Politica

Massimo D’Alema a San Giovanni in Fiore: il commento del cattocomunista berlusconiano Emiliano Morrone. "Dovevi venire prima, D’Alema. Ora non sei più credibile"

sabato 25 marzo 2006.
 

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Massimo D’Alema è invecchiato. Me ne sono accorto soltanto qualche giorno fa, vedendolo, bianco e grigio, contrapporsi alla Rossanda. Da Lerner si discuteva della metamorfosi della sinistra. Il presidente diessino calcava la mano sopra i toni da crociata antibolscevica dell’uomo antenna nazionale. Per il resto, non mostrava aperture significative. Soprattutto, la Rossana del “manifesto” sembrava assai più giovane, ironica e combattiva del leader della Quercia. La Finocchiaro, qualche giorno più avanti, sempre simpatica, si esprimeva contro Castelli, nella bella sala “Mastai” del grande cavaliere Marra, col «ragionare» caro a D’Alema. Mezzo acrobata e ragioniere, ha dovuto faticare e cangiare, lo skipper di Puglia, per concorrere con la potenza mediatica di Forza Italia. Se serve, passi. A San Giovanni in Fiore è giunto, appresso, in un momento drammatico, nerissimo. Coi disoccupati in rivolta, una rivolta insensata, che sta bloccando ogni possibilità di sviluppo. Questi signori devono capire che viviamo tempi al limite e che, se manca un progetto organico in Calabria, l’emigrazione farà il deserto. In Italia, non ne parliamo. La solidarietà statale è morta, i giovani non hanno un orizzonte, il ritardo nella produzione e tecnologia è gravissimo e ci avviamo verso le quattro nazioni interne, grazie al leghismo del Polo. Ovviamente, il popolo s’incanta a botte di “Grande fratello”, isole di fama, “vespismi”, salamelecchi e «tricche e ballacche». A San Giovanni in Fiore, invece, servono e urgono promesse, "gentilismi", favori di commissione, licenze comode, fisarmoniche, vino e trippa. C’avrei voluto parlare con D’Alema. Per dirgli, intanto: «Che fine ha fatto la sinistra che rappresenti? La vedi, qui? Che guaio sta polpetta di scarti, avanzi e prezzemolo!». Dobbiamo dircelo ed evitare le pezze, care all’amicone Giovanni Iaquinta, segretario della locale Gramsci. Il nostro paesetto è rovinato e le responsabilità, se non siamo ciechi, stanno dalla nostra parte. Io mi posiziono a sinistra, ma con spirito liberale e anima cattolica. Non accetto gli schemi né le difese a oltranza. Sicché a D’Alema avrei cantato con parole di De Andrè, senza appello. Quale rinnovamento, nelle nostre sezioni? E, soprattutto, non ci siamo spostati verso un liberismo che sostiene gli interessi del grande capitale, senza considerare le esigenze reali del nostro territorio? Incidentalmente, andrò a votare con profondo dolore, convinto che le parti in causa si equivalgono e non presentano troppe differenze. Farò il mio dovere, certo che si debba intanto scacciare il pericolo della destra. Ma non ho alcuna illusione circa la ripresa nazionale. I tempi non sono maturi. La Calabria è fuori, gli uffici pubblici delirano e gli amministratori locali sono bloccati da uno stalinismo vecchissimo, prima del cinquantatré. Per quanto sia storica la presenza di D’Alema oggi, doveva venire a trovarci quando era presidente del Consiglio. Allora, doveva fermare la speculazione che certi ominicchi del centrosinistra hanno fatto col Reddito minimo, passandola liscia liscia. Doveva difendere la misura della Turco. E anche l’onorevole Oliverio doveva inalberarsi, piuttosto che occuparsi d’altro. Adesso, non sono credibili: né l’uno né l’altro. Per ultimo, io non sono affatto impressionato dal gesto di D’Alema. Gli avevo scritto una lunga lettera di protesta quando la nostra sinistra osteggiava Vattimo, dandogli del «frocio» nei bar e chiedendone pubblicamente l’allontanamento. Di sicuro, da qui in avanti, comunque vadano le elezioni, gli ulivisti al comando non possono giustificarsi, se la Calabria e San Giovanni in Fiore registrano perdite continue di importanti risorse umane. Franco Laratta, rispondimi. Ti chiamo in causa, non accusandoti, per un dibattito serio e, spero, utile.

Emiliano Morrone


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