Ha lasciato la tonaca per la presidenza e vola nei sondaggi.
Parla Fernando Lugo, per i nemici «il Chavez del Paraguay».
Io, un vescovo rosso nel paese dei dittatori
Questo posto è un paradiso per cinquecento famiglie circondate da milioni di miserabili. Io voglio cambiare tutto questo, ma potrebbero uccidermi
di Dario Pignotti *
Asuncion. I fantasmi della dittatura volano ancora sul Paraguay 18 anni dopo la caduta di Alfredo Stroessner. Come in Cile con i nostalgici di Pinochet, in questo paese conficcato nel cuore del Sudamerica continuano a vivere i figli dello stroessnerismo (1954-1989), il regime che accolse i gerarchi nazisti in fuga negli anni Cinquanta e che poi si sottomise a Washington per gestire, insieme alle altre dittature regionali, la desaparicion di migliaia di dissidenti politici. Si chiamava Operazione Condor.
Erede della teologia della liberazione, il vescovo Lugo ha scosso la scena politica locale un anno fa guidando una grande manifestazione contro il governo del Partido Colorado, ha scomodato la stampa che ha preso ad attaccarlo come «il Chavez paraguayano» e il natale scorso ha sfidato il Vaticano abbandonando la vita religiosa per poter competere alle presidenziali. Tutti i sondaggi lo danno favorito per le elezioni del prossimo anno. Giovedì scorso, altra manifestazione: almeno ventimila persone in piazza, con Lugo e contro il governo.
Il vescovo ha lasciato l’abito, ma non le abitudini. «Si è vescovi per sempre», dice quest’uomo di gesti religiosi, che in quasi due ore di intervista non abbandona la parsimonia, nemmeno quando gli si chiede sui rischi che correrebbe la sua vita. «C’è chi vuole far sparire non solo la mia figura ma la speranza del popolo, la ricerca di giustizia, di equità. Questa gente cerca di fare in modo che gli esclusi perdano anche la speranza di poter avere un posto nella società. Credo che il potere stia lavorando contro di me su quattro scenari possibili, che sono l’impugnazione della mia candidatura, lasciarmi competere e ricorrere alla frode elettorale, attivare un clima di mancanza di sicurezza e di violenza per non consegnarmi il potere e, quarto, l’eliminazione fisica».
Lei parla di ucciderla.
Sì
Chi vi avrebbe interesse?
Chi sta nel potere, chi non vuole abbandonare la gestione dei propri privilegi, la mafia legata al potere di turno. Dietro c’è il narcotraffico, il traffico di armi, che hanno una forza economica molto significativa e sono molto legati a un partito politico.
E’ ovvio che il vescovo del dipartimento di San Pedro Ycumandiyù, anche se non lo nomina, allude al Partido Colorado, al potere da sessant’anni, nei quali sono compresi i 35 anni della dittatura di Alfredo Stroessner, abbattuta nel 1989 da un generale, Andres Rodriguez, che oltre ad essere suo consuocero apparteneva anche lui al Partido Colorado.
Per Lugo l’attuale presidente Nicanor Duarte Frutos, molto legato ai potenti coloni tedeschi mennoniti, sotto accusa per le arbitrarietà commesse ai danni dei campesinos, «gestisce molto bene la sua agenda mediatica. E’ un giornalista, pronuncia discorsi che interessano all’estero, però noi che viviamo in Paraguay sappiamo che la sua teoria e la sua pratica vanno per linee separate. E’ il personaggio politico che ha il più alto tasso di rifiuto. In alcuni aspetti come la corruzione, la mancanza di indipendenza della giustizia e il clientelismo, segue lo stesso schema dello stroessnerismo».
I militari continuano a comandare, in Paraguay?
Le forze armate non sono quelle dei decenni della dittatura, sono totalmente disarmate e disorganizzate. Oggi ci sono militari che si dedicano agli affari, altri alla politica e questo ha bisogno di essere depurato. La realtà è che oggi come oggi esistono istituzionalisti che vogliono ripulire le caserme. E credo che sia il momento di dare il via a un processo di depurazione.
Lambarè è un bucolico sobborgo che ha conosciuto la fama nel 1992 quando vi vennero scoperti gli archivi del terrore, quattro tonnellate di documenti sull’Operazione Condor, con cui le dittature coordinavano la repressione a livello continentale. In questo stesso paese, a circa dieci chilometri dalla capitale Asuncion, tra strade di pietra e terra battuta risiede Fernando Lugo. Era sconosciuto al grande pubblico fino a un anno fa, quando guidò una mobilitazione contro gli abusi di potere del governo. Lugo vive in una casa semplice con un ampio patio in cui si distingue un mango frondoso, sotto il quale l’impietoso calore tropicale diventa più sopportabile.
Si dice che questa casa sia visitata in permanenza da leader di tutte le estrazioni politiche e militari.
Siamo disposti a dialogare, ed è vero che molti militari istituzionalisti sono stati messi ingiustamente in pensione e avanzano rivendicazioni. C’è gente onesta che sa come le forze armate siano state manipolate da interessi diversi.
Come si aprirà la strada in un ambiente politico così viziato?
Con l’appoggio del popolo. Mi appoggiano vari movimenti, come Tekojojà (uguaglianza, in guaranì), le cinque centrali sindacali, il partito rivoluzionario febrerista, un settore del partito liberale, le basi del Partido Colorado, Paraguay posible, la Democrazia cristiana, due coordinazioni indigene, i movimenti contadini, le basi della Unace del generale Lino Oviedo.
E’ possibile competere per la presidenza senza un partito?
Credo di sì.
Non le sembra messianico scommettere solo sulla popolarità?
Mi considero una persona riflessiva e le convinzioni che hanno orientato la mia decisione continuano ad essere salde. Non voglio essere messianico ma credo che il Paraguay abbia bisogno di una pratica politica differente su una serie di fattori come la crisi dei partiti e la crisi di leadership. Forse è questo a contribuire a farmi crescere nei sondaggi.
Ha fiducia nella politica?
Credo che la politica sia uno strumento della santità e una forma di carità, credo che ci sia bisogno di metterci mistica, contare su forza militante per realizzare il bene comune per le grandi maggioranze. Ma dobbiamo avere una proposta realizzabile, senza utopie molto lontane. Per me la politica non è niente di strano, ho avuto tre fratelli esiliati nel periodo di Stroessner, uno di loro è morto in Svezia l’anno scorso, e mio padre è stato arrestato venti volte. Anch’io sono stato arrestato. Oggi un mio fratello continua ad essere in esilio in Francia e l’altro, Pompeyo, sta lavorando con me. Vengo da una famiglia di colorados dissidenti, mia madre e i miei fratelli sono iscritti. E sono il nipote di don Epifanio Mendez Fleitas, un grande leader colorado, poeta e musicista, che morì in esilio in Argentina nel 1986. Sono nato nella culla di Epifanio, nella casa di mia nonna Catalina Fleitas, la matrona della famiglia.
Torniamo ad oggi: accetterebbe l’appoggio del generale Oviedo (in carcere per golpismo)?
Fernando Lugo ha l’appoggio delle basi povere dei partiti tradizionali e dell’oviedismo, e non perché lo dicano i loro leader.
Significa che accetterebbe?
Nel nuovo Paraguay che bisogna costruire tutti hanno qualcosa da portare, compresi gli oviedisti e persino gli stroessneristi.
Potrebbe sintetizzare la sua proposta socio-politica?
Il Paraguay è l’isola dell’abbondanza per circa 500 famiglie circondate da un mare di miserabili, per questo parlo di crescita con equità, non parlo di socialismo egalitario. Dopo aver percorso tutto il paese, le dico che la mancanza di stato si vede, e manca anche una presenza forte degli investimenti privati. Non credo nello statalismo e nemmeno nel capitale a caccia di deregulation totale.
La disturba essere comparato a Hugo Chavez e Evo Morales?
C’è chi cerca di squalificare la mia figura associandola a quella di Chavez, ma credo che siamo differenti a partire dalle radici. Lui è un militare, io provengo da una formazione sociale ed ecclesiastica. Su Evo dico che può essere ottimo per la Bolivia ma lì c’è una percentuale di indigeni molto alta, non come in Paraguay. Credo che Evo rompa con il paradigma politico tradizionale ed è importante fare una lettura corretta delle implicazioni. Nello stesso tempo, non si può essere presidente soltanto degli indigeni in un paese pluriculturale e plurietnico. In ogni modo mi pare importante l’ingrediente etnico, così a lungo dimenticato. Siamo nel secolo delle grandi maggioranze dimenticate da regimi oligarchici in tutti i nostri paesi e credo che la politica sia un processo, non credo nelle stupidaggini irrazionali. Credo che la flessibilità non sia un segno di debolezza ma una ricerca della verità.
Niente truppe Usa con il presidente Lugo
D.Pi. *
Fernando Lugo ammette di «non essere il candidato degli Usa per le prossime elezioni». Washington ha già mostrato la sua preferenza per Luis Castiglioni, attuale vicepresidente, difensore dell’installazione di una base militare a Mariscal Estigarribia, una zona strategica per la sua prossimità con il Brasile e la convulsa Bolivia del presidente Morales. Lugo anticipa che, se eletto, non permetterà alcuna installazione di truppe nordamericane, dal momento che «non c’è alcuna prova concreta della presenza di terroristi. Non si può associare il fatto che lì viva una grande collettività araba col fatto che siano terroristi». E avverte che «l’interesse nordamericano per questa regione riguarda anche la straordinaria ricchezza di acqua e di biodiversità presente nell’Acuifero guaranì». E’ una delle maggiori riserve di acqua potabile del mondo, con un’estensione di un milione e 200mila chilometri quadrati. «Credo che acqua, biodiversità e ambiente vadano salvaguardati, come una forma di sovranità. Ci sono circa 4.700 imprese multinazionali che hanno interessi nell’Acuifero guaranì per industrializzare, imbottigliare ed esportare l’acqua nell’area paraguayana. Noi difendiamo il principio che l’acqua è un bene per l’umanità, non privatizzabile».
intervista
L’ira di Ratzinger
Pronta la scomunica
D.Pi. *
L’ira di Joseph Ratzinger è caduta come una folgore su Asuncion alla fine di dicembre. Con la stessa severità in cui negli anni 80 castigò il teologo della liberazione brasiliano Fernando Boff, il papa - che visiterà il Sudamerica in maggio - ha rifiutato la rinuncia di monsignor Lugo alla carica di vescovo, cosa che implica impedirgli di candidarsi alla presidenza, e attraverso il cardinale Giovanni Battista Re lo ha avvertito che può essere scomunicato.
Lei è il nuovo Boff della chiesa latinoamericana?
Non proprio. Ho una sospensione canonica che in qualche modo mi toglie il mio ministero, che è ciò che io avevo sollecitato. E l’ho fatto perché in Paraguay la legge proibisce di candidarsi ai ministri di qualsiasi religione.
Come giudica il papa?
Credo che Ratzinger non sia più quello della Teologia della fede, oggi il pontefice deve accentuare il proprio carattere di pastore universale.
Si considera un religioso della teologia della liberazione?
Sì, credo che sia stata l’ispirazione più grande della mia formazione. E’ stato l’aiuto scientifico e intellettuale fondamentale delle mie scelte. Credo che la teologia della liberazione e le comunità ecclesiastiche siano strumenti di avvicinamento al popolo e determinano un tipo di prete vicino alla vita di ogni giorno, che non soffre un divorzio tra fede e vita.
Che cosa le ha lasciato la sua visita in Chiapas?
Ho avuto la fortuna di stare in Chiapas con tatic (padre, ndt) Samuel Ruiz nel 1995. Quel viaggio mi ha dato una nuova prospettiva della ricchezza interculturale che arriva alla chiesa quando si fa indigena. Credo che il grande sforzo di Samuel abbia lasciato il segno dimostrando che nella vita di questa gente c’è Cristo incarnato, il Cristo salvatore, liberatore
Sul tema, nel sito e in rete, , si cfr.:
Fernando Lugo: "Il celibato è imperfetto, l’unico perfetto è Dio”
L’ex vescovo dei poveri diventato presidente cacciato dal potere
di Marie Verdier (con AFP)
in “La Croix” del 25 giugno 2012 (traduzione: www.finesettimana.org)
Il vicepresidente Federico Franco è stato nominato presidente del Paraguay nei minuti immediatamente successivi alla destituzione del presidente Lugo. I paesi latinoamericani hanno condannato quello che definiscono colpo di Stato istituzionale.
Sono bastate meno di 24 ore ai parlamentate paraguayani per destituire, venerdì, il presidente Fernando Lugo, in un processo politico ultraveloce, e per nominare presidente il suo ex alleato del Partito liberale, diventato suo rivale, il vicepresidente Federico Franco, di 49 anni.
L’ex vescovo dei poveri, Fernando Lugo, che aveva rinunciato alla tonaca nel 2006 per farsi eleggere primo presidente di sinistra del Paraguay nell’aprile 2008 - dopo sessantadue anni di gestione conservatrice del paese e trentacinque di dittatura - ha denunciato “un colpo parlamentare mascherato da procedura giuridica”, ma si è piegato alla decisione, rimanendo in Paraguay.
Con 39 voti contro 4, i senatori hanno giudicato il presidente Lugo colpevole di aver “svolto male le proprie funzioni”, dopo che i deputati avevano espresso lo stesso parere quasi all’unanimità, dopo gli scontri sanguinosi del 15 giugno. Vi erano morte 17 persone (sei poliziotti e undici contadini) quando le forze dell’ordine erano intervenute per allontanare dei contadini senza terra che avevano occupato una proprietà agricola a Curuguaty, nel nord-est del paese.
“Non è stato destituito Lugo, ma la democrazia”, ha affermato ieri alla televisione pubblica il presidente decaduto, invitando i suoi sostenitori a “manifestare pacificamente”, Fernando Lugo, 61 anni, curato ultimamente per un cancro al sistema linfatico, era stato eletto fino al 2013. Proveniva da una famiglia perseguitata sotto la dittatura di Alfredo Stroessner (1954-1989), costretto all’esilio come molti suoi fratelli, era entrato in seminario a 19 anni. Il suo lavoro di missionario in Equador presso i più poveri gli era valso il soprannome di “vescovo dei poveri”.
Aveva vinto le presidenziali del 2008 con il sostegno dei partiti di sinistra. Ma la sua reputazione era stata danneggiata dalle rivelazioni sulle sue paternità risalenti a quando era ancora un ecclesiastico (Fernando Lugo ha annunciato all’inizio di giugno che avrebbe riconosciuto un secondo figlio).
La sua popolarità era decisamente scesa a causa delle difficoltà incontrate nel realizzare le riforme promesse, in particolare la riforma agraria, in un paese dove l’80% delle terre sono nelle mani del 2% della popolazione. Infine, il presidente Lugo ha perso il sostegno parlamentare a causa di disaccordi politici, essendo il Partito liberale passato all’opposizione.
I paesi dell’America Latina si sono mobilitati, invano, per difendere il presidente Lugo e la democrazia. Hanno unanimemente condannato quello che è stato definito “colpo di Stato” da diversi presidenti e hanno rifiutato di riconoscere il suo successore. L’Argentina e il Brasile hanno richiamato il loro ambasciatore. Discuteranno questa settimana una eventuale esclusione del Paraguay dal Mercosur, il mercato comune americano.
Da questa parte dell’Atlantico, le critiche sono state più misurate. L’Unione Europea ha manifestato la sua “preoccupazione”, la Spagna ha “preso nota” della destituzione del presidente Lugo, ma concede “fiducia” al Paraguay per “far fronte a questa crisi politica”.
Mondiali: in Paraguay tutti in ferie per l’Italia *
Lunedì 14 giugno in Paraguay sara’ una giornata memorabile. Infatti il governo locale ha indetto un giorno di riposo in occasione della partita di calcio Italia-Paraguay.
Il presidente Fernando Lugo ha decretato che il giorno in cui la nazionale esordira’ nel Mondiale del Sudafrica sara’ di riposo a partire da mezzogiorno. La gara e’ per le 14.30, ora locale.
Anche il ministero dell’educazione ha deciso che le lezioni nelle scuole siano sospese, ma gli alunni seguiranno le partite su televisori istallati nelle classi.
Guai per il paladino dei poverI. Accuse da Chiesa e opposizione
Paraguay, la tripla vita di Lugo:
vescovo, presidente, padre
Dopo il primo figlio riconosciuto, una seconda denuncia e forse una terza. Rischia il processo *
Fernando Lugo era un vescovo un po’ particolare. Paladino dei poveri, girava tra i villaggi in camicia, sandali e giubbotto da fotografo, e alla suggestione del regno dei cieli preferiva quella della giustizia sociale. È per questo che il Paraguay un anno fa lo elesse presidente della Repubblica, piegando i poteri che dominavano da mezzo secolo l’impoverito Paese sudamericano e senza lasciarsi condizionare dalle sanzioni del Vaticano.
Che invece Lugo applicasse il suo magistero in maniera così disinvolta era difficile da immaginare. Quanti figli ha davvero il monsignor-presidente? Uno sicuramente, lo ha ammesso la scorsa settimana. Il secondo è spuntato lunedì, e Lugo finora non ha nè negato nè confermato. Quanto al terzo è ancora solo una voce, rimbalzata da un blog alla stampa locale. Da problema personale, il caso è ovviamente diventato politico e c’è un’aggravante: le due donne che hanno chiesto il riconoscimento di paternità erano molto, ma molto giovani, quando hanno conosciuto il vescovo di San Pedro.
Con il primo caso, Lugo se l’era cavata piuttosto bene. Ha subito ammesso di essere il padre del piccolo Guillermo, un anno e 11 mesi, frutto di una relazione nemmeno troppo segreta con Viviana Carillo: all’epoca Lugo aveva già annunciato di lasciare la Chiesa per entrare in politica. La denuncia di Benigna Leguizamon, madre di un altro bambino che oggi ha 6 anni, è invece più pesante. La donna ha raccontato di aver conosciuto l’allora vescovo quando aveva 17 anni, nel 2001. Si era rivolta a lui per chiedere aiuto, perché aveva già un figlio, era poverissima e il padre del bambino era sparito. «Lugo mi aiutò, ma approfittò del mio stato di necessità - ha raccontato la donna, che ha poi lavorato per anni come addetta alle pulizie nella diocesi -. Sono sicura che è lui il padre del mio secondo figlio e gli do 24 ore di tempo per ammetterlo altrimenti chiederò il test del Dna». In un messaggio al Paese, Lugo si è messo a disposizione della giustizia, «sempre e soltanto con l’obiettivo della verità », ma non ha ammesso.
Duplicato lo scandalo, con un’opposizione agguerrita e pronta ad approfittarne, le due donne hanno raccontato altri particolari. La prima sostiene che la relazione con il vescovo era iniziata quando lei aveva appena 16 anni. Benigna ha invece raccontato che Lugo sapeva di essere il padre del bambino, «mi ha pagato l’affitto di casa per un po’, poi è sparito».
Per Fernando Lugo, insomma, le cose si mettono male. Il suo mandato compie un anno in questi giorni e lo scandalo ha bruciato in poche ore i buoni indici di popolarità. La presidente del partito Colorado, di opposizione, sostiene che Lugo potrebbe persino affrontare un processo per violenza sessuale: in Paraguay la legge non permette rapporti, nemmeno se consenzienti, tra un adulto e una ragazzina di 16 anni.
Da più parti si chiedono le sue dimissioni. La Chiesa cattolica tradizionalista, che lo ha osteggiato nella carriera politica, ora si vendica: «C’erano già denunce, per questo lasciò la diocesi di San Pedro nel 2004, altro che passione politica», ha detto monsignor Rogelio Livieres, rivale storico.
Le due donne sostengono di aver già ricevuto pressioni per denunciare i fatti durante la campagna elettorale, ma di aver rifiutato denaro per non prestarsi al gioco degli avversari di Lugo. Evidentemente non lo ritenevano il mostro che oggi dipingono
Rocco Cotroneo
* Corriere della Sera, 22 aprile 2009
Pressato dall’opposizione Lugo ha ammesso la paternità di un bimbo di due anni
avuto dalla ventiseienne Viviana Carrillo quando ancora indossava l’abito talare
Paraguay, confessione shock del presidente
"Ho avuto un figlio quando ero vescovo"
Gli avvocati della donna intendevano chiedergli di sottoporsi a un esame del Dna
Monsignor Gogorza: "Un duro colpo per la chiesa cattolica del Paese" *
ASUNCION - "Mi assumo tutte le responsabilità e riconosco la paternità". Annuncio-shock in Paraguay nel giorno di Pasquetta: pressato ormai da giorni dai gossip e dall’opposizione, il presidente Fernando Lugo ha ammesso di essere il padre di un bambino nato due anni fa da una relazione avuta con la ventiseienne Viviana Carrillo mentre era vescovo della Chiesa cattolica nella diocesi di San Pedro.
Lugo, 58 anni, esponente della sinistra, ha vinto le elezioni nell’aprile scorso, spezzando oltre mezzo secolo di dominio del Partido Colorado. Ha spiegato di aver meditato nella Settimana Santa su come rispondere alla richiesta di riconoscimento avanzata dalla sua compagna.
"Mi assumo tutte le responsabilità derivanti dal fatto e riconosco la paternità del bambino", ha detto Lugo in una breve conferenza stampa. L’ex "vescovo dei poveri" ha spiegato che non parlerà più di questa vicenda per proteggere la privacy del bambino. Il figlio di Viviana Carrillo, si chiama Guillermo Armindo ed è nato il 4 maggio 2007.
Lugo, al potere dall’agosto dell’anno scorso, quando vinse le presidenziali alla guida di un’ampia coalizione di centrosinistra, ha scelto di porre fine al logoramento, soprattutto da parte dell’opposizione, al quale era da tempo sottoposto, anche perché gli avvocati della donna intendevano chiedergli di sottoporsi a un esame del Dna proprio per verificare la paternità del piccolo Guillermo.
Consacrato vescovo nel 1994, per potersi dedicare alla politica, Lugo aveva chiesto le dimissioni dallo stato clericale nel 2006. Sospeso a divinis, era stato riammesso allo stato laicale dal vaticano con una decisione senza precedenti dopo la sua vittoria alle elezioni, permettendogli così di assumere le funzioni di presidente senza infrangere il diritto canonico.
Tra le mille reazioni suscitate dalla dichiarazione odierna di Lugo spicca quella dell’ex presidente della Conferenza episcopale del Paraguay, monsignor Ignacio Gogorza, per il quale l’ammissione della paternità è "un duro colpo per la chiesa cattolica del Paese". Un altro noto vescovo di Asuncion, monsignor Mario Medina, ha invece preferito sottolineare "il coraggio e la sincerità" del presidente.
Fino ad oggi, Lugo aveva evitato di pronunciarsi sulla vicenda, esplosa in un momento in cui l’ex vescovo di San Pedro affrontava una dura offensiva da parte dell’opposizione. La settimana scorsa, fonti del governo avevano infatti sottolineato che il vero obiettivo dell’iniziativa era proprio quello di "colpire l’immagine" del presidente. Una versione dei fatti smentita oggi, e in prima persona, proprio dallo stesso capo dello Stato.
* la Repubblica, 13 aprile 2009
Paraguay/ Presidente ed ex vescovo Lugo ammette: "Ho un figlio"
di Agenzia Apcom *
Bambino nato quando era ancora sacerdote
Asuncion, 13 apr. (Ap) - Il presidente del Paraguay ed ex vescovo della Chiesa cattolica, Fernando Lugo, ha ammesso di essere padre di un bambino nato quando era ancora sacerdote. Lugo ha rivelato "con assoluta onestà e trasparenza" di aver avuto una relazione con la madre del piccolo, Viviana Carrillo, e di voler proteggere la privacy del bambino, aggiungendo di non voler rilasciare ulteriori pubbliche dichiarazioni sulla vicenda. Consacrato vescovo nel 1994, per potersi dedicare alla politica Lugo aveva chiesto le dimissioni dallo stato clericale nel 2006; sospeso a divinis, era stato riammesso allo stato laicale dal Vaticano con una decisione senza precedenti dopo la sua vittoria alle Presidenziali.
Paraguay
Il Vescovo eletto
di Raniero La Valle
Riceviamo da Enrico Peyretti questo articolo di Raniero La Valle per la rubrica RESISTENZA E PACE su Rocca n. 10 (rocca@cittadella.org ) *
Non che sia una consolazione, ma mentre da noi festeggiano i leghisti, in Paraguay festeggiano i lughisti; mentre in Italia per la prima volta dal 1946 la sinistra esce dal Parlamento, in Paraguay per la prima volta dal 1947 vi entra, e mentre da noi sprofonda nell’anonimato e non si fa più vedere alle urne la tradizione del cattolicesimo democratico, in Paraguay a vincere le elezioni e a diventare Presidente della Repubblica è un vescovo, mons. Lugo, che più visibilmente e arditamente cattolico non potrebbe essere, e la cui cultura democratica non potrebbe essere più genuina perché è la cultura della liberazione.
Non che tutto ciò sia un risarcimento per noi, o che si possa fare un qualsiasi paragone tra l’Italia e il Paraguay, ma la singolare contemporaneità tra i due eventi suggerisce che anche in Italia tutto non finisce qui, che nessun potere è per sempre, che la storia è sempre ricca di sorprese e che spesso le decisioni di ieri si trasformano in un rompicapo per oggi.
Un rompicapo è per esempio, come notano tutti i giornali, quello che ha ora da risolvere la curia romana. Il fatto è che quando il vescovo Lugo, sulla spinta delle speranze popolari, decise di presentarsi come candidato alla presidenza, conosceva le incompatibilità stabilite dal diritto canonico, e perciò chiese la riduzione allo stato laicale; ma Roma gliela rifiutò, dicendo che un vescovo è per sempre. Tuttavia qui il problema non era che mons. Lugo volesse mettersi fuori della successione apostolica, ma che voleva passare dall’esercizio di funzioni ecclesiastiche all’esercizio di funzioni civili, come era avvenuto in altri celebri casi, bastando per l’Italia ricordare il nome di don Sturzo, mai uscito dall’ordine sacro. Il vescovo di San Pedro, certo disobbedendo (ma obbedendo, come la Chiesa raccomanda, alla sua coscienza), decise di “correre” lo stesso, ragione per cui fu sospeso a divinis. Il rompicapo consiste adesso nel fatto che, sulla parola stessa dell’autorità romana, Fernando Lugo è tuttora vescovo, nella pienezza del suo carisma, ed è quindi un vescovo che ora guida il Paraguay, con il progetto e l’impegno di riscattare i poveri e gli esclusi, i campesinos senza terra e gli indigeni diseredati: una sua sconfessione, da parte della Santa Sede, metterebbe in conflitto il Vangelo con la promozione umana, e il sacerdozio con l’opzione dei poveri, e inoltre lascerebbe solo e vulnerabile Lugo, dinanzi a quanti sicuramente lo vorranno uccidere, come fecero con l’arcivescovo Romero; a rendere poi più difficile la decisione romana c’è anche il fatto che il Vaticano, se non sempre è in buoni rapporti coi vescovi, sempre cerca di avere buoni rapporti con i capi di Stato e di governo.
Ma oltre a ciò, l’elezione di Lugo pone due questioni di carattere generale. La prima è che, come titolava Le Monde diplomatique nel dicembre scorso, Washington sta perdendo l’America Latina; mentre prima aveva dittatori e generali Presidenti suoi amici dappertutto, adesso si trova di fronte, al vertice di questi Stati, donne, operai, indigeni e perfino un vescovo, e quasi dappertutto governi di sinistra. Vero è che oggi gli Stati Uniti cercano di legare a sé questi Paesi con forme di potere più consensuale, imposte con gli strumenti della globalizzazione liberista: come ha scritto un ricercatore, William J. Robinson, su una rivista newyorchese, “gli strateghi americani sono diventati buoni gramsciani”, avendo compreso che il vero potere è nella società civile, ed è attraverso il controllo sociale e politico su di essa che cercano di aggiudicarsi l’America Latina. Ma se, nonostante ciò, la perdono, è solo perché si perde ciò che si possiede o si vuole possedere. Quel continente, al contrario, non vuole essere oggetto di possesso da parte di nessuno; gli Stati Uniti rinunzino al dominio, sia con le armi che col capitale, e non perderanno più niente, e avranno buoni rapporti con tutti.
La seconda questione è quella della laicità. Se il popolo elegge un vescovo, e il vescovo guida il popolo non facendo ricorso alle risorse del sacro, ma a quelle della condizione laica e comune, allora la laicità non può essere più quella che distingue il clero dai fedeli, quasi due opposti “generi di cristiani”, ma deve essere una qualità comune a laici, preti e vescovi. Si tratta allora di trovare lo specifico cristiano della laicità, che non può non riguardare tutti, prima di ogni distinzione di stato, di ordini e di ruoli. Questa laicità consiste nel prendersi cura del mondo, come realtà presente e non solo come passaggio alla realtà futura; nell’occuparsi dei corpi, santi e amati da Dio, già qui, prima della resurrezione della carne; e nel prendere su di sé, ciascuno per la sua parte, la responsabilità per la vita, il diritto e la felicità dell’intera famiglia umana sulla terra. Gli altri, a cui la laicità ci accomuna, lo facciano pure con le loro motivazioni, alcune del resto assai pregevoli, che noi stessi condividiamo; noi lo facciamo perché anche Dio ha fatto e fa così.
Raniero La Valle
Ansa» 2008-04-21 10:42
PARAGUAY: ELETTO L’EX VESCOVO LUGO
ASUNCION - Il Tribunale supremo della giustizia elettorale (Tsje) del Paraguay ha ufficializzato la vittoria di Fernando Lugo, candidato dell’Alleanza patriottica per il cambiamento (Apc), nelle elezioni presidenziali svoltesi ieri. Il vicepresidente del Tsje, Juan Manuel Morales, ha sostenuto che Lugo si è imposto in elezioni realizzatesi "con zero errori". Con il computo delle schede riguardanti il 92% dei seggi, l’ex vescovo di San Pedro ha ottenuto il 40,82% e la sua principale sfidante, Blanca Ovelar del Partito Colorado, il 30,72%. Sia la Ovelar, sia il terzo candidato in lizza, l’ex generale Lino Oviedo, hanno riconosciuto la vittoria di Lugo, mentre il presidente uscente Nicanor Duarte Frutos si "é impegnato a rendere fluida la transizione". L’insediamento di Lugo nel Palacio de Lopez presidenziale, dove resterà cinque anni, è prevista per il 15 agosto prossimo.
Era l’outsider ed il grande favorito delle presidenziali in Paraguay, ed ha mantenuto le sue promesse. Candidato quasi per scherzo di una eterogenea coalizione di centro sinistra che va dai liberali ai comunisti, l’Alleanza patriottica per il cambiamento (Apc), l’ex vescovo di San Pedro e per la chiesa vescovo a tutti gli effetti, Fernando Lugo Mendez, ha 56 anni. Nel febbraio 2007 fu sospeso a divinis dal Vaticano, a seguito di una sua lettera del Natale precedente in cui comunicava la sua decisione di candidarsi.
Nato in una umile famiglia vicina al Partito Colorado a San Pedro del Parana, 400 chilometri a sud di Asuncion, Lugo non ha mai potuto dimenticare che suo padre fu arrestato una ventina di volte e tre suoi fratelli furono torturati ed espulsi dal paese perché contrari alla dittatura del generale Alfredo Stroessner. Anche suo zio Epifanio Mendez Fleitas fu un noto caudillo, nemico dell’allora dittatore. Ordinato sacerdote, nel 1977 si trasferì per cinque anni in Ecuador dove lavorò con mons. Leonidas Proano e partecipò ad un coordinamento della "Chiesa dei poveri" legato alla Teologia della liberazione (Tdl). Rientrato in Paraguay, fu espulso dalle autorità perché considerato "pericoloso per la pace sociale" e questo lo portò a Roma dove si dedico a studi teologici. Nel 1994 fu nominato vescovo di San Pedro Apostol, la diocesi che gli ha dato i natali e che lo ha convinto ad entrare in politica.
E’ stato leader del movimento Tekojojà (nella lingua guaranì, Uguaglianza), attorno a cui ha organizzato l’Apc, coalizione di 12 fra partiti e movimenti politici e sociali di centro-sinistra. Lugo viene chiamato il "vescovo dei poveri" per il suo passato in Ecuador e per aver guidato nel marzo 2006 una manifestazione popolare di 40.000 persone contro il governo del presidente Frutos. Questo gli ha attirato gli strali governativi. Il capo dello Stato uscente e vari responsabili ’colorados’ lo hanno accusato di molte cose, dall’aver protetto il gruppo che ha sequestrato ed assassinato Cecilia Cubas, figlia dell’ex vicepresidente Raul Cubas, all’essere sensibile alle argomentazioni e all’aiuto finanziario del presidente venezuelano, Hugo Chavez.
L’esponente della teologia della liberazione ha ottenuto il 40,8% dei consensi
malgrado la violenta campagna "sporca" condotta dai suoi avversari
Paraguay, Lugo è nuovo presidente
L’ex vescovo batte partito Colorado
dal nostro inviato OMERO CIAI *
CARACAS - E’ stata l’ultima spallata alle oligarchie continentali quella che nella notte di domenica ha portato al potere in Paraguay l’Alianza Patriotica por el cambio, una coalizione di sinistra guidata da un "vescovo rosso": Fernando Lugo.
Oggi - esclusa la Colombia di Uribe - tutta l’America Latina è governata da leader di sinistra radicale (Venezuela, Bolivia, Ecuador, Argentina) o di centro-sinistra (Cile, Brasile, Uruguay, Perù).
Fernando Lugo, vescovo di San Pedro, 57 anni, sospeso a divinis dal Vaticano, esponente della Teologia della Liberazione dell’ex sacerdote brasiliano Leonardo Boff (cacciato da Papa Ratzinger), è riuscito a metter fine a 61 anni di dominio del partito Colorado che dopo la fine della dittatura del generale Stroessner (1989), anche lui un Colorado, ha continuato a governare anche in democrazia.
Lugo ha vinto largamente, ottenendo il 40,8% dei voti, davanti ad una donna, Blanca Ovelar, candidata del partito al potere, staccata di dieci punti (30,8%) e all’ex generale golpista (di destra) Lino Oviedo (22%), un uomo legato alla Cia e alla destra neo-con americana.
Nelle strade di Asuncion la festa per la caduta dei Colorado, un partito ormai confuso completamente con lo Stato (agli impiegati pubblici il versamento per l’iscrizione al partito viene stornato direttamente dallo stipendio), è durata per tutta la notte.
"Il risultato di questa notte dimostra che anche i piccoli possono vincere", ha detto il vescovo nella sua prima dichiarazione da presidente e dopo aver temuto seriamente, almeno negli ultimi giorni, che una frode organizzata dai Colorado potesse negargli la vittoria.
La violentissima campagna "sporca" contro di lui sembra aver prodotto l’effetto contrario a quello sperato. Invece di spaventare gli elettori, li ha convinti a votare per Lugo che alla fine ha raccolto molti più voti di quelli previsti dai sondaggi.
Accusato di essere un amico delle Farc, la guerriglia colombiana, e un pupazzo di Chavez, il presidente venezuelano, il vescovo ha preso le distanze dall’una e dall’altro insistendo sul suo programma di ridistribuzione della ricchezza e delle terre che promette di mettere in atto quando assumerà ufficialmente il potere, a partire dal prossimo 15 agosto.
Il Paraguay è un paese geopoliticamente strategico in America Latina almeno per tre motivi. Confina con la Bolivia all’altezza degli immensi giacimenti di gas naturale, è un grande produttore di energia idroelettrica e nelle sue viscere c’è una delle più grandi riserve di acqua dolce di tutto il pianeta, "l’acquifero guaranì", dove secondo gli esperti c’è acqua potabile "per 360 milioni di persone nei prossimi cent’anni". Decisivo anche come "via della coca" verso l’Europa, il Paraguay è, insieme alla Bolivia, con la quale condivide l’handicap di non avere un accesso al mare, uno dei paesi più arretrati del sub-continente.
* la Repubblica, 21 aprile 2008
Paraguay, vince Lugo: cade l’ultima oligarchia americana
La coalizione di sinistra guidata da Fernando Lugo avrebbe vinto le elezioni presidenziali in Paraguay battendo di circa 6 punti la candidata del partito Colorado, Bianca Ovelar stando agli exit poll. Se la vittoria di Lugo, un ex vescovo cattolico, fosse confermata sarebbe una svolta storica per un Paese guidato da oltre 60 anni da una oligarchia medioevale.
Il programma di Lugo non lascia dubbi: cambiare il paese riorganizzandolo dal basso con la riforma agraria; spogliare il latifondo, umanizzare il lavoro delle campagne impedendo alla soia transgenica di estirpare i contadini trasformando colture di grano, cotone, frutta e caffè in uno sterminato deserto verde. Proprietà immense di pochi. Stanno arrivando gli stranieri non solo dall’altra America, soprattutto del Brasile. L’angoscia dei contadini ormai nomadi e affamati sulla strada della clandestinità ( due milioni di esuli in Argentina, un terzo della popolazione ); questa angoscia, pretende riforme sociali destinate a rovesciare le gerarchie del Paraguay. Si accampano nelle villas miserias che allargano ogni centro urbano. Rappresentano la protesta nelle piazze della capitale. Immiseriscono l’immagine del Paraguay il cui prodotto lordo resta l’orgoglio delle statistiche, ma solo delle statistiche: un piccolo paese diventato quarto esportatore al mondo di soya. Paraguay che confina col Brasile di Lula, l’Argentina della signora Kirchner, la Bolivia di Evo Morales. Ecco perché l’inquietudine non agita solo i notabili di Asuncion: allarma gli Stati Uniti. Hanno riaperto una base militare quasi dimenticata. Guardano al cono sud come a una polveriera che incombe sugli affari di Wall Street adesso che il Brasile ha scoperto un mare di petrolio.
Il Brasile é grande vicino scomodo storicamente del Paraguay. La prima urgenza di Lugo sarà trattare la commercializzazione della centrale elettrica di Itaipù, sul confine segnato dal fiume Paranà. È una delle sette meraviglie del mondo, si dice sempre così. Ma la meraviglia è come viene regolata la divisione dell’energia prodotta. Nel trattato dei generali Medici e Stroessner. Erano capi di stato quando nel 1973 hanno stabilito di ripartirsi al 50 per cento l’elettricità di Itaipù ma se uno dei due paesi consuma meno dell’altro, l’eccedenza non può essere venduta a un paese terzo. Obbligo di cederla al partner a prezzi di costo di produzione. Spiccioli. Accordo capestro. Il Paraguay consuma dal 2 al 5% dell’elettricità, mentre al Brasile va il 90% e il popolo degli stracci perde 3 miliardi e 600 milioni di dollari e altri 600 milioni con la diga condivisa con l’argentina a Yacreta e congelata dallo stesso trattato. Il Paraguay resta in fondo al mondo per un elenco infinito di ritardi. Paese senza catasto: impossibile risalire alle proprietà dentro le scatole cinesi dei notai. Paese delle febbre gialla, lo stato trascura ogni vaccinazione: medici e farmaci arrivano solo nei giorni che precedono le elezioni. E spariscono. Insomma, un paese che Lugo vuole rendere normale.
È andato a Brasilia a trovare Lula. Abbracci, non solo col presidente soprattutto col suo partito dei lavoratori. Lula ha promesso di riscrivere il trattato di Itaipù. E il movimento Sem Terra gli ha offerto collaborazione e assistenza nella ricostruzione sociale ormai urgente.
Le speranze dei sei milioni di diseredati non pesano nella grande politica che sta trasformando il continente, ma sono sei milioni di figli della gleba e la loro affermazione può influenzare il panorama latino. Tanto per capire la loro vita quotidiana. Sta per uscire «Appunti sul Paraguay» di Ines Cainer: la vita della gente raccontata da chi l’ha condivisa. «Tra il giorno 7 e il giorno 19 ottobre, 14 ragazzi con meno di 20 anni si sono tolti la vita. La loro tragedia non appare nelle statistiche. Nessun ne parla eppure migliaia di persone ogni anno muoiono per "autoeliminazioni" come spiegano i documenti ufficiali. Disillusi da una situazione sempre più difficile, senza speranza e senza vie d’uscita, braccia da soma e non persone, scappano dalla fatica con la morte».
* l’Unità, Pubblicato il: 20.04.08, Modificato il: 20.04.08 alle ore 23.31
Paraguay al voto: un vescovo contro il medioevo
di Maurizio Chierici *
Si vota in Paraguay e Fernando Lugo, ex vescovo di Roma, dovrebbe diventare presidente. Ogni inchiesta gli assegna sei punti di vantaggio su un altro ex, il generale golpista Lino Oviedo, in bilico per il secondo posto con Blanca Ovelar candidata del partito Colorado del dittatore Stroessner: governa da 61 anni un Paese sfinito dall’ultimo medioevo dell’America Latina. Il dubbio non contempla il ripensamento degli elettori ma le manipolazioni e le alleanze segrete tra gli aspiranti che sembrano sconfitti. Ovideo s’appoggia alla classe media affascinata dal decisionismo di un militare che ha lasciato il partito Colorado per tentare l’avventura di un golpe finita male: esilio e carcere e un’improvvisa liberazione mai motivata. Il governo alle corde sta forse pensando al gioco estremo: coalizzarsi con Oviedo contro Lugo per non perdere il potere. Simbiosi complicata perché i dissapori tra il generale e i colorados restano profondi, ma è la sola alternativa rimasta a chi vuol difendere i privilegi di poche famiglie e la fame del 90% della gente.
Il programma di Lugo non lascia dubbi: cambiare il paese riorganizzandolo dal basso con la riforma agraria; spogliare il latifondo, umanizzare il lavoro delle campagne impedendo alla soia transgenica di estirpare i contadini trasformando colture di grano, cotone, frutta e caffè in uno sterminato deserto verde. Proprietà immense di pochi. Stanno arrivando gli stranieri non solo dall’altra America, soprattutto del Brasile. L’angoscia dei contadini ormai nomadi e affamati sulla strada della clandestinità ( due milioni di esuli in Argentina, un terzo della popolazione ); questa angoscia, pretende riforme sociali destinate a rovesciare le gerarchie del Paraguay. Si accampano nelle villas miserias che allargano ogni centro urbano. Rappresentano la protesta nelle piazze della capitale. Immiseriscono l’immagine del Paraguay il cui prodotto lordo resta l’orgoglio delle statistiche, ma solo delle statistiche: un piccolo paese diventato quarto esportatore al mondo di soya. Paraguay che confina col Brasile di Lula, l’Argentina della signora Kirchner, la Bolivia di Evo Morales. Ecco perché l’inquietudine non agita solo i notabili di Asuncion: allarma gli Stati Uniti. Hanno riaperto una base militare quasi dimenticata. Guardano al cono sud come a una polveriera che incombe sugli affari di Wall Street adesso che il Brasile ha scoperto un mare di petrolio.
Il Brasile é grande vicino scomodo storicamente del Paraguay. La prima urgenza di Lugo sarà trattare la commercializzazione della centrale elettrica di Itaipù, sul confine segnato dal fiume Paranà. È una delle sette meraviglie del mondo, si dice sempre così. Ma la meraviglia è come viene regolata la divisione dell’energia prodotta. Nel trattato dei generali Medici e Stroessner. Erano capi di stato quando nel 1973 hanno stabilito di ripartirsi al 50 per cento l’elettricità di Itaipù ma se uno dei due paesi consuma meno dell’altro, l’eccedenza non può essere venduta a un paese terzo. Obbligo di cederla al partner a prezzi di costo di produzione. Spiccioli. Accordo capestro. Il Paraguay consuma dal 2 al 5% dell’elettricità, mentre al Brasile va il 90% e il popolo degli stracci perde 3 miliardi e 600 milioni di dollari e altri 600 milioni con la diga condivisa con l’argentina a Yacreta e congelata dallo stesso trattato. Il Paraguay resta in fondo al mondo per un elenco infinito di ritardi. Paese senza catasto: impossibile risalire alle proprietà dentro le scatole cinesi dei notai. Paese delle febbre gialla, lo stato trascura ogni vaccinazione: medici e farmaci arrivano solo nei giorni che precedono le elezioni. E spariscono. Insomma, un paese che Lugo vuole rendere normale.
È andato a Brasilia a trovare Lula. Abbracci, non solo col presidente soprattutto col suo partito dei lavoratori. Lula ha promesso di riscrivere il trattato di Itaipù. E il movimento Sem Terra gli ha offerto collaborazione e assistenza nella ricostruzione sociale ormai urgente.
Le speranze dei sei milioni di diseredati non pesano nella grande politica che sta trasformando il continente, ma sono sei milioni di figli della gleba e la loro affermazione può influenzare il panorama latino. Tanto per capire la loro vita quotidiana. Sta per uscire «Appunti sul Paraguay» di Ines Cainer: la vita della gente raccontata da chi l’ha condivisa. «Tra il giorno 7 e il giorno 19 ottobre, 14 ragazzi con meno di 20 anni si sono tolti la vita. La loro tragedia non appare nelle statistiche. Nessun ne parla eppure migliaia di persone ogni anno muoiono per "autoeliminazioni" come spiegano i documenti ufficiali. Disillusi da una situazione sempre più difficile, senza speranza e senza vie d’uscita, braccia da soma e non persone, scappano dalla fatica con la morte».
Fernando Lugo rappresenta la prima speranza dopo 60 anni. Ma incarna il pericolo di una destabilizzazione che può travolgere le piramidi del potere Colorado. La campagna elettorale è tormentata da piccole e grandi violenze. Dieci giorni fa le squadre del governo hanno ucciso la moglie e ferito a morte il leader di uno dei movimenti contadini che sostengono l’ex vescovo. Arresti e carcerazioni senza un’accusa. Impossibile parlare al telefono con chi fa propaganda. Ricevitori fissi muti. E cellulari disturbati da rumori che rendono incomprensibili le conversazioni. L’ultimo provvedimento ufficiale ha spento i cellulari dei rappresentanti di Lugo che accompagnano gli osservatori stranieri. Si vuol impedire denunce e segnalazioni di irregolarità. Ecco perché malgrado i sei punti di vantaggio il risultato resta sospeso da troppi sospetti.
* l’Unità, Pubblicato il: 20.04.08, Modificato il: 20.04.08 alle ore 10.36
Il vescovo rosso che dà dignità a un Paese di diseredati
di Maurizio Chierici *
Gli exit poll confermano i pronostici: Fernando Lugo è in testa, e il Paraguay archivia 61 anni di autocrazia del partito Colorado. Paraguay che è un paese dimenticato alla fine al mondo, ma è successo qualcosa: ora tutti sanno dov’è con un presidente protagonista insolito. I padri della Chiesa di Roma hanno attraversato i cinquecento anni di storia del continente latino con impegni diversi.
Dai vescovi obbedienti al potere delle conquiste a predicatori bastonati, umiliati, massacrati, oscurati per aver scelto la difesa dei popoli sfiniti dalla violenza economica dell’occidente illuminato. Bastonate a Montesinos e a Cristobal de Las Casas, gesuiti di Mission sacrificati alla real politik vaticana, monsignor Romero ucciso in Salvador perché sgradito all’amministrazione Reagan. Nell’ombra imposta alla teologia della liberazione è cresciuto un altro vescovo e se la violenza non pasticcia il voto, Fernando Lugo é il primo pastore capo di stato nell’America del Sud, forse nel mondo. Ex vescovo perché il 22 dicembre 2006 ha presentato la rinuncia al ministero. Ma essere vescovo è come essere battezzato: possibile sciogliere l’impegno con le gerarchie ma il sacramento resta. Incancellabile come il sacerdozio.
Quando lo scorso novembre il giornalista arriva ad Assuncion per capire chi è, Lugo sospira: «Lei viene dall’Italia, da Roma». Non nasconde la malinconia per l’orizzonte perduto. Fra pochi giorni compie 57 anni. Risponde aggrappato al volante del fuoristrada che lo aiuta a sopravvivere nelle piste terra e fango della campagna elettorale. Piccole città, villaggi dimenticati dall’asfalto: tre quarti del paese è così. Camicia tagliata nel lino bianco, sandali francescani, giubbetto nero. Se il pubblico che lo applaude sono indios guaranì, monta sul palco con una sciarpa colorata attorno alle spalle. Quasi una divisa da quando ha lasciato la dignità vescovile. Dietro gli occhiali, sguardo da intellettuale impegnato nell’utopia: sono tanti in America Latina. «Non è utopia», la voce quieta si increspa nella protesta che resta un sussurro. Sceglie le parole con la prudenza del pastore che per trent’anni ha distribuito omelie dall’altare. L’altare di un prete sospettato dalle polizie per quel mescolarsi ai problemi dei contadini schiacciati dal notabilato del latifondo: cento ore di lavoro la settimana, un dollaro al giorno. «Impossibile sopportarlo», ripete rallentando. Sta attraversando un paesino e la gente si sbraccia. Corre nella polvere dell’auto che lo precede: angeli custodi del ministero degli interni. Sorride: «Per proteggermi, ma anche spiarmi. Ogni sera fanno rapporto sulle persone che incontro». Sotto la tenda delle bancarelle del mercato incontra un vecchio sacerdote. Che lo avvicina e lo benedice imponendo le mani sulla fronte. Per un minuto pregano assieme, poi l’abbraccio rispettoso. «Auguri», il prete se ne va.
È la più strana campagna elettorale alla quale un giornalista si sia mai mescolato. Lugo scuote la testa. «Nell’ombra qualcuno prepara sempre qualcosa. Non vogliono perdere gli affari. La corruzione è il cancro che divora da mezzo secolo il Paraguay. I colorados della dittatura del generale Stroessner sono diventati i colorados del partito unico: 61 anni di potere, affari e polizie nelle stesse mani».
Viene da una famiglia perseguitata dalla dittatura e dagli autocrati che ne hanno preso il posto. Il padre era un militare: non si rassegnava alla degenerazione del partito Colorado nel quale aveva riposto ogni speranza. Venti volte in prigione: «Lo venivano a prendere con l’aria degli impiegati che portano una multa. La sua valigia era sempre pronta. Non protestava e li seguiva incoraggiandoci con un filo di voce. È il prezzo da pagare alla dignità». Tre fratelli costretti all’esilio dopo galera e tortura. Uno è morto in Svezia, l’altro sopravvive in Francia, l’ultimo lo accompagna nella campagna elettorale. Nel 1977 Fernando diventa prete, congregazione del Verbo Divino: subito missionario in Ecuador. «Per cinque anni ho avuto l’opportunità di approfondire la teologia pastorale con teoria e pratica quotidiana. Gli studi mi hanno permesso di capire la condizione sociale del continente. Ho imparato a guardare la gente in modo diverso e mi sono reso conto come fosse inutile disperarsi: dovevo fare qualcosa per aiutare la speranza. Capire il lavoro dei poveri che erano quasi tutti: Ecuador, Paraguay, Brasile, Centro America. La loro testimonianza mi ha aiutato ad incarnarmi nella fede perché la fede non è solo osservazione contemplativa, ma rapporto con la realtà». Si affida alla teologia della liberazione quando Roma la soffoca con prudenza e belle parole. Nel 1982 la missione finisce, torna a casa. Coordina cooperative e associazioni di braccianti. Arrestato ed espulso «per attentato alla pace sociale»: arroganza che conferma la microstoria di migliaia di famiglie dalla dignità avvilita nelle crudeltà quotidiane. «Roma...», immalinconiva al primo incontro. Roma è stato il rifugio del suo esilio, quattro anni che gli hanno insegnato la moderazione delle democrazie moderate. Ma moderazione non vuol dire rinuncia. Appena diventa vescovo di San Pedro Apostol, diocesi poverissima del Paraguay povero, organizza attorno alla sua cattedra magazzini di consumo diretto: dal piccolo produttore al piccolo consumatore, dimezzando i prezzi. Orti comunitari, cooperative per distribuire il raccolto al di fuori delle reti della commercializzazione nelle mani delle solite mani. Intanto il paese cambia pelle, non le gerarchie. L’arroganza dei militari si è trasformata nella furbizia di chi coltiva privilegi attorno alla politica. Ma il 90% della gente continua a vivere senza diritti, solo doveri e la paura dei passi nella notte. Al «vescovo rosso» si avvicinano sindacalisti contadini, arrivano intellettuali, studenti, altri preti. Nasce un collettivo che nel 2005 diventa Movimento Poopolare Tekojoja: assieme ed uguali in lingua guarani. «Raccolgono adesioni per convincermi a candidarmi, centomila firme in pochi mesi. Un tormento decidere ma capisco che non posso scappare ed accetto». Alla vigilia del Natale 2006 rinuncia al ministero sacerdotale e all’episcopato. Il nunzio lo sconsiglia, il Vaticano lo invita a ripensarci, la conferenza episcopale paraguyana condanna la scelta con parole di circostanza ma consapevole che gran parte dei preti di base è d’accordo e continua a dare una mano alla sua Alleanza per il Cambiamento.
Dalla residenza di San Pedro, si trasferisce in una villetta alla periferia di Assuncion «accanto alla stazione delle corriere. Chi mi vota non ha l’automobile e viaggia così». L’Alleanza riunisce movimenti e partiti attorno alla parola «cambiamento», ideologie ed etica a volte lontane. Una parte consistente è favorevole al divorzio e all’aborto. Una volta presidente come affronterà la cointraddizione? «Resto contrario ad ogni provvedimento che minacci la vita umana. Come cattolico e come cristiano devo difenderla. Il tema divide il movimento. Sarà necessario elaborare una carta etica e scientifica non solo per il Paraguay ma per l’intera America Latina».
Lugo presidente avrà nostalgia del Lugo vescovo e sacerdote? «Alla nostalgia non si comanda. A volte mi vien voglia di tornare. Ma l’urgenza è un’altra: stare assieme alla gente per restituire quella dignità che mio padre si ostinava a difendere andando in galera. Impegno politico e fede nel messaggio della Chiesa credo possano convivere: la folla degli elettori lo trova naturale. Chi mi circonda a volte intuisce il dolore della rinuncia. Ma sono convinto che quando Dio mi chiamerà potrò rispondere di aver compiuto la sua volontà e il suo desiderio di giustizia». Ormai le parole sono finite. Lugo deve smontare il medioevo per traghettare milioni di diseredati nel ventunesimo secolo. Salto nella storia che notabili ed affari continueranno a contrastare con ogni violenza ed imbrogli sui quali provano a vegliare 500 osservatori stranieri. Chissà se l’incubo Paraguay si è sciolto davvero nella notte.
mchierici2@libero.it
2-fine. L’articolo precedente
è stato pubblicato il 20 aprile
* l’Unità, Pubblicato il: 21.04.08, Modificato il: 21.04.08 alle ore 14.58
I sondaggi danno vincente l’ex esponente della "teologia della
liberazione", sospeso a divinis dal Vaticano, sugli altri candidati
Paraguay sceglie il suo presidente
favorito Lugo, l’ex vescovo "rosso"
In difficoltà il partito Colorado che ha sempre governato il paese
dal nostro inviato OMERO CIAI *
CARACAS (Venezuela) - Ad Asuncion più che gli avversari, nelle elezioni presidenziali di domenica in Paraguay, il candidato favorito dovrà battere la propaganda "sporca" e i possibili brogli di un partito - i Colorado - che in decenni di potere s’è da tempo confuso con lo Stato. Fernando Lugo, un vescovo di 57 anni, sospeso a divinis dal Vaticano un anno fa quando si è candidato, è da mesi in testa ai sondaggi ma nelle ultime settimane, quando la sua vittoria è divenuta una possibilità reale, è stato al centro di una campagna denigratoria nella quale viene accusato di essere un simpatizzante delle Farc, la guerriglia colombiana che tiene in ostaggio Ingrid Betancourt, e di aver ricevuto grossi finanziamenti dal presidente venezuelano Hugo Chavez.
Formatosi nell’alveo di quella che fu la "Teologia della Liberazione" di padre Leonardo Boff, Lugo è un personaggio molto popolare che - come è già accaduto in Bolivia con Morales, in Ecuador con Correa e in Venezuela con Chavez - miscelando promesse populiste e socialisteggianti ha fatto ampiamente breccia nelle fasce più povere del paese (60 percento dei 6 milioni di abitanti) strappando all’elite al potere il bacino popolare di voto di scambio.
Se riuscirà a vincere in uno dei paesi più arretrati dell’America Latina, Lugo non sarà solo il primo ex vescovo presidente, metterà anche fine a sei decenni di supremazia ininterrotta del Partito Colorado che, senza alcuna discontinuità fra dittatura (quella famigerata del generale Stroessner, 1954-1989) e democrazia, governa il paese dal 1947.
Gli altri due candidati sono Blanca Ovelar, 51 anni, una donna proposta dai Colorado nel tentativo di accompagnare l’onda femminile prevalente nella regione dopo le vittorie della Bachelet in Cile e di Cristina Kirchner in Argentina; e Lino Oviedo, un ex generale protagonista di un tentativo di golpe nel 2000, che rappresenta i grandi proprietari terrieri e le tendenze più revanchiste della borghesia locale. Il voto è ad un turno secco e si può conquistare la presidenza anche con molto meno del 40 percento dei suffragi. Gli ultimi sondaggi resi noti qualche giorno fa attribuivano a Lugo un vantaggio consistente (tra il 34 e il 35 percento dei voti), seguito dalla Ovelar (sotto il 28%) e Oviedo (25-27%).
Chi guarda con maggiore preoccupazione queste elezioni è Washington. Perché se in Paraguay vince Lugo alla Casa Bianca rimarrebbe un solo fedele alleato in tutto il sub-continente: la Colombia di Uribe. Ma anche perché si complicherebbe l’installazione di una nuova base militare nella zona della Triple frontera dove gli Stati Uniti pensano di trasferire gli Awacs e gli altri aerei-spia che, dopo la vittoria di Correa, devono lasciare la base di Manta in Ecuador.
Anche i due grandi vicini del Paraguay, Brasile e Argentina, guardano con qualche ansia la possibile vittoria dell’ex vescovo. Lugo infatti non solo promette ai contadini senza lavoro di espropriare le terre incolte e di ridistribuirle ma vuole anche rinegoziare con Brasilia e Buenos Aires il prezzo dell’energia elettrica generata dalle due grandi dighe sul fiume Paranà, la maggiore risorsa del paese. Mentre il Brasile e l’Argentina hanno un disperato bisogno di energia per sostenere la loro crescita economica, il Paraguay, paese sostanzialmente agricolo con pochissime industrie, consuma meno del 15% di quella idroelettrica che produce. Ma, secondo Lugo, oggi vende tutta l’energia che gli avanza a "prezzo di costo" invece che a "prezzo di mercato".
* la Repubblica, 19 aprile 2008
Lite sul vescovo-presidente in Paraguay:
"E’ la teologia, stupido!"
di JOHN L. ALLEN JR.,
New York
National Catholic Reporter
3 maggio 2008 *
Ho ripetuto spesso che riportare notizie sul cattolicesimo romano attraverso il prisma della logica corporativa o delle politiche secolari è come tentare di costruire un oggetto tridimensionale in uno spazio bidimensionale: inevitabilmente alcuni aspetti della realtà vengono trascurati e ne deriva una immagine distorta.
E’ un’immagine che ben dipinge la situazione, ma la gente ha bisogno di esempi concreti per entrare nel merito. I giorni scorsi ci hanno regalato una cosa straordinaria, sotto forma di controversia riguardo l’elezione di Fernando Lugo, ex prete Verbita e vescovo emerito della diocesi di San Fernando in Paraguay, a presidente - una vittoria che è arrivata nonostante l’insistenza del Vaticano che Lugo restasse vescovo e che rimanesse al di fuori delle parti politiche.
In superficie sembra una tipica storia di politica, ma in realtà la situazione non può essere compresa a pieno senza una minima padronanza di teologia cattolica e di diritto canonico, specialmente sul significato di essere vescovo.
Ecco la storia pregressa: Lugo, populista di sinistra, è stato sempre una figura di spicco della scena sociale del Paraguay. L’attivismo scorre nelle sue vene: suo padre fu arrestato 20 volte sotto il regime dell’ex-dittatore Alfredo Stroessner, e tre dei suoi quattro fratelli sono stati espulsi dal paese. Nel 1996, Lugo ha organizzato un incontro nazionale delle comunità di base, i piccoli gruppi dedicati alla formazione spirituale e all’azione politica legate alla teologia della liberazione. Nel 2004 Lugo partecipò alle proteste dei pacifisti per una equa distribuzione delle terre e del commercio in agricoltura.
Tre anni fa si cominciò a parlare di Lugo come candidato alle presidenziali, e da allora è nata la questione del suo status di vescovo cattolico. L’articolo 235 della costituzione del Paraguay proibisce ad un ministro religioso di ricoprire cariche politiche, così nel 2006 Lugo scrisse al Vaticano per chiedere di essere "laicizzato", cioè dimesso dallo stato clericale. Poi annunciò di essersi dimesso dal suo episcopato, motivo sufficiente per lo stato del Paraguay per permettere la sua candidatura.
Tuttavia, il Cardinale Giovanni Battista Re della Congregazione Vaticana per il Vescovi scrisse a Lugo il 4 gennaio 2007, per informarlo che la sua richiesta era stata respinta. Ovviamente Lugo protestò e di lì incominciarono le diatribe sulla stampa che narravano le tensioni tra il futuro presidente e Roma.
La polemica è stata presentata sia sotto l’aspetto disciplinare che politico. Alcuni affermano che il Vaticano ha contrastato Lugo secondo il principio che il clero non deve essere coinvolto nella politica (argomento a tutt’oggi valido), oppure per difendere l’autorità del papa. Altri invece sottolineano le tendenze di sinistra di Lugo, sospettando che il Vaticano tema lo spettro del venezuelano Hugo Chavez, o abbia paura di un rifiorire della teologia della liberazione.
In ogni caso, la realtà dei fatti è che dire "no" a Lugo rappresenta un legalismo rigido legato certamente ad altre ragioni. Dopo tutto, da un punto di vista puramente secolare, se un individuo è determinato a lasciare, a che serve rifiutare le sue dimissioni - a meno che, naturalmente, non gli si voglia rendere la vita difficile?
Ciò che tale ragionamento omette, però, è la dimensione teologica del problema.
Sotto questo aspetto, non è assolutamente scontato che il Vaticano dovesse accogliere la domanda di riduzione allo stato laicale di Lugo, anche se motivata. I canonisti non possono appellarsi a nessun precedente di vescovo ridotto allo stato laicale, e, sebbene sia un punto dibattuto, ci sono serie motivazioni che sanciscano che non sia praticamente possibile.
Teologicamente, l’ordinazione sacramentale è come un campanello che non può essere zittito. Il canone 290 del Codice di Diritto Canonico afferma chiaramente: "Dopo essere stati impartiti validamente, i sacri ordini non possono essere invalidati". Tuttavia un prete può essere "laicizzato", cioè può tornare formalmente e legalmente laico, anche se il suo "marchio" permanente conferito con l’ordinazione resta.
Per preti e diaconi, la riduzione allo stato laicale è di solito un passo estremo a cui si ricorre in casi molto gravi. I preti possono chiedere al Vaticano di tornare ad essere laici, ad esempio quando intendono sposarsi. Tale atto è considerato una azione pontificale, cioè qualcosa che il papa fa personalmente ed è considerato un favore, più che un diritto. I preti possono anche essere ridotti allo stato laicale forzatamente, se colpevoli di gravi mancanze come è accaduto per alcuni preti che avevano compiuto abusi sessuali, di cui siamo venuti a conoscenza nei recenti scandali. Il canone 290 sancisce che la laicizzazione possa riguardare "i diaconi solo per gravi motivazioni, e i presbiteri solo per ragioni estremamente gravi".
Certamente, il canone 290 non fa mai riferimento ai vescovi, come se questa ipotesi fosse praticamente impensabile.
Alcuni esperti ritengono che l’omissione possa basarsi sulla differenza teologica tra il presbiterato e l’episcopato. Detto in parole semplici, la ragione dell’impossibilità di laicizzare un vescovo deriva da questo: l’episcopato rappresenta la "pienezza" dell’ordinazione sacramentale. Ecco perché i vescovi possono ordinare i preti ed altri vescovi, mentre i preti non possono. Data questa differenza, alcuni ritengono che lo status conferito mediante l’ordinazione episcopale sia a livello talmente profondo da renderla indissolubile non solo in senso metafisico, ma giuridico.
Non tutti i teologi o canonisti sposano questa teoria, ma essa sembra implicita nel modo in cui il Vaticano ha trattato i recenti casi di vescovi dissidenti.
I vescovi possono essere rimossi dall’incarico, anche forzatamente, dal papa; è accaduto ad esempio nel 1995, al vescovo francese Jacques Gaillot, rimosso dalla diocesi di Évreux e riassegnato alla sede di Partenia. Gaillot è conosciuto come "il chierico rosso" per le sue visioni liberali in contrapposizione con gli insegnamenti ufficiali cattolici su una vasta gamma di tematiche.
Nel caso di Gaillot, comunque, è stato semplicemente assegnato ad una diocesi inesistente, ma non laicizzato. Egli rimane un vescovo cattolico romano.
Se il Vaticano laicizzasse i vescovi, l’avrebbe già fatto diverse volte, specialmente nei casi in cui vescovi dissidenti hanno ordinato illecitamente altri preti o altri vescovi, creando di fatto una sorta di scisma. Primo fra tutti l’Arcivescovo Emmanuel Milingo, il guaritore dello Zambia ed esorcista che ha rotto i ponti con Roma e ha ordinato vescovi nella sua prelatura Married Priests Now! Dal punto di vista di Roma, comunque, Milingo resta un vescovo e la sua ordinazione quindi resta valida, nonostante il Vaticano abbia annunciato che coloro che sono stati ordinati da lui non verranno riconosciuti ufficialmente.
Sicuramente ci sono alcuni esperti che non concordano sulla teoria che un vescovo possa essere laicizzato qualora il papa lo decida.
Alcuni citano il canone 1405, ad esempio, che riserva al papa l’autorità di giudicare i vescovi nelle cause penali. Dato che la laicizzazione è prevista come punizione dal diritto canonico, il canonista afferma, che non esista nessuna ragione di principio per cui non possa essere applicata a un vescovo, sebbene una sorta di prudenza e di rispetto dell’ufficio episcopale consigli prudenza. Altri citano un rito del 1862, pubblicato da papa Benedetto XIV che riguarda "la denigrazione di un vescovo", che sembra riguardare un vero e proprio rituale di espulsione di un vescovo dal ministero episcopale. Tutti i simboli come la mitria e il pallio vengono sottratti e vengono graffiate le dita e il capo per significare la rimozione dell’unzione impartita durante la cerimonia di ordinazione.
Per ora, il punto importante è che esista un dibattito canonico e teologico nel cattolicesimo sulla possibilità di laicizzare un vescovo. Dire "no" a Lugo, comunque, non è solo una volontà di mantenere o di guadagnare punti in politica, ma una sorta di rispetto delle complessità teologiche e canoniche.
Per essere chiari, nulla di quanto detto vuole dimostrare che la opposizione vaticana sia scevra da fini politici o che non esistano buoni argomenti teologici per laicizzare un vescovo. Queste questioni saranno oggetto di numerose e legittime discussioni nel prossimo futuro.
Ciò che l’attuale polemica dimostra, è che cercare di comprendere perché la chiesa fa quello che fa, è dovere di tutti, una sfida alla propria logica interiore. Altrimenti, pezzi importanti della realtà resteranno fuori. Applicando questo alla situazione di Lugo, il sottotitolo potrebbe essere: "E’ la teologia, stupido!".
traduzione di Stefania Salomone
* Il Dialogo, Mercoledì, 07 maggio 2008 - ripresa parziale. Testo originale