La Passione femminile sotto l’incubo della tecnica
di Ida Dominijanni (il manifesto, 07.04.2007)
Alle origini fu l’homo erectus, poi l’homo faber, poi l’homo sapiens, infine l’homo sapiens-sapiens che abita oggi il pianeta della tecnica. Il quale, armato di saperi, poteri e strategie, di intelligenza naturale e artificiale, di libri e di calcolatori, sarà pure in grado di offrirci l’illusione di una second life, ma non cessa di essere «l’aiola che ci fa tanto feroci». Di tanta ferocia, piace alla Chiesa di Benedetto XVI - gemella in questo del nichilismo novecentesco che tanto animosamente combatte - rintracciare la radice proprio nel potere della tecnica, e nella tecnica come destino, dell’Occidente declinante. Al posto di questo astro che danna, dice quest’anno il messaggio del venerdì di Passione, deve risplendere un astro che salva, e questo astro è l’amore.
Ma chi incarnerà questo amore, se l’homo erectus, faber, sapiens l’ha esiliato fin qui dalla Terra? Sarà colei che homo non è, che di quest’esilio non è responsabile, e che fin qui l’amore ha saputo custodirlo, rimetterlo al mondo, donarlo, dichiararlo. Dopo l’era faber e quella sapiens, dunque, dovrà aprirsi l’era della donna, ovvero dell’amore, del cuore e della compassione. E’ questa la speranza di salvezza dell’umanità, ed è un futuro annunciato dal racconto della Croce, perché ancora non sappiamo chi mandò a morte Gesù, se i capi ebrei o Pilato o tutt’e due, ma «una cosa è certa in ogni caso: furono degli uomini, non delle donne, e storicamente esse possono dire ’siamo innocenti del sangue di costui’».
Così il «neo-femminismo cattolico», come già lo battezzano le agenzie, fa sua e rilancia l’arma più classica del femminismo novecentesco da Virginia Woolf in poi, quella dell’estraneità femminile dai misfatti dell’umanità maschile, per benedire l’avvento salvifico dell’era della donna. I precedenti c’erano tutti, dalla Mulierim dignitatem di Giovanni Paolo II alla Lettera ai Vescovi sugli uomini e le donne del cardinal Ratzinger non ancora pontefice. Il venerdì di Passione accende i toni e riempie il discorso sulla Donna con i volti femminili della via Crucis (dando modo di rilanciare su Maria Maddalena oltre le polemiche su Dan Brown), ma la sostanza non cambia. Resta la capacità della Chiesa di individuare nella differenza femminile la protagonista di un necessario cambio di civiltà; resta la giusta presa di distanza della Chiesa da quel femminismo della parità che milita a assimilare le donne agli uomini, e a metterle sulla strada della competizione con gli uomini per il potere; e restano i limiti della Chiesa nel perimetrare il femminile perbene da quello per male, quello che salva da quello peccaminoso, quello «creato in natura» (la differenza sessuale secondo la Chiesa, appunto) da quello «prodotto dalla cultura» (la differenza sessuale secondo molta teoria femminista, in testa Simone De Beauvoir cui tocca stavolta la stessa bolla che Ratzinger aveva inviato a Judith Butler). Restano anche, della Chiesa di Giovanni Paolo II e di quella di Benedetto XVI, le contraddizioni e le interdizioni: nell’era che si apre, sarà concesso alle «pie donne» innocenti del sangue di Cristo di celebrare finalmente messa, e all’amore di esprimersi in linguaggio omosessuale?