparando con un fucile di precisione dai tetti di Forcella. Ma oggi il pm Giuseppe Narducci si occupa soprattutto degli intrighi del pallone insieme al collega Filippo Beatrice. E avverte: altri campionati, non solo quello 2004-2005, potrebbero essere stati condizionati.
Pm Narducci, nel 2004, durante l’inchiesta sul calcio scommesse, lei auspicò, invano, la collaborazione degli addetti ai lavori. Si sono persi due anni? "Per certi versi sì. Ma il discorso non vale solo per questa indagine. Ci sono state altre occasioni, nel recente passato, per fare chiarezza negli ambienti dello sport professionistico e non sono state sfruttate. Ora però bisogna guardare al presente".
Stavolta andrà diversamente? "Una ragionevole speranza esiste. Mi sembra di respirare un clima diverso dal passato. Ma non do niente per scontato, conservo anzi una punta di diffidenza. Non si può affermare, banalmente, che dalle indagini stanno venendo fuori cose note da dieci anni".
Non è così? "Tutt’altro. Lo scarto tra il patrimonio di conoscenze comuni e la realtà di questi giorni è enorme. Stiamo compiendo uno sforzo investigativo straordinario".
Alcuni pensano che, dagli atti, stiano emergendo illeciti sportivi, più che reati. "Ed è un errore. Molti confidano di poter lasciare alla giustizia sportiva il compito di sanzionare queste condotte. Invece i fatti dimostrano, a mio avviso, che solo l’indagine giudiziaria riesce ad affrontare certi nodi. Siamo in presenza, è bene chiarirlo, di casi espressamente previsti dal codice penale. Il mondo dello sport, se vuole fare pulizia al proprio interno, dovrebbe invece interessarsi alle sorti di questa indagine".
In che modo? "Non è più tempo di chiacchiere. Chi è a conoscenza di episodi rilevanti deve presentarsi dai magistrati per mettere a verbale fatti concreti e non frasi di circostanza. Questa è un’opportunità unica".
Sotto la lente c’è il campionato 2004-2005. Ma esiste il rischio che altri tornei siano stati condizionati? "Posso solo ricordare che negli atti già noti si fa riferimento al rocambolesco finale del campionato 1999-2000. Esiste un’intercettazione nella quale uno dei protagonisti spiega che era già tutto pronto e che solo l’imprevisto clamore suscitato da un singolo episodio (il gol annullato al Parma dall’arbitro De Santis n. d. r.) determinò un esito diverso da quello voluto".
Ma allora hanno ragione i tifosi di squadre che non vincono mai a pensare che è tutto già scritto? "Passiamo alla domanda successiva".
Ci sono sospetti anche sul campionato che si concluderà oggi? "No, non ce ne siamo occupati".
Come fa un esperto di camorra a indagare sul calcio? "Parliamo sempre di reati. Inoltre, fatte le debite proporzioni, la nostra indagine configura un’associazione a delinquere".
Una curiosità. Le piace il calcio? "Lo seguo da sempre, e con grande sofferenza".
Per chi tifa? "Questa, se permette, è un’altra storia. Sono un tifoso che ha letto tutti i libri di Carlo Petrini".
L’ex calciatore che, in libri come "Nel fango del dio pallone", ha raccontato di partite truccate e scommesse clandestine? "Proprio lui. Onore a chi ha avuto coraggio". (14 maggio 2006)