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PARAGUAY. VATICANO E USA: COMANDO UNIFICATO CONTRO FERNANDO LUGO. Contro il vescovo, che ha abbandonato la vita religiosa per poter competere alle presidenziali, pronta a scatenarsi l’ira "imperiale" di Bush e di Ratzinger - a cura di pfls

giovedì 5 aprile 2007 di Maria Paola Falchinelli
[...] Credo che la politica sia uno strumento della santità e una forma di carità, credo che ci sia bisogno di metterci mistica, contare su forza militante per realizzare il bene comune per le grandi maggioranze. Ma dobbiamo avere una proposta realizzabile, senza utopie molto lontane. Per me la politica non è niente di strano, ho avuto tre fratelli esiliati nel periodo di Stroessner, uno di loro è morto in Svezia l’anno scorso, e mio padre è stato arrestato venti volte. Anch’io sono stato (...)

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> PARAGUAY. VATICANO E USA: COMANDO UNIFICATO CONTRO FERNANDO LUGO. ---- comprendere perché la chiesa fa quello che fa, è dovere di tutti, una sfida alla propria logica interiore. Altrimenti, pezzi importanti della realtà resteranno fuori. Applicando questo alla situazione di Lugo, il sottotitolo potrebbe essere: "E’ la teologia, stupido!" (di JOHN L. ALLEN JR.).

mercoledì 7 maggio 2008

Lite sul vescovo-presidente in Paraguay:

"E’ la teologia, stupido!"

di JOHN L. ALLEN JR.,

New York

National Catholic Reporter

3 maggio 2008 *

Ho ripetuto spesso che riportare notizie sul cattolicesimo romano attraverso il prisma della logica corporativa o delle politiche secolari è come tentare di costruire un oggetto tridimensionale in uno spazio bidimensionale: inevitabilmente alcuni aspetti della realtà vengono trascurati e ne deriva una immagine distorta.

E’ un’immagine che ben dipinge la situazione, ma la gente ha bisogno di esempi concreti per entrare nel merito. I giorni scorsi ci hanno regalato una cosa straordinaria, sotto forma di controversia riguardo l’elezione di Fernando Lugo, ex prete Verbita e vescovo emerito della diocesi di San Fernando in Paraguay, a presidente - una vittoria che è arrivata nonostante l’insistenza del Vaticano che Lugo restasse vescovo e che rimanesse al di fuori delle parti politiche.

In superficie sembra una tipica storia di politica, ma in realtà la situazione non può essere compresa a pieno senza una minima padronanza di teologia cattolica e di diritto canonico, specialmente sul significato di essere vescovo.

Ecco la storia pregressa: Lugo, populista di sinistra, è stato sempre una figura di spicco della scena sociale del Paraguay. L’attivismo scorre nelle sue vene: suo padre fu arrestato 20 volte sotto il regime dell’ex-dittatore Alfredo Stroessner, e tre dei suoi quattro fratelli sono stati espulsi dal paese. Nel 1996, Lugo ha organizzato un incontro nazionale delle comunità di base, i piccoli gruppi dedicati alla formazione spirituale e all’azione politica legate alla teologia della liberazione. Nel 2004 Lugo partecipò alle proteste dei pacifisti per una equa distribuzione delle terre e del commercio in agricoltura.

Tre anni fa si cominciò a parlare di Lugo come candidato alle presidenziali, e da allora è nata la questione del suo status di vescovo cattolico. L’articolo 235 della costituzione del Paraguay proibisce ad un ministro religioso di ricoprire cariche politiche, così nel 2006 Lugo scrisse al Vaticano per chiedere di essere "laicizzato", cioè dimesso dallo stato clericale. Poi annunciò di essersi dimesso dal suo episcopato, motivo sufficiente per lo stato del Paraguay per permettere la sua candidatura.

Tuttavia, il Cardinale Giovanni Battista Re della Congregazione Vaticana per il Vescovi scrisse a Lugo il 4 gennaio 2007, per informarlo che la sua richiesta era stata respinta. Ovviamente Lugo protestò e di lì incominciarono le diatribe sulla stampa che narravano le tensioni tra il futuro presidente e Roma.

La polemica è stata presentata sia sotto l’aspetto disciplinare che politico. Alcuni affermano che il Vaticano ha contrastato Lugo secondo il principio che il clero non deve essere coinvolto nella politica (argomento a tutt’oggi valido), oppure per difendere l’autorità del papa. Altri invece sottolineano le tendenze di sinistra di Lugo, sospettando che il Vaticano tema lo spettro del venezuelano Hugo Chavez, o abbia paura di un rifiorire della teologia della liberazione.

In ogni caso, la realtà dei fatti è che dire "no" a Lugo rappresenta un legalismo rigido legato certamente ad altre ragioni. Dopo tutto, da un punto di vista puramente secolare, se un individuo è determinato a lasciare, a che serve rifiutare le sue dimissioni - a meno che, naturalmente, non gli si voglia rendere la vita difficile?

Ciò che tale ragionamento omette, però, è la dimensione teologica del problema.

Sotto questo aspetto, non è assolutamente scontato che il Vaticano dovesse accogliere la domanda di riduzione allo stato laicale di Lugo, anche se motivata. I canonisti non possono appellarsi a nessun precedente di vescovo ridotto allo stato laicale, e, sebbene sia un punto dibattuto, ci sono serie motivazioni che sanciscano che non sia praticamente possibile.

Teologicamente, l’ordinazione sacramentale è come un campanello che non può essere zittito. Il canone 290 del Codice di Diritto Canonico afferma chiaramente: "Dopo essere stati impartiti validamente, i sacri ordini non possono essere invalidati". Tuttavia un prete può essere "laicizzato", cioè può tornare formalmente e legalmente laico, anche se il suo "marchio" permanente conferito con l’ordinazione resta.

Per preti e diaconi, la riduzione allo stato laicale è di solito un passo estremo a cui si ricorre in casi molto gravi. I preti possono chiedere al Vaticano di tornare ad essere laici, ad esempio quando intendono sposarsi. Tale atto è considerato una azione pontificale, cioè qualcosa che il papa fa personalmente ed è considerato un favore, più che un diritto. I preti possono anche essere ridotti allo stato laicale forzatamente, se colpevoli di gravi mancanze come è accaduto per alcuni preti che avevano compiuto abusi sessuali, di cui siamo venuti a conoscenza nei recenti scandali. Il canone 290 sancisce che la laicizzazione possa riguardare "i diaconi solo per gravi motivazioni, e i presbiteri solo per ragioni estremamente gravi".

Certamente, il canone 290 non fa mai riferimento ai vescovi, come se questa ipotesi fosse praticamente impensabile.

Alcuni esperti ritengono che l’omissione possa basarsi sulla differenza teologica tra il presbiterato e l’episcopato. Detto in parole semplici, la ragione dell’impossibilità di laicizzare un vescovo deriva da questo: l’episcopato rappresenta la "pienezza" dell’ordinazione sacramentale. Ecco perché i vescovi possono ordinare i preti ed altri vescovi, mentre i preti non possono. Data questa differenza, alcuni ritengono che lo status conferito mediante l’ordinazione episcopale sia a livello talmente profondo da renderla indissolubile non solo in senso metafisico, ma giuridico.

Non tutti i teologi o canonisti sposano questa teoria, ma essa sembra implicita nel modo in cui il Vaticano ha trattato i recenti casi di vescovi dissidenti.

I vescovi possono essere rimossi dall’incarico, anche forzatamente, dal papa; è accaduto ad esempio nel 1995, al vescovo francese Jacques Gaillot, rimosso dalla diocesi di Évreux e riassegnato alla sede di Partenia. Gaillot è conosciuto come "il chierico rosso" per le sue visioni liberali in contrapposizione con gli insegnamenti ufficiali cattolici su una vasta gamma di tematiche.

Nel caso di Gaillot, comunque, è stato semplicemente assegnato ad una diocesi inesistente, ma non laicizzato. Egli rimane un vescovo cattolico romano.

Se il Vaticano laicizzasse i vescovi, l’avrebbe già fatto diverse volte, specialmente nei casi in cui vescovi dissidenti hanno ordinato illecitamente altri preti o altri vescovi, creando di fatto una sorta di scisma. Primo fra tutti l’Arcivescovo Emmanuel Milingo, il guaritore dello Zambia ed esorcista che ha rotto i ponti con Roma e ha ordinato vescovi nella sua prelatura Married Priests Now! Dal punto di vista di Roma, comunque, Milingo resta un vescovo e la sua ordinazione quindi resta valida, nonostante il Vaticano abbia annunciato che coloro che sono stati ordinati da lui non verranno riconosciuti ufficialmente.

Sicuramente ci sono alcuni esperti che non concordano sulla teoria che un vescovo possa essere laicizzato qualora il papa lo decida.

Alcuni citano il canone 1405, ad esempio, che riserva al papa l’autorità di giudicare i vescovi nelle cause penali. Dato che la laicizzazione è prevista come punizione dal diritto canonico, il canonista afferma, che non esista nessuna ragione di principio per cui non possa essere applicata a un vescovo, sebbene una sorta di prudenza e di rispetto dell’ufficio episcopale consigli prudenza. Altri citano un rito del 1862, pubblicato da papa Benedetto XIV che riguarda "la denigrazione di un vescovo", che sembra riguardare un vero e proprio rituale di espulsione di un vescovo dal ministero episcopale. Tutti i simboli come la mitria e il pallio vengono sottratti e vengono graffiate le dita e il capo per significare la rimozione dell’unzione impartita durante la cerimonia di ordinazione.

Per ora, il punto importante è che esista un dibattito canonico e teologico nel cattolicesimo sulla possibilità di laicizzare un vescovo. Dire "no" a Lugo, comunque, non è solo una volontà di mantenere o di guadagnare punti in politica, ma una sorta di rispetto delle complessità teologiche e canoniche.

Per essere chiari, nulla di quanto detto vuole dimostrare che la opposizione vaticana sia scevra da fini politici o che non esistano buoni argomenti teologici per laicizzare un vescovo. Queste questioni saranno oggetto di numerose e legittime discussioni nel prossimo futuro.

Ciò che l’attuale polemica dimostra, è che cercare di comprendere perché la chiesa fa quello che fa, è dovere di tutti, una sfida alla propria logica interiore. Altrimenti, pezzi importanti della realtà resteranno fuori. Applicando questo alla situazione di Lugo, il sottotitolo potrebbe essere: "E’ la teologia, stupido!".

traduzione di Stefania Salomone

* Il Dialogo, Mercoledì, 07 maggio 2008 - ripresa parziale. Testo originale


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